Rivista Anarchica Online


giustizia

La sentenza Mastrogiovanni

di Angelo Pagliaro


Condannati i medici, riconosciuti colpevoli anche di sequestro di persona. Assolti gli infermieri. Dopo due anni di processo, al tribunale di Vallo della Lucania si è concluso il primo atto della vicenda giudiziaria vergognosa e allucinante che ha portato alla morte del maestro anarchico Francesco Mastrogiovanni, dopo 83 ore di vera e propria tortura (documentata da un video “ufficiale”).
E le scorribande della globalizzazione sovrastano gli stati.


Nella serata dello scorso martedì 30 ottobre, dopo quasi 5 ore di camera di consiglio, la presidente del tribunale di Vallo della Lucania, Elisabetta Garzo ha letto, davanti a un folto pubblico, la sentenza di condanna dei sei medici del reparto di psichiatria dell'ospedale San Luca di Vallo della Lucania (SA). Il processo per la morte dell'insegnante anarchico Francesco Mastrogiovanni, morto nel reparto psichiatrico della città cilentana dopo altre 82 ore di contenzione ininterrotta è durato più di due anni e, adesso possiamo affermarlo, è diventato un processo storico per la gravità dei fatti accaduti capaci di riaprire il dibattito sulla necessità di introdurre, nel nostro codice penale, il reato di tortura.

Condanne e assoluzioni

Il primario del reparto di psichiatria dott. Di Genio, è stato condannato per tutti i capi di imputazione (sequestro di persona, morte come conseguenza di altro delitto e falso in atto pubblico) insieme ad altri quattro medici, a 3 anni e 6 mesi. Il suo collega Barone a 4 anni, così come Basso, mentre Mazza e Ruberto sono stati condannati a 3 anni. Pena più lieve per Michele Della Pepa, condannato a 2 anni di reclusione (escluso, solo per lui, il reato di morte come conseguenza di altro delitto). Tutti i medici, escluso il dott. Della Pepa, sono stati interdetti, per 5 anni, dall'esercizio della professione. I dodici infermieri, invece, sono stati tutti assolti.

Il punto debole della sentenza

Siamo fortemente interessati, per motivi di giustizia, a conoscere le motivazioni della sentenza e in particolare quelle che supportano l'assoluzione del personale infermieristico perché più volte il Gip Rotondo, trasferito in seguito a Salerno, nella sua richiesta di interdizione del personale medico e paramedico era ritornato sul dovere civile e professionale, da parte di un qualsiasi operatore sanitario, di rifiutare di compiere atti contrari al paziente, di opporsi segnalando alle autorità competenti, anche per iscritto, quanto accadeva. È nostro compito cercare di capire, a sentenza emessa, come sia potuto avvenire che su dodici infermieri nessuno sia intervenuto, nei modi consentiti, per evitare le sofferenze e le torture. Si è trattato di ubbidienza cieca all'autorità medica? Siamo di fronte ad un diniego condiviso? L'effetto del testimone passivo (S. Cohen, 2001) racconta che l'intervento è meno probabile quando la responsabilità è spartita, (“Ci sono tanti altri che vedono, perché devo essere io quello che interviene?”). Nel triangolo delle atrocità, nel quale è stato ristretto Francesco Mastrogiovanni, abbiamo la vittima, i medici colpevoli di sequestro, morte e falso e poi l'ultimo “lato”, quello per noi più oscuro, dei testimoni non soccorritori depositari di una conoscenza dolorosa alla quale non hanno saputo porre fine. Una sola domanda vogliamo porre a questi dodici infermieri testimoni di un delitto non commesso ma non impedito: e se al posto di Franco, su quel letto di contenzione, ci fosse stato un loro figlio?

