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 Connessioni, possibilità e arricchimento reciproco 
 a cura di Andrea Staid Negli ultimi quindici anni abbiamo 
                  assistito in tutto il mondo ad una forte ripresa delle idee 
                  e del movimento anarchico e libertario, da Seattle verso la 
                  fine degli anni novanta con la creazione di molti movimenti 
                  antiglobalizzazione fino ad arrivare ai recenti movimenti occupy, 
                  alle rivolte greche e alla seconda ondata più laica e 
                  cosciente delle primavere arabe che sta vedendo l'emergere di 
                  tanti gruppi libertari in paesi come Marocco, Egitto, Tunisia, 
                  Libia e Siria.
 Ancora oggi purtroppo anche se questa forte ripresa è 
                  sotto gli occhi di tutti ci sono molti intellettuali e storici 
                  delle idee che non vivendo la quotidianità e la pratica 
                  del conflitto non si rendono conto di quanto sia vivo il movimento 
                  libertario e addirittura teorizzano una fine dell'anarchismo 
                  o una sua svolta liberale.
 Proprio per questa contraddizione nasce la nuova rubrica di 
                  antropologia e anarchismo; grazie alla pratica della ricerca 
                  etnografica possiamo dotarci di forti e chiari strumenti per 
                  analizzare l'avanzare delle idee e delle pratiche libertarie.
 Nella ricerca antropologica è fondamentale la ricerca 
                  sul campo che costituisce la fonte inesauribile del sapere antropologico. 
                  È un'esperienza vissuta dell'alterità culturale 
                  dalla quale il ricercatore trae stimoli e informazioni della 
                  più varia tipologia: storie, miti, classi, genealogie, 
                  sistemi terminologici, classificazioni, osservazioni di comportamenti 
                  e di azioni quotidiane o rituali, immagini, suoni, musiche, 
                  linguaggi del corpo, parole, documenti scritti, ma anche emozioni, 
                  sensazioni, idee.
 Tante e diversificate sono infatti le espressioni della vita 
                  culturale, ciascuna delle quali pone al ricercatore problemi 
                  ben precisi da affrontare con strumenti idonei di raccolta e 
                  di analisi.
 Con uno sguardo attento sulla contemporaneità possiamo 
                  intercettare molti fenomeni di resistenza e creatività 
                  culturale che sfuggono alla maggior parte degli studiosi di 
                  scienze sociali che non utilizzano la pratica etnografica.
 Quello che questo piccolo spazio di riflessione ospitato nelle 
                  pagine di A rivista vuole fare è spronare gli intellettuali 
                  che si ritengono libertari a uscire una volta per tutte dalla 
                  torre d'avorio dell'osservazione e a scendere nelle strade per 
                  vivere le lotte, capirle concretamente e soprattutto cominciare 
                  ad avere un osservazione veramente partecipante per far sì 
                  che gli intellettuali esplorino la relazione tra ricerca e resistenza. 
                  Niente di nuovo del resto questo approccio è in perfetta 
                  sintonia con quello che è uno dei postulati fondamentali 
                  del pensiero libertario ovvero: pensiero e azione.
 In un mondo dove le lotte globali stanno rifiutando posizioni 
                  di avanguardia e pratiche autoritarie, che senso può 
                  avere (se mai lo ha avuto) l'idea dell'intellettuale distaccato, 
                  che osserva o legge su i giornali quello che succede nelle piazze, 
                  nelle strade e nei quartieri.
 Sono convinto che i ricercatori non incorporati nella fabbrica 
                  della cultura dominante devono rimboccarsi le maniche, partecipare, 
                  osservare e sostenere per riuscire a produrre delle analisi 
                  e degli strumenti utili al cambiamento sociale in senso libertario.
 Le idee anarchiche e soprattutto le pratiche stanno esplodendo 
                  in tutto il mondo, i principi anarchici si diffondono in migliaia 
                  di gruppi che non si dichiarano anarchici, l'autonomia, l'autogestione, 
                  il mutuo appoggio, l'antimilitarismo, la democrazia diretta 
                  giocano un ruolo fondamentale nei movimenti radicali di ogni 
                  tipo, “anche chi non si considera anarchico fa ricorso 
                  a idee anarchiche e si definisce in relazione a queste”. 
