| Leggere l'anarchismo 3 
 Malatesta 
                  | Classici italiani | Classici 
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                  contemporaneo | Ecomunicipalismo | Biografie 
                  e autobiografie | Biografie collettive 
                  | Storia | Miscellanea
 
 di 
                  Massimo Ortalli 
 
                   
                    | Leggere 
                        l'anarchismo 3La 
                        storia, le storie, il pensiero
 (2009-2012)
  Ed 
                        eccoci alla terza puntata di Leggere l’anarchismo, 
                        che comprende i libri pubblicati dal 2009 a tutto il 2012. 
                        Come si può vedere, la rassegna dei titoli è 
                        particolarmente ricca, a dimostrazione del fatto che l’interesse 
                        per le tematiche dell’anarchismo, intese in senso 
                        lato, non accenna affatto a diminuire. Anzi…! Sono 
                        infatti più di 250 i titoli inseriti in questo 
                        supplemento di «A Rivista anarchica», e molti, 
                        lo registro con piacere, di notevole qualità sia 
                        letteraria sia scientifica.Sono numerose le tematiche prese in considerazione, alcune 
                        particolarmente affollate rispetto alle precedenti edizioni, 
                        altre che vedono invece ridursi notevolmente la varietà 
                        e la quantità dei titoli. Ma soprattutto va registrato 
                        come alcuni ambiti tematici, in particolare di carattere 
                        storico, registrino un inalterato interesse, e conseguentemente 
                        un significativo numero di titoli, nonostante il passare 
                        degli anni e l’accresciuta lontananza temporale.
 Rispetto ad alcuni argomenti, mi preme segnalare che, 
                        a differenza delle due precedenti edizioni di Leggere 
                        l’anarchismo, ho scelto questa volta di inserire 
                        anche lavori di limitata diffusione e dal forte carattere 
                        militante, sia perché di particolare interesse, 
                        sia perché è stato soprattutto il movimento 
                        specifico a trattarne. Va detto, a questo proposito, che 
                        l’utilizzo sempre più frequente delle nuove 
                        tecnologie favorisce la pubblicazione di testi autoprodotti, 
                        fatti circolare non solo in versione cartacea ma anche 
                        via web.
 È possibile che alcuni titoli mi siano sfuggiti 
                        (spero pochi), sia perché non ne ho ancora avuto 
                        conoscenza, sia perché non sono riuscito a prenderne 
                        visione, quindi mi riprometto di porvi rimedio in un prossimo, 
                        auspicabile, quarto numero di Leggere l’anarchismo.
 Per finire, desidero esprimere la consapevolezza che, 
                        in non rarissimi casi, la mia interpretazione può 
                        rivelarsi soggettiva e, forse, anche non del tutto equilibrata. 
                        Lo ammetto, ma altrimenti dove sarebbe la libertà 
                        dell’autore?
  
                        Massimo Ortallimassimo.ortalli@acantho.it
 |  
 MALATESTA 
                 C’è una costante nella produzione bibliografica 
                  sul movimento e il pensiero anarchico, e questa costante è 
                  Errico Malatesta. La presenza dell’anarchico 
                  campano, infatti, si ripresenta puntualmente e massicciamente 
                  a testimoniare l’importanza e la centralità di 
                  questo grande personaggio dell’anarchismo italiano e internazionale, 
                  che tanta parte ha avuto, più in generale, nella storia 
                  sociale dell’Otto e Novecento. Lo dimostra non solo la 
                  riproposta puntuale di alcuni suoi classici, ma soprattutto 
                  un progetto straordinario sia per l’ampiezza degli obiettivi 
                  sia per il rigore scientifico e l’accuratezza editoriale. 
                  Si tratta della pubblicazione in corso d’opera delle Opere 
                  complete di Malatesta, un piano editoriale in 
                  dieci volumi reso possibile grazie al prezioso e incessante 
                  lavoro dello studioso Davide Turcato. Lo sforzo 
                  congiunto di due editrici, Zero in Condotta 
                  di Milano e La Fiaccola di 
                  Ragusa, ha reso possibile l’uscita, nel 
                  2011 e nel 2012, dei primi due volumi di tale progetto, “Un 
                  lavoro lungo e paziente…”. Il socialismo anarchico 
                  dell’Agitazione (1897-1898), arricchito 
                  dal denso saggio introduttivo di Roberto Giulianelli, e “Verso 
                  l’anarchia”. Malatesta in America 1899-1900, 
                  corredato dal saggio introduttivo di Nunzio Pernicone.Davide Turcato sta raccogliendo, con la pazienza di chi deve 
                  cercare in mille rivoli sparsi per mezzo mondo, tutti gli scritti 
                  di Malatesta, dalle innumerevoli riedizioni degli opuscoli più 
                  famosi al breve trafiletto nascosto tra le pieghe di qualche 
                  numero unico apparso chissà quando e in quale paese. 
                  Insomma, tutti i testi editi firmati o ispirati da Malatesta, 
                  e tutti gli scritti che ne riportano gli interventi sparsi e 
                  d’occasione: i resoconti delle conferenze, le difese nei 
                  tribunali, gli echi dei suoi comizi e via dicendo. Come può 
                  capire chi conosce la vita e l’attività rivoluzionaria 
                  di Malatesta, si tratta di un lavoro infinito, che scoraggerebbe 
                  il ricercatore più determinato e che invece Turcato sta 
                  portando a compimento nel modo migliore, come già dimostra 
                  l’uscita di questi primi due volumi (che in effetti sono 
                  il terzo e il quarto secondo il piano cronologico dell’opera). 
                  Sono queste le ragioni per cui, contrariamente al taglio ormai 
                  tradizionale di queste tracce bibliografiche, ho deciso di dedicare 
                  uno spazio particolarmente ampio a questa pubblicazione, che 
                  rappresenta sicuramente una pietra miliare nel campo dell’editoria 
                  anarchica, accostabile ad altri lavori di carattere manualistico 
                  quali i repertori di Leonardo Bettini e il Dizionario Biografico 
                  degli Anarchici Italiani. Con scelta coerente, il primo 
                  volume è dedicato alle pagine e agli anni dell’«Agitazione» 
                  anconetana, perché è su quelle pagine e nel contesto 
                  di quegli avvenimenti che la riflessione malatestiana, dopo 
                  un lungo processo intellettuale, acquisisce la sua definitiva 
                  maturità, portando gradualmente la parte più consistente 
                  del movimento anarchico di lingua italiana sulle posizioni dell’anarchismo 
                  sociale ed organizzatore ancora oggi così attuali. Il 
                  secondo volume, che raccoglie gli scritti apparsi su «La 
                  Questione Sociale» di Paterson, mostra come questa riflessione, 
                  evidenziata dall’aspra polemica con Ciancabilla e gli 
                  antiorganizzatori italoamericani, sia ormai giunta a un punto 
                  di non ritorno, sedimentandosi nella coscienza e nell’azione 
                  sociale di gran parte del movimento. Devo poi segnalare la cura 
                  redazionale e la bellissima veste grafica dei volumi, curata 
                  da Fuori Margine di Verona.
 
                   
                    | 
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                    | Errico 
                        Malatesta |  Come si può immaginare, molti sono stati (e continueranno 
                  ad essere) i collaboratori di Turcato, ma va qui ricordato almeno 
                  Tomaso Marabini che, grazie alle sue capacità e competenze, 
                  ha contribuito per molti versi a rendere realizzabile questa 
                  opera.Ma di Malatesta, come dicevamo, nell’intervallo di tempo 
                  trascorso dalla pubblicazione di Leggere l’anarchismo 
                  2, sono uscite altre edizioni di testi già largamente 
                  presenti nell’editoria anarchica. Per quanto mi risulta, 
                  sono infatti ben cinque le nuove edizioni malatestiane. Nel 
                  2009 la piccola editrice romana Edup ha pubblicato, in un unico 
                  volume della collana Le Murene, due testi fondamentali, L’Anarchia, 
                  uscito in prima edizione nel 1891, e Il nostro programma, 
                  fatto proprio dall’Unione Anarchica Italiana negli anni 
                  ’20 e ancora oggi base programmatica della Federazione 
                  Anarchica Italiana. Il Programma Comunista Anarchico 
                  Rivoluzionario è riprodotto anche nell’opuscolo 
                  edito nel 2012 dalla Organizzazione 
                  AnarcoComunista Napoletana, che in appendice riporta 
                  le Risoluzioni del Congresso di Saint Imier 
                  del 1872, i principi ispiratori dell’anarchismo che fa 
                  sempre bene rileggere e meditare.
 La casa editrice di Camerano, in provincia 
                  di Ancona, Gwynplaine, con il titolo Dialoghi 
                  sull’anarchia, ripropone nel 2009, Fra 
                  contadini e Al caffé, i due famosi dialoghi 
                  che contribuirono, con le loro frequenti ristampe, a diffondere 
                  i principi base del pensiero anarchico. Accompagnano il volume 
                  una cronologia e una bibliografia curate da Orlando Micucci. 
                  È del 2010 la pubblicazione di un altro 
                  importante testo malatestiano, Programma e Organizzazione 
                  dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, 
                  uscito la prima volta sulle pagine della fiorentina «Questione 
                  Sociale» e solo oggi riproposto in una seconda edizione 
                  (la prima in forma di opuscolo) per le Edizioni della 
                  Mela Marcia di Roma, a cura di Franco 
                  Di Sabantonio. Come ricorda Giorgio Sacchetti nella introduzione, 
                  è dal 1884 che questo testo non rivedeva la luce, e le 
                  motivazioni di questo non casuale oblio vanno cercate nella 
                  progressiva evoluzione del pensiero malatestiano che da lì 
                  a poco avrebbe ampiamente rivisto e reso parzialmente superate 
                  le basi teoriche di tale scritto. Sempre nel 2010 
                  l’editrice Ortica, di Aprilia, 
                  ripropone, in una edizione essenziale priva di apparato bibliografico, 
                  il dialogo sull’anarchia Fra contadini, 
                  pagine ancora fresche e attuali, nonostante siano state scritte 
                  più di cento anni or sono. Per finire, una ristampa de 
                   L’Anarchia è uscita 
                  nel 2011 per i tipi di Barbès 
                  Editore di Firenze. Corredato da una 
                  traccia biografica e dalla introduzione di Tommaso Gurrieri, 
                  questo piccolo capolavoro condensa, nelle sue ottanta pagine, 
                  non solo l’essenza del pensiero e del progetto anarchico, 
                  ma anche la profonda umanità che caratterizzò 
                  questa grande figura di rivoluzionario.
 Un altro contributo alla bibliografia su Malatesta si deve a 
                  Davide Turcato che pubblica, nel 2010, 
                  per le edizioni Bruno Alpini di Imola, 
                   Leggere Malatesta, un breve e denso 
                  saggio nel quale l’autore accosta il pensiero di Errico 
                  Malatesta a quello dei modernissimi Merton, Nozick, Hayek, Popper 
                  e di altri capisaldi del pensiero liberal-libertario, realizzando 
                  un interessante e convincente esperimento di attualizzazione. 
                  Di tutt’altro segno, certamente molto singolare, Non 
                  ho bisogno di stare tranquillo, Milano, 
                  Elèuthera, 2012, una sorta di biografia romanzata 
                  con la quale Vittorio Giacopini ricostruisce 
                  gli ultimi anni di Malatesta, quelli dell’esilio domiciliare 
                  romano al quale lo aveva costretto, per rancorosa vendetta, 
                  Mussolini. Sono anni difficili per Malatesta, apparentemente 
                  segnati da un senso di sconfitta e di abbandono, che comunque 
                  lo vedono, nella libera ricostruzione di Giacopini, mai rassegnato, 
                  ma al contrario sempre più convinto di avere speso la 
                  propria vita come meglio non avrebbe potuto. Un omaggio tanto 
                  originale quanto sincero al grande Errico.
 
  CLASSICI 
                  ITALIANI Non è solo Malatesta ad essere riproposto all’attenzione 
                  di quanti sono interessati al pensiero libertario, come dimostrano 
                  i molti titoli dedicati ai “classici” dell’anarchismo 
                  italiano. Prendiamo l’avvio da Carlo Pisacane, 
                  da molti considerato fra i precursori del pensiero libertario. 
                  L’editore torinese Baldini Castoldi Dalai 
                  ha promosso, nel centocinquantenario dell’Unità 
                  d’Italia, una piccola collana, «150°», 
                  dedicata alle principali figure del Risorgimento. E naturalmente, 
                  fra i vari D’Azeglio, Mazzini e Garibaldi, troviamo anche 
                  la Vita e scritti scelti dell’“eroe 
                  di Sapri”. Accanto a una breve traccia biografica e bibliografica, 
                  sono riprodotti alcuni brani tratti dal suo maggior lascito 
                  intellettuale, quel Saggio sulla rivoluzione 
                  nel quale il patriota napoletano sostiene la indissolubilità 
                  del legame fra rivoluzione nazionale, quella che sta avanzando 
                  in molti paesi d’Europa, e rivoluzione sociale, indispensabile 
                  corollario per la vera riuscita della prima. Come si vede, più 
                  che un abbozzo del pensiero libertario, il testo rappresenta 
                  già l’aperta affermazione di principi quali la 
                  messa al bando della proprietà privata, la socializzazione 
                  dei mezzi di produzione, l’eguaglianza di tutti i cittadini 
                  e così via. 
                   
                    | 
 |   
                    | Barberis 
                        e Mantegazza, La spedizionedi Sapri. Pisacane assalito dai contadini
 furibondi. Da Jessie White Mario,
 Della vita di Giuseppe Mazzini
 |   Proseguendo in ordine cronologico, un nuovo Compendio 
                  del Capitale di Carlo Cafiero 
                  esce per i tipi della Biblioteca Franco Serantini (Pisa, 
                  2009). Gli editori non si limitano a riproporre questo 
                  classico ottocentesco (scritto nel carcere di Benevento dopo 
                  i fatti del Matese), definito da Marx come il miglior sunto 
                  della sua monumentale opera, ma ne rendono maggiormente fruibile 
                  la lettura con l’ottima introduzione di Franco Bertolucci, 
                  la biografia di Cafiero di Pier Carlo Masini, una antica prefazione 
                  di Luigi Fabbri, un preziosissimo indice per argomenti e un 
                  indice ragionato dei nomi.  
                   
                    | 
 |   
                    | Carlo 
                        Cafiero  |   Indubbiamente il valore ancora fortemente attuale di questo 
                  testo meritava un apparato così denso e completo.Dopo Cafiero, un altro esponente della Prima Internazionale, 
                  e un altro figlio del meridione, l’avvocato ed economista 
                  Francesco Saverio Merlino. Impegnate a promuovere 
                  le riedizioni dei classici dell’anarchismo, sono sempre 
                  le Edizioni BFS a riproporre Politica 
                  e magistratura in Italia (Pisa, 2011), 
                  che vide la luce nel 1925, quando Merlino da tempo militava 
                  nelle file del socialismo riformista. L’attualità 
                  di questo testo consiste nell’analisi sulla pretesa indipendenza 
                  della magistratura dal potere politico, una vexata quaestio 
                  che allora come oggi non trova altra risposta se non nell’impossibilità 
                  di una vera indipendenza della prima dal secondo. Egregiamente 
                  curato sul piano grafico e redazionale, come è consuetudine 
                  delle Edizioni BFS, il volume presenta l’ottima introduzione 
                  di Giampietro Berti, già autore di un’opera fondamentale 
                  sul pensatore napoletano. Un’altra riedizione di Merlino 
                  è quella curata dalla casa editrice Una Città, 
                  di Forlì, che ha pubblicato nel 2012 
                  L’Italia qual è, unico 
                  fra i testi merliniani ad aver visto la sola edizione francese 
                  nel 1890. Un ritratto fortemente critico della nazione, perché, 
                  come scrive nell’introduzione Massimo La Torre, «a 
                  trent’anni dall’impresa dei Mille, epopea popolare 
                  e libertaria, ciò che resta ancora è il fumo e 
                  il sangue delle fucilazioni di Bronte […] e la condizione 
                  delle masse popolari, di quelle meridionali soprattutto, è 
                  peggiorata, niente affatto migliorata». A Merlino è 
                  stato anche dedicato un importante convegno tenutosi a Imola 
                  nel 2000, organizzato dall’Associazione Arti e Pensieri, 
                  nel corso del quale numerosi studiosi, appartenenti a diverse 
                  scuole di pensiero, hanno analizzato e riproposto all’attenzione 
                  di un vasto pubblico l’attualità delle considerazioni 
                  merliniane sulla radicale revisione del marxismo in direzione 
                  libertaria e umanista. Gli atti, La fine del socialismo? 
                  Francesco Saverio Merlino e l’anarchia possibile, 
                  sono stati pubblicati nel 2010 dal Centro 
                  Studi Libertari “Camillo di Sciullo” di 
                  Chieti e la loro accuratissima pubblicazione 
                  è stata resa possibile dal tenace lavoro del curatore 
                  Gianpiero Landi.
 Le edizioni Samizdat di Pescara 
                  hanno pubblicato, di Giuseppe Sarno, L’anarchia 
                  dedotta criticamente dal sistema hegeliano. Si 
                  tratta di una edizione del 2004 di cui diamo 
                  conto solo oggi poiché “sfuggita” alle precedenti 
                  edizioni di questo repertorio bibliografico. Il testo, di carattere 
                  giuridico-filosofico, ebbe una certa notorietà anche 
                  per la polemica ingaggiata dall’autore con il filosofo 
                  napoletano Giovanni Bovio, e fu ristampato solo nel 1946 con 
                  l’introduzione di Benedetto Croce, che dell’autore 
                  fu amico e condiscepolo.
 Nel gennaio 2011 si è svolto a Pisa, organizzato dalla 
                  Biblioteca Serantini, un importante convegno di studi dedicato 
                  alla figura di Pietro Gori. Il numero 5 della collana «Quaderni 
                  della Rivista Storica dell’Anarchismo», ne raccoglie 
                  oggi gli atti curati da Maurizio Antonioli, Franco Bertolucci 
                  e Roberto Giulianelli: Nostra patria è il 
                  mondo intero. Pietro Gori nel movimento operaio e libertario 
                  italiano e internazionale, Pisa, Edizioni 
                  Bfs, 2012. Un contributo doveroso per riscoprire l’importanza 
                  di questa figura che a suo tempo fu fra le più significative 
                  dell’anarchismo italiano e per restituirne un’immagine 
                  sottratta a quell’alone di romanticismo che l’ha 
                  troppo caratterizzata negli anni. In concomitanza, le Edizioni 
                  BFS hanno voluto ricordare l’amatissimo poeta 
                  e agitatore anarchico con la pubblicazione della sua inedita 
                  tesi di laurea, La miseria e i delitti, 
                  nella quale Gori lasciava già intravedere quale sarebbe 
                  stato il percorso umano e sociale della sua vita, tanto intensa 
                  quanto breve. Quello della BFS è un omaggio sincero e 
                  affettuoso allo «studioso, avvocato, propagandista, militante 
                  politico, poeta e autore teatrale» e, a significativo 
                  corredo di questo testo impregnato della cultura positivista 
                  di fine Ottocento, figura un importante saggio a quattro mani, 
                  di Maurizio Antonioli e Franco Bertolucci, 
                   Pietro Gori. Una vita per l’ideale, 
                  che può essere considerato lo studio più completo 
                  e puntuale sulla vita e sull’opera del «cavaliere 
                  dell’ideale» dopo la sua biografia, opera sempre 
                  di Maurizio Antonioli, uscita alcuni anni fa per gli stessi 
                  tipi della BFS.
 Negli anni immediatamente successivi al trionfo della rivoluzione 
                  d’Ottobre, numerose furono, com’era lecito aspettarsi, 
                  le analisi sulla natura del nuovo Stato rivoluzionario e sulle 
                  dinamiche maturate nel corso del processo di quel profondo rivolgimento 
                  sociale. Sul versante dell’anarchismo resta famoso il 
                  saggio di Nikolaj Bucharin (uno dei maggiori 
                  teorici bolscevichi, fatto poi fucilare da Stalin come molti 
                  suoi “colleghi”) sui rapporti fra anarchismo e marxismo. 
                  Altrettanto famosa, e particolarmente lucida, la risposta di 
                  Luigi Fabbri al rivoluzionario russo. Nel 2009 
                  le Edizioni Zero in Condotta ripubblicano entrambi 
                  i saggi già usciti negli anni Settanta per le edizioni 
                  Altamurgia, sotto il titolo Anarchia e Comunismo 
                  Scientifico. Un teorico marxista ed un anarchico a confronto, 
                  un volume particolarmente importante per capire le differenze 
                  sostanziali fra il progetto rivoluzionario cosiddetto “scientifico”, 
                  condizionato da un ineliminabile e necessario autoritarismo, 
                  e quello libertario, improntato ai principi dell’autogestione 
                  e del rifiuto di qualsiasi delega, fosse anche quella al “mitico” 
                  partito.
 
                   
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                    | Camillo 
                        Berneri |   Luigi Fabbri è stato uno dei massimi teorici e divulgatori 
                  del pensiero anarchico del Novecento, e accanto a lui, come 
                  importanza e profondità, sta Camillo Berneri. Se in questi 
                  ultimi anni è stato ripubblicato solamente un suo breve 
                  saggio (Camillo Berneri, Il cristianesimo 
                  e il lavoro, Carrara, Cooperativa Tipolitografica, 
                  2011), introdotto da Susanna Berti Franceschi, sono 
                  però usciti due corposi volumi dedicati alla vita e all’opera 
                  di questo importante teorico e militante: AA. VV., 
                   Un libertario in Europa. Camillo Berneri: fra totalitarismi 
                  e democrazia, Reggio Emilia, Biblioteca 
                  Panizza e Archivio Famiglia Berneri - Chessa, 2010; Stefano 
                  D’Errico, Il socialismo libertario 
                  ed umanista oggi fra politica ed antipolitica. Attualità 
                  della revisione berneriana del pensiero anarchico, 
                  Milano, Mimesis, 2011. Il primo, curato da 
                  Giampietro Berti e Giorgio Sacchetti, raccoglie gli atti del 
                  convegno dedicato a Camillo Berneri tenutosi ad Arezzo nel maggio 
                  del 2007, al quale sono intervenuti molti fra i più accreditati 
                  studiosi al’anarchico lodigiano. Il volume riflette la 
                  complessità della vita e della riflessione intellettuale 
                  di Berneri, non mancando di registrare il forte dibattito, a 
                  tratti anche piuttosto polemico, che la rilevanza e l’attualità 
                  dell’argomento non hanno mancato di suscitare. Il volume 
                  di Stefano D’Errico riprende, in sostanza, la relazione 
                  tenuta dall’autore nell’ambito del convegno, e fin 
                  dal titolo, che fa esplicito riferimento alla revisione del 
                  pensiero anarchico, lascia intuire quale ne sia l’impostazione 
                  di fondo. Del resto Berneri, nell’enorme mole di scritti 
                  che ha lasciato, ha concesso ampio spazio a diverse interpretazioni, 
                  proprio perché portatore di un pensiero talmente libero 
                  e aperto alla realtà del presente che la sua lettura 
                  può trovare di volta in volta corrispondenza nell’approccio 
                  individuale di ciascun esegeta. Ciò nulla toglie all’importanza 
                  e alla lucidità del suo pensiero e della sua azione, 
                  che risultano anzi avvalorati dall’attualità di 
                  nuove riletture, reinterpretazioni, discussioni.L’Archivio Famiglia Berneri - Aurelio Chessa e la Biblioteca 
                  Panizzi di Reggio Emilia nel 2008 hanno organizzato un convegno 
                  di studi dedicato a Giovanna Caleffi Berneri, 
                  compagna di vita di Camillo Berneri e successivamente animatrice, 
                  con Cesare Zaccaria, della ripresa del movimento anarchico nel 
                  secondo dopoguerra. A lungo protagonista della vita culturale 
                  e militante del movimento, Giovanna Caleffi Berneri fu fondatrice, 
                  nel 1946 della rivista «Volontà», uno dei 
                  più importanti e longevi contributi intellettuali alla 
                  cultura libertaria di questi decenni. Gli organizzatori del 
                  convegno ne hanno pubblicato gli atti nel volume Giovanna 
                  Caleffi Berneri e la cultura eretica di sinistra nel secondo 
                  dopoguerra, Reggio Emilia, Biblioteca 
                  Panizzi e Archivio Famiglia Berneri - Aurelio Chessa, 2012, 
                  che contiene i saggi di una dozzina di studiosi e gli intensi 
                  ricordi personali di chi l’ha conosciuta.
 Per terminare questa sezione, citiamo alcune opere in ordine 
                  sparso. La piccola editrice Gwynplaine, di 
                  Camerano, ha pubblicato Emile Henry, 
                   Aforismi di un terrorista, 2010, 
                  una raccolta di appunti scritti nel carcere parigino dal giovanissimo 
                  attentatore in attesa di essere ghigliottinato. Il volumetto 
                  è corredato da un breve saggio, La qualità dell’ingovernabile, 
                  di Carmine Mangone. Restando nell’ambito di “anarchismo 
                  e delitto”, eccoci ad una nuova edizione di Cesare 
                  Lombroso, Gli anarchici, 
                  Milano, La Vita Felice, 2009. Si tratta della 
                  ennesima riproposta del testo con il quale l’esponente 
                  positivista pretendeva di inchiodare il pensiero anarchico e 
                  i suoi esponenti agli improbabili dettami della nascente scienza 
                  dell’antropologia criminale. Lodevole, comunque, l’intenzione 
                  dell’editore che, nel giudicare le tesi lombrosiana, le 
                  definisce «nemmeno lontanamente scientifiche», e 
                  desidera «rendere un omaggio anche a quegli anarchici 
                  che furono pre-giudicati, condannati sommariamente per i loro 
                  lineamenti, colpevolizzati da una società che rifiutò 
                  di capire la tragedia dei loro gesti». Certo, se ci fosse 
                  stato anche un ampio apparato critico alle tesi di Lombroso, 
                  non sarebbe stato male!
 Di tutt’altro tono la riedizione di due testi famosi ma 
                  quasi sconosciuti di Giovanni Rossi “Cardias”, 
                   Cecilia. Comunità anarchica sperimentale. 
                  Un episodio d’amore nella Colonia “Cecilia”, 
                  Aprilia, Ortica, 2011. Si tratta del resoconto 
                  di un tentativo sperimentale condotto nell’Ottocento, 
                  quando un gruppo di anarchici in prevalenza toscani e lombardi 
                  fondarono in Brasile una comunità agricola basata sui 
                  principi dell’anarchia, della libera sperimentazione e 
                  dell’autogestione, seguito da una sorta di racconto breve 
                  nel quale Giovanni Rossi, fondatore della Colonia Cecilia, descrive 
                  la vita quotidiana proprio come vi si svolgeva, soprattutto 
                  riguardo all’aspetto rivoluzionario del libero amore.
 
 CLASSICI STRANIERI Restando ai classici dell’Ottocento ritroviamo, sempre 
                  attuale, uno dei padri nobili del pensiero libertario, l’eclettico 
                  economista e filosofo Pierre Joseph Proudhon, 
                  di cui Elèuthera ha pubblicato nel 2009 
                  un’interessante antologia, curata da Giampietro Berti, 
                   Critica della proprietà e dello Stato, 
                  nella quale vengono evidenziati ed analizzati «gli elementi 
                  forti, di stimolo alla riflessione attuale: il federalismo, 
                  l’autogestione, la dialettica irrisolta degli opposti, 
                  il pluralismo metodologico e progettuale». Un’altra 
                  antologia dedicata al pensatore di Besançon, nell’ambito 
                  delle celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità 
                  italiana, è quella curata nel 2010 da 
                  Antonello Biagini e Andrea Carteny, 
                   Contro l’Unità d’Italia, 
                  della casa editrice torinese Miraggi. Si tratta 
                  di una raccolta di articoli in parte inediti in Italia, fortemente 
                  critici nei confronti di Mazzini e Garibaldi, accusati di «aver 
                  sacrificato i loro ideali e le loro lotte sull’altare 
                  dell’Unità, svendendosi a un re conservatore». 
                  Come si può capire, scritti provocatori ma anche capaci 
                  di indurre a una riflessione critica sulle vicende risorgimentali. 
                  Gli stessi temi, e in parte gli stessi saggi, ma questa volta 
                  in forma più completa, quelli che compaiono nella raccolta 
                  curata dal Circolo Anarchico Umbro “Sana Utopia”, 
                   Il federalismo e l’unità in Italia, 
                  Perugia, 2011, un lavoro di cui i curatori 
                  sono dichiarati e grati debitori alle ricerche storiche avviate, 
                  a suo tempo, da Luigi Di Lembo.In una collana dedicata ai testi sulla montagna, ricompare, 
                  a sorpresa, un grande classico dell’Ottocento, Élisée 
                  Reclus, Storia di una montagna, 
                  Verbania, Tararà Edizioni, 2008, curato 
                  da Claude Raffestin e tradotto dalla studiosa Marcella Schmidt 
                  di Friedberg. Reclus è stato l’inventore della 
                  moderna geografia, e la sua intuizione che lo studio della terra 
                  dovesse coincidere con quello di chi la abita, si è sposata 
                  felicemente alla sua profonda sensibilità sociale che 
                  ne ha fatto uno dei più importanti pensatori e attivisti 
                  anarchici dell’Ottocento. Di lui si era già occupato 
                  recentemente Federico Ferretti, che torna ora 
                  a dedicarsi al geografo con un nuovo lavoro, Anarchici 
                  ed editori. Reti scientifiche, editoria e lotte culturali attorno 
                  alla Nuova Geografia Universale di Élisée Reclus, 
                  Milano, Zero in Condotta, 2011. Sembrerebbe 
                  un testo destinato agli specialisti della materia, ma la scorrevolezza 
                  della scrittura e l’interesse dell’argomento offrono 
                  uno scorcio molto interessante sullo sviluppo della nuova geografia 
                  sociale e sugli interessi non solo economici ad essa legati. 
                  Un ottimo risultato questo di Ferretti, oggi fra i più 
                  apprezzabili studiosi della materia.
 
