Rivista Anarchica Online


fantascienza

Un'ambigua utopia

di Daniele Barbieri


Esplorando le suggestioni libertarie nella letteratura di fantascienza, un confronto tra due romanzi, entrambi scritti negli USA degli anni '70. Dal caos di Van Vogt alla “faticosa consapevolezza“ di Le Guin.



Forse ricordate che il 30 agosto 2012 il mattino è stato soleggiato. Almeno lo era nelle pagine di Colosso anarchico, scritto nel 1977 da Alfred Van Vogt e pubblicato due anni dopo da Editrice Nord (nella traduzione di Giampaolo Cossato e Sandro Sardelli) ma oggi pressochè introvabile. Fantascienza, siete avvisati.
Non per dirvi gli affari miei ma, in uno dei 92 traslochi, lo avevo perduto. Da poco l'ho ritrovato su una bancarella e mi è venuta voglia di rileggerlo e magari di metterlo a confronto con un altro romanzo molto amato dal “popolo” di “A” ovvero I reietti dell'altro pianeta della stupenda vecchietta nota come Ursula Le Guin.
Aprite Colosso anarchico, saltate l'introduzione (ci torno dopo) e iniziate a leggere: vi trovate «a circa un metro e 83 centimetri da terra» a spiare qualcuno sul pianeta Terra. Come di consueto Alfred Van Vogt è un mago a precipitare chi legge dentro una vicenda e arpionare la sua attenzione; ma, al solito, è anche uno specialista nell'incasinare le trame oltre ogni limite e nel cascare in “balle” (in questo romanzo è l'effetto Kirlian; altrove le teorie sul super-cervello che tanto piacquero a Hubbard e alla banda-setta di Scientology). In questa sede ovviamente la trama del romanzo interessa poco mentre vale la pena di vedere come il non anarchico Van Vogt si confronti con teorie e prassi libertarie.
La cosa migliore è lasciare la parola a lui (e alla sua confusione) in alcuni dei passaggi più “politici”. Quasi all'inizio John, uno dei personaggi-chiave, dice: «Gli anarchici di un tempo credevano che, se si fosse offerta loro la possibilità, uomini e donne sarebbero diventati anime candide e pure. Ora che abbiamo avuto l'anarchia per quasi 100 anni, quei poveri illiusi si stanno certamente contorcendo nelle loro tombe per la vergogna».
Poco dopo Chip: «Ci voleva proprio una società anarchica perché fossimo tutti convinti di aver conquistato la verità assoluta». La confusione aumenta quando, poche pagine dopo, Chip spiega: «Hai troppe idee socialiste che ti ronzano in testa. Gli anarchici capitalisti sono politicamente conservatori». Anarchici capitalisti?
Più avanti tocca ad Hal dire la sua: «Mike, una società anarchica ha un grosso problema di sopravvivenza. Gli anarchici originari credevano che l'anarchia, per sua virtù naturale, avrebbe avuto una cornice socialista nella quale tutti si sarebbero uniti in associazioni di mestiere e commerciali, e tutto sarebbe andato avanti nel migliore dei modi per tacito accordo. Ma quando infine l'anarchia arrivò, essa fu un prodotto di tecnologi individualisti, estremamente conservatori» (perchè chiamarla anarchia allora?) e prosegue: «I conservatori organizzarono le cose in modo che ogni persona potesse fare ciò che le piaceva, fuorchè costringere gli altri alla propria volontà. Essi perciò lasciarono che la gente si associasse nei Co-op, se lo voleva, ma essi naturalmente non erano obbligati a fare altrettanto e non lo fecero». Van Vogt non si degna di entrare nel dettaglio dei “Co-op” ma, a ogni modo, se notate alcune contraddizioni logiche in questo discorso vi faccio volentieri compagnia. Anche perchè poche righe dopo Hal “chiarisce” che oltre ai “co-op” e agli “anarchici capitalisti” esiste «un gruppo, i cosiddetti bohémiens, forse gli unici veri anarchici; ma anche fra loro alcuni sono orientati verso il socialismo, altri verso il capitalismo; i restanti potrebbero essere definiti nichilisti. Questi ultimi li trovi che discendono tutta la fila delle comunità didattiche finchè non hanno toccato il fondo. Per la maggior parte non sono cattivi, soltanto non sono disposti a stare al gioco di nessun sistema». Aiuto, ho mal di testa.
Quasi alla fine del romanzo ecco un pensiero degli alieni al riguardo: «La società umana, pensò lo Slua-ig, assomiglia all'universo stesso, in quanto è priva di governo. L'universo si trova in una colossale situazione anarchica. I suoi elementi interagiscono continuamente: alcuni sopravvivono, altri soccombono ma nessuna intelligenza centrale, nessun governo decide chi sarà favorito e chi no. Un simile sistema ha senso su scala supergalattica» e dunque «io predico che la razza umana, la quale ha avuto la temeriarietà di imitare la struttura dell'universo, cesserà di esistere nel giro di poche ore». Simpatici questi alieni vero?
Ultima citazione. Poche pagine dopo torna Chip: «Sulla Terra gli individui che per caso possiedono una certa caratteristica finiscono per creare intorno a essa tutto un complesso di superiorità, convincendosi che si tratti, qualunque essa sia, di qualcosa di altissimo valore. [...] Da quando sulla Terra c'è l'anarchia, le persone cosiddette miti, innocue, gli individui che a causa di un trauma durante la loro infanzia si sono ritirati in se stessi, mostrandosi eccessivamente obbedienti, incapaci di esprimere rabbia e rivolta, e quindi di usare violenza, sono stati uditi esprimere con le loro flebili voci l'autoappagante ma ferma convinzione che la loro condizione di oppressi dimostra che essi (è corsivo nel testo) sono la vera élite». Non so il vostro ma il mio mal di testa è aumentato.