Insofferenti verso la stampa e il Comitato

Pensavamo che a distanza di quasi duecentocinquantanni dalla pubblicazione del libro di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene nel quale il noto filosofo-giurista affermava: “Da ciò veggiamo quanto sia utile la stampa, che rende il pubblico, e non alcuni pochi, depositario delle sante leggi, e quanto abbia dissipato quello spirito tenebroso di cabala e d'intrigo che sparisce in faccia ai lumi ed alle scienze...” si fosse ormai generalmente convinti della funzione democratica svolta dall'informazione ma, soprattutto, come si diceva un tempo, dalla controinformazione. E invece, nell'udienza del 22 ottobre, i legali degli imputati hanno sferrato un duro attacco, senza precedenti, nei confronti della stampa e del Comitato Verità e Giustizia per Franco. Già nella sua requisitoria, il pm Martuscelli, aveva esordito affermando: “Siamo all'epilogo, malgrado il clamore e la cappa mediatica”. Dopo la critica del pm anche l'avvocato Francesco Bellucci, legale degli imputati Antonio Luongo e Alfredo Gaudio, due dei 12 infermieri accusati nel processo in corso ha ritenuto opportuno: “denunciare il secondo processo mediatico e politico che da tre anni ha già condannato e condizionato. Nel binario parallelo del processo sul caso di Franco Mastrogiovanni si sta assistendo, ha affermato ancora Bellucci, ad un processo che rischia di svilire le garanzie istituzionali a svantaggio delle esigenze di giustizia, mettendo in risalto le esigenze giornalistiche”. L'insofferenza verso l'azione d'informazione promossa in questi tre anni dal Comitato, dalle associazioni, da settimanali e mensili, nonchè da radio e tv è emersa in tutta la sua antistoricità.

Francesco Mastrogiovanni

Incompetenze mediche e nostri limiti

La non legittimità della contenzione è stato il problema maggiormente trattato nel corso di tutto il processo insieme alla mancata annotazione della stessa sulla cartella clinica. Ma forse non abbiamo saputo ribadire, con la necessaria determinazione, che Francesco è entrato in ospedale senza che nessuno avesse annotato le terapie praticate durante la cattura “rocambolesca” avvenuta sulla spiaggia del villaggio turistico che lo ospitava. Essendo Franco già sedato, come dimostra il video, gli hanno duplicato la sedazione che, stante la sua tranquillità, non era affatto necessaria.
Contro qualsiasi logica e protocollo medico, come puntualmente scritto nella relazione tecnica, datata 20 maggio 2010, dalla Dott.ssa Agnesina Pozzi (primo consulente medico della famiglia Mastrogiovanni), a Franco non sono stati effettuati gli esami ematochimici generali all'atto del ricovero, solo il 3 agosto, alle ore 9,55 i risultati erano effettivamente disponibili. I medici non hanno verificato, quindi, che ci fossero controindicazioni alle terapie potenzialmente pericolose e se in atto ci fossero patologie cardiache, epatiche e/o renali. Hanno lasciato il paziente, per ben 36 ore, senza alcuna idratazione con quel caldo infernale d'agosto, l'agitazione, la dispersione di liquidi e hanno spacciato per “alimentazione” con flebo, quella che alimentazione non era; perché non si trattava di nutrizione parenterale, ma solo di infusione generica di liquidi salini e zuccherini del tutto inadatta a fornire l'adeguato supporto energetico. Non hanno annotato l'apposizione di catetere e neppure la diuresi nelle 24 ore e, cosa più grave, non hanno verificato gli esami di laboratorio. Questi erano tutti, ma proprio tutti sballati ma, pur avendo fatto il prelievo giorno 3 agosto, ne hanno visionato i risultati solo dopo la morte, ossia giorno 4 agosto.
Dalla lettura degli stessi si evince che il paziente era affetto da epatite C (non sapendolo alcuni dipendenti hanno operato a mani nude), aveva i globuli bianchi a 12.000, sangue e leucociti nelle urine (infezione delle vie urinarie) che avrebbe richiesto una terapia antibiotica; i valori dell'acido urico, GOT, GPT, LDH, Creatinchinasi, TSH, PCR, fattore reumatoide, Fosforo, Ferro erano tutti alterati. Non è stato eseguito neanche un elettrocardiogramma all'ingresso. Questi dati sono molto importanti anche ai fini della discussione circa le ipotetiche cause del decesso del paziente. Comunque è bene sottolineare che non vi è alcuna annotazione in merito nella cartella clinica, né risultano richieste di consulenze mediche.

Le reazioni

Sin dalla tarda serata di martedì 30 i quotidiani e i settimanali online hanno aggiornato le loro news riportando la notizia della sentenza. I TG nazionali e regionali hanno rilanciato la notizia e tra gli amici e i compagni che in questi anni hanno contribuito a promuovere decine di iniziative si è dato vita ad un tam tam informativo che ha consentito a molti di avere notizie di prima mano. Subito dopo la lettura del dispositivo la Prof.ssa Caterina Mastrogiovanni, sorella di Franco, intervistata dai colleghi de “Il Giornale del Cilento”, visibilmente commossa, ha dichiarato: “Sono soddisfatta della pena data, adesso i medici capiranno come bisogna trattare i malati”.

Angelo Pagliaro

Così iniziò...