                   
                    | 
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                    | Frontespizio 
                        de L'Homme et la Terre |   Pietro Kropotkin è stato, forse, il 
                  pensatore più letto e celebrato nella storia del movimento 
                  anarchico. Di suo, come di alcuni altri “grandi”, 
                  si continuano a pubblicare molti dei testi più attuali; 
                  uno di questi è La morale anarchica 
                  (Prato, Piano B Edizioni, 2011) un piccolo 
                  gioiello nel quale il grande russo compendia l’essenza 
                  dell’anarchismo, quello spirito etico che ne sta alla 
                  base, altrettanto imprescindibile della concezione fortemente 
                  solidale che alberga in ogni libertario. Un altro classico, 
                  anche se meno conosciuto, è pubblicato nel 2008 
                  da Galzerano Editore di Casalvelino 
                  Scalo, arricchito dalla bibliografia delle opere kropotkiniane 
                  edite in italiano dal 1887 ad oggi. Si tratta de Lo 
                  Stato, «un saggio ancora oggi di notevole 
                  valore sulla statolatria e sul ruolo dello Stato, nel quale 
                  l’autore dimostra come l’istituzione dello Stato, 
                  che è la guerra, la miseria, l’oppressione, lo 
                  sfruttamento, la menzogna, non ha favorito alcuna emancipazione 
                  sociale». 
                   
                    | 
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                    | Pëtr 
                        A. Kropotkin |   Infine, la riproposta, dopo una sessantina d’anni, di 
                  un’opera fra le più amate e pubblicate in passato, 
                   La conquista del pane, Aprilia, 
                  Ortica, 2012, nella quale il pensatore russo descrive 
                  il processo rivoluzionario, la «conquista del pane» 
                  appunto, nel suo divenire, attraverso i passaggi che saranno 
                  resi necessari per la realizzazione della società anarchica. 
                  Dopo aver detto di Kropotkin, e quindi dell’anarchismo 
                  di matrice russa, bisogna dire che forse nemmeno lui avrebbe 
                  trovato la strada per sviluppare il proprio pensiero se prima 
                  non ci fosse stato Herzen, il grande intellettuale 
                  che può essere considerato il padre spirituale della 
                  generazione di rivoluzionari che contribuirono a mettere in 
                  crisi il regime autocratico per eccellenza, quello zarista. 
                  Il volume di cui parliamo (Alexander I. Herzen, 
                   Dall’altra sponda, Aprilia, 
                  Ortica, 2011) può essere considerato come il 
                  primo esempio di pensiero critico nel mondo slavo, e senz’altro 
                  un pilastro sul quale si appoggeranno rivoluzionari come Bakunin, 
                  scrittori come Turgenev e Dostoevskij, pensatori come Bielinskij, 
                  militanti come l’intera generazione dei nichilisti. In questi anni l’editoria non si è interessata 
                  solo ai cosiddetti “grandi” dell’anarchismo, 
                  ma ha dedicato la propria attenzione anche a pensatori solo 
                  apparentemente marginali rispetto al pensiero anarchico classico. 
                  Di Etienne De La Boetie, ad esempio, l’umanista 
                  cinquecentesco francese già noto in ambito libertario, 
                  sono uscite due riedizioni del Discorso sulla servitù 
                  volontaria (Milano, La vita felice, 2007 
                  e Chiarelettere, 2011), un gioiello di logica 
                  stringente nel quale si pone in discussione, forse per la prima 
                  volta e sicuramente in maniera molto efficace, la legittimità 
                  dello Stato a governare. Una legittimità lucidamente 
                  analizzata nel suo punto più debole, quel consenso passivo 
                  che gli uomini affidano al Potere. Un testo di cui andrebbe 
                  raccomandata la lettura in ogni ordine di scuola, perché 
                  aiuterebbe a capire quanto potrebbero essere di argilla le fondamenta 
                  di un leviatano che conculca la libertà.
 Dalla Francia del Cinquecento alla Russia di Tolstoj, 
                  il grande scrittore molto amato dagli anarchici. Il suo fu, 
                  indubbiamente, un anarchismo di un tipo particolare, sempre 
                  che la sua filosofia di vita possa essere definita anarchica, 
                  ma quel che è certo è che la profondità 
                  e l’afflato solidaristico del suo pensiero hanno spesso 
                  coinvolto e affascinato il mondo libertario. La pisana BFS 
                  ha pubblicato nel 2010 una piccola antologia, 
                   La schiavitù del nostro tempo, 
                  ottimamente curata e commentata da Bruna Bianchi. È non 
                  solo una critica durissima alle miserrime condizioni di vita 
                  delle masse popolari sul finire dell’Ottocento, ma anche 
                  una efficace analisi della disumanità di una struttura 
                  sociale che basa la propria potenza sulla disperazione e la 
                  costrizione dell’individuo.
 
                   
                    | 
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                    | Henry 
                        David Thoreau |   Un’altra figura ottocentesca eclettica e non classificabile 
                  è quella di Henry David Thoreau, elemento 
                  di spicco di un pensiero autenticamente liberal, antesignano 
                  dell’ecologismo sociale, alieno da ogni simpatia nei confronti 
                  dello Stato e sicuro punto di riferimento per quella corrente 
                  di pensiero così vivace negli Stati Uniti, che vede nella 
                  forma statale un male necessario al quale, però, vanno 
                  quanto più possibile tarpate le ali. Il suo famosissimo 
                   La disobbedienza civile (Milano, 
                  Corriere della Sera, 2010, con prefazione di Dario 
                  Antiseri e Aprilia, Ortica, 2011), è 
                  una sorta di vera e propria bibbia per i teorici della resistenza 
                  passiva e nonviolenta, e del resto l’altrettanto famoso 
                  incipit: «Il governo migliore è quello che governa 
                  meno», lascia capire quanta affidabilità concedesse 
                  l’uomo di Walden all’esercizio del potere. Un altro 
                  interessante lavoro sul filosofo americano è Il 
                  re barbaro. Un ritratto di Henry David Thoreau, 
                  Roma, Edizioni dell’Asino, 2012, di Robert 
                  Louis Stevenson, un breve saggio ancora inedito in 
                  italiano, nel quale l’autore del Dottor Jekyll e Mister 
                  Hyde mette l’accento sul «suo richiamo alla 
                  responsabilità individuale nella protesta contro ogni 
                  forma di ingiustizia sociale».Stirner (pseudonimo di Johan Kaspar Schmidt) 
                  viene considerato, alla stregua di alcuni autori appena citati, 
                  uno dei precursori dell’anarchismo, e indubbiamente la 
                  sua concezione dell’individuo, come Unico, entità 
                  a sé stante e autonoma dalle regole e dai vincoli sociali, 
                  ha influenzato parte del movimento anarchico, a partire dagli 
                  ambiti individualisti di inizio ‘900 fino ai suoi confusionari 
                  lettori, assertori di un “superomismo” che tanto 
                  poco ha fatto per lo sviluppo del nostro movimento e molto, 
                  al contrario, per farne una macchietta avulsa dalla realtà. 
                  Ma proprio perché il suo pensiero è più 
                  complesso di come avrebbero voluto ridurlo molti dei suoi “seguaci”, 
                  viene utile di Ferruccio Andolfi, filosofo 
                  della storia, il lavoro Il non uomo non è 
                  un mostro. Saggi su Stirner, Napoli, Guida, 
                  2009, nel quale l’autore si propone di «collocare 
                  Stirner all’interno del dibattito sull’umanesimo 
                  che si sviluppò negli anni ’40 dell’Ottocento».
 Restando in Germania parliamo ora di Gustav Landauer 
                  ed Erich Mühsam, due intellettuali e militanti 
                  anarchici accomunati tanto dalla originalità del pensiero 
                  quanto dalle tragiche vicende che ne hanno segnato l’esistenza. 
                  Ancora Ferruccio Andolfi ha curato la riedizione 
                  del saggio più famoso di Landauer, La rivoluzione, 
                  Reggio Emilia, Diabasis, 2009. È un 
                  testo problematico, critico nei confronti di un concetto salvifico 
                  e definitivo del processo rivoluzionario, sempre aperto a degenerazioni 
                  autoritarie se non accompagnato dalla ricostituzione di una 
                  comunità collettiva e spirituale. In appendice il discorso 
                  con cui Martin Buber, nel 1919, commemorò Landauer, ucciso 
                  a Monaco di Baviera dai corpi franchi incaricati di seppellire 
                  l’esperienza della Repubblica Consiliare Bavarese. Di 
                  Gianfranco Ragona, è l’unica biografia 
                  italiana dedicata a Gustav Landauer, anarchico ebreo 
                  tedesco, Roma, Editori Riuniti, 2010, 
                  un corposo volume particolarmente prezioso perché permette 
                  di conoscerne a fondo la dimensione critica e riflessiva, fra 
                  le più originali e meno conosciute in campo anarchico. 
                  Accanto alle note biografiche Ragona sviluppa un’analisi 
                  accurata e interessante dell’impostazione teorica di Landauer 
                  consentendo, in tal modo, di apprezzarne l’importanza. 
                  Importanza che emerge in pieno dalla lettura della raccolta 
                  di alcuni suoi testi curati sempre da Gianfranco Ragona: Gustav 
                  Landauer, La comunità anarchica. Scritti politici, 
                  Milano, Elèuthera, 2012. Asse portante 
                  del suo pensiero è il concetto che il processo rivoluzionario 
                  non può essere soltanto il portato di determinate condizioni 
                  economiche e rivolgimenti sociali, ma deve essere anche il superamento 
                  del concetto di individuo avulso dalla comunità; solo 
                  l’individuo comunitario potrà portare a termine, 
                  infatti, la realizzazione del sogno rivoluzionario, individuo 
                  comunitario «in quanto frutto delle sue relazioni con 
                  gli altri».
 
                   
                    | 
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                    | Gustav 
                        Landauer |   Anche per Erich Mühsam, l’anarchico arrestato dopo 
                  l’incendio del Reichstag e “suicidato” nel 
                  1934 in uno dei primi lager nazisti, si registra da tempo la 
                  rinascita di interesse. Attivo militante, acuto intellettuale 
                  ed estroverso poeta, figura di spicco, con Landauer e Ernst 
                  Töller nella Repubblica Bavarese dei Consigli, Mühsam 
                  è una delle personalità più originali ed 
                  eclettiche dell’intellettualità tedesca del primo 
                  dopoguerra, e la sua statura esce a tutto tondo dalla pubblicazione 
                  di alcuni suoi testi, raccolti e annotati da Leonhard Schäfer 
                  (Erich Mühsam, Anarchismo e comunismo, 
                  San Casciano Val Di Pesa, 2009) e da Andrea 
                  Chersi (Erich Mühsam, Ascona, 
                  Monte Verità e Schegge, Brescia, 
                  Chersilibri, 2008), in una bella e accurata edizione 
                  arricchita dalla riproduzione di alcuni dei disegni “fantastici” 
                  del poeta. Una biografia, a corredo di una ampia raccolta delle 
                  sue poesie, è quella scritta da Leonard Schäfer, 
                   Erich Mühsam. C’era una volta un rivoluzionario, 
                  Brescia, Chersilibri, 2010, molto interessante, 
                  anche per la ricchezza della documentazione iconografica, per 
                  apprezzare l’originalità di questa figura tanto 
                  importante quanto, relativamente, poco conosciuta. Basta leggere 
                  alcuni dei suoi versi, ad esempio il bellissimo Il canto 
                  dei soldati, per capire quanto dovessero temerlo i nemici, 
                  prima la socialdemocrazie e poi il nazismo.Friedrich Nietzsche non può certo essere 
                  considerato un pensatore anarchico anche se, soprattutto nei 
                  primi anni del ’900, non furono pochi gli individualisti 
                  che si lasciarono affascinare dalle sue affermazioni di potenza 
                  e volontà. Resta il fatto che furono ben altre le dottrine 
                  politiche che attinsero a piene mani a quella sua visione di 
                  una società nella quale dovessero essere i “superuomini”a 
                  emergere, a discapito degli altri. Appare curioso, quindi, questo 
                  libro di John Moore e Spencer Sunshine, 
                   Non sono un uomo, sono dinamite. Friedrich Nietzsche 
                  e la tradizione anarchica, Lecce, Bepress, 
                  2012, nel quale sono raccolti numerosi saggi, soprattutto 
                  di scuola anglosassone, che intendono correlare la filosofia 
                  nietzschiana al pensiero libertario. Particolarmente interessante, 
                  e anche un po’ spiazzante, il contributo di Leith Stracross 
                  dedicato a Emma Goldman e ai numerosi cicli di conferenze da 
                  lei consacrati all’anarchismo del filosofo tedesco.
 A ideale congiunzione fra queste prime sezioni dedicate ai classici 
                  e quella successiva, sul pensiero contemporaneo, altri due interessanti 
                  lavori. Il primo è della inglese Ruth Kinna, 
                   Che cos’è l’anarchia. La guida 
                  essenziale alla teoria della libertà, Roma, 
                  Castelvecchi, 2010, nel quale l’autrice, redattrice 
                  della rivista inglese Anarchist Studies, tenta una 
                  summa delle teorie anarchiche per come si sono sviluppate, 
                  e hanno agito, dalle origini a oggi. Così, accostato 
                  al pensiero dei Kropotkin, Reclus, Malatesta, Bakunin e altri, 
                  troviamo quello di Zerzan, Read, Bookchin, Goodman e affini. 
                  Davvero una felice sintesi della complessità storica 
                  e intellettuale dell’anarchismo che, grazie anche a un 
                  utile indice analitico, permette di approfondirne compiutamente 
                  la conoscenza. Segnalo poi la riedizione di un vecchio saggio, 
                  già uscito nel 1986, ora riproposto a cura di Manuela 
                  Ceretta con una nuova introduzione di Gianpietro Berti e un 
                  ricco apparato bibliografico. Si tratta di Mirella Larizza 
                  Lolli, Stato e potere nell’anarchismo, 
                  Milano, Franco Angeli, 2010. L’autrice 
                  parte dalla disanima del pensiero dei classici, da Godwin a 
                  Proudhon, da Kropotkin a Bakunin, per arrivare all’analisi 
                  di come l’anarchismo contemporaneo abbia affrontato i 
                  mutamenti imposti dal tardo capitalismo. Ecco quindi l’illustrazione 
                  delle riflessioni di Colin Ward, Louis Mercier Vega, Paul Goodman 
                  e Noam Chomsky. Significativo di questo denso lavoro l’avere 
                  contestualizzato la formazione del pensiero libertario attraverso 
                  i suoi classici, all’interno del contesto sociale nel 
                  quale questo pensiero si veniva formando. Descrivendo poi come 
                  la teoria si andasse configurando attraverso l’esperienza 
                  pratica all’interno della quale si muoveva il movimento, 
                  per formulare una nuova concezione teorica. Processo intellettuale 
                  che ha avuto i momenti più significativi proprio in quella 
                  sorta di “revisione” teorica che ha visto protagonisti 
                  i pensatori appena citati.
 
 PENSIERO CONTEMPORANEO Dal classico al moderno. Dalla riproposta di alcune delle pietre 
                  miliari dell’anarchismo, alla prospettiva di interpretare 
                  la modernità sperimentando nuove ipotesi libertarie, 
                  legate ai principi classici ma capaci di offrire nuove griglie 
                  interpretative per nuove forme di intervento. Di particolare interesse, al riguardo, un libro destinato a 
                  suscitare polemiche e consensi e, sicuramente, a non passare 
                  inosservato. Si tratta dell’ultimo, corposo lavoro di 
                  Giampietro Berti, Libertà 
                  senza Rivoluzione. L’anarchismo fra la sconfitta del comunismo 
                  e la vittoria del capitalismo, Manduria, 
                  Lacaita, 2012, che rappresenta la conclusione del lungo 
                  processo di riflessione sulla modernità e l’attualità 
                  dell’anarchismo che questo studioso ha condotto da anni. 
                  Già militante di grande esperienza e oggi professore 
                  ordinario di Storia contemporanea presso l’Università 
                  degli Studi di Padova, Berti affonda un acuminato coltello nel 
                  corpo del movimento anarchico, definito, senza ambiguità, 
                  «ormai in completa dissoluzione». Ma se tale è 
                  il movimento, ben altro destino può competere al pensiero 
                  libertario, vitale come sempre, soprattutto se in grado di liberarsi 
                  dalle gabbie dell’ideologia. Come si può capire, 
                  moltissima carne al fuoco della discussione in campo anarchico, 
                  una discussione che non si limiterà di certo agli ambienti 
                  accademici, ma che troverà il suo focus proprio all’interno 
                  di quel movimento che l’autore dà, ormai, per morente.
 Di tutt’altro segno l’agile pamphlet pubblicato 
                  sempre nel 2012 da Zero in Condotta 
                  dal titolo Il buco nero del capitalismo. Critica 
                  della politica e prospettive libertarie, nel quale 
                  gli autori, Antonio Cardella, Alberto 
                  La Via, Angelo Tirrito e Salvo 
                  Vaccaro «si sforzano di delineare una ipotesi 
                  di lettura non solo descrittiva, ma suggeriscono altresì 
                  la necessità di cambiare lenti di vista e progettualità». 
                  Per loro, indubbiamente, non si è ancora verificata una 
                  definitiva «vittoria del capitalismo», anzi, le 
                  contraddizioni insite nell’attuale sistema economico e 
                  finanziario, se lette con feconda apertura di pensiero, consentono 
                  tuttora l’efficace intervento «dell’Anarchia, 
                  non più confinata a una questione di tipo ideologico 
                  ma proposta come un’entusiastica assunzione di responsabilità 
                  individuale per costruire collettivamente una vita degna di 
                  essere vissuta».
 Salvo Vaccaro, senza dubbio uno dei più 
                  attenti interpreti dell’anarchismo contemporaneo, ha curato 
                  inoltre una preziosa antologia, Pensare altrimenti. 
                  Anarchismo e filosofia radicale del novecento, 
                  Milano, Elèuthera, 
                  2011, con scritti di Abensour, Call, Colson, 
                  Critchley, Jun, May e Newman. Questo volume «raccoglie 
                  un’idea forte: l’anarchismo può rilanciarsi 
                  come ipotesi adeguata per interpretare e cambiare il mondo d’oggi 
                  a patto di aprirsi ai contributi di alcuni studiosi non anarchici 
                  – Deleuze, Derrida, Foucault, Lévinas – le 
                  cui idee sono in grande sintonia con quelle anarchiche e, se 
                  declinate in senso libertario, in grado di affiancarle in un 
                  percorso di radicale liberazione dal dominio». Come si 
                  vede, una sfida azzardata ma anche ricca di nuove prospettive, 
                  intesa a ridare al pensiero antiautoritario una funzione e un 
                  ruolo adatti alle problematiche del ventunesimo secolo.
 Nel campo di una sintesi fra anarchismo e scienze sociali si 
                  inserisce il lavoro del noto psicanalista franco-argentino Eduardo 
                  Colombo, Lo spazio politico dell’anarchia, 
                  Milano, Elèuthera, 
                  2009. Si tratta di una riflessione ad ampio 
                  raggio sulla storica contrapposizione fra Stato, inteso come 
                  “espropriazione” dello spazio pubblico, e società 
                  anarchica, realizzazione compiuta della riappropriazione da 
                  parte del cittadino dello spazio pubblico usurpato dal potere. 
                  Quindi anarchia come «figura di uno spazio politico non 
                  gerarchico organizzato per e dall’autonomia del soggetto 
                  dell’azione» sociale stessa. Anche qui vediamo la 
                  felice attuazione di un obiettivo rivolto a ridare attualità 
                  ed efficacia al pensiero e all’azione degli anarchici.
 Noam Chomsky è senza dubbio una delle 
                  figure più interessanti e rappresentative della cosiddetta 
                  new left e spesso le sue riflessioni hanno intercettato 
                  il pensiero anarchico. Nessuna meraviglia, quindi, per questo 
                   Anarchismo. Contro i modelli culturali imposti, 
                  Milano, Tropea, 2008. 
                  In questa raccolta di saggi, usciti fra il 1970 e il 1996 l’autore, 
                  come scrive Goffredo Fofi, «si confronta con la miglior 
                  tradizione liberale, con quella del socialismo libertario, del 
                  marxismo nelle acquisizioni e constatazioni che giudica valide, 
                  dell’anarcosindacalismo e naturalmente con i movimenti 
                  di protesta nei quali la storia del ventesimo secolo lo ha fatto 
                  imbattere». Opera senza dubbio ricca di stimoli penetranti 
                  e puntuali nella analisi della società attuale e della 
                  potenzialità trasformatrice insita nelle teorie con le 
                  quali fino ad oggi si è manifestato il pensiero libertario. 
                  Da una prospettiva antropologica parte invece il lungo saggio 
                  di Stefano Boni, Culture e poteri. 
                  Un approccio antropologico, Milano, 
                  Elèuthera, 2011, nel 
                  quale l’autore, docente di Antropologia culturale e Antropologia 
                  politica, studia tanto lo sviluppo delle culture egualitarie 
                  che ancora attraversano la società attuale, quanto le 
                  manifestazioni attraverso le quali il potere si misura con la 
                  società, sviluppando, senza remore né debolezze, 
                  tutta la sua forza, ora semplicemente coercitiva, ora decisamente 
                  repressiva. La via d’uscita, secondo l’autore, sta 
                  nella convinzione che «è possibile sottrarsi a 
                  un dominio tanto invisibile quanto opprimente, istituito nell’ordine 
                  della normalità, e affermare creativamente saperi, prassi 
                  e valori sovversivi». David Graeber è 
                  una delle personalità più interessanti nel campo 
                  della nuova cultura libertaria, capace di operare una felice 
                  contaminazione fra pensiero libertario e ricerca antropologica. 
                  Nella Critica della democrazia occidentale. Nuovi 
                  movimenti, crisi dello Stato, democrazia diretta, 
                  Milano, Elèuthera, 
                  2012, riconsidera il concetto di democrazia, 
                  mostrando come l’uso strumentale che si fa di questo sistema 
                  partecipativo nell’occidente industrializzato, è 
                  assolutamente riduttivo: da un lato non tiene conto dei processi 
                  egualitari che sempre più stanno affiorando autonomamente 
                  nella società, e dall’altro rimarca il fallimento 
                  del «progetto di coniugare le procedure democratiche con 
                  i meccanismi coercitivi dello Stato». Insomma, il problema 
                  di sempre affrontato con intelligenza da nuove prospettive.
 
                   
                    | 
 |   
                    | David 
                        Graeber |   Che l’anarchismo possa e debba ancora avere un ruolo 
                  adeguato alla ricchezza del suo messaggio è la convinzione 
                  non solo nostra ma anche di uno storico collaboratore di «A». 
                  Infatti ne scrive con convincimento Andrea Papi, 
                   Per un nuovo umanesimo anarchico. Realismo di un 
                  progetto libertario, Milano, 
                  Zero in Condotta, 2009. Come 
                  si vede già dal sottotitolo, è di realismo che 
                  parla l’autore, in netta contrapposizione con quella stereotipata 
                  immagine legata all’utopia, con la quale si vorrebbe ridurre, 
                  anche contro la storia del XX secolo, l’esperienza storica 
                  dell’anarchismo. È un ottimismo, il suo, che non 
                  ci sorprende, conoscendo l’impegno e la volontà 
                  con i quali ha contribuito, in questi anni, a dare concretezza 
                  all’azione e al pensiero degli anarchici, un ottimismo 
                  che in queste pagine trova nuove forme espressive e propositive. 
                  Senza dubbio eterodossi, ma altrettanto indubitabilmente di 
                  poco spessore e, a mio giudizio, di ben poca utilità, 
                  due volumi usciti recentemente. Il primo, di Roberto 
                  Bertoldo, poeta e filosofo, reca un titolo decisamente 
                  provocatorio: Anarchismo senza anarchia. Idee per 
                  una democrazia anarchica, Milano, Mimesis, 
                  2009. Si tratta di un testo che, «partendo da 
                  una rivalutazione assiologica del mondo (detta ‘nullismo’) 
                  e dalla sua comprensione (mediante la ‘fenomenognomica’), 
                  rifonda l’anarchismo su principi umanitari (la vita) e 
                  logici (l’onestà)». Il tutto spiegato in 
                  capitoli quali «In quale misura la proprietà privata 
                  è un valore», «L’anarchismo e la mafia» 
                  e «Amoralità dell’etica anarchica». 
                  Come si vede un testo che, per chi avesse la pazienza di leggerlo, 
                  potrebbe offrire non pochi momenti di puro nervosismo. Di altro 
                  tenore, ma sostanzialmente della stessa utilità, di Massimo 
                  Fabio Nicosia, Il dittatore libertario. 
                  Anarchia analitica tra comunismo di mercato, rendita di esistenza 
                  e sovranità share, Torino, Giappichelli, 
                  2011. L’autore, filosofo del diritto, è 
                  un convinto mercatista e assertore dell’anarco-capitalismo, 
                  e numerosi sono i suoi rimandi ai vari Rothbard, Nozick e compagnia. 
                  Personalmente, per decidere di non approfondirne la lettura, 
                  mi è bastato il seguente esergo: «Ai sessantottini 
                  di domani perché abbiano idee migliori di quelle di ieri», 
                  anche se mi rendo conto che questa mia affermazione è 
                  quanto di più soggettivo possa esserci.
 Sostanzialmente sullo stesso argomento, anche se a partire da 
                  spunti diversi, due testi molto critici nei confronti del lavoro, 
                  inteso come valore fondamentale della società. Si tratta 
                  di Lavoro? No grazie! di Alberto 
                  Tognola per le Edizioni la Baronata, Lugano, 
                  2011 e di Contro il lavoro, 
                  Milano, Elèuthera, 2011 di Philippe 
                  Godard. Tognola affronta l’argomento con serietà, 
                  ma anche con la scanzonata ironia destinata a chi dell’etica 
                  del lavoro ha fatto una religione. Non mancando di illustrare 
                  le molte alternative al lavoro non liberato, sia quelle storiche 
                  basate sulla pratica dell’autogestione, sia quelle possibili, 
                  una volta che ci si sia affrancati dall’esiziale concetto 
                  di «crescita del Pil». Insomma, per l’autore, 
                  come recita la copertina «La vita è altrove». 
                  Anche per Godard la religione del lavoro è un concetto 
                  da rifiutare integralmente, e infatti «l’esaltazione 
                  del lavoro, dimenticando i rapporti gerarchici che stanno al 
                  centro del mondo del lavoro, presenta l’enorme vantaggio 
                  ideologico di riunire sotto lo stesso vessillo sfruttatori e 
                  sfruttati, quanto meno quegli sfruttati che hanno un lavoro». 
                  Che fare, dunque? Forse una risposta l’aveva già 
                  data un classico, un anarchico socialista inglese ottocentesco 
                  che tanto ha contribuito, non solo col pensiero ma anche coi 
                  fatti, a rendere concreta l’ipotesi del lavoro liberato. 
                  Si tratta di William Morris, filosofo, artista 
                  e romanziere (Lavoro utile, fatica inutile, 
                  Roma, Donzelli, 2009) che trasferì dalle 
                  pagine del suo romanzo Notizie da nessun luogo, l’utopia 
                  realizzata del «lavoro come piacere», un lavoro 
                  non finalizzato al profitto ma «a gratificare il nostro 
                  naturale istinto a ricercare la bellezza e la piacevolezza». 
                  E chi conosce la produzione del movimento da lui creato, «Arts 
                  and Crafts», sa che Morris faceva sul serio.
 L’Archivio Germinal di Carrara ha organizzato recentemente 
                  un ciclo di otto riuscite conferenze-dibattito su numerosi temi 
                  concernenti le molte forme del “controllo sociale”. 
                  Varie le tematiche e le prospettive da cui sono partiti i relatori; 
                  tutte interessanti ed utili per approfondire la ricerca degli 
                  strumenti con i quali affrontare queste nuove emergenze. Opportunamente 
                  gli organizzatori del ciclo di incontri hanno ritenuto utile 
                  “socializzare” la loro esperienza pubblicando i 
                  testi delle relazioni nel volume SottoControllo. 
                  Scritti sul controllo sociale, Carrara, 
                  Biblioteca Archivio Germinal, 2012. Di tutt’altro 
                  tono il volume Comunisti Anarchici una questione 
                  di classe. Teoria e strategia della FdCA, Giovane 
                  Talpa, 2009, in cui Saverio Craparo 
                  ha condensato l’esperienza teorica e militante dell’ormai 
                  storica Federazione dei Comunisti Anarchici. L’autore 
                  è un esponente di tale organizzazione da lunga data e 
                  la sua consolidata esperienza gli ha permesso di affrontare 
                  questo tema, apparentemente semplice, con rigore e capacità 
                  comunicativa, aprendo così una finestra su una interpretazione 
                  dell’anarchismo che, anche se per molti controversa, appartiene 
                  al nostro patrimonio teorico ed ideale. Nello stesso contesto 
                  ideologico si colloca il testo curato da Nestor McNab, 
                   Manifesto del Comunismo Libertario. Georges Fontenis 
                  e il movimento anarchico francese, Fano, 
                  Centro Documentazione Franco Salomone, 2011. Accanto 
                  a una breve biografia di Fontenis, forse il padre fondatore 
                  del comunismo libertario prima in Francia poi in Italia, compare 
                  anche, integralmente, il documento programmatico di questa forma 
                  organizzativa, quel Manifesto che già al suo apparire 
                  creò non poco scompiglio nella Federazione Francese e 
                  che successivamente avrebbe coagulato attorno alle proprie formulazioni 
                  teoriche e pratiche una parte consistente dell’anarchismo 
                  organizzato. Arricchito da numerose appendici, è sicuramente 
                  utile per comprendere appieno la variegata galassia del movimento 
                  libertario internazionale.
 