                  (D.Graeber, Frammenti di antropologia anarchica, pag 
                  7)
 
                   
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                    | Salvador, Bahia, 2 luglio 2009“Pau 
                  Brasil: sull'amore e la violenza”
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 Antropologia e anarchismo storia del pensiero e contemporaneità  Da Peter Kropotkin fino a Pierre Clastres, passando per Marcel 
                  Mauss o Radcliffe-Brown, un enigmatico vincolo ha legato l'anarchismo 
                  e l'antropologia. Oggi, dentro lo sforzo per difendere antropologie 
                  non-egemoniche sta emergendo una specie di antropologia anarchica, 
                  più nel mondo anglosassone che in Italia ma anche nel 
                  nostro paese qualcosa si sta muovendo.Si possono leggere tante piccole ricerche sulle lotte territoriali, 
                  in primis i vari scritti sulla valle che resiste in modo autonomo 
                  ed eterogeneo alla militarizzazione del territorio e a progetti 
                  di distruzione della natura calati dall'alto, c'è un 
                  vero e proprio disconoscimento dello stato e una riscoperta 
                  del senso di comunità, autogestione e azione diretta, 
                  sto parlando della Val di Susa (varie e interessanti riflessioni 
                  sulla rivista Nunatak e su A).
 Fondamentali i recenti studi dell'antropologo libertario Stefano 
                  Boni (Vivere senza padroni, Culture e poteri) che in 
                  un'intervista fatta 
                  per A alla domanda sulle possibili connessioni tra anarchismo 
                  e antropologia mi aveva risposto: “Antropologia e anarchismo 
                  si nutrono a vicenda. Da un lato l'antropologia documenta contesti 
                  in cui vengono radicalmente sovvertiti i canoni che oggi ci 
                  vengono presentati come normali e inevitabili – l'autorità 
                  dello Stato, la tecnologizzazione dell'esistenza, la passività 
                  della cittadinanza, la realizzazione nel consumo. L'esperienza 
                  antropologica di estraniamento suscitata dalla conoscenza approfondita 
                  di circuiti culturali che propongono verità distanti 
                  da quelle in cui si è cresciuti, apre enormi possibilità 
                  per ripensarsi.
 Lo studio dei movimenti sociali che si dispiegano nel mondo, 
                  ad esempio, offre spunti importanti sulle varietà di 
                  forme, sugli strumenti di lotta, sulle possibilità e 
                  sulle insidie delle mobilitazioni popolari. Dall'altro lato, 
                  direi che l'anarchia diventa un approdo politico attraente per 
                  chi, de-costruite le auto-legittimazioni di chi accentra potere, 
                  crede in un mondo di eguali, realizzato coerentemente mediante 
                  la salvaguardia della diversità e dell'autonomia individuale.”(A 
                  Rivista, anno 41 n. 361)
 Importante la recente pubblicazione curata da Adriano Favole 
                  per Elèuthera dal titolo Antropologia non egemonica 
                  che cerca di chiarire le possibilità di una pratica di 
                  ricerca autonoma e libera dalle egemonie accademiche, il tutto 
                  a partire da un'analisi dei poteri e dei saperi egemonici che 
                  attraversano e ingabbiano le società. L'antropologia 
                  non egemonica si propone come strumento in grado di intercettare 
                  i molteplici fenomeni di resistenza e creatività culturale 
                  che si sottraggono a quei poteri e saperi, mettendoli in discussione.
 Anche in Spagna si sta muovendo qualcosa da questo punto di 
                  vista con le etnografie dell'anarco-sindacalismo, antologie 
                  di scritti di antropologi libertari o con la realizzazione di 
                  seminari nelle accademie sulle società senza stato.
 Le possibilità di ibridazione tra antropologia e anarchismo 
                  sono molte, basti pensare che ormai sono decenni che l'antropologia 
                  si sta occupando di decostruire il concetto di dominio e di 
                  stato, una delle opere fondamentali su queste tematiche è 
                  quella di Pierre Clastre, Le società contro lo stato, 
                  ma ce ne sono tante altre che hanno portato alla luce le società 
                  di cacciatori e raccoglitori che a differenza di quello che 
                  generalmente si pensa non erano degli individui schiavi della 
                  natura ma riuscivano a vivere in armonia con essa.
