Rivista Anarchica Online


dossier America Latina. 3
teatro in Bolivia 1

In viaggio col teatro sulle Ande

di Federica Rigliani


Pubblichiamo la prima puntata di una serie di 4 scritti su alcune significative esperienze teatrali in Bolivia, nell'ultimo mezzo secolo.

Foto: Waldo Maluenda


La Bolivia per me è stata una scoperta molto casuale. Studiavo Storia del Teatro all'Università dell'Aquila – oggi “non luogo” distrutto e abbandonato a se stesso dopo il terribile terremoto del 6 aprile del 2009 – quando un giorno assistetti ad alcuni spettacoli del Teatro de los Andes, diretto da César Brie. Succedeva tanto, tanto tempo fa. La commozione ricevuta e le suggestioni che mi investirono furono talmente nuove per me, che decisi di fare un lavoro di tesi su questo gruppo che viveva e lavorava in Bolivia, precisamente a Yotala, un piccolissimo villaggio a quindici km da Sucre.
Ho vissuto con loro ed ho riportato con me un'esperienza unica che mi ha permesso di conoscere una Bolivia internamente frammentata, attraversata da diverse etnie, lingue, religioni e culture che rappresentano la sua grande ricchezza, ma che continuano ad occupare un posto marginale e discriminato all'interno del paese ancor oggi.
In questa terra il teatro è sempre stata un'espressione elitaria prettamente urbana, ha sempre parlato castellano e ha escluso dal suo pubblico gli abitanti che lì si trovavano e che parlavano le lingue autoctone: gli indigeni. Inoltre, essendosi nutrito essenzialmente di drammaturgie europee, soprattutto spagnole e nordamericane, non ha saputo proporre una drammaturgia nazionale che presentasse temi e volti della reale società boliviana e non ha saputo guardare ai numerosi riti ancestrali della tradizione precolombiana che, ancora nel presente, esprimono intensamente il loro carattere cerimoniale. Per questo motivo sono pochissimi i testi teatrali in lingua quechua e aymara – le maggiori lingue autoctone per estensione e densità di popolazione – che venivano rappresentati durante il periodo Virreinal, tra il XVII e XVIII secolo. A questo dobbiamo aggiungere le enormi difficoltà di un movimento teatrale che ha cercato di darsi un'identità, ma che ogni volta ha visto stroncati i propri tentativi: sin dal sorgere dei primi drammi ottocenteschi l'alternanza di guerre, dittature e regimi militari hanno sempre imposto censure e impossibilità di espressione.
Ma ci fu qualcuno che si accorse dell'immensa ricchezza che questa terra emanava.
In Bolivia, questo luogo storicamente e geograficamente isolato e accidentato, dove le Ande si estendono e si innalzano maestose e irraggiungibili, dove le strade asfaltate coprono una percentuale minima ed irrisoria di un territorio vastissimo, e dove il vento soffia a volte così freddo da sembrare ghiaccio bianco e tagliente sulla pelle, vivevano e vivono uomini, donne e bambini che percepiscono il mondo attraverso la loro particolare cosmovisione andina. Una profonda catarsi lega la popolazione boliviana alle montagne e alla natura, nel rispetto profondo della pachamama, la terra madre, e nella reiterazione quotidiana di gesti ancestrali che continuano ad avere del religioso. Ci fu qualcuno che volse lo sguardo verso questa grande miniera umana portatrice di tradizioni millenarie. Ci fu qualcuno che riuscì a raggiungere luoghi e insediamenti negli sconfinati e freddi altopiani radamente popolati da pueblos e comunidades autoctone, qualcuno che fece arrivare lì sé stesso ed il proprio lavoro, qualcuno che sentì, inequivocabilmente, la necessità di portare il teatro fuori dai teatri, nella realtà dei minatori, dei campesinos e degli indigeni. Erano artisti spinti dal bisogno di comunicare con questo pubblico storicamente escluso dalla società e dal dialogo teatrale. Questi tentativi, che restano misconosciuti in Bolivia e non entrano nei testi di storia del teatro, sono stati curiosamente intrapresi e portati avanti da stranieri arrivati in Bolivia perché catturati dalla magia del luogo e della popolazione che lì vive. Tra loro, Liber Forti, nel 1946, apre la strada e insegna. Più tardi il Teatro Kollasuyo di Gabriel e Verónica Martínez e il Teatro Runa di Edgar Darío González, avrebbero raccolto il testimone per passarlo, a loro volta, a César Brie e al Teatro de los Andes. Li ho conosciuti grazie ad alcuni articoli editi in El tonto del pueblo, la rivista del Teatro de los Andes, che offrono fonti di maggiori dettagli e approfondimenti a riguardo1, ma io li ho cercati, li ho intervistati per conoscere meglio le loro storie e i loro progetti teatrali e per raccontarle continuando a dare loro voce. Tutte le parti dei singoli paragrafi in corsivo prive di nota a piè di pagina, sono dichiarazioni degli artisti da me intervistati.2.