                   
                    | 
 |   
                    | Georges 
                        Fontenis  |   Interrogativi forti, su come dare maggiore concretezza all’impegno 
                  degli anarchici, se li pongono Odoteo/Crisso 
                  nell’opuscolo Ma chi ha detto che non c’è, 
                  Portland, L’oro del tempo, 2011. Stretti 
                  fra le proprie tensioni e le imposture messe in atto dallo Stato, 
                  gli autori esprimono il timore che «a furia di mimetizzarsi 
                  fra gli altri, si finisca con il rinunciare a se stessi» 
                  per cui ritengono che occorra «saper riprendere le distanze 
                  […] osare andare contro il proprio tempo». Interessante, 
                  ma anche controverso nelle analisi e nelle conclusioni, il lavoro 
                  di Michele Fabiani, Sperimentiamo 
                  l’Anarchia, Perugia, Era Nuova, 
                  2009, pubblicazione nella quale «sono raccolti 
                  alcuni dei più importanti articoli scritti prima, durante 
                  e dopo la carcerazione» dell’autore. Per finire, 
                  per una volta parlerò di un breve lavoro di Alfredo 
                  M. Bonanno, La tensione anarchica, 
                  Trieste, Anarchismo, 2007, che ha come incipit 
                  questa apodittica affermazione: «L’anarchismo non 
                  è solo un movimento politico, l’anarchismo è 
                  quella tensione della vita, quella qualità, quella forza 
                  che riusciamo a fare uscire da noi stessi cambiando la realtà 
                  delle cose». L’interesse principale sta nel fatto 
                  che si tratta di una sorta di summa teorica sui gruppi 
                  d’affinità e sulle organizzazioni informali, le 
                  cui funzioni e finalità vengono puntualmente spiegate. 
                  Anche se mi trova poco d’accordo, va detto che l’opuscolo 
                  riveste una sua utilità perché permette di fare 
                  chiarezza su tante cose oggi, indubbiamente, d’attualità. 
                  Per una visione più completa della figura di Bonanno 
                  e della sua infinita produzione editoriale, si rimanda a Non 
                  ancora, il catalogo delle Edizioni Anarchismo 
                  aggiornato al 2012. 
  COME FARCI CAPIRE E COSA FAR CAPIRE Per Elèuthera, la casa editrice più 
                  attenta alle tematiche del “nuovo” anarchismo, un 
                  altro lavoro inteso a fornire nuovi stimoli per approfondire 
                  compiutamente le tante potenzialità del pensiero libertario. 
                  Parliamo di Francesco Codello, Né 
                  obbedire né comandare. Lessico libertario, 
                  Milano, 2009. L’autore, storico collaboratore 
                  di «A Rivista» e da sempre impegnato nel campo dell’educazione, 
                  presenta un lemmario apparentemente eterogeneo ma, nei fatti, 
                  accomunato da un’interpretazione coerentemente antiautoritaria. 
                  Troviamo così in parole “distanti” come Autogestione, 
                  Depressione, Obbedienza, Rivolta, Mutualismo, ecc. uno stesso 
                  filo logico-descrittivo, utile per decifrare in senso libertario 
                  l’attualità del presente. In un altro volume, Gli 
                  anarchismi. Una breve introduzione, Lugano, 
                  La Baronata, 2009, lo stesso Codello, 
                  mostra quanto il pensiero anarchico si sia espresso, storicamente, 
                  nelle sue diverse forme. Infatti «questo libro è 
                  una introduzione alle idee classiche e ai diversi tipi di anarchismo 
                  così come si sono presentati nel corso della storia e 
                  come ci appaiono oggi». Suddiviso in tre parti, Gli 
                  anarchismi, Uno sguardo anarchico e Problemi 
                  aperti, il volume rappresenta uno strumento utile per comprendere, 
                  e apprezzare, la pluralità del pensiero libertario. Un’altra raccolta di voci è quella pubblicata dalla 
                  BFS ad opera di Pier Carlo Masini, 
                   Le parole del Novecento, Pisa, 
                  2010. Giorgio Manzini ricostruisce nell’introduzione 
                  la genesi di questa singolare summa. Sono gli articoli tematici 
                  che Masini scriveva negli anni Settanta per «Il Giornale 
                  Nuovo» di Montanelli, articoli nei quali l’autore 
                  illustrava da un punto di vista singolare e scevro da preconcetti 
                  alcune delle parole chiave del Novecento. Tanto per capire: 
                  Egemonia, Anarchia, Massone, Stati Uniti d’Europa, Socialismo 
                  Liberale… Per chi abbia dimestichezza con i lavori di 
                  Masini, è facile immaginare la piacevolezza di una lettura 
                  tanto ricca e stimolante quanto originale. Dopo le antologie, 
                  una sorta di dizionario: Giuseppe Vottari, 
                   Anarchismo, Milano, Alpha 
                  Test, 2007, dove sono riportate un centinaio di voci, 
                  molte anarchiche, molte che con l’anarchismo hanno solo 
                  una certa attinenza. La silloge potrebbe sembrare una forzatura 
                  e invece si rivela utile perché rende conto dei legami, 
                  a volte palesi a volte sotterranei, fra anarchismo e società. 
                  Troviamo così, accanto agli immancabili Reclus, Malatesta, 
                  Umanità Nova e Sacco e Vanzetti, pensatori e artisti 
                  quali Castoriadis, Jean Vigo, Lewis Mumford. Un altro modo per 
                  spiegare con parole semplici ma con profondità la complessità 
                  della teoria e della metodologia anarchica è quello scelto 
                  da un compagno di vecchia data, Pippo Gurrieri, 
                  che ne L’anarchia spiegata a mia figlia, 
                  Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 
                  2010, affronta i fondamenti dell’anarchismo. 
                  Infatti, «nel corso di una ipotetica giornata, incalzato 
                  dalle domande della figlia, un padre affronta con sincerità 
                  intellettuale e innegabile passione politica i temi che da sempre 
                  animano il dibattito e l’azione degli anarchici». 
                  Un pamphlet utile per la propaganda e particolarmente 
                  indovinato come concezione.
 Non si può dire che non sia d’attualità 
                  l’argomento affrontato, con dovizia di materiale, dalle 
                  edizioni Gratis, che nel volume In 
                  Ordine sparso. Genealogia dell’organizzazione informale, 
                  Firenze, 2012, raccolgono una ricca antologia 
                  di testi, in gran parte risalenti al periodo prebellico, di 
                  ambito individualista e antiorganizzatore. Se l’obiettivo 
                  era dimostrare che l’informalità organizzativa 
                  appartiene a pieno titolo al pensiero e alla pratica anarchica 
                  (mi pare che questo nessuno l’abbia mai messo in dubbio), 
                  esso è stato pienamente raggiunto; se era invece quello 
                  di attribuire maggiore coerenza all’ipotesi individualista 
                  rispetto a quella associativa e federalista, penso che una rilettura 
                  di Malatesta non possa che giovare tanto agli editori quanto 
                  agli eventuali lettori.
 Dovrebbe essere l’inizio di una nuova collana il volume 
                  a cura di Mimmo Pucciarelli, Intervista 
                  agli anarchici, Nico Berti, Lione e Casalvelino, 
                  Atelier Creation Libertarie e Galzerano, 2009, 
                  anche se fino ad ora è l’unico pubblicato.
 Nico Berti, storico e professore ordinario all’Università 
                  di Padova, è uno dei compagni di più lungo corso, 
                  infatti la sua adesione all’anarchismo risale alla metà 
                  degli anni Sessanta. Studioso di valore e autore di importanti 
                  volumi sulla storia del movimento, da un punto di vista teorico 
                  possiamo ormai considerarlo più vicino al liberalismo 
                  sociale che non all’anarchismo tradizionale e infatti 
                  in queste pagine apprezziamo la ricchezza di un pensiero eterodosso 
                  e aperto ad “altri” stimoli, pieno di interrogativi 
                  che chiedono risposte diverse da quelle della militanza in senso 
                  stretto. Come una sorta di sussidiario, chiaro e di agevole 
                  lettura, si presenta l’opuscoletto prodotto dal Gruppo 
                  Malatesta di Roma, A come Anarchia, 
                  Roma, Gr. Malatesta, 2008, subito ripreso dalle 
                  edizioni bolognesi Atemporali l’anno 
                  successivo. Nato dalle conversazioni in quattro serate tenutesi 
                  nel circolo romano, il testo affronta tutte le tematiche che 
                  riguardano il pensiero e la proposta anarchica, ripercorrendo 
                  alcune fra le tappe più significative della storia dell’anarchismo. 
                  Interessanti non solo le brevi note che rispondono ai più 
                  frequenti luoghi comuni che ci riguardano, ma anche le risposte 
                  alle classiche domande: ma insomma, gli anarchici cosa vogliono 
                  e come pensano di realizzarlo? Nonostante le dimensioni ridotte 
                  dell’opuscolo, resta comunque un ottimo strumento per 
                  chi si avvicina pieno di curiosità al pensiero libertario.
 
 LE AMERICHE Come sempre, varcando i “confini anarchici” del 
                  nostro paese, si finisce in America, in Russia, in Spagna, in 
                  Francia, là dove la presenza rivoluzionaria dell’anarchismo 
                  è stata più significativa. Partiamo dal nuovo 
                  continente, e per l’esattezza dall’emisfero meridionale. 
                  L’Argentina, secondo la felice definizione del direttore 
                  d’orchestra Barenboim, è l’unico paese italiano 
                  dove si parla spagnolo: a significare la massiccia presenza 
                  di immigrati italiani. Per averne un saggio, è sufficiente 
                  sfogliare le pagine del libro di Oscar Greco, 
                   Da emigranti a ribelli. Storie di anarchici calabresi 
                  in Argentina, Cosenza, Klipper, 2009, 
                  dove si narra la storia della numerosa colonia di proletari 
                  calabresi che, portando oltre oceano la voglia di riscatto e 
                  il desiderio di una vita migliore, contribuirono significativamente 
                  a dare forza e nerbo a quel proletariato argentino che li aveva 
                  accolti come fratelli. È sorprendente vedere come questi 
                  semplici operai, braccianti, artigiani e contadini siano riusciti 
                  a fare propri i valori di solidarietà ed emancipazione 
                  con i quali si confrontavano per la prima volta, e a trasformare 
                  in felice contaminazione l’inevitabile “urto” 
                  che li attendeva nel momento in cui si sono dovuti misurare 
                  con la complessa vita sociale del paese che li accoglieva. Va 
                  dato merito a Greco di aver ricostruito con partecipazione la 
                  trasformazione ideale che accomunò tante esistenze, altrimenti 
                  destinate a non lasciare alcun segno nella storia. 
                   
                    | 
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                    | Foto 
                        segnaleticadi Di Giovanni, 8 giugno 1925
 |   È inevitabile, quando si parla dell’anarchismo 
                  argentino degli anni Trenta, imbattersi nella figura di Severino 
                  Di Giovanni. Agenzia X di Milano 
                  ripubblica nel 2011 l’ormai classica 
                  biografia di Osvaldo Bayer, Severino 
                  Di Giovanni. C’era una volta in America del Sud. 
                  Uscito una prima volta nella Collana Vallera nel 1973, il libro 
                  narra le burrascose, discusse e tragiche vicende del rivoluzionario 
                  abruzzese, che in Argentina condusse una dura lotta contro lo 
                  Stato ma anche, a tratti, contro altre componenti del movimento 
                  anarchico. Leggerne le imprese, dalle prime rapine all’attività 
                  editoriale, dalla clandestinità alla morte affrontata 
                  con grande coraggio, è come affrontare uno spaccato romanzesco 
                  e avventuroso della vita tumultuosa di quel paese, e indubbiamente 
                  l’efficace scrittura dell’autore ne rende ancora 
                  più interessante la lettura. Restando all’Argentina, 
                  sempre di Osvaldo Bayer, Patagonia 
                  rebelde. Una storia di gauchos, bandoleros, anarchici, latifondisti 
                  e militari nell’Argentina degli anni Venti, 
                  Milano, Elèuthera, 2009. Anche questo 
                  è un libro avvincente, che narra una storia, come tante 
                  altre in America, di disperata ribellione e di feroce repressione: 
                  la storia di uno sciopero “all’ultimo sangue” 
                  che vide contrapposti, nella Patagonia degli anni Venti, un’armata 
                  “stracciona” di gauchos, contadini e sindacalisti, 
                  e i grandi e voraci latifondisti, che trovarono nel macellaio 
                  dell’esercito Héctor Benigno Varela il fedele e 
                  convinto esecutore dei loro ordini criminali. Ancora una volta 
                  una storia tragica, che vede soccombere nelle infernali prigioni 
                  della Terra del Fuoco, quanti, fra i ribelli, erano riusciti 
                  a sfuggire alla morte. Ma che vede anche un “angelo vendicatore” 
                  che saprà rendere giustizia ai fratelli massacrati. Lasciamo 
                  l’Argentina con un opuscolo che mostra come in questo 
                  tormentato paese il proletariato e gli anarchici abbiano sempre 
                  dovuto confrontarsi duramente con la criminalità del 
                  potere: Resistencia Libertaria, L’opposizione 
                  armata anarchica all’ultima dittatura argentina, 
                  Berlino, Salamandrina Edizioni Libertarie, 2005. 
                  Si tratta di un’intervista con Fernando Lopez, uno degli 
                  ultimi esponenti di questa formazione clandestina, nella quale 
                  si ripercorrono le tragedie che colpirono migliaia di oppositori 
                  del regime, uccisi nelle strade o fatti scomparire per sempre 
                  nel buio delle caserme dai macellai in divisa.
 Di tutt’altro tenore, ma non meno interessante, il recentissimo 
                  volume di Augusto “Chacho” Andrés, 
                   Truffare una banca… che piacere!, 
                  Milano, Zero in Condotta, 2012. Questa volta 
                  siamo in Uruguay, altro paese latinoamericano dove la presenza 
                  anarchica è stata massiccia e importante. E dove, come 
                  nella vicina Argentina, la pesante mano del potere ha fatto 
                  ciclicamente sentire la sua torbida presenza. E anche qui incontriamo 
                  personaggi particolari, dalle vite avventurose e piene di non 
                  voluti imprevisti; e infatti «questo libro racconta di 
                  fughe da carceri e caserme, di assalti a banche, sequestri, 
                  truffe, falsificazioni, storie di clandestinità. Memorie 
                  di personaggi cari che non sono ‘grandi uomini’, 
                  bensì persone semplici, di sentimento e di passione». 
                  E molti di questi accomunati da un destino simile, o la morte 
                  combattendo contro il potere o la dissoluzione nelle tante carceri 
                  dove i desaparecidos hanno transitato per l’ultimo 
                  viaggio.
 
                   
                    | 
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                    | Argentina, 
                        'Semana Tragica', 1919 |   Il libro di Ricardo Mella, 1° 
                  Maggio. I martiri di Chicago, Milano, 
                  Zero in Condotta, 2009 ci porta nell’emisfero 
                  nord. L’autore, anarchico spagnolo fra i fondatori della 
                  Associazione Internazionale dei Lavoratori nella seconda metà 
                  dell’800, ha vissuto in contemporanea gli avvenimenti 
                  di cui narra, la bomba alla manifestazione di Haymarket, il 
                  processo e l’impiccagione degli anarchici di Chicago, 
                  la nascita del 1° Maggio come giornata internazionale dedicata 
                  al lavoro. Le vicende sono note e il pregio del libro, oltre 
                  alla narrazione intensamente partecipata, è anche quello 
                  di contribuire a denunciare la progressiva involuzione che ha 
                  trasformato una giornata di lotta in una inoffensiva e forse 
                  inutile giornata di festa. Una vera curiosità è 
                  la storia narrata da Robert Tanzilo, Milwaukee 
                  1917. Uno scontro tra italoamericani, Foligno, 
                  Editoriale Umbra, 2006, una vicenda sconosciuta che 
                  vide gli anarchici del Circolo Sociale di quella città 
                  scontrarsi con la polizia schierata a difesa del comizio del 
                  pastore protestante August Giuliani. Due furono gli anarchici 
                  uccisi e altri undici arrestati e condannati a 25 anni di prigione. 
                  Per essere poi “liberati” e quindi deportati, come 
                  tanti altri sovversivi, in Italia. L’epilogo pochi mesi 
                  dopo, quando una bomba, mai rivendicata ma della quale possiamo 
                  immaginare gli autori, esplose nella stazione di polizia uccidendo 
                  9 agenti.Ancora oggi, a distanza di tanti anni, continua a mantenersi 
                  vivo l’interesse per Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. 
                  La letteratura su di loro è ormai vastissima, eppure 
                  c’è sempre qualche contributo da aggiungere. Uno 
                  di questi, particolarmente prezioso, è quello che raccoglie 
                  lettere e scritti in gran parte inediti indirizzati da Sacco 
                  e Vanzetti a corrispondenti in gran parte americani. Il volume 
                  Nicola Sacco-Bartolomeo Vanzetti, Altri 
                  dovrebbero aver paura. Lettere e testimonianze inedite, 
                  Roma, Nova Delphi, 2012 raccoglie infatti la 
                  copiosa corrispondenza che i due intrattennero con numerose 
                  personalità della cultura e della società nordamericana 
                  durante la loro lunga detenzione. Si tratta di materiale in 
                  gran parte inedito che il curatore Andrea Comincini 
                  ha tradotto per la prima volta dall’inglese. È 
                  interessante sapere, come spiegato nell’introduzione, 
                  che per comunicare con i corrispondenti americani i due erano 
                  obbligati a scrivere le missive in inglese, probabilmente perché 
                  le autorità temevano messaggi cifrati se scritti in italiano. 
                  Questo spiega anche come mai si tratti, in larghissima parte, 
                  di lettere di Vanzetti, il quale, a differenza del compagno 
                  di sventura, padroneggiava in modo pressoché esemplare 
                  la lingua del paese che prima lo aveva ospitato e poi lo avrebbe 
                  mandato a morte. Arricchiscono il volume la presentazione di 
                  Valerio Evangelisti e una breve postfazione 
                  di Andrea Camilleri.
 Sempre interessante, anche se per altri aspetti, la testimonianza 
                  di una nipote di Sacco, Maria Fernanda Sacco, 
                   I miei ricordi di una tragedia familiare, 
                  Apricena, Malatesta editrice, 2010. Centrata 
                  sulla questione razziale e sulla richiesta dell’abolizione 
                  della pena di morte, la ricostruzione dell’autrice è 
                  soprattutto attenta più a denunciare le palesi illegalità 
                  con le quali furono condotti tutti i processi che non a mettere 
                  in risalto la volontà dello Stato del Massachusetts di 
                  colpire nei due italiani il “pericolo” sovversivo 
                  che rappresentavano. Mettendo in secondo piano, in un certo 
                  senso, la loro identità anarchica. Anche Roberto 
                  Iurza e Letizia Barreca nel loro Sacco 
                  e Vanzetti. Un processo razziale, Milano, 
                  Over Mind, 2008 (edizione con ricca iconografia), pur 
                  non tacendo le motivazioni politiche che hanno informato la 
                  protervia della giustizia americana, vedono nella origine italiana 
                  di Sacco e Vanzetti il motivo principale della loro condanna 
                  ed esecuzione, facendo anche un “ardito” parallelo 
                  con la recente vicenda di Silvia Baraldini. Non si dimentichi 
                  che gli italiani erano, in quegli anni, fra i paria delle etnie 
                  che componevano il mosaico nordamericano. Quella di Carlo 
                  Capuano, L’ultima sera di Bartolomeo 
                  Vanzetti, Cosenza, Città del Sole, 
                  2011, è una sorta di orazione laica, preceduta 
                  da una succinta ricostruzione dei fatti. L’autore, con 
                  intensa e profonda empatia per Bart, immagina che il condannato 
                  a morte ripercorra, in una sorta di sogno, la sua vita passata, 
                  i sogni di una vita migliore, l’impegno sociale, l’amicizia 
                  con Nicola. Non su Vanzetti, ma di Vanzetti, 
                  altri tre testi: Non piangete la mia morte, 
                  Firenze, Barbes, 2009 e Roma, Nova 
                  Delphi, 2010 e Per l’abolizione di 
                  ogni autorità. Lettere su sindacati e sindacalismo, 
                  Villafalletto, Il Picconiere, 2007. I primi 
                  due volumi (riedizioni degli scritti già pubblicati da 
                  Galzerano) raccolgono la breve autobiografia dal titolo Una 
                  vita proletaria, numerose lettere e le bellissime, commoventi 
                  ultime parole pronunciate prima del verdetto finale; nel secondo 
                  volume (riedizione dei testi usciti nel 1957 per l’Antistato 
                  di Cesena) sono raccolte sei lunghe lettere, tutte su tematiche 
                  sindacali. Due riproposte utili per tenere in vita, di Sacco 
                  e Vanzetti, non solo il ricordo delle sofferenze patite, ma 
                  anche la luminosità del pensiero. Infine, a testimonianza 
                  di un interesse che non viene mai a mancare, un’altra 
                  raccolta di lettere dal carcere, questa volta di entrambi i 
                  giustiziati, a cura di Lorenzo Tibaldo, Nicola 
                  Sacco e Bartolomeo Vanzetti, Lettere e scritti dal carcere, 
                  Torino, Claudiana, 2012. Un bel volume di più 
                  di 300 pagine, con lettere e scritti apparsi anche su periodici 
                  americani dopo la loro morte, in buona parte inediti in italiano. 
                  Senz’altro un utile strumento per comprendere più 
                  compiutamente lo spessore umano e politico di questi due anarchici, 
                  divenuti famosi per la grandiosità della tragedia vissuta, 
                  ma che non finiscono di sorprendere per le qualità civili 
                  e morali che seppero mostrare di fronte al potere che li voleva 
                  morti a tutti i costi.
 
 
                  LA SPAGNA Passando alla Spagna, va segnalata la riedizione di un classico 
                  della saggistica sulla guerra civile e sull’anarchismo 
                  spagnolo. Parliamo della riproposta della fondamentale biografia 
                  di Abel Paz (pseudonimo di Diego Camacho), 
                   Durruti e la rivoluziona spagnola, 
                  Pisa - Milano - Ragusa, Biblioteca Franco Serantini, 
                  Zero in Condotta, La Fiaccola, 2010. Uscita in Italia 
                  in due volumi nel 1999-2000, è senz’altro la più 
                  completa biografia del leggendario rivoluzionario Buenaventura 
                  Durruti, quella che meglio ci restituisce questa splendida figura 
                  di anarchico che dedicò la propria esistenza, tragicamente 
                  interrotta sul fronte di Madrid nel 1936, alla causa della trasformazione 
                  rivoluzionaria della società. Alla guida della omonima 
                  Colonna formata da volontari anarchici e anarcosindacalisti, 
                  Durruti rappresentò nella forma più piena lo spirito 
                  e l’ardore con il quale il popolo spagnolo si oppose ai 
                  generali felloni che volevano imporre la dittatura fascista 
                  su tutta la Spagna. Abel Paz, che fu giovanissimo volontario 
                  nelle milizie anarchiche, ha saputo integrare la propria passione 
                  di militante con il rigore dello storico, ricostruendo in tutte 
                  le sue sfaccettature la complessità della rivoluzione 
                  libertaria e della lunga guerra civile. Da segnalare il cd che 
                  accompagna il libro, sulla avventurosa esistenza di Diego Camacho.Altrettanto importante, soprattutto come momento di riflessione, 
                  il volume Anarchia e potere nella Guerra civile 
                  spagnola (1936-1939), Milano, Elèuthera, 
                  2009, nel quale lo storico Claudio Venza 
                  affronta gli aspetti più controversi dell’esperienza 
                  anarchica in quegli anni. Venza non è solo lo studioso 
                  di valore che conosciamo, ma anche un anarchico, e queste due 
                  componenti si integrano perfettamente nel suo lavoro. Da una 
                  parte c’è la ricostruzione minuziosa delle straordinarie 
                  esperienze autogestionarie messe in atto dal popolo spagnolo, 
                  abituato da anni a quella ginnastica rivoluzionaria che gli 
                  avrebbe permesso di affrontare senza esitazioni le sfide imposte 
                  dalla storia; dall’altra rivestono un interesse ancora 
                  attuale le considerazioni e le scomode domande sulle contraddizioni 
                  che avrebbero tormentato un movimento da sempre contro il potere 
                  ma che, spinto dalle necessità della guerra e della rivoluzione, 
                  fu costretto a farsi potere esso stesso. Bellissimo il cd allegato, 
                  contenente il documentario girato nel 1936, Fury over the 
                  Spain, riproposto nel commento di Pino Cacucci e con le 
                  voci di Paolo Rossi e Francesca Gatto.
 Restando agli anni della Guerra civile, è da segnalare 
                  un opuscolo sfuggito nella mia precedente bibliografia. Si tratta 
                  ancora una volta di una riedizione, la famosa Protesta 
                  davanti ai libertari del presente e del futuro sulle capitolazioni 
                  del 1937, Torino, Nautilus, 2006, che 
                  un anonimo Incontrolado della mitica Colonna 
                  di Ferro ha lasciato come drammatica testimonianza. Scritto 
                  senza concedere attenuanti alle scelte “governative” 
                  operate dai vertici della Confederación Nacional del 
                  Trabajo, l’autore, militante nella più intransigente, 
                  e quindi più contrastata, formazione anarchica in armi, 
                  pronuncia un’appassionata difesa delle conquiste rivoluzionarie 
                  attuate in pochi mesi dal popolo spagnolo, conquiste dapprima 
                  “tradite” dagli stessi che le avevano favorite, 
                  e quindi stroncate dalla controrivoluzione stalinista, decisa 
                  a soffocare qualsiasi tentativo di autonomia dalla propria letale 
                  influenza.
 
                   
                    | 
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                    | Antifascisti 
                        italiani in partenza per la Spagna |   Di tutt’altro tenore è Miliziano 
                  e operaio agricolo in una collettività in Spagna, 
                  che contiene il ricordo dell’esperienza a fianco degli 
                  anarchici spagnoli scritto da Nils Lätt, 
                  l’anarcosindacalista svedese che non si limitò 
                  a combattere nelle brigate rivoluzionarie ma partecipò 
                  attivamente al lavoro contadino nelle collettività aragonesi. 
                  Curato da Renato Simoni e pubblicato nel 2012 
                  da La Baronata di Lugano, 
                  questo volume riporta, in appendice, il breve saggio di Marianne 
                  Enckell Sui volontari svedesi nella Guerra di Spagna. Altro 
                  esempio di questo filone storiografico è l’accurata 
                  ricostruzione delle biografie degli antifascisti bresciani che 
                  combatterono volontari in Spagna. Preceduto da un lungo excursus 
                  storico, questo bel lavoro di Roberto Cucchini, 
                   I soldati della buona ventura (militanti antifascisti 
                  bresciani nella guerra civile spagnola), Rudiano, 
                  Gam Editrice, 2009, presenta i ritratti dei 60 bresciani 
                  che, dall’esilio o dall’Italia, accorsero a combattere 
                  a fianco del popolo spagnolo. Si tratta di un lavoro particolarmente 
                  prezioso, che dovrebbe essere integrato, se fosse possibile, 
                  da altri lavori paralleli che contribuissero a ridarci le vite 
                  e i caratteri dei miliziani accorsi in Spagna. Una generazione 
                  irripetibile che visse un’esperienza senza eguali, e che 
                  proprio per questo dovrebbe trovare, come accade in questo libro, 
                  il proprio posto non solo nella memoria di chi non dimentica, 
                  ma anche nelle pagine dei libri di storia. La grandiosa risposta che il proletariato spagnolo e quello 
                  barcellonese in particolare seppero dare all’alzamiento 
                  dei generali nel 1936 non nacque certo per caso, ma fu frutto 
                  della lunga pratica rivoluzionaria che gli anarchici avevano 
                  esercitato per anni. Duri momenti di lotta e gloriosi momenti 
                  nel processo di emancipazione, narrati nel bel libro di Lorenzo 
                  Micheli, Los olvidados. Di anarchici e 
                  di anarchia, Ragusa, La Fiaccola, 2011. 
                  Si tratta della descrizione della unicità della capitale 
                  catalana, una fucina rivoluzionaria che vide nelle sue strade 
                  il durissimo, tragico e sanguinoso scontro fra i prezzolati 
                  sicari di un padronato di rapina e i difensori dell’agibilità 
                  sindacale, pronti a rintuzzare, con le stesse armi, le pratiche 
                  criminali dei pistoleros pagati per uccidere a freddo 
                  i militanti sindacali più in vista. Una vera guerra, 
                  con centinaia di morti da entrambe le parti, che fece della 
                  Barcellona di quegli anni il paradigma della ineluttabilità 
                  dello scontro sanguinoso quando a confrontarsi erano una borghesia 
                  banditesca e refrattaria a qualsiasi concessione e un proletariato 
                  sindacalizzato pronto a difendere, spesso con la vita, il proprio 
                  diritto all’esistenza. Sempre della Spagna tratta il corposo 
                  saggio di Fulvio Caporale, Il sogno 
                  anarchico. Storia dei sindacati anarchici a Barcellona 1906-1915, 
                  Acquaviva delle Fonti, Acquaviva, 2008. Come 
                  recita il titolo, l’argomento è la nascita della 
                  Cnt e le prime e dure lotte operaie che vedono il progressivo 
                  affermarsi delle idee e delle pratiche anarcosindacaliste, premesse 
                  per lo sviluppo impetuoso del sindacalismo anarchico confederale. 
                  Si tratta di un argomento e di un periodo poco praticati dalla 
                  storiografia, e l’accurata ricerca di Caporale permette 
                  di approfondire alcuni elementi fra i meno conosciuti della 
                  storia rivoluzionaria del popolo spagnolo.
 
