Rivista Anarchica Online


Cuba 1

Quale democrazia?

di Rogelio M. Diaz Moreno


Un appello diffuso via web fa crescere il dibattito all'interno dell'opposizione al castrismo, facendo emergere obiettivi comuni e contraddizioni. L'opinione di un compagno cubano che ha deciso di non firmare il documento.


In margine alla fallacia del dibattito pubblico sul “perfezionamento del socialismo” promosso dalla gerontocrazia castrista, si è aperto un vero dibattito sulla trasformazione della “democrazia” a Cuba in seguito alla pubblicazione (su internet) di un documento, “Appello urgente per una Cuba migliore e possibile”1, redatto da un gruppo dell'opposizione dalle più sfaccettate tendenze politiche, in cui si richiede “un dialogo nazionale, aperto, trasparente, pluralista e incondizionato per poter intraprendere costruttivamente la sfida posta dalla crisi attuale”. Tutti i firmatari concordano che “il paese si trova a un passo dal baratro”.
Un documento che ha avuto il pregio di aprire il dibattito almeno tra i rappresentanti più attivi di questa opposizione così eterogenea che nell'isola inizia a manifestarsi sempre più apertamente, ma che allo stesso tempo ha reso evidenti le fondamentali discrepanze che vi sono al suo interno. Infatti, anche se tutti concordano sull'urgenza della necessità di decentralizzazione e sburocratizzazione della vita politica del paese – nelle mani della minoranza che occupa i principali incarichi del partito e dello stato – non tutti sono d'accordo su come realizzare questi auspici e fino a che punto deve arrivare la democratizzazione... Discrepanze che hanno risvegliato polemiche che riteniamo debbano essere conosciute dai nostri lettori. Riproduciamo quindi le puntualizzazioni mosse a questo documento da un compagno libertario che ha scelto di non firmarlo, un riassunto delle reazioni che tali puntualizzazioni hanno suscitato e una serie di link a testi in cui trovano spazio le diverse sensibilità che si sono venute a manifestare nel corso del dibattito.

La cosa più importante è sentire rispettata la nostra libertà

Un dibattito infuocato e, almeno per ora, aspro, coinvolge in queste settimane i circoli della sinistra alternativa cubana. Si potrebbe ragionevolmente individuarne l'agente scatenante nella comparsa del documento “Appello urgente per una Cuba migliore e possibile”.
Per non perderci nuovamente in strade già battute, ricordiamo semplicemente che quel testo faceva appello a un'apertura verso condizioni che dovevano condurre la società cubana a un livello più avanzato, secondo le linee generali del documento, seguendo certi principi che solitamente vengono identificati con le correnti politiche liberali. Vero è che la comparsa di questo tipo di correnti di pensiero ha condotto l'umanità a livelli superiori di sviluppo sociale ed economico, ragion per cui non sono affatto da disprezzare. Ovviamente disprezzare o condannare con leggerezza questi precetti può facilmente portare una società a doversi confrontare con problemi tipici delle lande dispotiche che hanno preceduto l'auge delle correnti liberali. È anche vero però che la promessa è stata maggiore rispetto alla realtà risultante dalla cristallizzazione della maggior parte delle società capitaliste moderne, in cui è incistato un buon numero di vizi che l'attuale sistema è incapace di sradicare. Questa seconda verità ha spinto alcuni membri dell'Osservatorio Critico a non appoggiare in toto il documento, pur riconoscendogli il merito per quella parte dei suoi aspetti che tutti hanno ritenuto positivi e capaci di offrire un vero progresso per la nostra società.
E quindi la discussione si è accesa attorno a questo bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, con degli slanci degni della migliore causa. Questo almeno è quanto sostiene Haroldo Dilla Alfonso2, che ritiene che il documento non sia l'ultima Coca-Cola del deserto e che ci saranno migliori momenti di incontro nel futuro. Fin qui concordo con lui. Tuttavia, egli critica la sinistra alternativa cubana, perché il suo purismo lo spinge a volere che essa rimanga sola, tutta sola, cosa che ha causato non poco dissenso tra chi non concordava con quest'opinione. Altre persone hanno creduto di trovare la ragione delle nostre risposte nella disinformazione o nella poca propensione al dibattito.
In tutta sincerità, devo riconoscere che il particolare contesto della società cubana in cui siamo cresciuti, politicamente poco propenso a pratiche di libera discussione, dibattito, espressione e competenza di ideologie, ha il potere di esercitare un'influenza sensibile sulle nostre mentalità. Questo non vuol dire che, come esseri umani coscienti, non possiamo essere consapevoli dei limiti di uno stato particolare delle nostre coscienze e lavorare per superarlo, provando a superare la dialettica della contraddizione con le migliori risorse della cultura, della filosofia e della scienza che riusciremo ad avere a disposizione.