 Troppo spesso si parla in testi accademici di una fantomatica 
                  economia di sopravvivenza che impedisce un accumulo di scorte 
                  tali da garantire, anche solo a breve termine la sopravvivenza 
                  del gruppo, si cerca di creare un immagine di un “selvaggio” 
                  come un uomo sopraffatto e sottomesso dalla natura, minacciato 
                  dalla carestia e perennemente dominato dall'angoscia di procurare 
                  a sé e ai propri figli i mezzi per sopravvivere. A partire 
                  dai lavori sul campo che studiano gli australiani aborigeni 
                  della terra di Arnhem e i Boscimani del Kalahari, Marshall Shalins 
                  nel suo L'economia dell'età della pietra, procede 
                  a una rigorosa quantificazione dei tempi di lavoro nelle società 
                  primitive. Ne emerge che lontano dal trascorrere le loro giornate 
                  in una febbrile attività di raccolta e caccia, questi 
                  supposti selvaggi, dedicano mediamente alla produzione di cibo 
                  non più di cinque ore al giorno, e spesso non più 
                  di tre, quattro ore. Una produzione interrotta da frequenti 
                  riposi, in più questo tempo lavorativo quotidiano non 
                  coinvolge quasi mai la totalità del gruppo e l'apporto 
                  dei bambini e giovani all'attività economica è 
                  quasi nullo.
 “[...] seguiamo un gruppo di lavoratori Tikopia che escono 
                  di casa in una bella mattinata diretti ai campi. Vanno a scavare 
                  radici di curcuma, perché è agosto, la stagione 
                  in cui si prepara questa pregiata tintura sacra. Il gruppo parte 
                  dal villaggio di Matautu, costeggia la spiaggia in direzione 
                  di Rofaea e poi penetrando all'interno, comincia a risalire 
                  il sentiero [...] Il gruppo è formato da Pa Nukunefu 
                  e sua moglie, la loro figlioletta, e tre ragazze più 
                  grandi. [...] Il lavoro è semplicissimo Pa Nukunefu e 
                  le donne si dividono equamente il lavoro; lui si occupa della 
                  maggior parte del lavoro di rimozione della vegetazione e di 
                  scavo, loro di parte dello scavo e della piantagione e di quasi 
                  tutta la pulitura e la cernita... il lavoro è lento. 
                  Di tanto in tanto i membri del gruppo si ritirano in disparte 
                  a riposare e a masticare Betel [...] L'intera atmosfera è 
                  di lavoro inframmezzato a svago a volontà” (Firth, 
                  1936, in Marshall Shalins, Economia dell'età della 
                  pietra).
 
                   
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                    | Atene, 12 gennaio 2013 – Manifestazione 
                  per Villa Amalias |  
 Le tesi anarco-antropologiche di Harold Barclay  Quindi un approccio al lavoro anarchico che non prevede la 
                  produzione di surplus e che si basa sul muto appoggio e non 
                  su un salario.Gruppi umani come gli Inuit, i Boscimani o gli Hazda sono descritti 
                  nelle opere di Lee e Woodburn come circuiti sociali con un basso 
                  differenziale di potere, con leadership inesistente o spontanea 
                  e rapporti di genere migliori dei vicini che praticano la pastorizia 
                  o l'agricoltura. Su questa letteratura negli anni ottanta l'anarchico 
                  John Zerzan svilupperà le sue tesi anarco-primitiviste, 
                  interessanti critiche alla società del turbo capitalismo 
                  ma al tempo stesso deboli da un punto di vista di prospettiva 
                  e di ricerca etno-antropologica.
 Altro interessante antropologo libertario anglosassone che si 
                  è occupato di rapporti tra anarchia e antropologia già 
                  nei primi anni ottanta è Harold Barclay, autore di un 
                  buon testo mai tradotto in Italia People without a Government: 
                  an Anthropology of Anarchy (1982), dove dopo una lunga ricerca 
                  sul campo teorizza e ci descrive come esistono e sono esistite 
                  comunità umane senza governo e senza stato, di suo possiamo 
                  trovare qualche articolo sull'ottima rivista Volontà 
                  che purtroppo da anni ha cessato la sua pubblicazione.
 Altri autori interessanti sono Ashley Montagu con il suo Buon 
                  selvaggio per educare alla non aggressività e James 
                  Scott che teorizza dopo aver studiato per molti anni le pratiche 
                  delle classi subalterne del sud est asiatico l'arte della resistenza 
                  allo stato e al suo dominio, più con camuffamenti dei 
                  gruppi subalterni di fronte all'autorità che verso uno 
                  scontro diretto con lo stato (Dominio e arte della resistenza, 
                  The Art of Not Being Governed: An Anarchist History of Upland 
                  Southeast Asia).
 Questa carrellata di antropologi libertari è sicuramente 
                  incompleta e nei prossimi numeri della rivista cercherò 
                  di affrontare altri aspetti e altre possibili connessioni tra 
                  antropologia, anarchismo e movimenti sociali, con la convinzione 
                  che se la teoria rimane pura astrazione e non si trasforma in 
                  pratica è qualcosa di veramente inutile per dei sinceri 
                  libertari.
  Andrea Staidandreastaid@gmail.com
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