 
                  STRAGE DI STATO Sono passati decenni, ma la strage di piazza Fontana, con quanto 
                  ne è seguito, continua a far discutere e a interessare 
                  chi non vuole dimenticare la tragedia che ha contribuito a cambiare 
                  il corso della storia d’Italia nel secondo dopoguerra. 
                  Sono tanti, infatti, i libri che, in occasione del quarantennale 
                  della strage, prendono in esame, anche se da diverse angolature, 
                  il dramma del 12 dicembre del 1969. Francesco Barilli 
                  e Matteo Fenoglio nel volume Piazza 
                  Fontana, Pordenone, Becco Giallo, 2009, 
                  affrontano il tema da una prospettiva decisamente originale: 
                  quella del racconto a fumetti, corredato da una attenta cronologia, 
                  dalle interessanti note dello sceneggiatore e dalla prefazione 
                  di Aldo Giannuli, uno dei massimi esperti italiani nel campo 
                  dei Servizi segreti e delle losche trame statali. Sempre interessante 
                  anche la lettura delle pagine di Marco Sassano, 
                  uno dei primi cronisti, allora, ad aver capito come effettivamente 
                  stessero le cose e a scriverne sul quotidiano «L’Avanti», 
                  un tempo glorioso foglio della sinistra e oggi in mano di faccendieri 
                  e truffatori. In Pinelli. La finestra chiusa. Quarant’anni 
                  dopo, Venezia, Marsilio, 2009, 
                  sono riproposti due capitoli de La politica della strage, e 
                  la riedizione completa del famoso Pinelli: un suicidio di Stato. 
                  L’interesse di questa riproposta sta anche nel verificare 
                  come la verità fosse già palese poco dopo quegli 
                  avvenimenti, in maniera inversamente proporzionale alla volontà 
                  delle magistrature di mezza Italia di scrivere la storia con 
                  parole attendibili.  
                   
                    | 
 |   
                    | Milano, 
                        circolo anarchico 'Ponte della Ghisolfa', 1968Cesare 
                        Vurchio e Giuseppe Pinelli
 |  Decisamente ironica nel titolo, e con contenuti militanti, 
                  la pubblicazione curata dalla Unione Sindacale Italiana 
                  - Ait, Ma si sa, gli anarchici volano e 
                  hanno tre gambe, Carrara, 2009. 
                  È una raccolta di testi di vari autori, in gran parte 
                  già pubblicati, nei quali si ribadisce la verità 
                  che tutti conoscono, anche se molti fingono di ignorare, che 
                  Pinelli è stato ucciso, che la strage è stata 
                  opera di fascisti conosciuti, che i Servizi (non i cosiddetti 
                  Servizi deviati, ma i Servizi) hanno coperto i delitti 
                  dello Stato, che Valpreda e gli anarchici avrebbero dovuto fungere 
                  da capri espiatori. Non è mai troppo ripetere queste 
                  conclusioni, anche se per noi ormai sono “ovvietà”. 
                  Più attinenti a momenti specifici altri due libri usciti 
                  recentemente. Il primo è quello a più mani di 
                  Andrea Sceresini, Nicola Palma 
                  e Maria Elena Scandaliato, Piazza 
                  Fontana noi sapevamo. Golpe e stragi di Stato. Le verità 
                  del generale Maletti, Reggio Emilia, Aliberti, 
                  2010, interessante perché raccoglie, forse per 
                  la prima volta, la testimonianza diretta di uno dei protagonisti 
                  delle mene statali, il famigerato Gianadelio Maletti, al tempo 
                  capo del controspionaggio militare poi rifugiatosi in Sudafrica 
                  per sfuggire all’arresto. Come è noto le sue non 
                  furono mai “verità”, bensì sordide 
                  e interessate menzogne atte a coprire le responsabilità 
                  dello Stato nella strage. E ancora una volta questo maestro 
                  del depistaggio si esibisce in una sorta di chiamata in correo 
                  (ora può permetterselo, sicuro dell’impunità 
                  sua e di altri) delle più alte autorità dello 
                  Stato, a conoscenza a suo dire – e c’è da 
                  credergli – dei retroscena di tutte le trame nere e grigie 
                  di quegli anni. Basato anche questo sulle vicende di un singolo 
                  personaggio, ma in questo caso onesto e quindi colpito dalla 
                  repressione dei suoi superiori, il saggio di Antonella 
                  Beccaria e Simona Mammano, Attentato 
                  imminente, Viterbo, Stampa Alternativa, 
                  2009. I due autori, infatti, ricostruiscono le amare 
                  vicende di Pasquale Juliano, nel 1968 commissario alla Questura 
                  di Padova, uno dei primi ad indirizzare le indagini sugli attentati 
                  del 1969 negli ambienti fascisti padovani e veneti e per questo 
                  non solo rimosso dalle indagini ma anche sottoposto a pesanti 
                  provvedimenti disciplinari, tra cui il trasferimento a Ruvo 
                  di Puglia, dove non avrebbe potuto fare danni. Resta la convinzione 
                  che, se non fosse stato fermato, la sua azione avrebbe contribuito 
                  ad ostacolare, se non a fermare, le manovre stragiste del Potere. 
                   
                    | 
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                    | Manifestazione 
                        giovanile in ricordo della stragedi piazza Fontana
 |   Non potevano mancare, fra i tanti, alcuni lavori che, francamente, 
                  non possiamo che definire strumentali, se non addirittura scorretti. 
                  Roberto Gremmo costruisce un altro tassello 
                  della sua ormai lunga opera di evidente mistificazione della 
                  storia del movimento anarchico con Il triangolo 
                  delle bombe. Gli attentati all’Arcivescovado di Milano 
                  dal 1919 a piazza Fontana, Biella, Storia 
                  Ribelle, 2011. Già dal titolo si possono intuire 
                  le intenzioni dell’autore, che con un fardello di citazioni 
                  gratuite e di improbabili collegamenti costruisce una storia 
                  a suo esclusivo uso e consumo. La sua intenzione, infatti, è 
                  quella di dimostrare, con toni sensazionalisti, la presunta 
                  continuità di fatti risalenti al lontano passato con 
                  quelli relativi alla strategia della tensione. Un puro esercizio 
                  teorico, maldestro e non riuscito. Un altro lavoro “revisionista” 
                  è quello di Massimiliano Griner, Piazza 
                  Fontana e il mito della strategia della tensione, 
                  Torino, Lindau, 2011. Obiettivo principale 
                  dell’autore è destrutturare quelli che ritiene 
                  i luoghi comuni che hanno fatto seguito alla bomba di piazza 
                  Fontana, e quindi riconsiderare da altre prospettive la morte 
                  di Pinelli e la relativa innocenza di Calabresi, il ruolo dello 
                  Stato nella costruzione della strategia e nei suoi depistaggi, 
                  l’importanza della controinformazione militante per arrivare 
                  a una verità condivisa. Insomma, fingendo obiettività 
                  e coraggio, un lavoro teso a ribaltare verità consolidate, 
                  non a caso principalmente impostato sulle dichiarazioni, passate 
                  e recenti, degli ambienti neofascisti che furono coinvolti nelle 
                  indagini. Ben più importante dei due precedenti, se non 
                  altro per la risonanza avuta, l’ormai famoso libro di 
                  Paolo Cucchiarelli, Il segreto 
                  di piazza Fontana, Milano, Ponte alla 
                  Grazie, 2009. Dove si affaccia per la prima volta (e 
                  confidiamo che sia anche l’ultima) la tesi che a compiere 
                  l’attentato di Piazza Fontana siano stati in due: uno 
                  sconosciuto fascista che avrebbe messo la bomba “buona” 
                  e Valpreda (spalleggiato dagli anarchici milanesi e romani) 
                  che, a sua volta, avrebbe messo quella taroccata. Più 
                  di 600 pagine per dimostrare il coinvolgimento degli anarchici 
                  e la sostanziale omertà, se non complicità, di 
                  Pinelli. Questo libro ha suscitato ancor più polemiche 
                  di quelle che avrebbe meritato, in quanto i diritti (e quindi 
                  anche alcuni contenuti) sono stati acquistati dalla casa produttrice 
                  del film di Marco Tullio Giordana, Romanzo di una strage. 
                  Di questo argomento si è parlato abbondantemente anche 
                  su questa rivista, per cui non è il caso di tornarci, 
                  se non per ribadire che le tesi di Cucchiarelli non hanno avuto 
                  credito non solo negli ambienti a noi più vicini, ma 
                  anche presso gli organi statali che, a vario titolo, si sono 
                  occupati di Piazza Fontana, di Valpreda e di Pinelli.A Cucchiarelli del resto ha risposto, con la durezza che le 
                  sue tesi meritavano, Adriano Sofri nel lungo 
                  saggio 43 anni. Piazza Fontana, un libro, un film, 
                  per ora apparso solo in rete nel 2012 ma probabilmente 
                  destinato alla pubblicazione. Con questo lavoro l’ex leader 
                  di Lotta Continua, già condannato (a mio parere ingiustamente), 
                  per l’assassinio del commissario Calabresi, smonta, con 
                  le capacità dialettiche che gli conosciamo, tutto l’apparato 
                  sul quale sono impostate le considerazioni di Cucchiarelli, 
                  dimostrandone a più riprese l’inconsistenza e la 
                  gratuità. Non si tratta solo di un lavoro di indagine, 
                  peraltro ottimamente riuscito, ma anche di un sentito omaggio 
                  alla memoria di Giuseppe Pinelli. Del resto Adriano Sofri aveva 
                  dedicato al ferroviere anarchico il bel libro La 
                  notte che Pinelli, Palermo, Sellerio, 
                  2009, nel quale ha ricostruito con sensibilità 
                  e precisione l’atmosfera e le drammatiche vicende che 
                  quella notte del 15 dicembre 1969 videro Pinelli precipitare 
                  dalla stanza nella quale Calabresi e i suoi uomini lo stavano 
                  trattenendo illegalmente da quasi tre giorni. Impostato sull’artifizio 
                  retorico di raccontare quelle vicende a una ragazza di vent’anni 
                  che nulla può sapere, Sofri non esita a denunciare, ancora 
                  una volta, le miserie, i sotterfugi, le infamie con le quali 
                  lo Stato e i suoi esecutori si accanirono, mille contro uno, 
                  verso un ferroviere anarchico, tanto innocente quanto determinato 
                  a resistere alla criminalità delle istituzioni.
 Per finire, registro con piacere la ristampa di quello che continuo 
                  a ritenere il testo fondamentale su piazza Fontana. Si tratta 
                  del libro di Luciano Lanza, Bombe 
                  e segreti. Piazza Fontana, una strage senza colpevoli, 
                  Milano, Elèuthera, 2009. L’autore, 
                  militante dello stesso gruppo di Pinelli, ricostruisce con una 
                  linearità ammirevole quelle vicende, utilizzando non 
                  solo la penna del cronista attento a spiegare con efficacia 
                  i fatti e i percorsi giudiziari, ma anche quella del compagno 
                  e dell’amico che vuole ricordare e far conoscere. Il saggio 
                  è corredato da una lunga intervista a Guido Salvini, 
                  il solo magistrato che ha cercato, con serietà e dedizione, 
                  di arrivare a una sentenza definitiva di condanna dei fascisti 
                  autori materiali della strage. Una serietà premiata con 
                  una verità storica e giudiziaria, ma anche inficiata 
                  dai perversi meccanismi della giustizia.
 
 
                  LETTERATURA Come già nelle edizioni precedenti di Leggere l’anarchismo, 
                  la sezione letteraria si presenta piuttosto ricca, a maggior 
                  ragione volendo comprendere, questa volta, anche alcuni testi 
                  non esattamente di carattere letterario, ma per certi aspetti 
                  assimilabili ad essi in virtù dell’impianto narrativo. 
                  E comincio da questi.Il primo volume, anche se non proprio “anarchico”, 
                  merita comunque una segnalazione, in ragione del suo sforzo 
                  di ricondurre alla comprensione e alla integrazione di popoli 
                  e culture attraverso un percorso culinario. Impostazione che 
                  appartiene a pieno titolo al pensiero libertario. Si tratta 
                  di Andrea Perin, Ricette scorrette. 
                  Racconti e piatti di cucina meticcia, Milano, 
                  Elèuthera, 2009. Una raccolta di ricette provenienti 
                  dai più diversi paesi, accompagnate da lunghe e belle 
                  interviste-conversazioni con chi ha proposto i piatti della 
                  propria tradizione rivisitati da invenzioni, appunto, “scorrette” 
                  perché “contaminate”. Altri tre libri di 
                  cucina sono Ricette anarchiche, Ricette 
                  libertarie e Les Cuisiniers dangereux, 
                  ovvero cuochi pericolosi, canzoni taglienti & temerarie 
                  narrazioni di storie accidentalmente vere, tutti 
                  curati da Rino De Michele e pubblicati rispettivamente 
                  nel 2008, 2009 e 2011 
                  per le coedizioni ApARTe°, Venezia e La 
                  Fiaccola, Ragusa. Anche qui non si tratta di semplici 
                  ricette, tra l’altro spesso imprevedibili, ma di fitte 
                  narrazioni su fatti e personaggi di ieri e di oggi, che accompagnano 
                  e illustrano il perché e il percome dei piatti presentati. 
                  Senza dubbio si tratta di libri non solo istruttivi ma anche 
                  stimolanti, capaci di far riflettere sul nesso fra cucina e 
                  vita quotidiana, spesso segnata dalla fame atavica e dalla sofferenza, 
                  ma altrettanto spesso da una gioia di vivere che sapeva esprimersi 
                  soprattutto a tavola. Da segnalare il bellissimo e puntuale 
                  apparato iconografico, felice contributo di Fabio Santin e dell’équipe 
                  di ApArte. Sempre per i tipi di ApArte è 
                  uscita una nuova rivisitazione futurista di Alberto 
                  Ciampi, Arte & Anarchia. Il “caso” 
                  Futurismo: l’incontro con gli anarchici 
                  (Venezia, 2009), che nasce dalla relazione 
                  tenuta a Milano presso la libreria Tikkum nel 1999, in occasione 
                  di una tavola rotonda incentrata sul tema L’Anarchia. 
                  Storia e cultura.
 
                   
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                    | Umberto 
                        Tommasini in un disegno di Fabio Santin |   Veniamo ora alla letteratura vera e propria, partendo dalla 
                  riedizione di un romanzo ottocentesco che, nonostante l’età, 
                  non ha perso nulla del suo vigore. Si tratta dell’opera 
                  dello scrittore anarchico francese Georges Darien, 
                   Biribi. Disciplina militare, Roma, 
                  Le Nubi edizioni, 2009. È un lavoro che ebbe 
                  all’epoca notevole fortuna perché la sua forte 
                  denuncia contribuì a far sopprimere, dopo aspre polemiche, 
                  le Compagnie di disciplina attraverso le quali il colonialismo 
                  francese controllava con feroce crudezza tanto le popolazioni 
                  soggette quanto i suoi elementi più difficili. Come si 
                  dice, a volte ne uccide più la penna che la spada! Rimanendo 
                  nel milieu anarchiste, ecco il racconto di Marius 
                  Jacob, I lavoratori della notte, 
                  Lecce, Bepress, 2010. Leggendario anarchico 
                  espropriatore, autore di una memorabile autodifesa pronunciata 
                  nel processo che lo condannò ai lavori forzati, Jacob 
                  scrive in pratica un’autobiografia, narrando le vicissitudini 
                  di alcuni «lavoratori della notte» incappati in 
                  un incidente di percorso, braccati per alcuni giorni dalla gendarmeria 
                  e infine pescati dopo rocambolesche avventure. Una lettura interessante, 
                  anche se, va detto, non di eccelsa qualità, capace comunque 
                  di aprire uno squarcio “verista” sull’ottocentesco 
                  mondo degli anarchici della réprise individuale. 
                  Decisamente curioso è poi il libretto di Félix 
                  Feneon, Romanzi in tre righe, 
                  Milano, Adelphi, 2009. Come si evince dal titolo, 
                  si tratta di brevi, paradossali romanzi scritti in non più 
                  di tre righe, «una per l’ambiente, una per la cronaca 
                  più o meno nera, una per l’epilogo a sorpresa». 
                  Per dare un esempio dello stile e dell’originalità 
                  di questo scrittore che è stato a lungo militante anarchico 
                  a tempo pieno: «“Ahia, una perla” ha gridato 
                  il truffatore mangiando un’ostrica. / Il suo vicino di 
                  tavola l’ha comprata per 100 franchi. / Prezzo dell’articolo 
                  al mercatino di Maison-Laffitte, 30 soldi».Di tutt’altro tenore il paradossale romanzo di Gilbert 
                  K. Chesterton, L’uomo che fu giovedì, 
                  riproposto da Bompiani dopo una lunga assenza 
                  dalle librerie (Milano, 2009). Scritto a cavallo 
                  fra Otto e Novecento in un paese dove la simpatia per gli anarchici 
                  non era certo diffusa e dell’anarchismo si aveva un’idea 
                  tenebrosa, il testo narra le grottesche vicende di una setta 
                  segreta nella quale ogni componente, per salvaguardare il proprio 
                  anonimato, assume il nome di un giorno. E il protagonista, che 
                  si rivela un agente infiltrato di Scotland Yard, assume il nome 
                  di Giovedì. Si tratta di un lavoro stravagante, ricco 
                  di colpi di scena e di situazioni improbabili, con il quale 
                  si voleva forse esorcizzare la paura dell’anarchismo dinamitardo 
                  così attivo in quell’epoca. Un altro lavoro decisamente 
                  e volutamente paradossale è quello di Fernando 
                  Pessoa, Il banchiere anarchico, ristampato, 
                  dopo l’edizione di Adelphi, per i tipi di Nova 
                  Delphi, Roma, 2010. Introdotto con la abituale piacevolezza 
                  da Fulvio Abbate, questo racconto può essere sintetizzato 
                  in questo interrogativo: «Può un “pescecane”, 
                  un “affamatore del popolo”, può anzi Caino 
                  in persona affermare se stesso come un esempio di “specchiata” 
                  credibilità anarchica, addirittura filologicamente fedele 
                  ai codici del pensiero libertario?». A nostro parere, 
                  pur cogliendo la voluta provocazione, la risposta è necessariamente 
                  no, ma per il grande scrittore portoghese, forte di una dialettica 
                  stringente e per nulla scontata, evidentemente è sì.
 È stato il caso teatrale degli ultimi anni, rappresentato 
                  nei teatri di Londra, Tokio, New York, Mosca, il testo dell’inglese 
                  Tom Stoppard, La sponda dell’utopia, 
                  Palermo, Sellerio 2012, che ha dato vita, in 
                  Italia, all’impresa registica di Marco Tullio Giordana, 
                  The Coast of Utopia (31 attori in scena per 
                  una durata di sette ore e mezzo complessive), premiata nel 2012 
                  dal prestigioso Premio Ubu come spettacolo dell’anno e 
                  come miglior testo straniero rappresentato in Italia. La trilogia, 
                  scritta nel 2002, mette in scena gli ambienti della intellighenzia 
                  russa della prima metà dell’Ottocento e ha come 
                  protagonisti personaggi quali Aleksandr Herzen, Vissarion Bielinski 
                  e il giovane Michail Bakunin con tutta la famiglia. Un affresco 
                  su una realtà destinata a creare profondi mutamenti nell’intera 
                  Europa, qui rappresentata nelle sue aspirazioni riformatrici 
                  spesso contraddette dalla realtà quotidiana e dalle abitudini 
                  di una piccola proprietà terriera, sicuramente liberaleggiante 
                  ma ancora legata ai vecchi privilegi. Un testo decisamente fuori 
                  dall’ordinario che merita il successo di pubblico e di 
                  critica registrato ovunque sia stato rappresentato.
 
                   
                    | 
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                    | Michael 
                        Bakunin  |   Vengo ora a parlare di un libro che ha una storia che mi riguarda. 
                  Scoprii l’edizione originale presso una libreria antiquaria, 
                  la lessi e ne parlai nella rubrica Ritratto in piedi 
                  proprio su «A». Evidentemente si trattava di una 
                  copia pressoché unica perché i pronipoti del tipografo 
                  che aveva stampato la prima edizione nel 1879, anch’essi 
                  tipografi-editori, trovatane notizia sul web, mi contattarono 
                  chiedendomi in prestito l’esemplare originale per farne 
                  una nuova edizione. E così è avvenuto: l’ho 
                  prestato e oggi è a disposizione di un pubblico decisamente 
                  più ampio. Si tratta del romanzo sociale di Emilio 
                  Tanfani, I minatori ovvero Internazionale 
                  e Comune, stampato nel 1879 dalla tipografia Sette 
                  Comuni di Asiago e nel 2009, in copia anastatica, 
                  dalla Tipografia Rigoni di Piove di 
                  Sacco. Scritto per mostrare la possibilità di 
                  una integrazione feconda fra le esigenze della nascente classe 
                  operaia e quelle della nuova borghesia imprenditoriale, il romanzo, 
                  a volte a tinte un po’ troppo fosche, descrive il felice 
                  risolversi del contrasto fra lavoro e capitale grazie al fortunoso 
                  ravvedimento dei proletari più focosi e alla buona volontà 
                  di un padrone comprensivo e lungimirante. Il tutto condito dalla 
                  immancabile storia sentimentale. Un interessante tentativo, 
                  piacevole e di ottima scrittura, di esorcizzare quella che sarebbe 
                  diventata una costante della società italiana.Di tutt’altro segno, quanto a descrizione del conflitto 
                  fra lavoro e capitale, è il bel romanzo di Filippo 
                  Manganaro, Un sogno chiamato rivoluzione, 
                  Roma, Nova Delphi, 2012. Vi si narra l’avvincente, 
                  drammatica ma anche esaltante storia di una famiglia di ebrei 
                  russi, in fuga dai frequenti pogrom della Santa Russia 
                  e approdata negli Stati Uniti dopo un lungo peregrinare. Militanti 
                  proletari, internazionalisti e decisi fautori di una solidarietà 
                  di classe senza incrinature, i componenti di questa famiglia, 
                  soprattutto il nonno Shlomo e la nipote Chaya, dedicano la loro 
                  esistenza alla causa del lavoro, una causa che non sarà 
                  scalfita da nessuna sconfitta, tragedia, crudeltà razziale 
                  o sfruttamento spietato. Una lettura che voglio raccomandare, 
                  perché in queste pagine ritroviamo tutti i momenti della 
                  storia della sinistra, quella vera, del Novecento.
 Una bella sorpresa è anche il romanzo di Piero 
                  Pieri, Les nouveaux anarchistes. Atti intollerabili 
                  di disperazione a Bologna, Massa, Transeuropa, 
                  2010, un racconto duro come dura è la realtà 
                  con la quale si scontrano le nuove generazioni di studenti e 
                  precari, alle prese con una società che non sembra avere 
                  alcuna intenzione di rispondere ai loro bisogni. Troviamo giovani 
                  che affiancano, alla disperazione a cui li si vorrebbe condannare, 
                  una determinazione tanto feroce quanto liberatoria, che dà 
                  loro la capacità di reagire, con lucida follia, alle 
                  prepotenze del potere. Uno spaccato interessante e crudo degli 
                  ambienti universitari bolognesi, del mondo del precariato manuale 
                  e intellettuale, delle storture di una società apparentemente 
                  ordinata e ben funzionante. Abbastanza simile nello spirito 
                  è Macnovicina. L’eccitante lotta di 
                  classe, un curioso racconto di Alberto 
                  Piccitto (Milano, Zero in Condotta, 2011), 
                  anche se il tono è senza dubbio meno duro e drammatico. 
                  Infatti si parla di un nuovo tipo di lotta di classe, quella 
                  che un “vecchio” militante, mai domo, sperimenta 
                  inondando la ricca borghesia metropolitana di una nuova droga 
                  chiamata macnovicina (e per un anarchico è chiaro 
                  il perché di questo nome), di ottima qualità e 
                  prezzo abbordabile, capace di sbalestrare i suoi consumatori 
                  (alti prelati, industriali, politici “perbene”, 
                  ecc.) al punto da renderli oltre che ridicoli anche facilmente 
                  manipolabili. Nei due romanzi, come si può capire, sono 
                  descritte due metodologie totalmente diverse ma, sembrerebbe, 
                  altrettanto efficaci.
 La rivoluzione è una suora che si spoglia. 
                  Storie di scrittori e anarchie è un’antologia 
                  di racconti brevi pubblicata dalla Biblioteca Franco 
                  Serantini di Pisa nel 2009. 
                  Raccoglie gli scritti di Abbate, Bertante, Cacucci, Cardinali, 
                  Colagrande, Evangelisti, Maggiani, Nori, Philopat, Tassinari 
                  e Vighi. Come si vede una bella batteria di spiriti anarchici 
                  e libertari, che offrono altrettanti testi inediti, tutti improntati 
                  a una personale interpretazione dell’approccio con il 
                  pensiero e il movimento anarchici. Come si può immaginare, 
                  si tratta di una lettura molto gradevole, con toni spesso imprevisti, 
                  in grado di mostrare come e quanto sia vario il modo di entrare 
                  in contatto con la nostra storia.
 
                   
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                    | Diavolindo 
                        Latini  |   Molto curioso, sia come struttura narrativa sia come scelta 
                  dell’argomento, il racconto con il quale Andrea 
                  Tarabbia ne Il cimitero degli anarchici, 
                  Milano, Franco Angeli, 2012, ricostruisce le 
                  non esemplari vicende del sedicenne anarchico Diavolindo Latini, 
                  figlio di Giovanni Gavilli e Aida Latini, che negli anni Venti, 
                  dopo aver ucciso un compagno e ferito un agente di polizia, 
                  verrà rinchiuso in manicomio per alcuni anni, fino alla 
                  morte prematura. Ambientato idealmente nell’ospedale psichiatrico 
                  di Mombello, il racconto riporta le immaginarie conversazioni 
                  avute dall’autore con Diavolindo, con il compagno da lui 
                  ucciso Carlo Porro, con l’anarchico Amleto Astolfi e con 
                  altri protagonisti di quelle vicende. Uno squarcio interessante, 
                  anche se non sempre convincente, su anni e ambienti particolarmente 
                  confusi e spesso equivoci.Alessio Lega non ha bisogno di presentazioni 
                  per i lettori di «A», e Ascanio Celestini, 
                  l’eclettico e straordinario inventore di favole storiche 
                  e storie quotidiane, è senz’altro una figura di 
                  riferimento per quanti di noi amano ritrovarsi nelle sue coinvolgenti 
                  affabulazioni. I due si sono felicemente incontrati per dare 
                  vita a un lungo colloquio nel quale Ascanio svela il proprio 
                  mondo e narra, non una storia, ma la sua storia, quella che 
                  lo ha portato a raccontare, con un ritmo avvolgente, a teatro, 
                  nei libri, al cinema, le grottesche miserie che tutti, giorno 
                  dopo giorno, abbiamo sotto gli occhi. Tutto questo in Incrocio 
                  di sguardi. Conversazione su matti, precari, anarchici e altre 
                  pecore nere, Milano, Elèuthera, 
                  2012, un libro che consente di approfondire non solo 
                  la conoscenza della poetica di Celestini, ma anche i procedimenti 
                  narrativi e antropologici attraverso i quali egli elabora e 
                  realizza i suoi spettacoli, che superano i confini del teatro 
                  civile per tracciare una nuova via del teatro politico e di 
                  intervento.
 Per concludere, due raccolte poetiche e una riproposta. La prima, 
                  curata da Pino Vermiglio, è l’antologia di poesie 
                  di Bruno Misefari, Schiaffi, carezze 
                  e altro, Reggio Calabria, Ogginoi, 2009, 
                  una raccolta di versi che «l’anarchico di Calabria» 
                  scrisse nel corso della sua tribolata esistenza. Arricchito 
                  da numerose illustrazioni, questo volume “alla memoria” 
                  vuole ricordare una delle figure più importanti e significative 
                  dell’anarchismo calabrese. Molto belle, specchio di forte 
                  personalità e di robusto impegno sociale, le poesie di 
                  Riccardo Solari, raccolte nel volume Satirik. 
                  Rime per un regime, edito dai suoi compagni dell’Archivio 
                  Germinal di Carrara nel 2011. 
                  Solari, a quanto pare, è autore particolarmente prolifico, 
                  e «solito, nei momenti conviviali, improvvisare canzoni 
                  sui fatti del momento». E infatti le poesie qui raccolte 
                  sono solo una parte delle tante scritte nell’ultimo anno. 
                  Vista la qualità, non resta che augurargli di continuare 
                  come già sta facendo. La riproposta è la riedizione 
                  de Il canto anarchico in Italia nell’Ottocento 
                  e nel Novecento, Milano, Zero in Condotta, 
                  2009, di Santo Catanuto e Franco 
                  Spirone. Come nella prima edizione, troviamo la raccolta 
                  pressoché completa di quanto il sentimento e la cultura 
                  degli anarchici hanno prodotto per manifestare, in musica, le 
                  aspirazioni, le proteste, le denunce, le gioie e i dolori delle 
                  classi subalterne. Il tutto accompagnato da un apparato critico 
                  e musicale quanto mai esauriente. Per chi abbia voglia di intonare 
                  una delle nostre belle canzoni, non ci sarà che l’imbarazzo 
                  della scelta.
 
 ANTIFASCISMO Nel 1922 l’editore bolognese Licinio Cappelli pubblicava, 
                  per la Biblioteca di Studi Sociali, una serie di saggi riguardanti 
                  la nascita del fascismo in Italia. La stesura di questi saggi 
                  era affidata ai rappresentanti delle varie forze politiche e 
                  sociali operanti nel Paese; così Dino Grandi parlava 
                  per i fascisti, Guido Bergamo per i repubblicani, Mario Missiroli 
                  per i liberali, Giovanni Zibordi per i socialisti e così 
                  via. A parlare a nome degli anarchici fu invitato, e non poteva 
                  esserci scelta migliore, Luigi Fabbri, che scrisse un testo 
                  di tale lucidità e capacità di analisi da diventare 
                  un classico. Oggi le Edizioni Zero in Condotta 
                  lo ripubblicano mantenendone il titolo originario (Luigi 
                  Fabbri, La controrivoluzione preventiva, 
                  Milano, 2009) e consentendo di far apprezzare 
                  l’intelligenza dell’anarchico di Fabriano, che seppe 
                  cogliere, fin dal suo sorgere, i tratti essenziali che permisero 
                  al fascismo di imporsi. Nella prefazione della Assemblea Antifascista 
                  permanente di Bologna si riprendono i contenuti del testo di 
                  Fabbri, riaffermando il carattere di classe del fascismo, che 
                  dispose il «formarsi di una cultura reazionaria di massa 
                  promossa dallo Stato e dalla borghesia, con la triplice azione 
                  combinata della violenza illegale fascista, della repressione 
                  legale governativa e della pressione economica derivante dalla 
                  disoccupazione». 
                   
                    | 
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                    | Congresso del Libero Pensiero, Roma, settembre 1904.Da sinistra a destra, terzo in prima fila, Foscolo Fabbri;
 alla sua sinistra, un po'indietro, Luigi
 |   L’affermarsi del fascismo, comunque, nonostante queste 
                  sinergie, non fu la passeggiata che avrebbe voluto essere, ma 
                  si scontrò con forti risposte popolari che in più 
                  occasioni, quando il combattimento fu ad armi pari, lo misero 
                  fortemente in discussione. In questi ultimi anni sono fioriti 
                  gli studi sul fenomeno, non più trascurato, degli Arditi 
                  del Popolo, quelle formazioni paramilitari che accettarono lo 
                  scontro coi fascisti sul loro terreno, e che spesso furono in 
                  grado di infliggere alle squadracce sonore batoste. Va detto 
                  che questa fioritura di studi si è resa possibile anche 
                  grazie alla fine della egemonia culturale esercitata, nel campo 
                  della storia sociale contemporanea, dal Partito Comunista, diretto 
                  erede di quel PCd’I che già allora, come dimostrano 
                  ad abundantiam i saggi di cui parliamo, si rifiutò 
                  di appoggiare l’arditismo popolare, quando non cercò 
                  di boicottarne la nascita. E questo perché temeva, e 
                  a ragione, di non poterlo controllare.  
                   