Ricordando Urras e Anarres

Ora possiamo tornare all'introduzione e vedere che il kaos non è nei personaggi ma nell'autore; infatti Van Vogt inizia con questo concentrato di ottimismo e confusione: «In questo romanzo ho assunto per ovvio che l'intima natura della razza umana, in particolare del maschio umano, così come è stata osservata fin dai tempi antichi, non si modifica né diventa migliore. Perciò non mi sono chiesto: quanta perfezione possiamo aspettarci dagli esseri umani, in futuro? Bensì: con quali tecniche sarebbe possibile instaurare – con tanti esseri umani, fra noi, che si comportano male – un regime anarchico stabile? Pensate: nessun governo. Nessuna polizia. Negozi non sorvegliati. E come sarebbe possibile far funzionare queste tecniche automaticamente?».
Chiuso Colosso anarchico (che in cuor mio ho ribattezzato, alla Izzo, “casino totale”) ho ripreso in mano I reietti dell'altro pianeta – quasi coevo, è del 1974 – di Ursula Le Guin. Manca la parola anarchia nel titolo italiano come in quello originale (che era Dispossessed. An ambiguous utopia) eppure l'autrice fa i conti sul serio, e in profondità, con le idee libertarie alla luce di una possibile vittoria (parziale) e di una sua successiva stasi/regressione (per ragioni sia oggettive che soggettive). Do per scontato che anche i giovani anarchici conoscano I reietti dell'altro pianeta e che il nome Anarres – dato a gruppi, riviste, trasmissioni radio – sia condivisione della faticosa consapevolezza che “zia“ Ursula racconta in quel libro. Ma forse sbaglio e anche su “A” sarebbe opportuno ritornare sullo scontro fra Urras (capitalismo e socialismo versione stalin-formicaio) e Anarres (i libertari che si ispirano a Odo) come sulle contraddizioni interne a un'organizzazione sociale dove proprietà, governo e autorità non sono la trinità, anzi. Anche dopo una rivoluzione quel che ci sbarra la strada è «la paura di essere liberi»?

Daniele Barbieri