Federica Rigliani

Note

  1. Gli articoli a cui faccio riferimento sono: Lupe Cajías, De Concepción a Lunlaya, in 'El tonto del Pueblo, Revista de artes escenicas' N.0 /Agosto 1995; Lupe Cajías, Los caminos de nuevos Horizontes, in 'El tonto del Pueblo, Revista de artes escenicas' N.1 /Marzo 1996; César Brie, El Teatro Runa, in 'El Tonto del pueblo', N° 3 / 4, Junio 1999.
  2. Conversazione informale con Liber Forti, Cochabamba, maggio 1997; Intervista a Gabriel Martínez, Sucre, maggio 1997 (alla quale, purtroppo, non potette partecipare sua moglie Verónica); Intervista a Edgar Darío González, Milano settembre 1999; Intervista a César Brie, Sucre, maggio 1997.


teatro in Bolivia 1

Liber Forti e il Conjunto Teatral Nuevos Horizontes

di Federica Rigliani


Dai ricordi del suo fondatore, l'esperienza di un gruppo teatrale (e non solo) nella cittadina mineraria di Tupiza. Dal '46 al '61, tra rinnovamento culturale e lotte sindacali, la storia di una compagnia di “artisti organici” e del loro stretto legame con un territorio aspro e magico allo stesso tempo.


Questa è la storia di un sogno che permane nel tempo.
Me l'ha raccontata, in un fiume di parole appassionate e appassionanti, Liber Forti, anarchico argentino di Tucumán che arrivò nel sud della Bolivia, si stabilì a Tupiza e segnò con la sua permanenza, la sua esperienza e la sua umanità un momento storico-culturale rivelatosi fondamentale per tutto il paese.1 Erano gli anni quaranta.
Lui, amante del teatro, la più effimera forse tra le arti, diede vita ad un'esperienza teatrale senza precedenti, seminando con amore e pazienza un solco, contornato anche da delusioni, ma mosso dalla forza di grandi energie intellettuali che ancora oggi continua a raccogliere frutti. Un'epifania contenuta nel nome del Conjunto Teatral Nuevos Horizontes, il gruppo da lui fondato, il cui impegno andò talmente oltre il “fare teatro” che sarebbe riduttivo e ingrato definirlo semplicemente “un gruppo teatrale”.
Descrivere il momento storico e sociale in cui quest'esperienza nacque è fondamentale per capirne l'attività, gli obiettivi ed i presupposti profondamente etici, sociali e solidali che la legarono indissolubilmente al territorio. Nel 1924, a Tupiza gli inglesi avevano inaugurato una linea ferroviaria che permise l'arrivo di novità, di persone e di idee nuove e rivoltose in questa piccolissima cittadina, soprattutto dall'Argentina, trasformandola in un crocevia di incontri e bizzarrie. Ma già all'inizio del XX secolo, Tupiza viveva una grande effervescenza culturale e una continua produzione di grande impegno sociale e politico: era un centro nevralgico in continuo fermento. Nel 1906 editava periodici anarchici e comunisti, mentre i minatori analfabeti organizzavano scioperi nazionali, fondavano radio locali, organizzavano festivales di musica e di teatro, unendo sempre alle dure rivolte nelle strade la dura lotta per la cultura. Questo sicuramente incise sulla scelta di Liber Forti di fermarsi lì, soprattutto quando vide che il Gruppo Sportivo The Strongest aveva organizzato un programma di rappresentazioni teatrali. Allora si disse: “Se in questo posto esiste un club sportivo che s'interessa di teatro, io mi fermo qui.”
Lupe Cajías, storica paceña che ha realizzato un approfondito lavoro di ricerca sulla storia di Liber Forti e del suo Conjunto Teatral afferma: “Queste caratteristiche, unite ad altri elementi, contribuirono a mettere insieme le energie e le forze dei membri del Conjunto Teatral. Il primo punto di contatto, quello che rappresenta l'ingresso per Liber Forti, è questo gruppo d'influenza anarchica che cerca semplicemente, attraverso la sua attività sociale e culturale, di aiutare, fomentandola, la liberazione dell'essere umano. [...] Egli arriva in questo momento e riceve la possibilità di sviluppare un suo proprio lavoro. [...] in Bolivia stiamo vivendo il momento di maggior lotta dei sindacati. Tutta la relazione del teatro non può essere isolata dalle lotte sociali del paese e dalle sue caratteristiche culturali”.2