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                    | Riunione del fuoruscitismo parigino, per dare l'addioall'anno 1926 (31-12-1926), nella 'Popote'di Nullo Baldini.
 Luigi Fabbri è il primo a sinistra. Si possono 
  riconoscere
 tra gli altri Sandro Pertini, Vera e Giuseppe Emanuele
 Modigliani,
  Pietro Nenni, Filippo Turati, Giovanni Faraboli
 |   Della storia generale degli Arditi del Popolo si occupa Marco 
                  Rossi, Arditi non gendarmi. Dalle trincee 
                  alle barricate: arditismo di guerra e arditi del popolo (1917-1922), 
                  Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2011. In 
                  questa riedizione (la precedente è del 1997) Rossi presenta 
                  nuovi documenti che permettono di delineare ancora meglio la 
                  sottile linea di continuità che legò l’arditismo 
                  di guerra (è un errore definirlo come un fenomeno solamente 
                  prefascista), l’esperienza fiumana (anch’essa una 
                  vicenda molto meno lineare di quello che si pensi) e l’arditismo 
                  popolare vero e proprio, nato come esigenza di autodifesa proletaria 
                  in contrapposizione alla violenza fascista e statale. Sempre 
                  di Marco Rossi un altro lavoro dedicato alla 
                  lotta degli anarchici contro il fascismo. Questa volta in un 
                  contesto più locale: è infatti ambientato nella 
                  sua città il volume Livorno ribelle e sovversiva. 
                  Arditi del popolo contro il fascismo 1921-1922, 
                  Pisa, Bfs, 2012, dove racconta la forte e ostinata 
                  resistenza che gli Arditi del Popolo seppero opporre alle violenze 
                  dello squadrismo fascista.Come è facile immaginare, gli anarchici furono parte 
                  integrante e spesso “dirigente” di queste formazioni, 
                  e ciò appare non solo nei libri di Rossi, ma anche nei 
                  due volumi che si occupano principalmente degli avvenimenti 
                  romani. Si tratta dei lavori di Valerio Gentili, 
                   La Legione romana degli Arditi del Popolo, 
                  Roma, Purple Press, 2009 e Roma 
                  combattente. Dal “Biennio Rosso” agli Arditi del 
                  Popolo, Roma, Castelvecchi, 2010. 
                  In questi due libri (il secondo a complemento del primo) Gentili 
                  descrive la forte risposta popolare che il proletariato romano 
                  dette allo squadrismo, riuscendo addirittura a rendere zona 
                  franca alcuni dei quartieri proletari dell’Urbe. L’Arditismo 
                  popolare non nacque in tutte le città italiane ma si 
                  sviluppò a macchia di leopardo, mostrandosi forte in 
                  alcune zone, soprattutto del centro Italia, e assente in altre. 
                  Come scrive Gentili, Roma fu uno dei centri più combattivi, 
                  producendo una gloriosa esperienza che solo la Marcia su Roma 
                  e la successiva presa del potere da parte di Mussolini riuscirono 
                  a liquidare.
 Come è noto la volontà di opporsi al fascismo 
                  non si esaurì con l’arditismo, ma continuò 
                  sotto altre forme per tutto il ventennio. Uno degli strumenti 
                  di lotta più frequentato, anche se senza successo, fu 
                  l’attentato individuale contro il Capo del Governo, e 
                  infatti non pochi furono i tentativi – quasi sempre per 
                  opera di anarchici – di eliminare, con il Duce, il regime 
                  fascista. Uno dei primi fu quello dell’anarchico carrarese 
                  Gino Lucetti nel 1926. Fallito l’attentato, Lucetti fu 
                  arrestato e tenuto in carcere fino al 1943 e le lettere che 
                  scrisse dalla casa di pena hanno ora trovato una curatrice e 
                  un editore. Si tratta di Marina Marini, Gino 
                  Lucetti. Lettere dal carcere dell’attentatore di Mussolini 
                  (1930-1943), Casalvelino, Galzerano, 2010. 
                  In questo volume, con la prefazione di Claudio Venza e un ricco 
                  apparato documentario, possiamo apprezzare la forte personalità 
                  e la determinazione di Lucetti, che riuscì a mantenere 
                  le sue ferme convinzioni, se non ad arricchirle, nonostante 
                  i lunghi anni trascorsi da recluso.
 
                   
                    | 
 |   
                    | Gino 
                        Lucetti  |   Un altro lavoro sull’antifascismo è quello di 
                  Giuseppe Aragno, Antifascismo popolare. 
                  I volti e le storie, Roma, Manifestolibri, 
                  2009, che raccoglie una bella galleria di personaggi 
                  napoletani di diversa estrazione sociale e di diversa formazione 
                  politica, accomunati dal desiderio di libertà e dalla 
                  volontà di non capitolare di fronte alla violenza e alla 
                  prepotenza fascista. Vi si incontrano figure note e meno note, 
                  anarchici e non anarchici, tutti a documentare la ricchezza 
                  delle testimonianze antifasciste. Scritto anche con l’intenzione, 
                  esplicitata nella prefazione, di mostrare come il famoso “consenso”, 
                  che secondo De Felice sarebbe stato di massa ed incontrastato 
                  fino alla guerra, in effetti fu incrinato da forme di dissenso 
                  più o meno palesi, molto più numerose di quanto 
                  non si creda. Se ne ricava una dimostrazione ulteriore leggendo 
                  il bel libro di Filomena Gargiulo, Ventotene 
                  isola di Confino. Confinati politici e isolani sotto le leggi 
                  speciali (1926-1943), Genova, L’Ultima 
                  spiaggia, 2009. Ventotene, fra tutte le località 
                  destinate ad accogliere gli oppositori al fascismo, fu una delle 
                  più importanti e affollate. Da essa, grazie al lavoro 
                  di ricerca di alcuni studiosi, stanno oggi riaffiorando storie 
                  quasi dimenticate, delle quali è necessario ritrovare 
                  la memoria. Filomena Gargiulo ricostruisce la realtà 
                  quotidiana del confino, dalle condizioni di vita dei confinati 
                  (quanti gli anarchici!) alle regole imposte dal regime, dalle 
                  strutture di controllo ai rapporti con gli isolani, componendo 
                  un quadro esaustivo per comprendere l’inumanità 
                  di questa “istituzione”, che colpiva, senza processo 
                  e in assenza di reati, quanti apparivano pericolosi per la stabilità 
                  del regime.Finita la guerra, crollato il regime fascista, non sempre e 
                  non ovunque finisce anche la lotta partigiana. Anzi, nonostante 
                  i tentativi di controllo da parte del Partito Comunista e delle 
                  altre forze istituzionali, preoccupate che l’onda lunga 
                  della Resistenza mettesse in crisi la neonata concordia nazionale, 
                  furono molte le situazioni che videro intere formazioni partigiane 
                  riprendere le armi per difendere ciò che era stato conquistato 
                  e per completare l’opera iniziata nel 1943. Ne scrive, 
                  con ricchezza di documentazione, Marco Rossi, 
                  nel suo Ribelli senza congedo. Rivolte partigiane 
                  dopo la Liberazione 1945-1947, Milano, 
                  Zero in Condotta, 2009, mostrando come i tentativi 
                  di spegnere definitivamente il “vento del nord” 
                  trovassero molti più ostacoli di quanti si sarebbe potuto 
                  immaginare. Forse, se allora si fosse andati fino in fondo, 
                  oggi non ci sarebbero argomenti di studio (almeno in Italia) 
                  per Saverio Ferrari che, nel suo Le 
                  nuove camicie brune. Il neofascismo oggi in Italia, 
                  Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2009, descrive 
                  la progressiva involuzione dei fascisti italiani i quali, a 
                  quanto sembra, non si accontentano più di rimpiangere 
                  il Duce e il suo Impero di cartone, ma sognano addirittura una 
                  riedizione del Terzo Reich. A dimostrazione del fatto che, come 
                  diceva mio padre, al mondo non c’è stupido che 
                  non ci sia uno più stupido! E qui abbiamo a che fare 
                  con un bello stuolo di contendenti.
 
 
                  FEMMINISMO Non sono state poche, né di poco rilievo, le donne militanti 
                  attive nel movimento anarchico. Inserite in un ambiente che, 
                  a rigor di logica, doveva prevedere completa parità e 
                  rispetto reciproco (anche se non sempre e non in tutte le situazioni 
                  questo rispetto era davvero tale), seppero dare all’attività 
                  e alla propaganda del movimento un apporto non solo importante 
                  ma spesso anche originale. Senza dubbio una delle figure di 
                  maggiore rilievo, e forse anche la più nota, è 
                  la comunarda Louise Michel, l’eroina 
                  della Comune di Parigi, l’indefessa attivista a difesa 
                  degli oppressi ovunque la sua vita avventurosa la portasse, 
                  nemica irriducibile di ogni forma di autorità e ingiustizia 
                  sociale. Più che opportuna, quindi, la succinta biografia 
                  di Anne Sizaire, Louise Michel. 
                  La “viro major”. Breve storia (1839-1905), 
                  Ragusa, La Fiaccola, 2012, arricchita, in calce 
                  dai versi che le dedicarono Paul Verlaine e Victor Hugo.Uno sguardo d’insieme sulla presenza femminile anarchica 
                  nelle prime lotte operaie di fine Ottocento è quello 
                  di Elena Bignami, che nel suo corposo studio 
                  «Le schiave degli schiavi». La “questione 
                  femminile” dal socialismo utopistico all’anarchismo 
                  italiano (1825-1917),  , affronta 
                  le dinamiche che investirono il mondo femminile al contatto 
                  con le nuove ideologie sociali. La prima parte «affronta 
                  le radici storiche dell’emancipazionismo femminile esaminando 
                  quei classici del pensiero socialista (Saint-Simon e Fourier) 
                  che hanno costituito la base teorica dell’anarchismo italiano». 
                  La seconda, che ci riguarda più da vicino, mostra come 
                  la presenza femminile all’interno dei movimenti sociali 
                  fosse ben più radicata e diffusa di quanto non si potesse 
                  pensare, e offre lo spaccato di una serie di figure di indubbio 
                  spessore, sia teorico che militante. Il merito di questo innovativo 
                  lavoro è soprattutto quello di avere fornito un quadro 
                  di insieme a queste presenze dimostrandone l’assoluta 
                  non marginalità.
 
                   
                    | 
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                    | Giovanna 
                        Berneri Caleffi con le figlie |   Un altro ritratto collettivo delle anarchiche più conosciute 
                  lo fa Massimo Lunardelli, Dieci 
                  pericolosissime anarchiche, Torino, Blu 
                  Edizioni, 2012, che accompagna la ricostruzione storica 
                  delle protagoniste e del loro ambiente con le note di polizia 
                  che periodicamente ne descrivevano l’attività, 
                  e i «costumi morali». A leggere i rapporti della 
                  questura, come c’è da aspettarsi, sembrerebbe di 
                  avere a che fare con persone «di dubbia moralità 
                  che riscuotono cattiva fama», ma proprio queste osservazioni 
                  ci fanno capire l’integrità e il coraggio con le 
                  quali le varie Cavedagni, Cravello, Peani, Corsinovi, Giacomelli 
                  affrontavano gli ostracismi e le angherie che la società 
                  riservava loro. Un ritratto di gruppo simile, questa volta internazionale, 
                  è quello composto da Giovanna Frisoli 
                  e Amerigo Sallusti, che ricostruiscono i percorsi 
                  di vita di alcune rivoluzionarie del secolo scorso nel volume 
                   Le Pasionarie. Storie di donne che hanno cambiato 
                  il mondo, Ghezzano, Felici, 2011. 
                  Forse queste donne non hanno cambiato il mondo, ma sicuramente 
                  le anarchiche spagnole mujeres libres hanno soprattutto 
                  contribuito a migliorarlo, dando il loro fondamentale apporto 
                  al tentativo di costruire il mondo nuovo che portavano nei loro 
                  cuori.Leda Rafanelli è la più conosciuta fra le anarchiche 
                  italiane. Figura eclettica, propagandista popolare, romanziera 
                  di successo, musulmana e chiromante, spirito libero quanti altri 
                  mai, continua a destare l’interesse degli storici e di 
                  quanti vogliono approfondire la conoscenza delle figure più 
                  originali del secolo scorso. Curati da Fiamma Chessa, 
                  sono usciti gli atti della giornata di studi organizzata a Reggio 
                  Emilia nel 2007: Leda Rafanelli tra letteratura 
                  e anarchia, Reggio Emilia, Biblioteca 
                  Panizzi - Archivio Famiglia Berneri Aurelio Chessa, 2009, 
                  un corposo volume che raccoglie una decina di relazioni dalle 
                  quali emerge tutta l’originalità della vita e dell’opera 
                  di Leda. Giovanna Caleffi Berneri ha affrontato l’impegno 
                  militante della Rafanelli, partendo da prospettive decisamente 
                  diverse dalle sue e da un differente ruolo all’interno 
                  del movimento anarchico. Vedova di Berneri e madre di Giliana 
                  e Maria Luisa, nell’immediato secondo dopoguerra fu fra 
                  le protagoniste della ripresa anarchica in Italia dopo le tenebre 
                  del fascismo.
 
                   
                    | 
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                    | Maria 
                        Rygier  |   Compagna di Cesare Zaccaria, che poteva disporre di discrete 
                  risorse finanziarie e di molte conoscenze, Giovanna ha contribuito 
                  alla nascita di alcune delle iniziative più importanti 
                  del movimento anarchico, tra le quali la rivista «Volontà» 
                  e le colonie marine per i figli dei compagni, prima a Sorrento 
                  e poi a Marina di Carrara. Le è stato dedicato un volume 
                  che ne raccoglie gli scritti: Giovanna Caleffi Berneri, 
                   Un seme sotto la neve. Carteggi e scritti. Dall’antifascismo 
                  in esilio alla sinistra eretica del dopoguerra, 
                  a cura di Carlo De Maria, Reggio Emilia, Bibl. Panizzi 
                  e Arch. Fam. Berneri - A. Chessa, 2010, dal quale emerge 
                  non solo la bella figura piena di umanità e determinazione 
                  dell’attivista anarchica, ma anche lo spessore intellettuale 
                  che espresse nei tanti articoli apparsi sulle “sue” 
                  testate. Meno conosciuta, ma non per questo meno interessante, è 
                  l’attività dell’anarchica pugliese Elvira 
                  Catello, propagandista e feconda autrice di lavori teatrali 
                  dal forte carattere popolare, che trascorse la sua vita di attivista 
                  fra la nativa Locorotondo e New York. Mario Gianfrate, 
                  Jennifer Guglielmo e Vito Antonio Leuzzi 
                  ne tracciano la biografia nel libro Elvira Catello 
                  e la “Lux” tra utopia e libertà. Una pacifista 
                  pugliese a New York nel 900, Bari, Edizioni 
                  del Sud, 2011, facendo riemergere non solo l’impegno 
                  sociale della donna, ma anche lo spaccato della comunità 
                  sovversiva italoamericana dei primi decenni del ‘900. 
                  In appendice la riproposta di uno dei suoi numerosi lavori teatrali, 
                  Il trionfo della verità (sulla religione), utile 
                  per capire la presa della drammaturgia anarchica fra i lavoratori 
                  e i liberi pensatori di Little Italy.
 
                   
                    | 
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                    | Elvira 
                        Catello (al centro) con due sorelle |   Citiamo infine la ristampa di un classico, Anarchia 
                  e femminismo, Pisa, BFS, 2009, 
                  una preziosa raccolta di testi con i quali l’anarchica 
                  statunitense Emma Goldman, una delle figure 
                  più importanti del pensiero sovversivo europeo e nordamericano, 
                  ha posto alcune delle premesse del movimento di liberazione 
                  della donna. Attiva in Europa, in America, in Russia, sempre 
                  pronta a dare il suo apporto e a portare la sua parola come 
                  stimolo alla lotta, Emma la Rossa ha contribuito a sviluppare 
                  quel pensiero “altro” che vedeva nella emancipazione 
                  femminile non solo la libera espressione delle potenzialità 
                  delle donne, ma anche un momento necessario nel processo di 
                  liberazione di tutto il genere umano dallo sfruttamento e dal 
                  pregiudizio. 
 
                  INTERNAZIONALE La Russia è stata una delle fucine del pensiero rivoluzionario 
                  e anarchico, probabilmente anche perché la disumanità 
                  dello zarismo, il regime più autocratico e illiberale 
                  dell’epoca, non poteva non provocare una risposta quanto 
                  mai determinata e radicale. Ne è testimonianza, tra gli 
                  altri, il famoso affaire Nechaev, un drammatico caso 
                  di intransigenza organizzativa e violenza rivoluzionaria che 
                  coinvolse lo stesso Bakunin. Ne parla, con ricchezza di documentazione, 
                  il grande slavista Vittorio Strada nella riedizione 
                  della sua introduzione a uno scritto di Herzen del 1977, Umanesimo 
                  e terrorismo nel movimento rivoluzionario russo. Il “caso 
                  Nechaev”, Roma, Edizioni dell’Asino, 
                  2012. Assertore di una fedeltà assoluta e totale 
                  all’organizzazione rivoluzionaria, Nechaev teorizzò 
                  la supremazia di questa su qualsiasi altra contingenza, arrivando 
                  a eliminare fisicamente alcuni dei suoi accoliti sospettati 
                  non tanto di tradimento ma semplicemente di debolezza nelle 
                  convinzioni e irresolutezza nell’azione. Ispiratore del 
                  romanzo I Demoni di Dostoevskij, Nechaev, per un certo 
                  tratto, riuscì a condizionare lo stesso Bakunin, teorizzando 
                  quella intransigenza “a fin di bene” – l’obiettivo 
                  travalica e annulla ogni forma di umanità – che 
                  può essere considerata l’antesignana del terrorismo 
                  politico. Anche se di sole 50 pagine, questo denso saggio, ricco 
                  di citazioni e riferimenti, rappresenta una lettura interessante 
                  per chi voglia indagare il nesso fra il fine rivoluzionario, 
                  con tutto il suo sforzo di emancipazione, e i mezzi spesso contraddittori 
                  con i quali si vorrebbe realizzare tale fine grandioso.E la storia della Russia e della sua rivoluzione è lì 
                  a ricordarci quanto questa contraddizione abbia pesato drammaticamente 
                  nel processo di liberazione dell’umanità. Le speranze 
                  suscitate nel mondo intero dalla Rivoluzione del 1917 furono 
                  via via spente dagli strumenti repressivi e sempre più 
                  criminali che il bolscevismo utilizzò per sopprimere, 
                  in nome della salvaguardia della nuova società sovietica, 
                  ogni forma di opposizione interna. Esemplare la vicenda ucraina 
                  della quale fu protagonista Machno, della cui epopea scrive 
                  Alexander V. Shubin, accademico russo, oggi 
                  uno dei massimi esperti della storia delle opposizioni di sinistra 
                  al bolscevismo. Nel suo Nestor Machno: bandiera 
                  nera sull’Ucraina. Guerriglia libertaria e rivoluzione 
                  contadina (1917-1921), Milano, Elèuthera, 
                  2012, traccia una nuova biografia del «generale 
                  contadino» ucraino, grazie all’apertura degli archivi 
                  segreti nei quali il PCUS aveva seppellito le scomode testimonianze 
                  dell’attività rivoluzionaria dei suoi oppositori. 
                  Ne viene fuori la grandiosa dimensione epica di quella rivolta 
                  contadina, libertaria e autogestita, che per anni rappresentò, 
                  pur fra luci e ombre, la concreta possibilità di un “altro” 
                  sviluppo rivoluzionario.
 L’esperienza lottarmatista tedesca non fu certo paragonabile 
                  a quella italiana, ma di tutte quelle che presero vita negli 
                  anni Settanta del secolo scorso fu, per ampiezza e risonanza, 
                  la più simile a quella di casa nostra. Se la Raf, la 
                  Rote Armee Fraktion di ispirazione neomarxista, fu 
                  la formazione più famosa, il Movimento 2 Giugno ne rappresentò 
                  in un certo senso il contraltare, per la sua struttura non verticistica 
                  ma orizzontale e per il suo bagaglio ideologico più aperto 
                  agli insegnamenti della pratica che non della teoria. Questo 
                  suo spirito un po’ libertario e antiautoritario viene 
                  rievocato da alcuni ex militanti quali Ronald Fritzsch, 
                  Gerard Klöpper e altri, nel libro Il 
                  Movimento 2 giugno. Scritti e testimonianze, pubblicato 
                  nel 2009 a Guasila, dalle 
                  Editziones de su Arkiviu Bibrioteka “T. Serra”, 
                  una piccola antologia che rende conto della drammaticità 
                  di scelte che allora potevano sembrare inevitabili a molti, 
                  ma che oggi dichiarano tutta la loro tragica inconsistenza.
 Sono venuti anche in Italia, più volte, a parlare della 
                  loro generosa attività, non violenta ma non per questo 
                  poco determinata, contro le divisioni, fisiche e ideali, che 
                  le élites politiche israeliane e palestinesi continuano 
                  a mantenere strumentalmente per ottenere il consenso della paura 
                  e del pregiudizio alle loro politiche. Si tratta degli Anarchici 
                  contro il muro, l’organizzazione orizzontale che più 
                  di ogni altra si batte «in opposizione con le prospettive 
                  personali ed il sistema politico, militare e civile, che all’interno 
                  di Israele sostiene l’occupazione». Nell’opuscolo 
                  Anarchists against the wall, Tsumud. 
                  Resistenza contro l’occupazione, Fano, 
                  Alternativa Libertaria, 2009, descrivono lo spirito 
                  e la sostanza dei loro interventi, animati dalla volontà 
                  di «dedicarsi, armati di corde da rocciatori, di tronchesi 
                  per il fil di ferro e di mazze pesanti, alla decostruzione del 
                  muro di Israele e ad esprimere il loro dissenso contro i blocchi 
                  stradali messi dall’esercito israeliano». Se in 
                  Palestina non si sta bene, nel non lontano Iran non si sta certamente 
                  meglio, anzi! Come si ricorderà alcuni anni fa anche 
                  in quel paese controllato rigidamente dagli Ajatollah ci fu 
                  un tentativo di rivolta, animato dal desiderio, soprattutto 
                  fra le fasce giovanili, di sottrarsi alla cappa di oscurantismo 
                  religioso e controllo poliziesco soffocante di ogni libertà. 
                  Ne parla in un breve opuscoletto Stefano Capello, 
                   La rivolta in Iran, Torino, 
                  Federazione anarchica torinese, 2009, spiegando sia 
                  gli “sporchi” affari che l’Italia, al di là 
                  delle belle parole di facciata pronunciate in nome della democrazia, 
                  continua a fare con questo grande produttore di petrolio, sia 
                  le numerose contraddizioni, in campo economico, politico e religioso, 
                  che fanno di questo paese un miscuglio di nazionalismo, fondamentalismo 
                  e messianesimo. Come si sa, la rivolta si è fermata, 
                  ma non possiamo che augurarci che possa riprendere fiato e ridare 
                  al popolo iraniano quella speranza che oggi sembra perduta.
 
 CONTRO IL CARCERE, CONTRO I CIE Una società senza galere è, da sempre, uno degli 
                  obiettivi di base del movimento anarchico. E la tematica anticarceraria 
                  è sempre stata presente nella propaganda e nella diffusione 
                  del pensiero libertario. Tanto più che non pochi degli 
                  esponenti del nostro movimento (anzi, in certi periodi storici, 
                  praticamente tutti) hanno dovuto affrontare l’esperienza 
                  della reclusione, comminata, spessissimo, senza nessun vero 
                  appiglio legale. Non è certo comunque il caso di Jacob, 
                  il famoso ladro-gentiluomo le cui gesta ispirarono Maurice Leblanc, 
                  il creatore del personaggio di Arsenio Lupin. Tra le altre cose 
                  Alexandre Marius Jacob ha lasciato alcuni scritti 
                  dal carcere oggi raccolti nel libretto Abbasso le 
                  prigioni, tutte le prigioni, Lecce, Bepress, 
                  2009. Espressione di un rifiuto totale delle cosiddette 
                  regole sociali, questi scritti trovano interesse nell’illustrazione 
                  di un modo di pensare decisamente estraneo a ogni forma di perbenismo. 
                  Stesso argomento, ma di tutt’altro spessore, l’interessante 
                  antologia (in parte inedita in Italia) pubblicata da Zero 
                  in Condotta (Milano, 2009): AA. 
                  VV., Dietro le sbarre. Repliche anarchiche 
                  alle carceri ed al crimine, una raccolta di testi 
                  sul tema carcerario di anarchici di varie parti del mondo, accomunati 
                  dall’esperienza, più o meno lunga, fatta in qualche 
                  galera sparsa per il pianeta. Suddiviso in due sezioni, Idee 
                  e Memorie, il volume raccoglie le riflessioni, tra 
                  gli altri, di Emma Goldman, Nestor Machno, Mollie Steiner, Errico 
                  Malatesta, Albert Parsons e Oskar Neebe, tutte segnate dal comune 
                  rifiuto del carcere, sia come strumento repressivo sia come 
                  mezzo educativo. E anche sul concetto di crimine e sulle sue 
                  cause sociali, non si può non trovarvi che una perfetta 
                  comunanza di vedute. In solidarietà con gli anarchici rinchiusi nelle carceri 
                  di vari paesi, dalla Svizzera alla Spagna, dalla Germania al 
                  Cile, è pubblicato l’opuscolo Faccia 
                  a faccia col nemico, Latina, Cassa Anarchica 
                  di Solidarietà Anticarceraria, 2010, che, riecheggiando 
                  il titolo di un famoso lavoro di Luigi Galleani, riporta «scritti 
                  e azioni in merito allo sciopero della fame dei prigionieri 
                  anarchici 2009-2010». Restando in argomento, ma passando 
                  ad altre emergenze, ecco l’opuscoletto autoprodotto Galere 
                  di oggi ingiustizia di sempre, Bologna, 
                  Edizioni Atemporali, 2009, un testo succinto nel quale 
                  si parla dei luoghi di prigionia eufemisticamente chiamati Centri 
                  di identificazione ed espulsione, quelle strutture disumane 
                  nelle quali sono rinchiusi individui che non solo non hanno 
                  commesso reati ma che sono giunti nel nostro paese per sfuggire 
                  alla fame, alla miseria, alle guerre. Gli anarchici sono molto 
                  impegnati su questo versante, come mostra anche l’opuscolo 
                   Sui Cie e sulla lotta per liberarsene. Riflessioni, 
                  percezioni e punti di vista, Roma, Assemblea 
                  Antiautoritaria, 2010, una panoramica a largo raggio 
                  su ciò che riguarda la lotta a queste istituzioni totali 
                  e sulla necessità di farla diventare quanto più 
                  possibile patrimonio comune dei fautori della libertà. 
                  Anche la Federazione Anarchica Torinese, da 
                  tempo impegnata nella lotta ad ogni forma di razzismo e di repressione, 
                  ha pubblicato Sicuri da morire. Per resistere al 
                  pacchetto sicurezza, Torino, 2009, 
                  un opuscolo ricco di informazioni e di amare considerazioni 
                  sulla realtà dei Cie, che contiene molti spunti utili 
                  a far diventare sempre più collettiva l’opposizione 
                  a una deriva che disonora il concetto di solidarietà.
 La lotta contro il potere, si sa, ne provoca la reazione, e 
                  con essa la repressione: sempre più indiscriminata e 
                  refrattaria al rispetto delle sue stesse regole. Ne è 
                  ennesima testimonianza l’opuscolo degli Anarchici 
                  e Anarchiche di Bologna, Repressione, solidarietà, 
                  violenza, Bologna, Circolo Berneri, 2011, 
                  una lunga riflessione «sugli ultimi fatti polizieschi 
                  a danno dei movimenti». Basta leggerlo per farsi venire 
                  il sangue amaro, ma anche per confermarsi nella volontà 
                  di contrapporre alla violenza delle istituzioni una lotta che 
                  sia capace di contrastarla: collettiva, socializzata e orientata 
                  alla condivisione in tutti i segmenti della società civile.
 