30 luglio 2009, ore 23.30
Il tenente dei vigili urbani di Pollica, Graziano Lamanna, afferma di aver ricevuto una telefonata dal sindaco, Angelo Vassallo, che gli chiede di recarsi sull'isola pedonale di Acciaroli perché un automobilista sta creando problemi e bisogna fare un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio).
Mastrogiovanni non viene né fermato, né multato, né sottoposto a TSO e non accade nessuna strage di pedoni.

31 luglio 2009, ore 8.30
Lo stesso vigile, alle ore 8.30 del 31 luglio, vede passare di nuovo Mastrogiovanni alla guida della sua Fiat Punto e nota, guardandolo a distanza, che ha lo sguardo assente. Chiama i carabinieri e inizia l'inseguimento sulla litorale fino a S.Mauro del Cilento dove Franco parcheggia e dopo aver raggiunto la spiaggia del villaggio turistico camping che lo ospita si tuffa in mare. Viene chiamata la capitaneria di porto che invia una motovedetta, Mastrogiovanni viene circondato da terra e da mare e la spiaggia si trasforma in un set cinematografico quasi si dovesse catturare Al Capone.

31 luglio 2009, ore 11
Mentre i medici accorsi in ambulanza, distanti da Franco una settantina di metri, certificano il suo stato di salute e il relativo stato di agitazione (chi non si sarebbe agitato in quella situazione?) il fuggitivo si arrende, sale sull'ambulanza e si lascia sedare. La dottoressa Di Matteo afferma che, arrivata sulla spiaggia, ha avuto i certificati regolarmente firmati dal sindaco di Pollica, altrimenti non avrebbe eseguito il TSO. Il medico però ignora che il tenente dei vigili del comune di Pollica, Graziano Lamanna, ha riferito, sotto giuramento, che il sindaco di Pollica, avvertito solo telefonicamente, non aveva visionato i certificati, anzi il TSO lo aveva ordinato la notte del 30 luglio senza l'avallo di alcun certificato medico.
La dottoressa Di Matteo – a meno che non ignori la geografia del Cilento – non ci spiega come mai, operando sulla spiaggia del Comune di San Mauro Cilento, invece di rivolgersi al sindaco del Comune di San Mauro Cilento, per la convalida del TSO si sia rivolta al sindaco di Pollica. In questa gran confusione di ruoli prima di salire sull'ambulanza Francesco Mastrogiovanni si è rivolto alla sig.ra Licia Musto, proprietaria del villaggio e sua amica con queste parole: “Non mi fate portare a Vallo perché lì mi uccidono”.

Dalle 12.33 del 31 luglio alle 7.46 del 4 agosto 2009
Per la ricostruzione delle terribili 83 ore di sofferenza di Franco risultano decisive le immagini riprese dalle telecamere interne di videosorveglianza del reparto-lager. Appena giunto in camera Franco si siede, accavalla le gambe e consuma, in piena tranquillità, quello che sarà il suo ultimo pasto.
A questo punto, stante lo stato di tranquillità, decade l'esigenza del TSO. Sarebbe bastato sottoporlo alle cure necessarie come uno dei tanti pazienti ricoverati in quell'ospedale per risolvere il problema. E invece viene nuovamente e pesantemente sedato, legato al letto mani e piedi, cateterizzato sin dal primo momento ( si prevede quindi che non si debba alzare per espletare autonomamente i più elementari bisogni fisiologici). Da questo momento non gli sarà dato più né da bere, né da mangiare, verrà deterso una sola volta e i suoi testicoli si macereranno. La sera del 3 agosto la nipote, Grazia Serra si reca all'ospedale con il fidanzato per far visita allo zio, rendersi conto del suo stato di salute e, visto che è stato portato in ospedale con un semplice costume da mare, chiedere di cosa avesse bisogno. Uno dei medici condannati impedisce alla coppia di visitare il parente dicendo loro che sta bene e che sta risposando. Mastrogiovanni muore alla 1.45 del 4 agosto 2009 ma i sanitari si accorgono del decesso solo sei ore dopo. Prontamente viene slegato, si chiede l'intervento del rianimatore e si effettua un elettrocardiogramma.
Alla tragedia si aggiunge la farsa della telefonata, partita dall'ospedale, ai familiari di Giuseppe Mancoletti (compagno di stanza e di sventura di Franco) ai quali chiedono di “portare i panni”. Inefficienza, sciatteria, disinteresse, presunzione, ignoranza alcuni degli ingredienti di questa triste storia, accaduta nell'Italia repubblicana, in un ospedale cosiddetto “civile” nell'anno 2009.

A. P.

 

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Giuseppe Galzerano, 0974.62028
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