Non gettare discredito sugli scrupoli...

Per questo non bisogna affrettarsi a gettare discredito su tutti gli scrupoli che il sottoscritto ha espresso. Si corre il rischio, nel caso in cui questo dovesse accadere, di incorrere proprio in ciò che si critica: intolleranza, incapacità di ascoltare il prossimo, disinteresse verso la parte di verità che l'altro possa aver concepito... Per quanto mi riguarda, non mi stanco di ripetere quanto ritengo corretto, ossia difendere non il programma di altre persone, quanto il diritto di queste persone di elaborare e lavorare per i propri programmi, sempre che vengano rispettati, tra gli altri, principi basilari come la non discriminazione e la non incitazione all'odio, principi che possano essere sottoscritti da tutte le persone oneste e senza nessuna forma di totalitarismo. Penso che non sia strampalato sperare in una certa reciprocità da parte di chi non si è dimostrato convinto del mio particolare modo di concepire le cose.
Stante la situazione attuale, vedo diverse possibilità per sfruttare al meglio il corrente dibattito, per apprendere tutti da quanto stiamo vivendo e per migliorare il nostro lavoro e le nostre idee. Dovremmo scartare tutto quello che ci allontana, come le disapprovazioni e i rimproveri, e concentrarci su quanto possiamo mutuamente apportare per crescere. Ad esempio, possiamo imparare a individuare meglio gli obiettivi condivisi da tutti, o almeno dalla maggioranza, e lavorare insieme per raggiungerli, senza pretendere di imporre le idee che non godono dell'approvazione altrui.
A parer mio, possiamo delineare un altro importante settore di miglioramento. Credo che in questo campo si stiano dando troppe cose per scontate. Quando si dice democrazia, libertà d'espressione, libero mercato, libertà d'associazione, mi pare che si dia per scontato a cosa ci si stia riferendo. E questo dubbio mi assale soprattutto quando si pretende che questi e altri diritti umani abbiano un'unica e sublimata accezione.
A me, al contrario, come prima cosa pare di enorme importanza concordare tutti su cosa chiamiamo in un modo e su cosa chiamiamo in un altro, definendo la maggior parte dei particolari e avendo almeno chiara la direzione che questa definizione deve avere. Non posso non pensare che ogni società ha concezioni diverse a proposito di questi temi. Preferisco quelle di alcune società e meno quelle di altre. E ho anche visto che, in molte delle società che non mi piacciono, si sostiene che da loro quegli ideali si realizzano nelle forme più pure e vere per il progresso delle nazioni, e sono soliti censurare o reprimere le analisi critiche e ponderate che non concordano con tali visioni.

Cuba Libertaria

La copertina del n. 27 (novembre 2012) del bollettino
“Cuba libertaria”, edito a Parigi dai “Grupos de apoyo a los
libertarios y sindacalistas independientes de Cuba”, dal quale
pubblichiamo in queste pagine l'articolo di apertura,
tradotto da Arianna Fiore. L'indirizzo e-mail del periodico è
cubalibertaria@gmail.com

Per avanzare...