 
                  MOVIMENTO CONTEMPORANEO Sono molteplici le forme nelle quali si esprime, oggi, il movimento 
                  anarchico, sia nell’azione quotidiana, sia nell’analisi 
                  della società e dei suoi mutamenti. Un tratto costante, 
                  storicamente sedimentato, è l’opposizione al militarismo 
                  e a tutte le guerre, soprattutto quelle che oggi, con orwelliano 
                  eufemismo, vengono definite “interventi umanitari”. 
                  Non a caso si intitola Chi fa la guerra non va lasciato 
                  in pace! l’opuscolo edito nel 2009 
                  dalla Rete Antimilitarista Anarchica che, già 
                  nel titolo, si propone come una decisa dichiarazione di apertura 
                  delle ostilità contro i guerrafondai di tutti i colori. 
                  Scritto a più mani, raccoglie interventi prodotti nell’ambito 
                  della Coordinazione Anarchica, sia di carattere storico, sia 
                  di carattere analitico. Molto utile, in particolare, l’individuazione 
                  di alcuni obiettivi (basi Usa, F35, occupazioni militari) sui 
                  quali concentrare un’azione antimilitarista di massa. 
                  Sullo stesso tema, e più o meno con identica impostazione, 
                  i materiali di un recente convegno antimilitarista raccolti 
                  nel libro A chi sente il ticchettio. Materiali dal 
                  Convegno antimilitarista di Trento del 2009, Atene, 
                  Rompere le righe, 2009, dove sono scandagliati i problemi 
                  legati all’occupazione militare in alcuni territori, da 
                  Vicenza alla Sardegna, dalla Puglia alla Campania.Un’altra attività largamente praticata dagli anarchici 
                  in questi ultimi anni è quella delle occupazioni autogestite 
                  per la creazione di centri sociali. Fra le più note e 
                  durature quella dello spazio milanese di via Conchetta, conosciuto 
                  anche come Cox 18, un bell’esempio di come sia possibile 
                  creare luoghi di aggregazione, di riflessione collettiva e di 
                  azione libertaria interagendo paritariamente con gli abitanti 
                  del quartiere. Ne parlano gli occupanti storici nel libro a 
                  firma di Cox 18, Archivio Primo Moroni, Calusca City 
                  Lights, Storia di un’autogestione. 
                  Testimonianza breve e sintetica, dal 1976 a metà degli 
                  anni ’90, dei collettivi che hanno gestito via Conchetta 
                  18 a Milano, Milano, Colibrì, 2010, 
                  che ricostruisce, anche attraverso immagini e interviste, la 
                  lunga e gloriosa storia di questa ormai trentennale esperienza. 
                  Un’altra esperienza di occupazione autogestita, protagonista 
                  di iniziative e di lotte memorabili, è quella modenese 
                  di Libera. Una storia collettiva, che ha saputo trovare numerosi 
                  momenti di condivisione delle sue attività a livello 
                  nazionale, diventando uno straordinario punto di riferimento 
                  per gli ambienti libertari alternativi di Modena e delle località 
                  vicine. Una “pericolosa” spina nel fianco dell’amministrazione 
                  rossa, tanto da dare vita a un rapporto conflittuale senza mediazioni: 
                  troppo libera era Libera per non finire distrutta “militarmente” 
                  dalla polizia del potente Partito Democratico (democratico?) 
                  emiliano. Ne parlano, con ricchezza di immagini e di emozioni, 
                  i protagonisti, I Liberi e le libere, in un 
                  gran bel libro non a caso intitolato Libera. Una 
                  sconfitta vinta, Modena, Libera - Unidea, 
                  2010.
 Un posto importante ha sempre avuto, fra gli anarchici, l’impegno 
                  anticlericale, di cui, a lungo, i meeting anticlericali organizzati 
                  a Fano e in altre località hanno dato concreta dimostrazione. 
                  Per quattro anni vi ha portato il suo contributo uno spirito 
                  libero che ha sempre marciato al nostro fianco, Joyce 
                  Lussu, i cui interventi dal 1991 al 1995 sono stati 
                  raccolti nel libro Un’eretica del nostro tempo, 
                  Camerano, Gwynplaine, 2012. Curata da Luigi 
                  Balsamini, e con la prefazione di Mimmo Franzinelli, questa 
                  pubblicazione rende perfettamente lo spirito critico ma anche 
                  profondamente rispettoso dell’autrice, che accompagnava 
                  alla contestazione radicale di ogni forma di autoritarismo un 
                  afflato solidaristico davvero raro.
 È senza dubbio un libro complesso quello di Alex 
                  Foti, Anarchy in the EU. Movimenti pink, 
                  black, green in Europa e grande recessione, Milano, 
                  Agenzia X, 2009, una vasta panoramica sui movimenti 
                  giovanili anarchici attualmente attivi in Europa. Pink, black 
                  e green si riferiscono alle aggregazioni femministe, ai gruppi 
                  di Black Bloc, ai movimenti ecologisti, tutti diversi nell’impostazione 
                  generale, ma tutti partecipi di un identico “programma” 
                  controculturale volto a sovvertire dalle fondamenta le regole 
                  sociali. In appendice una ricca antologia di testi appartenenti 
                  alle aree indagate, «un testo vivace arricchito di schemi 
                  illustrativi, manifesti e testimonianze delle proteste che hanno 
                  agitato l’Europa in questi anni». Un ottimo strumento 
                  per chi voglia informarsi uscendo dalle banalità o dalle 
                  falsità dei media. Proprio per approfondire il fenomeno 
                  di mutazione culturale, di cui sono protagonisti i movimenti 
                  appena citati, il collettivo A.sperimenti ha organizzato un 
                  affollato seminario avente per tema il concetto stesso di rivoluzione. 
                  Il dibattito che vi ha avuto luogo, molto interessante anche 
                  grazie alle riflessioni di alcuni “padri” dell’anarchismo 
                  contemporaneo, è ora riportato nell’opuscolo AA. 
                  VV., Rivoluzione?, Milano, 
                  A.sperimenti, 2011, che raccoglie gli interventi di 
                  Andrea Breda, Andrea Staid, Tomàs Ibañez, Antonio 
                  Senta ed Eduardo Colombo. Cinque ragionamenti su un unico tema, 
                  tutti con l’obiettivo di trasportare il pensiero dalla 
                  teoria alla pratica.
 
                   
                    | 
 |   
                    | Andrea 
                        Papi, 'Partenza per la cameraoscura', in Quando ero la dada coi baffi
 |   Per finire questa carrellata sulle attività dell’anarchismo 
                  contemporaneo, nell’ambito della pedagogia libertaria 
                  si inserisce a pieno titolo il bel libro di Andrea Papi, 
                   Quando ero “la dada coi baffi”. Educare 
                  e autoeducarsi, Ragusa, La Fiaccola, 2011, 
                  la storia della lunga attività dell’autore come 
                  educatore di asilo nido, rara eccezione in una professione praticata 
                  quasi esclusivamente da donne. Come ci si può aspettare, conoscendo Andrea, questo libro 
                  non contiene solo la ricostruzione di una originale esperienza 
                  condotta con intelligente passione – anche se già 
                  questo basterebbe a rendere interessante la lettura – 
                  ma anche un’approfondita riflessione sulla sua “straordinarietà”, 
                  intesa nell’accezione etimologica del termine: straordinaria 
                  perché fuori dall’ordinario. Ed è proprio 
                  per questo che Papi ha voluto raccontarla, per trasmettere, 
                  comunicare, e quindi socializzare, un «patrimonio di idee, 
                  pensieri ed esperienze educative carichi di significati».
 Uno fra i fenomeni emergenti nella nostra società, destinato 
                  ad avere sempre più rilevanza, è senza dubbio 
                  quello dello sfruttamento del lavoro dei migranti. Se in molti 
                  casi vengono riconosciuti a questi nuovi lavoratori gli stessi 
                  diritti di cui godono, in campo sindacale e normativo, i lavoratori 
                  autoctoni, altrettanto spesso però ci troviamo di fronte 
                  a vere e proprie forme di schiavismo. L’analisi dell’evoluzione 
                  multiculturale e multietnica della nostra società da 
                  un punto di vista libertario risponde quindi a un’urgenza 
                  quanto mai attuale. Se ne occupa, con bravura, Andrea 
                  Staid, redattore di Elèuthera e collaboratore 
                  di questa rivista, che nel suo Le nostre braccia. 
                  Meticciato e antropologia delle nuove schiavitù, 
                  Milano, Agenzia X, 2012, raccoglie le testimonianze 
                  «di muratori, badanti, manovali, contadini e attivisti 
                  politici».
 
 ECOMUNICIPALISMO L’armonia fra uomo e natura è da sempre al centro 
                  delle aspirazioni e, naturalmente, dei progetti degli anarchici. 
                  Una società liberata dalla logica del profitto, non più 
                  disposta a sacrificare il bene comune (un ambiente sano) per 
                  gli interessi economici (un ambiente devastato dalla speculazione) 
                  è un obiettivo altrettanto importante di quello più 
                  generale di una società senza potere e sfruttamento. 
                  Non a caso un grande ecologista anarchico, Murray Bookchin, 
                  ha creato la scuola dell’ecologia sociale, coniugando 
                  l’impegno per la difesa dell’ambiente alla visione 
                  utopica della società futura. La summa della sua riflessione 
                  multidisciplinare è oggi raccolta nel volume L’ecologia 
                  della libertà. Emergenza e dissoluzione della gerarchia, 
                  Milano, Elèuthera, 2010, «un grande 
                  classico del pensiero contemporaneo […] che postula, dopo 
                  lo storico emergere ed affermarsi nei millenni del principio 
                  gerarchico, la sua dissoluzione, proponendo un’appassionante 
                  versione sociale dell’ecologia che va ben al di là 
                  del banale ambientalismo conservativo e conservatore oggi prevalente». 
                  Più succinto, e con un fine divulgativo, l’opuscolo, 
                  sempre di Bookchin, La società 
                  organica, Bergamo, Underground [2009], 
                  mentre allo stesso autore è dedicato il lavoro di Ermanno 
                  Castanò, Ecologia e potere, 
                  Milano, Mimesis, 2011, un saggio che «si 
                  propone di ripercorrere in una lettura critica i testi di Bookchin, 
                  e di fornire un’archeologia dei concetti fondamentali 
                  dell’ecologia che sia utile al dibattito animalista, ambientalista 
                  o ecologista, che quotidianamente ne fa la propria attrezzatura 
                  pratica». Spaziando da Foucault ad Adorno, l’autore 
                  affronta tutti gli ambiti nei quali si misurano pensiero e pratica 
                  ambientalista, quelli progettati e prospettati da Bookchin. 
                   
                    | 
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                    | Murray 
                        Bookchin |   Strettamente inerenti alle tematiche ecologiste sono i processi 
                  di trasformazione della convivialità legati alle mutazioni 
                  dei tessuti urbani e degli ambiti sociali. Mutazioni che rendono 
                  sempre più alienante il convivere urbano impedendo quelle 
                  forme di socializzazione che potrebbero mettere in discussione 
                  l’esistente. Ne parla Miguel Amoros ne 
                   La città totalitaria, Torino, 
                  Nautilus, 2009, che evidenzia la necessità di 
                  un programma radicale capace di opporsi a questo sviluppo distorto 
                  per tornare a una città nella quale l’agorà, 
                  la piazza, sia il luogo assembleare di una nuova convivialità. 
                  Sempre a Miguel Amoros si deve un piccolo pamphlet, 
                   L’alta velocità marcia, 
                  Torino, Nautilus, 2012, nel quale l’autore 
                  affronta un argomento quanto mai attuale da una prospettiva 
                  più ampia di quella della semplice lotta a nuove e devastanti 
                  infrastrutture. Infatti la mobilitazione che da mesi scuote 
                  le valli piemontesi, e non solo, trova un senso, secondo l’autore, 
                  soprattutto se si affianca a un intervento più generale 
                  contro il modello di sviluppo che grande capitale e finanza 
                  internazionale vorrebbero imporre come “pensiero unico”. 
                  Tematiche apparentemente dissimili, ma ispirate da un medesimo 
                  sentire, sono quelle proposte in un testo “caposcuola” 
                  ormai diventato un classico. Parliamo di Hakim Bey, 
                   T.A.Z. Zone temporaneamente autonome, 
                  Milano, Shake, 2007, dove si prospettano aree 
                  di società temporaneamente liberate dal capitalismo globalista. 
                  Contro i demenziali progetti nuclearisti fortunatamente stoppati, 
                  almeno da noi, dal recente referendum, si è mossa l’accesa 
                  campagna ambientalista alla quale gli anarchici hanno partecipato 
                  con forte impegno. Particolarmente indovinato appare un agile 
                  libretto uscito nel pieno della controinformazione, 100 
                  e più buone ragioni contro il nucleare, 
                  edito a Pisa dalla Biblioteca Franco 
                  Serantini nel 2010. Introdotto per 
                  questa edizione da Giorgio Ferrari (quella originale è 
                  dei Grünen tedeschi) che ha contestualizzato il testo tedesco, 
                  il volume contiene 101 argomenti topici della questione nucleare, 
                  tutti commentati con un linguaggio comprensibile e con argomenti 
                  precisi ed essenziali: davvero un ottimo esempio di divulgazione. 
                  Sulla stessa lunghezza d’onda, sempre durante la campagna 
                  referendaria, sono usciti nel 2010 i tre opuscoli 
                  curati e stampati dal Gruppo imolese di studi antinucleari 
                  intitolati rispettivamente Il nucleare non è 
                  sicuro, Le scorie nucleari: un problema 
                  irrisolto e Il nucleare non risolve 
                  il problema energetico. Si tratta di strumenti 
                  particolarmente indovinati per la diffusione militante e al 
                  tempo stesso frutto di uno studio accurato e approfondito. Un 
                  piccolo dossier su un altro argomento che sta a cuore a tutti, 
                  la “libertà” dell’acqua, è quello 
                  curato dal Circolo Anarchico Berneri, Sete! 
                  Acqua & Anarchia, Bologna, 2010, 
                  prodotto per contrastare il «progetto governativo di (ulteriore) 
                  privatizzazione dell’acqua». Si tratta di una raccolta 
                  di articoli già pubblicati su «Umanità Nova», 
                  «Sicilia Libertaria» e «A Rivista anarchica».
 Per finire, un bell’esempio di pratiche ambientaliste, 
                  vissute nella mitica Amsterdam degli anni Sessanta. Ne parla 
                  Luca Benvenga ne Il movimento Provo. 
                  Controcultura in bicicletta, Aprilia, 
                  Novalogos, 2012, che fa la storia di quello che fu 
                  un faro di libertà, di fantasia e di provocazione per 
                  la gioventù inquieta di allora. Nato come movimento controculturale 
                  autoemarginato rispetto alla società olandese, il movimento 
                  Provo, grazie alla sensibilità ambientalista e alla capacità 
                  di intercettare le esigenze di una generazione alla quale andavano 
                  strette le formalità, diventò una realtà 
                  concreta di trasformazione, in grado di instillare uno spirito 
                  libertario e per tanti aspetti anche anarchico che costituì 
                  per anni l’onda lunga di un cambiamento che ha lasciato 
                  tracce profonde non solo in Olanda ma nell’intera Europa.
 
 
                  BIOGRAFIE E AUTOBIOGRAFIE Nel corso degli anni si sono fatti sempre più frequenti 
                  gli studi storici su fatti, avvenimenti e personaggi dell’anarchismo, 
                  a dimostrazione sia della rilevanza del pensiero e del movimento 
                  anarchico nella storia contemporanea (a lungo negata dalla convergenza 
                  “negazionista” delle due scuole, marxista e liberale), 
                  sia dell’intensa produzione di una nuova generazione di 
                  ottimi studiosi provenienti dal movimento anarchico. Questi 
                  studi non si limitano a inquadrare e descrivere la presenza 
                  dell’anarchismo nella storia del paese, ma contribuiscono 
                  anche alla riscoperta di alcuni dei personaggi che più 
                  hanno rappresentato le nostre istanze e meglio hanno interagito 
                  con il corpo sociale e con le altre forze della sinistra. Ecco, 
                  quindi, una lunga serie di biografie che permettono di apprezzare 
                  tanto la grandezza morale di queste figure, quanto l’importanza 
                  che il loro lavoro militante ha avuto per lo sviluppo e l’emancipazione 
                  delle classi subalterne, mettendone in risalto l’azione 
                  là dove maggiormente si è esercitata, in campo 
                  sindacale, cooperativo, organizzativo, culturale, intellettuale. 
                   
                    | 
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                    | Celso 
                        Ceretti  |   Cominciamo questo lungo elenco partendo da lontano, cioè 
                  dalle origini risorgimentali del movimento internazionalista. 
                  Franco Verri nel libro dedicato a Celso 
                  Ceretti garibaldino mirandolese, Verona, 
                  Fiorini, 2007, pur parlando di un singolo personaggio, 
                  viene a tracciare il percorso collettivo che coinvolse buona 
                  parte della generazione garibaldina, ossia il passaggio da un 
                  primitivo anelito di giustizia e di libertà all’adesione 
                  a un progetto sociale organizzato e strutturato. Insomma, dal garibaldinismo all’internazionalismo. Esemplare, 
                  da questo punto di vista, appare proprio la figura di Ceretti, 
                  che fece convivere entrambe queste anime nella sua esperienza 
                  di vita.
 In questa rassegna intendo comprendere Andrea Costa. 
                  Infatti, anche se la sua attività si è svolta 
                  in gran parte nell’ambito del socialismo parlamentare, 
                  la sua appartenenza al movimento anarchico, per quanto breve, 
                  è stata di grande importanza. Nel 2011 si sono svolte 
                  a Imola le manifestazioni in occasione del centenario della 
                  morte di Andrea Costa e sono uscite alcune pubblicazioni a lui 
                  dedicate. Una è il repertorio curato da Paola 
                  Mita, Carte e libri di Andrea Costa, 
                  Imola, Biblioteca Comunale, 2011 nel quale, 
                  oltre ad alcuni saggi, è descritta la cospicua corrispondenza 
                  – conservata nel Fondo Costa della Biblioteca imolese 
                  – intrattenuta da Costa nel corso della sua lunga attività 
                  rivoluzionaria, riformista e parlamentare. Sono inoltre elencate 
                  le numerose monografie lasciate alla stessa biblioteca. Consultando 
                  questo lavoro esemplare, risulta impressionante la consistenza 
                  della rete di relazioni intessuta da Costa, non solo sul piano 
                  quantitativo ma anche, e soprattutto, sul piano della “qualità” 
                  dei corrispondenti: non manca nessuno dei personaggi più 
                  importanti del socialismo e dell’anarchismo italiano e 
                  internazionale dell’epoca. Sempre su Costa, di Marco 
                  Pelliconi, Andrea Costa e il Mezzogiorno. 
                  Le carte del Sud presenti nel Fondo Costa della Biblioteca Comunale 
                  di Imola, Imola, Bacchilega, 2010, 
                  un saggio nel quale, attraverso lo spoglio delle carte, sono 
                  esaminate le differenti relazioni intrattenute a vario titolo 
                  da Costa con le terre meridionali. Naturalmente non poteva mancare 
                  un intero capitolo dedicato all’impresa internazionalista 
                  del Matese.
 
                   
                    | 
 |   
                    | Andrea 
                        Costa  |   Di Pietro Gori si è scritto molto 
                  e non sono pochi i volumi che se ne sono occupati. Tiziano 
                  Arrigoni ne ha scritto in modo del tutto particolare. 
                  Infatti, nei suoi due libri, Viaggi ed avventure 
                  di Pietro Gori anarchico, Rosignano Marittimo, 
                  Bancarella, 2010 e Nella terra dei lobos. 
                  In Patagonia con Pietro Gori e Angelo Tommasi, 
                  Piombino, La Botticella, 2012 l’autore 
                  si occupa di alcuni dei tanti viaggi di Gori, in particolare 
                  quello effettuato nella Terra del Fuoco in compagnia del pittore 
                  conterraneo Angelo Tommasi. Arrigoni non si limita a seguire 
                  gli spostamenti dei due, ma descrive anche, in modo curioso 
                  e interessante, la società argentina del periodo, con 
                  le sue grandezze e contraddizioni. Un altro breve studio dedicato 
                  a Gori è di Antonio Bellandi, Carlo 
                  Della Giacoma e Pietro Gori. Musica e politica nella Livorno 
                  di fine Ottocento, Livorno, Quaderni della 
                  Labronica, 2005, lavoro originale su una delle facce 
                  meno studiate del poeta anarchico, quella di librettista d’opera. 
                  Gori infatti non scrisse solo il famoso Calendimaggio, 
                  ma anche Elba, un testo operistico inedito e musicato 
                  dal compositore veronese Della Giacoma, bella figura di spirito 
                  libertario. Anche se centrato soprattutto sull’aspetto 
                  più propriamente musicale, il testo non manca di offrire 
                  spunti inconsueti della vita e delle aspirazioni letterarie 
                  di Gori. 
                   
                    | 
 |   
                    | Pietro 
                        Gori (al centro) con alla sua destra Carlo Meloni |   Ha dato tanto all’organizzazione operaia, nell’Usi 
                  nella prima metà del secolo e successivamente nella Cgil 
                  Gaetano Gervasio, un militante di base capace 
                  di dare robusta concretezza sociale e politica al proprio essere 
                  anarchico e operaio. Non a caso la sua autobiografia, amorevolmente 
                  curata dalla figlia Giovanna, si intitola Un operaio 
                  semplice. Storia di un sindacalista rivoluzionario anarchico 
                  (Milano, Zero in Condotta, 2011), titolo scelto 
                  con molta modestia, perché la sua esistenza, tribolata 
                  ma anche esaltante, non è certo stata “semplice”, 
                  avendo attraversato con ruolo da protagonista tutte le situazioni 
                  calde del secolo, dalla Settimana rossa alla occupazione delle 
                  fabbriche, dalla lotta al fascismo alla resistenza antinazista, 
                  dalla ripresa del movimento dopo il fascismo alla partecipazione 
                  alla stagione sindacale del secondo dopoguerra. Affiancando 
                  sempre all’attività in campo proletario quella 
                  specifica organizzativa, e infatti, non a caso, lo troviamo 
                  ai congressi di fondazione tanto della Unione Anarchica Italiana 
                  nel 1919 quanto della Federazione Anarchica Italiana nel 1945. 
                  Più o meno coetaneo di Gervasio è Maurizio 
                  Garino, l’operaio torinese di cui hanno curato 
                  le memorie Guido Barroero e Tobia Imperato 
                  nel libro Il sogno nelle mani. Torino 1909-1922. 
                  Passioni e lotte rivoluzionarie nei ricordi di Maurizio Garino, 
                  Milano, Zero in Condotta, 2011. Anche in questo 
                  caso troviamo il resoconto di una vita vissuta con intensa tensione 
                  militante, che ha attraversato i momenti più drammatici 
                  ma anche più importanti del radicale scontro di classe 
                  dei primi decenni del ’900. Sviluppato su una vivace e 
                  coinvolgente intervista a Garino realizzata nel 1975 da Marco 
                  Revelli, il racconto del protagonista ci porta, con una immediatezza 
                  accompagnata da notevole lucidità storica e teorica, 
                  nel vivo delle lotte rivoluzionarie di cui l’operaio 
                  torinese fu grande interprete.
 
                   
                    | 
 |   
                    | Gaetano 
                        Gervasio a un convegno della CGIL |   Un altro bellissimo racconto autobiografico è quello 
                  raccolto, alcuni decenni or sono, da Claudio Venza e Clara Germani 
                  dalla voce di Umberto Tommasini, pubblicato 
                  dapprima nel vivace dialetto triestino e oggi riproposto in 
                  lingua. Si tratta di Umberto Tommasini, Il 
                  fabbro anarchico. Autobiografia fra Trieste e Barcellona, 
                  Roma, Odradek, 2011. Divenuto già alla prima uscita una sorta di libro di 
                  culto, il testo continua ad affascinare per l’originalità 
                  della presentazione e per la freschezza con la quale il protagonista 
                  racconta le sue esperienze e quelle di tanti anarchici come 
                  lui, alle prese con gli avvenimenti più importanti del 
                  ’900. Militante di base, organizzatore instancabile, strenuo 
                  oppositore del fascismo e combattente, tra avventurose traversie, 
                  in terra di Spagna, Tommasini contribuì nel secondo dopoguerra 
                  a ricompattare l’ambiente anarchico triestino, consentendo 
                  quella continuità oggi premiata dalla solida presenza 
                  del movimento in città. Già questo basterebbe 
                  a farne apprezzare l’opera, ma leggendo la bellissima 
                  autobiografia dell’anarchico triestino ci accorgiamo che 
                  sono tanti i debiti contratti con lui e con tanti altri compagni, 
                  sparsi qua e là, di cui la sua storia è testimonianza.
 Toni Senta è uno di quei bravi studiosi della nuova generazione 
                  a cui accennavo. Dopo un lungo lavoro di riordino e catalogazione 
                  compiuto nell’imponente Fondo Fedeli custodito all’Iisg 
                  di Amsterdam, Antonio Senta ha pubblicato la 
                  prima biografia, A testa alta! Ugo Fedeli e l’anarchismo 
                  internazionale 1911-1933, Milano, Zero 
                  in Condotta, 2012, leggendo la quale si acquista la 
                  piena percezione dell’importanza che ha avuto, per il 
                  movimento anarchico organizzato, la particolare figura di Ugo 
                  Fedeli. Anche se il periodo considerato è relativamente 
                  ridotto rispetto alla lunga presenza di Fedeli nel movimento, 
                  il libro restituisce comunque la ricchezza di contenuti e contatti 
                  internazionali di un personaggio al quale è intitolato, 
                  non a caso, un fondo documentario di straordinaria entità. 
                  Sempre di Antonio Senta un breve saggio dedicato 
                  a Luigi Galleani e l’anarchismo antiorganizzatore, 
                  Imola, Bruno Alpini, 2012. Già apparso 
                  su «A Rivista anarchica», questo lavoro, in edizione 
                  bilingue, è utile in quanto la figura di Galleani, 
                  così importante nel movimento anarchico di lingua italiana 
                  per gran parte del ‘900, non aveva incontrato, recentemente, 
                  l’interesse che meritava da parte degli storici. Al punto 
                  che di lui manca ancora una biografia completa, in grado di 
                  restituirne la notevole influenza e di spiegare il grande peso 
                  che ebbero gli antiorganizzatori soprattutto nel Nord America. 
                  Potrebbe essere un suggerimento a Senta per una nuova fatica.
 
                   
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                    | La famiglia Cieri (archivioprivato Domenico Cieri, Messico)
 |   Di Antonio Cieri si è ricominciato 
                  a parlare solo in questi ultimi anni. E finalmente! Anarchico 
                  abruzzese, ferroviere, trasferito per punizione a Parma, è 
                  fra gli animatori, con Guido Picelli, della straordinaria resistenza 
                  che il popolo parmigiano di Oltretorrente oppose alle squadracce 
                  di Italo Balbo, intenzionate a conquistare militarmente la città 
                  emiliana. Costretto a lasciare l’Italia con l’avvento 
                  del fascismo, nel 1936 parte dall’esilio francese per 
                  andare a combattere in Spagna contro l’esercito franchista. 
                  E qui, nel 1937, perde la vita combattendo contro i fascisti 
                  spagnoli. Alcuni anni fa a Parma venne apposta una lapide in 
                  memoria. Oggi della sua vita esemplare scrive Giorgia 
                  Sisti ne Lo Stranier. Vita anarchica di 
                  Antonio Cieri, Parma, Fedelo’s Editrice, 
                  2012, consegnandoci un omaggio sentito e commosso. 
                   
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                    | Nello 
                        Garavini  |   Un altro bel volume è quello che raccoglie l’autobiografia 
                  di Nello Garavini, Testimonianze. 
                  Anarchismo e antifascismo vissuti e visti da un angolo della 
                  Romagna, Imola, La Mandragora, 2010. 
                  Il sottotitolo è parzialmente “menzognero”, 
                  perché in realtà la vita di Nello non è 
                  trascorsa solo nei limiti della natia Castelbolognese, ma ha 
                  visto molti dei suoi momenti più importanti altrove, 
                  là dove lo portò il netto rifiuto di convivere 
                  con il fascismo. Prima nel nord Italia e poi a San Paolo del 
                  Brasile, dove continuò per decenni l’attività 
                  antifascista. Pubblicata dopo lunga gestazione, grazie al lavoro 
                  di editing di Gianpiero Landi, questa autobiografia è 
                  esemplare perché, appartenendo a un personaggio apparentemente 
                  di seconda fila (sempre che fra gli anarchici esistano le prime 
                  file), fa capire l’assonanza e le affinità che 
                  uniscono le vite di tanti anarchici, differenti per le circostanze 
                  ma uguali nel pensiero, nell’azione e nell’amore 
                  per l’ideale. Un’altra narrazione autobiografica 
                  è quella dell’«anarchico di Calabria» 
                  Bruno Misefari (Furio Sbarnemi) 
                  che raccolse le proprie considerazioni nel Diario 
                  di un disertore. Un anarchico contro la guerra, 
                  oggi pubblicato da Gwinplaine, Camerano, 2010. 
                  La sua fu un’esperienza comune ai molti anarchici che 
                  si rifiutarono di partecipare al grande macello della guerra 
                  e scelsero di sottrarsi, nonostante i rischi che comportava 
                  la diserzione, alla disumanità che attraversò 
                  l’Europa fra il 1914 e il 1918. Per questo si possono 
                  leggere queste memorie come il libro collettivo di un intero 
                  movimento. 
                   
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                    | Bruno 
                        Misefari  |   Fu un’esistenza particolarmente intensa, ma purtroppo 
                  conclusasi nel modo più drammatico, quella ricostruita 
                  da Giuseppe Galzerano in Enrico 
                  Zambonini. Vita e lotte, esilio e morte dell’anarchico 
                  emiliano fucilato dalla Rsi, Casalvelino, 
                  Galzerano, 2009. Particolarmente accurato, questo studio 
                  ripercorre gli anni dell’esilio in Francia e Belgio, dove 
                  Zambonini andò per sottrarsi alle continue persecuzioni 
                  e violenze fasciste, e quelli della partecipazione alla rivoluzione 
                  spagnola, soffermandosi, in particolare, sull’importante 
                  ruolo avuto dall’anarchico nel creare una scuola per l’infanzia, 
                  in piena guerra civile. Una iniziativa quanto mai indicativa 
                  dell’importanza che gli anarchici, anche in pieno periodo 
                  rivoluzionario, davano all’educazione libertaria, intesa 
                  come momento di emancipazione. Zambonini, dopo essere stato 
                  rimpatriato e confinato a Ventotene, sarà fucilato nel 
                  1944 sull’Appennino reggiano da un plotone di esecuzione 
                  repubblichino, al termine di un processo tragicamente farsesco. 
                   
                    | 
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                    | Enrico 
                        Zambonini  |   L’attentato del 1921 al teatro milanese Diana ha segnato 
                  una sorta di spartiacque all’interno dell’anarchismo 
                  italiano. Tragico nelle conseguenze – 21 morti uccisi 
                  dallo scoppio –, devastante per gli esecutori – 
                  ergastoli e infiniti anni di galera –, drammatico per 
                  il movimento – costretto a difendersi dalla reazione generale 
                  –, l’attentato fu rimeditato e ampiamente vagliato 
                  da uno degli esecutori materiali, Giuseppe Mariani, 
                  che scontò decenni di durissimo carcere. Liberato nel 
                  dopoguerra anche grazie all’intervento di Sandro Pertini, 
                  Mariani consegnò le sue memorie e i suoi ripensamenti 
                  a un bel libro, Memorie di un ex terrorista. Dall’attentato 
                  al “Diana” all’ergastolo di Santo Stefano, 
                  ripubblicato nel 2009 per le edizioni di Genova, 
                  L’ultima spiaggia e arricchito da una interessante 
                  appendice documentaria sia sull’attentato sia sul penitenziario 
                  di Santo Stefano.Un anarchico apparentemente “minore” ma del quale, 
                  leggendone la biografia, si può apprezzare l’importante 
                  ruolo avuto nello sviluppo del movimento a Napoli, è 
                  sicuramente quello cui dedica una attenta biografia Fabrizio 
                  Giulietti, Umberto Vanguardia. Azione e 
                  propaganda di un anarchico napoletano (1879-1931), 
                  Casalvelino, Galzerano, 2009. Anche in questo 
                  caso, si tratta di un’esistenza intensa e avventurosa, 
                  segnata dall’entusiasmo militante e dalla dura repressione 
                  statale e fascista, un’esistenza simile a tante altre, 
                  tutte accomunate dalla medesima intensità nell’adesione 
                  ai propri principi. Militante sindacale, instancabile organizzatore, 
                  propagandista e pubblicista (molti i suoi scritti riprodotti 
                  nel libro), conobbe anch’egli carcere e confino, ma la 
                  sua sete di libertà, propugnata per sé e per gli 
                  altri, non venne mai meno. Non è uno solo, ma sono tre 
                  i protagonisti di una storia sostanzialmente sconosciuta e oggi 
                  riportata alla luce da Giuseppe Alibrandi, 
                  ne Il libertario dei Nebrodi, Marina 
                  di Patti, Pungitopo, 2010. Antonino Puglisi, 
                  Francesco Martino e Leo Giancola 
                  furono gli animatori di un gruppo anarchico siciliano attivo 
                  nel primo dopoguerra e, nonostante le difficoltà di un 
                  ambiente non favorevole, si impegnarono con tutte le forze per 
                  l’affermazione del gruppo. I loro destini furono differenti 
                  perché Giancola emigrò in America dove entrò 
                  a far parte della redazione della «Adunata dei Refrattari» 
                  mentre Puglisi, rimasto al paese, subì ogni sorta di 
                  persecuzione da parte fascista. Sono molti altri, poi, i personaggi 
                  riportai alla luce, in un quadro composito come fu composito 
                  l’anarchismo siciliano.
 