Ci troviamo in una zona tremenda per avanzare. Perché, con decenni di esistenza sotto un sistema monopartitico di unità monolitica e dopo mezzo secolo in cui molti di questi concetti sono stati spesso demonizzati come armi dell'imperialismo, è innegabile che a Cuba esista uno spaventoso vuoto nella cultura e perfino negli interessi quotidiani delle persone e nel trattamento di molti di quegli ideali, con l'eccezione di quelli più direttamente coinvolti forse per ragioni più individualiste. La direzione del paese ha finito per inoculare nell'uomo nuovo un virus di alienazione politica più insidioso di quanto la Cia sarebbe mai riuscita a ottenere. Questo, pur non ammettendone le cause, l'hanno riconosciuto perfino alcune figure politiche del sistema, come si costata nelle pubblicazioni ufficiali, e non è possibile ritenerla un'invenzione del “Miami Herald”.
Si può cercare di colmare questa lacuna con precetti superficiali, con strepitosi slogan di destra o di sinistra e con altre luci appese per la scena, o si può cercare di seminare con inquietudine, spirito critico e interesse per imparare e partecipare all'elaborazione delle teorie e delle pratiche. I saputelli, nel senso buono del termine, possono essere di grande utilità per chi come me ha meno informazioni. Ma senza disprezzare la nostra lucidità. Il poco che conosciamo ci basta per farci rendere conto dei pericoli in cui si può incorrere affidandoci candidamente al primo profeta. Gli ideali proclamati, in astratto, possono solo assicurare che le cose andranno bene con la condizione che tutti agiscano in base a decisioni razionali, documentate e in buona fede. Ma con queste condizioni utopiche funziona sia il capitalismo che il comunismo e qualsiasi altra cosa. E non è mai così.
Non dobbiamo la nostra sfiducia nell'implementazione di meccanismi le cui viscere sembrano essere opache a un problema di indigestione di una scorpacciata di Randy Alonso mischiato con Daisy Gómez, ma alla testimonianza del movimento anticapitalista mondiale, i cui protagonisti sono oggi gli Zapatisti e altri movimenti popolari dell'America Latina, i movimenti degli Indignati in Europa, le Occupy dell'America del Nord, le Rawa dell'Afghanistan, e altre simili fonti di coraggio e riflessione. La nostra sfiducia proviene dall'aver visto il principio di libertà d'espressione manipolato da tutto l'establishment e non solo dalla Fox per vendere agli statunitensi le guerre dei loro governi; perché abbiamo visto il principio del libero commercio manipolato per falsare il mercato ipotecario, bancario e non so quante altre cose ancora che non capisco, ma che vedo danneggiare gravemente le persone, che perdono il loro lavoro e le loro case. Ed è perché ascoltiamo il pianto inconsolabile della natura di fronte alla distruzione dei suoi boschi, degli oceani e degli altri ecosistemi.
Per queste ragioni insistiamo e insisteremo che si discuta e si chiarisca cosa si vuol dire con ogni concetto proposto. Ci dicono che ogni cosa sarà un progresso se confrontato con la situazione presente. Ma se si domanda di Haiti, ci dicono di non guardare da quella parte, quanto piuttosto verso i paesi scandinavi. Il problema si pone ancora quando non accettiamo come tassativa la presentazione dei paesi nordici come la dimostrazione irrefutabile del suo funzionamento. Tanto per iniziare, una delle principali esportazioni della Svezia sono le armi; la principale della Norvegia, il petrolio. Cosicché può sembrare un contatto inaspettato vedere un carrarmato da guerra svedese alimentato da petrolio norvegese che pattuglia un accampamento di rifugiati ad Haiti: è un malaugurio. Ma questo è solo un piccolo esempio: il quid è che se è vero che possono esserci paradisi della socialdemocrazia, chi ci libera da questa sensazione che essi siano solo la punta dell'iceberg, una minima percentuale che si regge su una massa incredibile sommersa? In quale parte dell'iceberg dovremo entrare noi, nel pezzetto in superficie o nella massa sommersa? E poi, è solidale, o almeno etico, sperare di trovare posto in quel pezzetto?