                   
                    | 
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                    | Francesco 
                        Barbieri  |   Viene sempre dal sud, e più precisamente dalla Calabria, 
                  la biografia di un’altra figura non fra le più 
                  conosciute ma sicuramente di notevole rilevanza. Ne scrivono 
                  Giuseppe Candido, Filippo Curtosi 
                  e Francesco Santopolo, nel volume Francesco 
                  Barbieri l’anarchico di Briatico. Una vita rivoluzionaria, 
                  Calabria, Non mollare edizioni, 2011. Una vita 
                  avventurosa quella di Barbieri, trascorsa dapprima 
                  nella nativa Calabria, poi nell’Argentina degli anarchici 
                  espropriatori e conclusasi tragicamente, nel 1937, nella Barcellona 
                  rivoluzionaria. Barbieri, infatti, era stato scelto, per la 
                  sua determinazione di uomo d’azione, come una sorta di 
                  guardia del corpo di Camillo Berneri, e proprio con Berneri 
                  troverà la morte, assassinato da infami sicari stalinisti, 
                  nelle drammatiche giornate controrivoluzionarie del maggio barcellonese. 
                  Un sincero omaggio dei tre autori calabresi a un uomo che meritava 
                  finalmente una accurata biografia. Restando in Calabria, ma partendo dalla Toscana, troviamo le 
                  pagine nelle quali Angelo Pagliaro ricostruisce 
                  le avventurose peripezie di un’intera famiglia. Si tratta 
                  de La famiglia Scarselli. Volti, idee, storie e 
                  documenti di una famiglia anarchica temuta da tre dittature, 
                  Cosenza, Coessenza, 2012. Inizialmente siamo 
                  in Toscana, e per l’esattezza nella patria di Boccaccio, 
                  Certaldo, dove i numerosi componenti di questa famiglia organizzarono 
                  una risoluta resistenza contro il fascismo. Datisi poi alla 
                  macchia, i giovani Scarselli diedero vita alla banda dello Zoppino 
                  (tale era il soprannome del capofamiglia Scarselli) che costituì 
                  una spina nel fianco del nascente regime; solo con la dispersione 
                  in Brasile e in Russia dei componenti della banda, il regime 
                  poté tirare un sospiro di sollievo. Dall’incontro 
                  con gli ultimi componenti di questo bel nucleo famigliare, Germinal 
                  e Spartaco Bottino, figli di Giacomo e Ida Scarselli, entrambi 
                  nati in Brasile ma oggi residenti in Calabria, l’autore 
                  riporta ricordi altrimenti destinati ad andare persi, insieme 
                  con gli ideali che animarono quella piccola schiera di irriducibili 
                  libertari.
 
                   
                    | 
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                    | Emilio 
                        Scarselli  |   Di ben diverso tenore la vita di un altro anarchico non troppo 
                  conosciuto. Ne traccia una succinta biografia Oliviero 
                  La Stella nel volume Francesco Ippoliti. 
                  Un anarchico abruzzese agli inizi del Novecento, 
                  Pescara, Ianieri, 2006. Straordinaria figura 
                  di asceta laico, Francesco Ippoliti fu il preziosissimo «medico 
                  dei poveri» dei contadini abruzzesi, animato in tale missione 
                  dalla profonda adesione all’anarchismo. Attivo all’interno 
                  del movimento con la collaborazione a numerose testate, fu duramente 
                  perseguitato dai fascisti, che non potevano tollerare l’amore 
                  che lo circondava fra la sua gente, e che infatti cercarono 
                  di colpirlo proprio dove sapevano che più gli avrebbero 
                  fatto male, boicottandone metodicamente la missione umanitaria. 
                  Una ulteriore dimostrazione, se ce ne fosse bisogno, della delinquenza 
                  morale del regime.La sua vita trascorse, in gran parte, e molto criticamente, 
                  nei ranghi del partito comunista, ma la sua giovanile e forte 
                  adesione all’anarchismo ne giustifica l’inserimento 
                  in questa bibliografia. Si tratta di Emilio Colombo, 
                  militante di base milanese, di cui scrive Cesare Bermani 
                  in “Filopanti”. Anarchico, ferroviere, 
                  comunista, partigiano, Roma, Odradek, 
                  2010. Ricco di citazioni, di estratti da articoli, 
                  di testimonianze, il ritratto di Colombo esce a tutto tondo 
                  come quello di un vero militante della base operaia, capace 
                  di esercitare il proprio “libero arbitrio” anche 
                  contro le direttive del partito. Di tutt’altro tipo di 
                  “anarchico” parla il libro di Pino Corrias, 
                   Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a 
                  Milano, Milano, Baldini Castoldi, 2009. 
                  Bianciardi non fu anarchico nel senso stretto della parola, 
                  non militò nel movimento libertario ma fu, anzi, vicino, 
                  in varie fasi, al partito comunista. Eppure il suo modo di affrontare 
                  l’esistenza, criticamente libero e irriverente, e di partecipare 
                  alla vita sociale del Paese ne fanno, a buon diritto, un vero 
                  libertario. Proprio per l’incapacità di accettare 
                  compromessi con i meccanismi del potere, la sua fu una «vita 
                  agra», in sintonia con il suo libro più famoso, 
                  l’autobiografia intitolata, appunto, La vita agra. 
                  E Corrias, con affetto e partecipazione, la ricostruisce cercando 
                  testimonianze e ricordi fra quanti lo hanno conosciuto e gli 
                  hanno voluto bene.
 Le neonate edizioni del Centro Documentazione Franco 
                  Salomone di Fano hanno dedicato la 
                  loro prima pubblicazione nel 2011 a Un 
                  rivoluzionario di ponente. Franco Salomone: le lotte di ieri, 
                  l’alternativa di domani, curata da Roberto 
                  Meneghini e Donato Romito. «Savonese di nascita ma internazionalista 
                  militante, attivista sindacale e comunista libertario, Franco 
                  Salomone (1948-2008) ha dedicato la sua vita alla lotta 
                  di classe, alle lotte sociali, all’organizzazione rivoluzionaria 
                  per l’anarchia e il comunismo», e qui sono raccolti 
                  alcuni documenti che ne testimoniano il pensiero e l’impegno. 
                  Ha scelto invece altre strade, decisamente differenti, per “praticare” 
                  l’anarchismo, Claudio Lavazza, che ripercorre 
                  le sue traversie nel racconto Pestifera la mia vita, 
                  Cuneo, Biblioteca popolare Rebeldies, 2011. 
                  Oggi Lavazza sta scontando lunghi anni di carcere in Spagna, 
                  dove portò il proprio agire “illegalista e insurrezionalista” 
                  quando dovette fuggire dall’Italia per sottrarsi all’arresto, 
                  e leggendo queste pagine appare chiaro come, nel suo caso, non 
                  si possa proprio parlare di pentitismo.
 Buono, affabile e disponibile, Goliardo Fiaschi 
                  lo abbiamo conosciuto quasi tutti, e quasi tutti abbiamo frequentato 
                  la sua libreria-circolo culturale situata nel cuore di Carrara. 
                  Giovanissimo partigiano, l’anarchico Goliardo (anarchico 
                  anche nell’indeterminatezza del nome: Goliardo o Gogliardo?) 
                  entrò in contatto, nei primi anni del dopoguerra, con 
                  gli anarchici spagnoli che ancora cercavano di abbattere il 
                  regime franchista con la lotta clandestina. Arrestato in Spagna 
                  durante un’azione, dovette affrontare per lunghi, troppi 
                  anni, una dolorosa carcerazione, che lo portò a conoscere 
                  le prigioni di mezza Spagna e mezza Italia. Quando finalmente 
                  ritrovò la libertà, riprese il proprio posto nel 
                  movimento dedicandosi con rinnovato entusiasmo alle attività 
                  degli anarchici carraresi. Di questa generosa esistenza scrive 
                  oggi Gino Vatteroni in Fóc 
                  al fóc. Goliardo Fiaschi: una vita per l’anarchia, 
                  Carrara, Circolo Culturale Gogliardo Fiaschi, 2012. 
                  Un sentito e documentato omaggio che non possiamo non apprezzare.
 Fino ad ora ci siamo occupati di anarchici italiani, ma vanno 
                  segnalati anche alcuni testi che ci portano in altri paesi. 
                  Cominciamo con la ristampa di un libro tanto famoso quanto fino 
                  a ieri introvabile, e che ebbe, a suo tempo, grande fortuna 
                  fra un pubblico di lettori appassionati e… solidali. Si 
                  tratta delle memorie autobiografiche di Clement Duval, 
                   Il fuggiasco della Guyana, Milano, 
                  Kaos, 2012, il leggendario anarchico illegalista francese 
                  che trascorse lunghi anni nei bestiali bagni penali nei quali 
                  la democratica Francia mandava a rinsavire i suoi figli “irregolari”. 
                  Sono memorie estremamente avvincenti pure se in effetti non 
                  sarebbero tutte farina del sacco di Duval – anche se sue 
                  sono le vicende narrate – ma piuttosto del sacco di ben 
                  altro personaggio, quel Galleani, grande scrittore, di cui abbiamo 
                  parlato poco sopra. Infatti l’edizione francese originale 
                  riempie appena una settantina di pagine, mentre quella riproposta 
                  oggi, e uscita in prima edizione per la «Adunata dei Refrattari» 
                  negli anni Trenta, ne contiene oltre cinquecento. Comunque sia, 
                  il libro è di grande interesse, anche se spesso ci si 
                  deve fermare per digerire tutte le infamie che vi sono descritte. 
                  Molto avvincente anche il lavoro di Jean-Marc Delpech, 
                  che ha licenziato alle stampe la biografia di un personaggio 
                  più volte incontrato in queste pagine: Rubare 
                  per l’anarchia. Alexandre Marinus Jacob, ovvero la singolare 
                  guerra di classe di un sovversivo della belle époque, 
                  Milano, Elèuthera, 2012. Una biografia 
                  completa, questa, arricchita da una precisa cronologia e, soprattutto, 
                  dalla riproduzione del Perché ho rubato?, l’avvincente 
                  dichiarazione con la quale Jacob “spiegò” 
                  ai giudici che l’avrebbero condannato le mille ragioni 
                  che lo avevano spinto sulla strada del «lavoro di notte». 
                  Di contenuto meno drammatico, la biografia che Bernard 
                  Thomas dedica a Lucio Urtubia. L’anarchico 
                  irriducibile, Lecce, Bepress, 2012. 
                  Su questo anarchico spagnolo vivente in Francia è uscito 
                  recentemente anche un film, e in effetti la sua storia merita 
                  attenzione. Infatti questo militante anti franchista di origini 
                  proletarie si rifugia in Francia per sottrarsi al servizio militare 
                  e da allora la sua vita diventa quella di «un Robin Hood 
                  moderno, contrabbandiere, disertore, militante anarchico, rapinatore, 
                  falsificatore di documenti e di soldi». Il suo capolavoro, 
                  che lo ha reso famoso, fu quello di truffare tre miliardi di 
                  pesetas alla First National City Bank, ma nonostante il colpaccio, 
                  continua a vivere tuttora a Parigi della sua pensione di muratore. 
                  Come si può immaginare, la lettura di questo libro è 
                  altrettanto appassionante quanto lo è stata chiaramente 
                  la sua vita.
 
 
                  BIOGRAFIE COLLETTIVE Sono molte le biografie raccolte nel volume Le 
                  figure storiche dell’Unione Sindacale Italiana, 
                  Ancona, USI-AIT, 2012. In questo libro, edito 
                  dall’Usi nel centenario della sua fondazione, si cimentano 
                  nove studiosi per undici biografie di militanti sindacali che 
                  nel corso degli anni hanno partecipato all’intensa vita 
                  di questo sindacato rivoluzionario, all’interno del quale 
                  gli anarchici hanno avuto, e hanno tuttora, parte preminente. 
                  Accanto alle figure di Alceste De Ambris, Filippo Corridoni, 
                  Alibrando Giovannetti, diretta espressione del sindacalismo 
                  rivoluzionario (non tutti faranno una fine coerente), troviamo 
                  alcuni degli esponenti anarchici più significativi dell’Usi, 
                  quali Armando Borghi, Clodoveo Bonazzi, Virgilia D’Andrea, 
                  Alberto Meschi, Pietro Comastri, Libero Dall’Olio, Camillo 
                  Berneri e Umberto Marzocchi. Un bel ritratto di famiglia – 
                  nel quale troviamo alcune foto inedite – che mostra la 
                  continuità e la consistenza della presenza anarchica 
                  organizzata in campo sindacale. Ancora una volta Pino Cacucci si dedica, con 
                  la usuale bravura, a narrare vite difficili, tormentate, spesso 
                  tragiche, ma sempre degne di essere vissute. Lo scrittore torna 
                  in libreria con Nessuno può portarti un fiore, 
                  Milano, Feltrinelli, 2012, una piccola antologia 
                  di sette esistenze libertarie, uomini e donne, in Italia, in 
                  Europa, nelle lontane Americhe, che nella diversità di 
                  situazioni, ideali e pensiero hanno avuto il tratto comune di 
                  interpretare i drammi del secolo passato. Alcuni, forse, solo 
                  perché travolti dagli avvenimenti, ma non certo nel caso 
                  della giovanissima partigiana felsinea Edera De Giovanni, uccisa 
                  dai fascisti per il suo coraggio – le hanno reso recentemente 
                  omaggio gli anarchici bolognesi – né di Sante Pollastro, 
                  che scontò lunghi anni di galera per la sua irriducibile 
                  passione illegalista, e nemmeno di Duval (parliamo di lui anche 
                  altrove in questa bibliografia) o di Horst Fantazzini, il «rapinatore 
                  gentile» morto assurdamente durante la sua ultima impresa. 
                  Con partecipazione torna ad occuparsi degli anarchici il giornalista 
                  reggiano Fabrizio Montanari che nel libro Inseguendo 
                  il vento della libertà, Reggio 
                  Emilia, L’Autore, 2008, narra la «storia 
                  verosimile di tre amici nella tempesta del primo Novecento, 
                  tra amori, esilio, guerre e lotte politiche». I tre sono 
                  i reggiani Torquato Gobbi, Camillo Berneri e Pietro Montasini, 
                  e il racconto si svolge sulla traccia della autobiografia che 
                  Gobbi, prima di suicidarsi a Montevideo, volle lasciare alla 
                  nipote. Torquato narra le sue avventurose vicende e quelle di 
                  Camillo, ucciso dagli stalinisti a Barcellona, e di Pietro, 
                  ucciso l’anno successivo a Mosca da mani guidate dalla 
                  logica criminale del “comunismo in un paese solo”, 
                  quella per cui chi non era d’accordo era un nemico da 
                  eliminare. Un libro che fa riflettere sulle aberrazioni che 
                  nel Novecento rovinarono i sogni di mondi migliori.
 Ancora tre biografie, tracciate da Marco Cicala 
                  in Tre anarchici: il poeta, il rivoluzionario, il 
                  falsario, Udine, Forum, 2011, 
                  dove il poeta è l’uomo di teatro, partigiano e 
                  deportato Armando Gatti, il rivoluzionario Abel Paz – 
                  che non ha bisogno di presentazioni – il falsario, manco 
                  a dirlo, Lucio Urtubia, in questi ultimi tempi sempre più 
                  agli onori delle cronache. Indubbiamente tre diverse rappresentazioni 
                  dell’anarchismo, tre interpretazioni dei rispettivi ruoli 
                  svolti all’inseguimento della libertà, ma tutte, 
                  come raccontano le loro storie, dotate della stessa intensità.
 Storie collettive, che questa volta si intrecciano fortemente 
                  con le vicende di un’intera cittadina, sono quelle vissute 
                  in una delle più belle località della Toscana, 
                  e quindi d’Italia. Duccio Benvenuti offre 
                  uno squarcio su una presenza anarchica quasi ininterrotta nel 
                  libro Cravatte nere. Storie degli anarchici di Volterra, 
                  Volterra, Distillerie, 2009. In gran parte 
                  si tratta di artigiani alabastrai che contribuirono a fare di 
                  Volterra una città refrattaria alle sirene del potere 
                  e all’adesione al fascismo. Sono storie semplici, senza 
                  particolari eroismi se non quelli di chi ogni giorno afferma 
                  la propria dignità di uomo libero in faccia al potere, 
                  alla repressione, all’emarginazione; quindi storie parallele 
                  a quelle degli altri anarchici che nel corso degli anni hanno 
                  attestato e propagandato il proprio ideale, sempre e dovunque. 
                  Restiamo in Toscana, a Carrara, la “patria” – 
                  sempre che gli anarchici abbiano una patria – dell’anarchismo. 
                  Ne parla Marco Rovelli ne Il contro 
                  in testa. Gente di marmo e d’anarchia, Bari, 
                  Laterza, 2012, che affronta sul filo della memoria 
                  la storia di Carrara e dei suoi irriducibili e duri abitanti. 
                  Ne esce uno spaccato avvincente e fortemente sentito, che attraversa 
                  cave e cantine e si pasce del sole accecante delle Apuane e 
                  del generoso vino locale bevuto, come si deve, con malinconica 
                  allegria. Sono tante le persone che si incontrano, alcune note, 
                  molte sconosciute, ma tutte raccontate con l’affetto di 
                  chi sa di dovere molto a questa città. Ma anche con l’amarezza 
                  nel constatare come il suo spirito ribelle fatichi sempre più 
                  a ritrovarsi e quanti danni abbiano fatto la speculazione edilizia 
                  e l’inquinamento ambientale.
 Un tassello mancante alla storia dell’anarchismo italiano 
                  è stato riempito da Pasquale Grella 
                  che, nel suo ponderoso lavoro Appunti per la storia 
                  del movimento anarchico romano dalle origini al 1946, 
                  Roma, L’autore, 2012, ricostruisce l’intensa 
                  attività militante, particolarmente in campo sindacale 
                  e antifascista, degli anarchici della capitale. Soprattutto 
                  interprete dell’anarchismo organizzatore e federalista, 
                  l’anarchismo romano ha espresso numerose figure di caratura 
                  nazionale, che non raramente hanno condizionato l’attività 
                  e le scelte del movimento nazionale. Sono più di un centinaio 
                  le biografie di questi compagni riportate in appendice, risultato 
                  di un lavoro prezioso di scavo negli archivi pubblici e nelle 
                  pubblicazioni dell’epoca.
 
                   
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                    | Cena a casa Borghi, a Roma.Da sinistra: Armando Borghi, Pia Zanolli Misefari,
 Mario Mantovani, Catina Ciullo, Umberto Marzocchi
 |   Il Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani 
                  ha rappresentato un notevole stimolo alla ricerca storiografica, 
                  facendo emergere in particolare le biografie dei personaggi 
                  cosiddetti minori. Così, dopo l’uscita di uno studio 
                  preliminare sull’anarchismo a Modena di alcuni anni fa, 
                  si deve ora ad Andrea Pirondini l’approfondimento 
                  definitivo, Anarchici a Modena. Dizionario biografico, 
                  Milano, Zero in Condotta, 2012, un lavoro particolarmente 
                  prezioso per il ricco apparato storiografico che accompagna 
                  le numerose biografie dei militanti anarchici della città 
                  emiliana. Altre località si sono progressivamente aggiunte 
                  a quelle che possono presentare una ricognizione pressoché 
                  completa dei propri militanti. Si tratta della Calabria, dell’Abruzzo 
                  e del Bergamasco. In Abruzzo Edoardo Puglielli 
                  ha dedicato due volumi al movimento della regione. Il primo, 
                  frutto di notevole fatica e capacità di ricerca, è 
                  il Dizionario degli anarchici abruzzesi, 
                  Chieti, Centro Studi Libertari Di Sciullo, 2010, 
                  una raccolta di ben 150 biografie, a dimostrazione che anche 
                  una regione apparentemente periferica come presenza e rilevanza 
                  del movimento anarchico ha fatto emergere tante figure di militanti, 
                  anche di caratura nazionale. Basti citare Carlo Tresca, Virgilia 
                  D’Andrea, Camillo Di Sciullo, Nino Postiglione, Severino 
                  Di Giovanni, Antonio Cieri. Per approfondire la conoscenza dell’anarchismo 
                  abruzzese, sempre di Edoardo Puglielli, Il Movimento Anarchico 
                  Abruzzese 1907-1957, L’Aquila, Textus, 2010, un’approfondita 
                  ricerca che, partendo dai primi anni del Novecento e dalla partecipazione 
                  del movimento locale ai moti della Settimana Rossa e del Biennio 
                  Rosso, arriva fino alla ripresa dopo la caduta del fascismo 
                  e alla ricostruzione di un movimento che non aveva mai smesso 
                  di partecipare alla vita sociale della regione. Ben vengano 
                  studi come questi, capaci di integrare notizie e dati apparentemente 
                  localisitici con quelli della storia nazionale. Rendendo la 
                  conoscenza di quest’ultima ancora più piena e comprensibile.Sullo stesso registro il lavoro di Katia Massara 
                  e Oscar Greco, Rivoluzionari e 
                  migranti. Dizionario biografico degli anarchici calabresi, 
                  Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2010. Anche 
                  in questo caso l’accurato lavoro degli autori permette 
                  di affrontare con uno sguardo diverso una realtà meridionale, 
                  che si pone apparentemente ai margini di quella nazionale. Significativo 
                  il dato che descrive come la gran parte degli oltre 500 biografati 
                  (non si dica che gli anarchici calabresi sono pochi) abbia svolto 
                  la propria attività o nel Nord Italia o all’estero, 
                  soprattutto in Argentina, a riprova del tremendo peso che il 
                  fenomeno dell’emigrazione coatta ebbe nell’incompiuto 
                  processo di trasformazione della Calabria. L’analisi storica 
                  ad ampio spettro contenuta nella lunga introduzione dei due 
                  autori e il ricco apparato di indici tematici rendono ancora 
                  più interessante e stimolante l’approccio a questa 
                  ricerca. Una sorta di dizionario biografico, corredato dalla 
                  pubblicazione di numerosi documenti, illustrazioni e interessanti 
                  note cronologiche è il volume di Albino Bertuletti 
                  e Alberto Gotti, Anche noi eravamo 
                  storia. Alle origini dell’anarchismo bergamasco, 
                  vol. I, Bergamo, Centro Studi P. C. Masini e Spazio 
                  Anarchico Underground, 2010, frutto di una ricerca 
                  sui «bergamaschi attivi nei gruppi anarchici di Milano 
                  1880-1900». Anche in questo caso c’è ragione 
                  di sorprendersi nel vedere come la bianchissima e bigotta bergamasca 
                  sia stata capace di dar vita a tanti fautori del progresso sociale 
                  e militanti del libero pensiero.
 
 
                  STORIA Sono molti i testi che ripercorrono la storia dell’anarchismo, 
                  italiano e internazionale, partendo dalle prime fasi insurrezionali 
                  per giungere progressivamente ai maturi processi organizzativi 
                  degli anni più recenti.Per comprendere appieno la genesi dei primi afflati libertari 
                  in Italia, si deve partire dalla fase risorgimentale, nella 
                  quale si affacciarono molte delle tematiche che sarebbero poi 
                  state sviluppate dal pensiero anarchico. L’autodeterminazione 
                  dei popoli, la lotta al potere temporale della Chiesa, la necessità 
                  dell’emancipazione dei ceti popolari furono infatti fra 
                  gli elementi pregnanti delle urgenze risorgimentali. Se ne coglie 
                  l’importanza, non sempre adeguatamente indagata, nel bel 
                  volume che riunisce gli atti di un recente convegno dedicato 
                  a Luigi Di Lembo, il nostro carissimo compagno e studioso recentemente 
                  scomparso. Elementi libertari nel Risorgimento livornese 
                  e toscano. Atti del convegno di studi di Livorno, 26 marzo 2010. 
                  In memoria di Luigi Di Lembo è il titolo 
                  del volume curato da Giuseppe Gregori e Giorgio 
                  Sacchetti, Prato, Pentalinea, 2012, che raccoglie tutte 
                  le relazioni, da quella di Fabio Bertini sulla natura profondamente 
                  libertaria del pensiero di Pisacane a quella di Natale Musarra 
                  dedicata ai patrioti siciliani esiliati in Toscana.
 
                   
                    | 
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                    | Pier 
                        Carlo Masini  |   Sicuramente ispirata al “colpo di mano” predicato 
                  dai mazziniani fu l’impresa che vide un pugno di internazionalisti, 
                  guidati da Cafiero e Malatesta, tentare di sollevare le plebi 
                  meridionali nel 1877. Si tratta della famosa Banda del Matese, 
                  che per alcuni giorni scorrazzò in questo massiccio fra 
                  Campania e Molise occupando municipi, bruciando carte bollate 
                  e sabotando i contatori necessari al calcolo della odiata tassa 
                  sul macinato. Le fasi di questa epica impresa, forse il momento 
                  più alto dell’azione dei primi internazionalisti, 
                  fu il soggetto di un classico del 1958 di Pier Carlo 
                  Masini, Gli Internazionalisti: la Banda 
                  del Matese (1876-1878), oggi riproposto per i 
                  tipi di Franco Di Sabantonio, Roma, 2009. Sullo 
                  stesso argomento il corposo lavoro di Bruno Tommasiello, 
                   La Banda del Matese (1876-1878). I documenti, le 
                  testimonianze, la stampa dell’epoca, Casalvelino, 
                  Galzerano, 2009, che riunisce la pressoché completa 
                  raccolta di testimonianze su quell’impresa: dalle impressioni 
                  dei protagonisti alle arringhe degli avvocati difensori dei 
                  processati, dalla ricostruzione dei fatti del procuratore Forni 
                  alle lettere dal carcere, dagli articoli dei giornali alla bellissima 
                  prefazione che Malatesta scrisse per l’opera di Max Nettlau, 
                  Bakunin e l’Internazionale in Italia, uscita 
                  in Svizzera nel 1928; prefazione nella quale uno dei massimi 
                  ispiratori dell’impresa propone interessanti considerazioni 
                  sia sulla Banda sia, più in generale, sull’attività 
                  della gloriosa Internazionale antiautoritaria italiana.Alla luce del sostanziale fallimento, almeno sul piano dei risultati 
                  immediati, di queste esperienze insurrezionali si sviluppò, 
                  nell’ambito della Prima internazionale, una riflessione 
                  intesa a rivedere metodi e obiettivi della lotta sociale. Anche 
                  sotto l’impulso della celebre Lettera agli amici di 
                  Romagna nella quale Andrea Costa proponeva l’entrata 
                  nelle istituzioni, nacque il Partito Socialista Rivoluzionario 
                  Romagnolo, all’interno del quale convissero le due anime 
                  del primo socialismo. La sua storia, breve ma non per questo 
                  meno importante, è ricostruita con accuratezza da Emilio 
                  Gianni, La parabola romagnola del “partito 
                  intermedio”. I congressi del Partito Socialista Rivoluzionario 
                  Romagnolo (1881-1893), Milano, Pantarei, 
                  2010, anche se a volte il giudizio del politico tende 
                  a sovrapporsi all’obiettività dello storico.
 Come si sa, la nascita del Primo Maggio, giorno di lotta dedicato 
                  al lavoro, è strettamente legata alla tragica vicenda 
                  ottocentesca della bomba scoppiata nel corso di una manifestazione 
                  di lavoratori nella piazza di Haymarket a Chicago. Del fatto, 
                  chiara provocazione poliziesca, furono incolpati sette anarchici 
                  americani in gran parte di origine tedesca e cinque di questi 
                  furono condannati alla pena capitale e successivamente giustiziati. 
                  Ormai la storia è ampiamente nota e non può essere 
                  né ignorata né messa in sordina quando si vuole 
                  fare la storia di questo giorno. Ci riesce, invece, con abilità 
                  degna di miglior causa, Francesco Renda, che 
                  nel suo Storia del Primo Maggio. Dalle origini ai 
                  giorni nostri, Roma, Ediesse, 2009, 
                  tratta dei fatti di Chicago in ben… cinque delle quasi 
                  trecento pagine del suo lavoro.
 È una prospettiva decisamente inusuale, tanto originale 
                  quanto suggestiva, quella da cui parte Maurizio Antonioli 
                  in Sentinelle perdute. Gli anarchici, la morte, 
                  la guerra, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 
                  2009, un libro denso di contenuti, nel quale il controverso 
                  ma costante rapporto tra “l’anarchico” e la 
                  prospettiva della morte viene scandagliato in tutte le sue componenti: 
                  dalla morte “bella e vendicatrice” che colpisce 
                  il tiranno a quella inutile e mostruosa sui campi delle battaglie, 
                  da quella cantata dalla retorica dannunziana a volte fatta propria 
                  anche da ambiti del movimento, a quella «di chi cade combattendo 
                  contro il tiranno: il titano, l’eroe, il martire». 
                  Decisamente opportuna questa ricognizione su una produzione 
                  retorica che non raramente viene ad interessarci. Sempre di 
                  Maurizio Antonioli, Figli dell’officina. 
                  Anarchismo, sindacalismo e movimento operaio tra Ottocento e 
                  Novecento, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 
                  2012. Si tratta di una raccolta di saggi sull’argomento 
                  di cui l’autore è un indubbio maestro, vale a dire 
                  il rapporto simbiotico ma spesso anche conflittuale fra anarchismo 
                  e sindacalismo rivoluzionario. Sono tanti i personaggi che si 
                  incontrano, figure ancora in grado di trasmettere qualcosa di 
                  più dei semplici fatti che li hanno visti protagonisti, 
                  qualcosa di intimamente legato alla forza e al valore dei loro 
                  ideali e del loro impegno. Riportarne alla luce l’esempio 
                  e il lavoro è l’obiettivo che questo libro raggiunge 
                  compiutamente.
 
                   
                    | 
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                    | Alex 
                        Butterworth |   È passato abbastanza inosservato eppure, a mio parere, 
                  è uno dei testi più significativi usciti in questi 
                  ultimi tempi. Si tratta del complesso e sapiente studio di Alex 
                  Butterworth, Il mondo che non fu mai. Una 
                  storia vera di sognatori, cospiratori, anarchici e agenti segreti, 
                  Torino, Einaudi, 2011, che tratta degli intricati 
                  rapporti intercorsi negli ultimi decenni dell’800 fra 
                  i rivoluzionari di mezza Europa e le polizie e i servizi segreti 
                  tanto delle rare democrazie quanto delle numerose autocrazie 
                  dell’epoca. Sviluppato soprattutto sugli avvenimenti francesi 
                  (La Comune di Parigi e le sue conseguenze in termini di repressione), 
                  inglesi (il composito mondo dei rivoluzionari europei che lì 
                  confluivano), americani (l’accoglienza degli emigrati 
                  sovversivi) e russi (la lotta allo zarismo di populisti e anarchici) 
                  l’indubbio interesse del libro sta nel riuscire a ricostruire 
                  con ricchezza di documentazione le complicate e spesso sorprendenti 
                  relazioni che intercorrevano fra i rivoluzionari (in primis 
                  gli anarchici) e le forze istituzionali preposte al controllo 
                  della sovversione. L’autore, nonostante da buon britannico 
                  si conceda qualche affermazione opinabile, dipinge un quadro 
                  di grande interesse su questi intrecci, mostrando quanto fossero 
                  stretti, purtroppo spesso, anche i rapporti fra “guardie 
                  e ladri”. Vista la mole del volume, oltre 600 pagine, 
                  ci si potrebbe spaventare ma, parlandone per esperienza diretta, 
                  mi sento di consigliarlo. C’è solo da imparare!Sempre sui rapporti conflittuali fra sovversione e “giustizia”, 
                  fra “malfattori” e sbirri, sono recentemente comparsi 
                  in libreria altri due ottimi volumi di valenti studiosi. Il 
                  primo, di Susanna Di Corato Tarchetti, Anarchici, 
                  governo, magistrati in Italia 1876-1892, Torino, 
                  Carocci, 2009, partendo dall’episodio della Banda 
                  del Matese, illustra i duri strumenti messi poi in atto da governo 
                  e magistratura per far fronte a una emergenza a cui ancora non 
                  si era preparati. Il passaggio dalla fase insurrezionale a quella 
                  più matura dell’organizzazione sociale viene indagato 
                  attraverso la lettura dei congressi locali e nazionali, sia 
                  quelli promossi dal nascente socialismo parlamentare sia quelli 
                  a cui dà vita l’anarchismo, ultimo quello di Capolago. 
                  E sono descritti, in parallelo, i numerosi processi che verranno 
                  istruiti in Italia, con le stesse finalità repressive 
                  ma con impostazioni diverse, dovute all’incertezza all’interno 
                  della magistratura su quali dovessero essere i metodi più 
                  efficaci per imbrigliare la sovversione. Di ambito più 
                  limitato, ma non per questo meno interessante, sono i fatti 
                  di cui scrive Piero Brunello nel suo Storie 
                  di anarchici e di spie. Polizia e politica nell’Italia 
                  liberale, Roma, Donzelli, 2009. 
                  Partendo dalle indagini sugli incontri clandestini dei sovversivi 
                  nel padovano, Brunello illustra i passaggi attraverso i quali 
                  la polizia, nell’inseguimento spasmodico di ogni forma 
                  di sovversione, viene affinando i suoi strumenti di controllo 
                  e d’indagine, dando vita a quelle forme di schedatura 
                  che troveranno piena realizzazione sotto il regime fascista. 
                  Le vicende di cui tratta hanno luogo fra Venezia, Padova, Monselice 
                  (allora uno dei centri più importanti del nascente Internazionalismo) 
                  e su tutto campeggia il famigerato Terzaghi, l’internazionalista 
                  che, al soldo della polizia, contribuirà a creare scompiglio 
                  fra le file degli anarchici, ma, al tempo stesso, renderà 
                  questi più consapevoli dello “sporco” gioco 
                  della repressione.
 Quella stessa repressione che si accanisce contro Romeo Frezzi, 
                  il socialista anarchico romano morto “misteriosamente” 
                  nel carcere di Regina Coeli nel 1897. Accusato ingiustamente 
                  di complicità con il fallito regicida Acciarito, Frezzi 
                  dovette subire angherie e maltrattamenti, fino a essere “suicidato” 
                  dalle guardie carcerarie, coperte nel loro infame lavoro dalla 
                  direzione del carcere e dal potere politico, ostinatamente interessato 
                  a troncare ogni tentativo di riscatto delle masse popolari. 
                  Documenta questa amara storia, con passione e ricchezza di documentazione, 
                  Ferdinando Cordova in Alle radici 
                  del Malpaese. Una storia di potere nell’Italia di fine 
                  ’800, Roma, Manifestolibri, 2011. 
                  Del resto anarchici, comunisti, socialisti e sovversivi il carcere 
                  lo hanno ben conosciuto, non trascurando, spesso, di lasciare 
                  traccia del loro passaggio nelle celle che li avevano involontari 
                  ospiti. Lo testimonia un curioso studio, di notevole interesse 
                  anche per l’originalità del tema trattato, pubblicato 
                  dalle Edizioni ETS di Pisa 
                  nel 2010. Si tratta di Condannato perché 
                  nacque. I graffiti del carcere di Vicopisano tra Otto e Novecento, 
                  curato da Lorenzo Carletti, con prefazione 
                  di Massimo Carlotto. Illustrando le commoventi immagini dei 
                  graffiti conservati sui muri della prigione, l’autore 
                  riporta con dovizia di particolari tanto la spesso sgrammaticata 
                  – ma non per questo meno convincente – protesta 
                  scritta sulle pareti, quanto le succinte biografie degli autori 
                  di tali testimonianze: anarchici, socialisti, comunisti, mazziniani 
                  ma anche, qua e là, qualche ladruncolo o truffatore. 
                  Un lavoro insolito, che offre un quadro qui limitato a Vicopisano 
                  ma che avrebbe potuto essere “dipinto” sicuramente 
                  in tutte le carceri del Paese.
 Il costante e contraddittorio rapporto fra violenza e anarchismo, 
                  uno dei topoi più significativi del movimento soprattutto 
                  in passato, è il tema affrontato da Erika Diemoz 
                  nel libro A morte il tiranno. Anarchia e violenza 
                  da Crispi a Mussolini, Torino, Einaudi, 
                  2011. Scritto in forma inutilmente accattivante, se 
                  non a volte addirittura irritante, e in più parti con 
                  lacune e interpretazioni forzate di fatti, personaggi e avvenimenti, 
                  il testo ha comunque un suo interesse soprattutto quando affronta 
                  la figura di Emidio Recchioni, l’anarchico marchigiano 
                  che fece fortuna a Londra e che dalla capitale britannica fornì 
                  incessantemente aiuto, anche materiale, ai tentativi di attentato 
                  a Mussolini. Stesso tema, ma con risultati più scarsi, 
                  quello trattato da Massimo Centini in Il 
                  re è morto, viva il re… Attentati anarchici: quando 
                  la politica diventa crimine, Torino, Ananke, 
                  2009, che va a ripescare le teorie lombrosiane per 
                  tentare di interpretare in chiave di antropologia criminale 
                  le motivazioni sociali, giuste o sbagliate che fossero, che 
                  spingevano gli anarchici ad attentare alla vita dei potenti.
 Fra i personaggi citati da Diemoz compare Luigi Lucheni, 
                  l’attentatore della famosa principessa asburgica Elisabetta 
                  d’Austria, più nota come principessa Sissi, anche 
                  per la serie di film a lei dedicati negli anni Sessanta. Le 
                  Edizioni Anarchismo di Trieste 
                  hanno pubblicato nel 2009 l’interrogatorio 
                  a cui fu sottoposto Lucheni dopo l’atto, in un volume 
                  dal titolo Come e perché ho ucciso la principessa 
                  Sissi, interessante in quanto ne esce una figura 
                  meno “spostata” di quanto la si è rappresentata, 
                  anche perché il suo fu senz’altro il meno compreso 
                  e meno comprensibile fra gli attentati antimonarchici compiuti 
                  dagli anarchici in quel periodo.
 
                   
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                        unico in commemorazione di Gaetano Bresci |   Ben altra rilevanza ebbe indubbiamente, il 29 luglio 1900, 
                  il gesto di Gaetano Bresci, il riuscito attentatore del re d’Italia 
                  Umberto Primo. Come appare dalla lettura del testo di Massimo 
                  Ortalli, Gaetano Bresci, tessitore anarchico 
                  e uccisore di re, Roma, Nova Delphi, 2011, 
                  il gesto del vendicatore dei popolani milanesi uccisi dalle 
                  cannonate di Bava Beccaris nel 1898 suscitò reazioni 
                  controverse negli ambienti dell’anarchismo italiano e 
                  internazionale, e le stesse conseguenze in ambito istituzionale 
                  non furono solo quelle repressive che ci si sarebbe potuto attendere, 
                  ma segnarono anche una netta cesura con la cieca e reazionaria 
                  età Crispina. Il volume è impreziosito dalla bella 
                  introduzione di Ascanio Celestini, che coniuga 
                  felicemente visione storica e maestria narrativa, e si conclude 
                  con un apparato di documenti che comprende l’arringa difensiva 
                  di Saverio Merlino, lo scritto dedicato al regicida da Amilcare 
                  Cipriani e infine, a corollario, il famoso articolo con il quale 
                  Errico Malatesta contribuì, in un certo senso, a mettere 
                  le cose al loro posto. Pier Carlo Masini pubblicò, anni fa, i “primi” 
                  due volumi sulla storia dell’anarchismo italiano, il primo: 
                  Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta 
                  e il secondo: Storia degli anarchici italiani nell’epoca 
                  degli attentati. Oggi Fabrizio Giulietti ha 
                  aggiunto il terzo volume ideale, Storia degli anarchici 
                  italiani in età giolittiana, Milano, 
                  Franco Angeli, 2012. Il periodo preso in esame va da 
                  inizio secolo alla vigilia della Prima guerra mondiale, e affronta 
                  alcuni dei temi cruciali dei processi organizzativi e della 
                  storia dell’anarchismo italiano: dall’affermazione 
                  delle tendenze individualiste e antiorganizzatrici alla costituzione 
                  dell’Unione Sindacale Italiana, dalla mobilitazione antimilitarista 
                  ai moti della Settimana rossa. Centrato sulla dialettica individualisti 
                  – organizzatori, disegna un quadro approfondito dei complessi 
                  rapporti, a volte conflittuali ma anche solidaristici, fra gli 
                  esponenti delle varie anime del movimento. Un arco maggiore 
                  di anni è preso in esame da Roberto Carocci 
                  nel libro Roma sovversiva. Anarchismo e conflittualità 
                  sociale dall’età giolittiana al fascismo (1900-1926), 
                  Roma, Odradek, 2012, che giunge infatti fino 
                  al 1926, l’anno delle fascistissime leggi speciali e quindi 
                  della soppressione di ogni forma di opposizione al regime. Sono 
                  tanti i protagonisti di un anarchismo tendenzialmente organizzatore 
                  e fortemente radicato negli ambienti dei quartieri più 
                  popolari della capitale, come tante sono le iniziative e le 
                  tematiche descritte con dovizia di informazioni dall’autore, 
                  e il quadro tracciato è quello di una presenza libertaria 
                  costante e significativa nell’ambito del sovversivismo 
                  romano, presenza temuta e quindi fortemente contrastata tanto 
                  dal potere statale quanto dalla reazione fascista.
 Di tutt’altro spessore il pamphlet Gli 
                  anarchici della Belle Époque pubblicato 
                  da Le Lettere di Firenze nel 
                  2010, che raccoglie una serie di ritratti che 
                  Giovanni Ansaldo pubblicò su giornali 
                  conservatori quali «Il Borghese» e «Il Mattino» 
                  negli anni Cinquanta e Sessanta. Lo stile di quello che fu giudicato 
                  uno dei migliori giornalisti del tempo è piacevole e 
                  la lettura è gustosa, e va detto che anche i contenuti, 
                  pur espressione di un convinto e sincero conservatorismo, sono 
                  meno peggio di quanto si sarebbe potuto pensare. Restiamo ai 
                  primi anni del secolo scorso, al 1909, l’anno in cui il 
                  regime spagnolo, su sollecitazione del suo clero, il più 
                  reazionario d’Europa, condannava a morte l’educatore 
                  anarchico Francisco Ferrer, e con lui la bellissima esperienza 
                  della Escuela Moderna. L’abominio di quella condanna 
                  non passò inosservato e in tutto il continente furono 
                  numerosissime le dimostrazioni di protesta popolare, sfociate, 
                  spesso, in violenti scontri. Delle reazioni in Italia rendono 
                  conto i numerosi saggi contenuti nel numero 4 dei «Quaderni 
                  della Rivista Storica dell’Anarchismo», uscito in 
                  occasione del 1° Centenario della morte di Ferrer. Curato 
                  da Maurizio Antonioli, in collaborazione con 
                  J. Torre Santos e Andrea Dilemmi, 
                   Contro la Chiesa. I moti pro Ferrer del 1909 in 
                  Italia, Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 
                  2009, questo volume mostra come le proteste non lasciarono 
                  zone grigie ma si svolsero con la stessa radicale intensità 
                  in tutto il paese, a riprova di quanto i sentimenti anticlericali 
                  fossero, allora, ben più sentiti e partecipati che non 
                  oggi. Un esempio della vivacità di questo sentire anticlericale 
                  lo fornisce Edoardo Puglielli nel breve saggio 
                   Anticlericalismo e laicità nel socialismo 
                  aquilano 1894-1914, Chieti, Centro Studi 
                  Libertari Di Sciullo, 2009, dove descrive uno spirito 
                  che albergava non solo, come immaginabile, fra gli anarchici, 
                  ma anche fra socialisti, repubblicani, massoni e, più 
                  in generale, fra gli spiriti liberi.
 
                   
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                    | Francia, 
                        anni '20 - Garibaldini italiani e spagnoli |   Gli anni Venti del Novecento furono anni particolarmente intensi, 
                  che videro il succedersi di avvenimenti di grande importanza 
                  e dalle conseguenze durature. I lutti della Grande guerra avevano 
                  fortemente esasperato gli animi e il popolo non era disposto 
                  a sopportare altre sofferenze. Quindi era pronto a opporsi a 
                  quanto avrebbe potuto portare nuove disgrazie. Un esempio di 
                  questa combattività è l’oggetto dello studio 
                  di Ruggero Giacomini, La rivolta 
                  dei bersaglieri e le Giornate Rosse. I moti di Ancona dell’estate 
                  1920 e l’indipendenza dell’Albania, 
                  Ancona, Centro culturale La Città Futura, 2010. 
                  Ad Ancona la presenza del movimento anarchico organizzato era 
                  particolarmente significativa e infatti, alla guida di questa 
                  rivolta popolare, nata dall’ammutinamento dei bersaglieri 
                  di stanza in città che rifiutavano di partire per una 
                  nuova e assurda impresa guerresca alla volta dell’Albania, 
                  troviamo numerosi anarchici perfettamente inseriti nel combattivo 
                  tessuto sociale della città: il “capo” dei 
                  bersaglieri ammutinati, non a caso, era soprannominato “Malatesta”. 
                  Va dato merito a Giacomini di aver riportato alla luce avvenimenti 
                  tanto importanti nella loro carica simbolica quanto poco studiati 
                  dalla storiografia ufficiale. Un altro episodio significativo 
                  ma poco studiato è quello del “garibaldinismo”, 
                  ovvero quella accolita di antifascisti delle diverse scuole 
                  – fortissima la presenza dei fuoriusciti anarchici – 
                  che verso la metà degli anni Venti cercò di combattere 
                  in armi il fascismo in Italia e la dittatura di Primo De Rivera 
                  in Spagna. L’ambiente era fortemente intossicato dalla 
                  presenza di agenti provocatori prezzolati dai due regimi e lo 
                  stesso Ricciotti Garibaldi giocò un ruolo ambiguo in 
                  tutta l’impresa. Nonostante le difficoltà interpretative, 
                  Giovanni C. Cattini ricostruisce con precisione 
                  questo complesso mosaico di personaggi, fatti e aspirazioni 
                  frustrate nel libro Nel nome di Garibaldi. I rivoluzionari 
                  catalani, i nipoti del Generale e la polizia di Mussolini (1923-1926), 
                  Pisa, Biblioteca Franco Serantini, 2010. 
                   
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                    | L'anarchico 
                        Luigi Lucheni durante l'arresto |   Dopo la fine della Prima guerra mondiale sono due gli avvenimenti 
                  particolarmente importanti che interessano l’anarchismo 
                  italiano, entrambi del 1920: la fondazione dell’Unione 
                  Anarchica Italiana, l’organizzazione che finalmente raccoglie 
                  quasi tutto il movimento italiano, e la nascita del quotidiano 
                  «Umanità Nova», che sotto la direzione di 
                  Errico Malatesta porterà per due anni la voce degli anarchici 
                  a fianco delle lotte che li vedono protagonisti su tutto il 
                  territorio. Sulla prima fase della vita di questo importantissimo 
                  periodico, che continuò a uscire all’estero con 
                  numerosi numeri unici, è uscito un libro curato da Franco 
                  Schirone, Cronache anarchiche. Il giornale 
                  Umanità Nova nell’Italia del Novecento (1920-1946), 
                  Milano, Zero in Condotta, 2010, corredato di 
                  due utili cd con la riproduzione di tutti i numeri usciti nel 
                  periodo preso in esame. Nei dodici saggi che contiene si attraversa 
                  non solo la storia del giornale, ma anche quella del movimento 
                  fra le due guerre, perché la vita dell’uno e dell’altro, 
                  per forza di cose, sono procedute in parallelo. Un lavoro particolarmente 
                  importante, che va ad inserirsi nel novero dei saggi che in 
                  questi ultimi anni stanno ricostruendo, in tutta la loro complessità, 
                  la vita e l’esperienza dell’Unione e della Federazione 
                  Anarchica Italiana. Conclusa la seconda guerra, liberata l’Italia 
                  dal fascismo, «Umanità Nova» riprende le 
                  pubblicazioni, ora come settimanale e non più quotidiano, 
                  ma con una regolarità che continua, ininterrotta, fino 
                  ai giorni nostri. Arriva fino al 1953 lo studio di Massimiliano 
                  Ilari, Parole in libertà. Il giornale 
                  anarchico Umanità Nova (1944-1953), Milano, 
                  Zero in Condotta, 2009, un lavoro complesso perché 
                  affronta le molte problematiche che interessarono la Federazione 
                  negli anni della ricostruzione e della ripresa. Si sa che furono 
                  anni difficili per gli anarchici italiani, stretti fra la dialettica 
                  della guerra fredda e il bisogno di individuare una terza via 
                  all’interno della quale trovare uno spazio vitale. Ilari, 
                  con una attenta lettura del giornale, riesce a districare con 
                  abilità e competenza i nodi che avviluppavano la nostra 
                  attività e ricostruisce il percorso pratico e teorico 
                  che permise al movimento di conservare e sviluppare la propria 
                  identità, non solo con l’attività quotidiana 
                  nella società, ma anche attraverso le pagine del giornale.Molto utile, per comprendere meglio la storia dell’anarchismo 
                  anche in alcuni dei suoi aspetti meno scandagliati, il libro 
                  di Emanuela Minuto, Frammenti dell’anarchismo 
                  italiano (1944-1946), Pisa, ETS, 2011, 
                  un nuovo e importante tassello nell’analisi e nella ricostruzione 
                  storica delle complesse dinamiche attraverso le quali il movimento 
                  italiano rinnovò il proprio ruolo, dal partigianato al 
                  rientro degli esuli, dal rapporto con le forze della sinistra 
                  alla riproposta di un sindacalismo alternativo. Interessante 
                  e “istruttivo” l’occhio esterno ampiamente 
                  citato da Minuto, quello del funzionario del Pci incaricato 
                  di seguire, per riferirne alla propria direzione, i lavori congressuali 
                  che videro la fondazione della Fai.
 
                   
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                    | Giorgio 
                        Sacchetti |   Anche l’ottimo lavoro di Giorgio Sacchetti, 
                   Lavoro, democrazia, autogestione. Correnti libertarie 
                  nel sindacalismo italiano (1944-1969), Roma, 
                  Aracne, 1912, contribuisce a fornire nuovi elementi 
                  interpretativi della presenza anarchica e libertaria nella società 
                  italiana del secondo dopoguerra. L’interrogativo sul che fare a livello sindacale, se far 
                  nascere un sindacato alternativo o privilegiare la presenza 
                  nella Cgil, è stata una costante che non ha mai cessato 
                  di incidere su tattica e strategia del movimento. Senza che 
                  una scelta venisse necessariamente a escludere l’altra. 
                  E infatti, a fianco delle periodiche riproposte dell’Unione 
                  Sindacale Italiana, fu altrettanto importante la presenza degli 
                  anarchici, anche a livello dirigenziale, nei sindacati confederali. 
                  Le numerose appendici documentarie e la scelta di giungere fino 
                  ai momenti dell’Autunno caldo, rendono ancora più 
                  interessante e attuale questo lavoro.
 Quello di Luca Lapolla, Gli anarchici 
                  di Piazza Umberto. La sinistra libertaria a Bari negli anni 
                  ’70, Fano, Centro Documentazione 
                  Franco Salomone, 2001, è uno fra i pochi testi 
                  che trattano degli anni più vicini a noi.
 E per questo la sua lettura è particolarmente coinvolgente, 
                  perché parla di storie ed esperienze che ci hanno visto 
                  partecipi. Gli anni Settanta sono stati anni tanto intensi quanto, 
                  spesso, difficili, e anche la militanza risentiva delle molte 
                  contraddizioni che attraversavano tutti i movimenti. Non escluso, 
                  naturalmente, quello anarchico. Lo si comprende bene leggendo 
                  tanto il saggio di Lapolla quanto le numerose interviste – 
                  quanto significative! – fatte a quelli che allora furono 
                  militanti dell’Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica 
                  pugliese.
 
 
                  MISCELLANEA Restano da prendere in considerazione alcuni testi che, per 
                  le caratteristiche e gli argomenti trattati, fanno un po’ 
                  storia a sé. Innanzitutto il libro uscito ultimamente, 
                  per mano di un anarchico, sul tema specifico della crisi economica 
                  che sta attanagliando il mondo occidentale. Si tratta dell’interessante 
                  volume di Toni Jero, La grande 
                  crisi dei mutui, Bologna, L’autore, 
                  2009. Anche se pubblicato tre anni fa, il libro mantiene 
                  ancora tutta la sua attualità e riesce a farci capire 
                  un po’ meglio, da un punto di vista non assoggettato alle 
                  regole della grande finanza, che cosa è successo, cosa 
                  sta succedendo e anche cosa potrebbe succedere. L’autore 
                  è un esperto di questi temi e con questo agile contributo 
                  fornisce non solo notizie ma soprattutto chiarificanti spiegazioni. 
                  Negli ultimi tempi si è imposta con evidenza la questione 
                  dei generi, portando con sé, molto spesso, la drammaticità 
                  di chi si trova a vivere una condizione non ancora compresa 
                  e sedimentata nella società. Lo testimonia Alex 
                  B. nel libro La società de/generata. 
                  Teoria e pratica anarcoqueer, Torino, 
                  Nautilus, 2012, adottando uno pseudonimo dietro al 
                  quale si nasconde una transgender che con lucidità esamina 
                  dapprima le cause e le responsabilità dell’oppressione, 
                  poi affronta i nodi necessari alla introspezione di se stessi, 
                  per finire con la proposta di strategie di resistenza e attacco. 
                  Il tutto con uno sguardo libertario e libero da condizionamenti.
 
                   
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                    | Furio 
                        Biagini |   Tutt’altro argomento quello trattato da Furio 
                  Biagini, che affronta con sicurezza un tema decisamente 
                  insolito e, a mio parere, piuttosto ostico. Si sa che numerosi 
                  sono stati gli ebrei che hanno dato un contributo fondamentale 
                  all’anarchismo, da Emma Goldman a Alessandro Berkman, 
                  da Volin a Rudolf Rocker, tanto per citarne alcuni, senza considerare 
                  l’adesione massiccia dei proletari ebrei londinesi e di 
                  New York al movimento. Ora Biagini, nel suo Torà 
                  e libertà. Studio sulle corrispondenze tra ebraismo e 
                  anarchismo, Lecce, I libri di Icaro, 2008, 
                  si propone di mostrare i nessi, non solo materiali, fra la religione, 
                  e quindi la più profonda cultura ebraica, e il pensiero 
                  libertario. Confesso che non ho sufficienti elementi per valutare 
                  con precisione questo studio, ma conoscendo la serietà 
                  di studioso dell’autore, sono sicuro che le corrispondenze 
                  individuate abbiano consistenza e fondamento. 
                   
                    | 
 |   
                    | Luigi 
                        Balsamini |   Negli ultimi anni gli anarchici hanno preso coscienza dell’enorme 
                  importanza della documentazione di studio e propaganda prodotta 
                  nella loro più che centenaria attività e hanno 
                  deciso di conservare e valorizzare tale materiale. Così 
                  sono nati, uno dopo l’altro, numerosi archivi che stanno 
                  svolgendo una funzione quanto mai importante nella conservazione 
                  e trasmissione del patrimonio storico e ideale del movimento. 
                  A mettere al corrente di questa documentazione ci ha pensato 
                  Luigi Balsamini, che dopo aver scandagliato 
                  gli archivi più consistenti, ha dato alle stampe Fragili 
                  carte. Il movimento anarchico nelle biblioteche, archivi e centri 
                  di documentazione, Manziana, Vecchierelli, 
                  2009. Sono molte le realtà descritte con dovizia 
                  di informazioni, dall’importantissimo Istituto Internazionale 
                  per la Storia Sociale di Amsterdam (IISG) ai più piccoli 
                  centri di documentazione gestiti da gruppi e militanti, ed è 
                  interessante notare come questi coprano il territorio italiano 
                  a macchia di leopardo, a testimonianza di una coscienza ormai 
                  pienamente diffusa.E, per finire, una autocitazione. Di Massimo Ortalli 
                  e Luigi Pirondini è uscito nel 2009, 
                  per le edizioni Unicopli di Milano, 
                   Bibliografie ragionate. Anarchismo, 
                  un volumetto che raccoglie circa un centinaio di schede bibliografiche 
                  sull’anarchismo e sul pensiero libertario, riproducendo 
                  parzialmente quanto gia pubblicato nei precedenti dossier e 
                  aggiungendovi altri testi che oggi sono parzialmente riportati 
                  in questo terzo numero di Leggere l’anarchismo. 
                  In attesa, ovviamente, di nuovi testi da segnalare.
  Massimo Ortalli
 
                   
                    | Alcune 
                        case editrici anarchiche e libertarie |   
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 nel testo, può rivolgersi
 direttamente al curatore
 Massimo Ortalli
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 che si rende disponibile
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 bibliografico.
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                        sito arivista.org sono disponibili gli indici relativi 
                        ai tre dossier “Leggere l’anarchismo”.Si tratta degli indici dei nomi e dei titoli. Più 
                        avanti i due indici saranno completati con i dati relativi 
                        a questo terzo dossier. Sempre solo sul nostro sito.
  
                        Come il primo dossier, uscito nell’ottobre 2005 
                        (dentro “A” 311) e il secondo, uscito nel 
                        maggio 2009 (dentro “A” 344), il terzo dossier 
                         Leggere l’anarchismo 3. La storia, 
                        le storie, il pensiero. (2009-2012), contiene 
                        la presentazione, ordinata per aree tematiche, dei libri 
                        sull’anarchismo usciti negli ultimi tre anni: oltre 
                        duecentocinquanta titoli.A realizzare questi fondamentali strumenti per la conoscenza 
                        e la diffusione dell’editoria e della cultura anarchica 
                        è Massimo Ortalli, uno dei responsabili dell’Archivio 
                        Storico della FAI (Federazione Anarchica Italiana), nostro 
                        storico collaboratore nel doppio senso della definizione: 
                        storico perché collabora con “A” da 
                        molto tempo e storico perché è spesso (ma 
                        non solo) la storia l’ambito della sua presenza 
                        sulla rivista.
 Come i precedenti, anche quest’ultimo, è 
                        stato concepito anche in un’ottica di diffusione 
                        della cultura anarchica, a disposizione di chi come noi 
                        è convinto che la lettura resti la base per la 
                        formazione della cultura individuale e sia la precondizione 
                        per un impegno sociale pienamente cosciente.
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