Uscire dalla stagnazione

Sì, è necessario uscire dalla stagnazione o dallo stato di franca retrocessione in cui ci ritroviamo. Ringraziamo per l'appoggio e gli incoraggiamenti che ci vengono offerti. L'intervento di Haroldo Dilla Alfonso ha orientato la mia attenzione verso un aspetto interessante, e colgo l'occasione per citarlo ad esempio. Ha fatto riferimento alle pratiche di lavoro comunitario portate avanti dal suo collettivo negli anni novanta, tristemente decapitate dalla reazione statale. Penso che sarebbe una cosa eccellente divulgare quelle storie, per chi come me era molto giovane e si trovava dall'altra parte e non le ha conosciute, ma che oggi è mosso da idee simili; prego l'autore di offrirci le sue esperienze. Pur senza pretendere di avere le stesse capacità, forze o virtù, sono convinto che quello che facciamo abbia un valore. Di un'altra cosa sono convinto: chi ha messo fine all'esperienza di quel gruppo, oggi non ha più la stessa forza. Senza contare quelli che se ne sono andati dal paese, a vogare nella corrente capitalista che dicevano di combattere. Così che, ancora una volta, sopravvivrà il seme degli ideali di partecipazione cittadina; l'empowerment democratico delle comunità; la libertà per le persone ma non per lo sfruttamento; la libera espressione dell'amore e le museruole per l'odio.
Trasformiamo questa discussione, che può sfociare in un fine sterile e corrosivo, in un forum di insegnamenti in cui tutti possiamo imparare e in cui tutti possiamo insegnare il poco che sappiamo. Avanziamo in una cultura in cui sia chiaro cosa intendiamo per ognuno dei diritti umani della Dichiarazione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite; studiamo come questi si possano realizzare in un paese ricco e in uno povero; apprendiamo dall'esperienza di lavoratori che hanno organizzato piccole e medie imprese soggette a interessi sociali ed ecologici; educhiamoci a coniugare la libertà d'espressione con la responsabilità sociale. Avendo più chiara la teoria, saremo più abili nella pratica, saremo tutti più disposti a distinguere le strade più promettenti e potremo rettificare meglio qualunque errore del cammino. Si potrà considerare, come segno della più alta importanza della giusta direzione, che ogni essere umano senta rispettata la sua propria libertà che è anche libertà di imparare, di sbagliarsi e di rettificare, e che siano difesi i suoi diritti come il cammino più importante della nazione.
Educhiamo i nostri ego ad apprezzare i suggerimenti che ci fanno gli altri per considerare argomenti che finora non siamo riusciti a intravvedere, e reprimiamo la tentazione di esprimere condiscendenza. Si rispetti il lavoro di chi, pur non correndo i rischi dei giornalisti assassinati, come avviene in Colombia e in Honduras, mette in gioco i propri precari mezzi di sussistenza all'interno del paese e vede la sua sopravvivenza economica e la tranquillità della propria famiglia minacciate per persistere nella difesa dei principi della sinistra e della giustizia sociale, per i circuiti del potere sempre più scomodi. Forse ci siamo assunti una responsabilità di grande valore. Cerchiamo di essere all'altezza di quanto questo richiede.

Rogelio M. Díaz Moreno
traduzione di Arianna Fiore


Note

  1. http://nuovacuba.wordpress.com/2012/08/28/appello-urgente-per-una-cuba-migliore-e-possibile/
    http://www.cubanet.org/otros/llamamiento-urgente-por-una-cuba-mejor-y-posible-cubanet-ha-recibido-el-siguiente-documento-para-ser-divulgado/
  2. (L'Avana, 1952) è uno storico e sociologo cubano, attualmente residente nella Repubblica Dominicana.