miniere, campagne e antichi splendori

Situata nella regione di Potosí, la più rivoltosa e la più mineraria di tutta la nazione3, in questi anni Tupiza era sinonimo di miniera sì, ma non fu mai un accampamento minerario come Potosí o Oruro, che fecero la storia del paese e ingoiarono nelle viscere delle loro montagne decine di migliaia di uomini. Un paese di cavatori, la Bolivia, che tra il 1943 e il 1946 visse la prima esperienza di unione tra contadini e minatori, le classi sociali più importanti per numero, forza e densità di popolazione, le più disagiate e povere di un territorio rurale dal sottosuolo ricchissimo. Negli anni quaranta le miniere erano esaurite da un pezzo dell'argento depredato dagli spagnoli, con il quale nel cinquecento si “accesero le luci delle banche europee”. La ricchezza delle zone minerarie, descritte da Eduardo Galeano in Le vene aperte dell'America Latina, era una realtà lontana di cui rimanevano le vestigia del tempo che fu in centri poverissimi adagiati su resti di meravigliose architetture che ancor oggi ne testimoniano l'antico splendore. La terra era in mano ai latifondisti e l'estrazione mineraria riguardava ormai esclusivamente lo stagno. Tre famiglie, quelle di Simón Patiño, Victor Aramayo e Mauricio Hoschild costituivano da sole la famigerata Rosca, la morsa, questa la traduzione del termine. Loro detenevano il potere decisionale economico e politico, si spartirono lo stagno senza lasciare, di nuovo, nulla alla comunità confinata in una povertà assoluta e costretta a vedersi passare sotto il naso le ricchezze di un suolo generoso.
Le esperienze sindacali e la nascita di movimenti sociali sono al centro di questi anni intensi di contrasti e avvenimenti politici, caratterizzati da dittature e governi nazionalisti, da sollevamenti sociali e dalla nascita dei partiti di opposizione. I minatori iniziarono ad organizzarsi in sindacati unitari, ispirati dalle correnti socialiste, anarchiche e del nazionalismo rivoluzionario, per combattere i baroni dello stagno e rivendicare la nazionalizzazione delle miniere. La loro lotta sarebbe culminata nella Gloriosa Rivoluzione Sociale del 1952, misconosciuta nonostante abbia apportato cambiamenti radicali in notevole anticipo rispetto alle rivoluzioni dell'America latina: il voto universale, la nazionalizzazione delle miniere e un importante progetto di Riforma Agraria per la ridistribuzione delle terre ancestrali ai primigeni e legittimi padroni. L'emblema di questo periodo di lotte sociali e di quest'epoca mineraria fu senza dubbio la Federacion Sindical de Trabajadores Mineros de Bolivia (FSTMB), una forza sociale nata nel 1942 per far fronte alle dure repressioni dell'esercito contro gli estrattori di stagno di Oruro e Potosí. Capeggiata dal 1944 da Juan Lechín, appartenente al POR, il Partido Obrero Revolucionario, fu il simbolo di un'epoca piena di proteste e rivendicazioni e referente permanente nella storia di Nuevos Horizontes e di molti suoi membri.

Foto: Laboratorio Tecnico Invisibile

Le forme che ci fecero vibrare e sussultare”

Questo è il clima che Liber Forti respirava a Tupiza. L'energia organizzativa della cittadina lo catturò insieme alla possibilità di vedere proiettato il proprio lavoro nel sociale e di volgere il proprio impegno a riscattare l'essere umano dalle sofferenze e dalle ingiustizie sociali che viveva.
Il Conjunto Teatral fu fondato nel 1946. Più che un gruppo di teatro fu una confraternita definita da Liber Forti fondazione nello spirito. Lo stesso afferma: “Non sapremo mai se furono i contrasti del paesaggio, in quell'unità di percezione plastica, di colori e di linee che formano le colline e la valle, o le radici minerali e vegetali delle forme che a Tupiza ci fecero vibrare e sussultare; [...] se fu la nostra irrinunciabile sensibilità verso il dolore umano, animata dalle doloranti e vicine sofferenze e lotte dei fratelli minatori e contadini. Eravamo lontani allora dal prevedere ciò che la vita, i suoi dolori e le sue gioie ci avrebbe rivelato più tardi: avevamo costituito una fondazione nello spirito, personale e collettivo”.4 Caratteristiche, queste, che vennero riversate con grande senso etico e sociale nell'immediata realtà circostante. Infatti, tutta l'attività svolta dal Conjunto fu frutto di un elevato livello di sensibilità umana, condizione necessaria dell'attore ed elemento basilare del fare teatrale che, da un punto di vista sociale, costringe l'attore-essere umano a guardarsi intorno e a non prescindere dalla realtà nella quale vive. Questa sensibilità guidò N.H. verso la strada di cooperazione e di solidarietà che tanto caratterizzò gli obiettivi del Conjunto nella realtà che lo ospitava. Per Forti, la sensibilità “non solo facilita la percezione e l'espressione dell'aspetto creativo e artistico dell'attività scenica, ma così coltivata apre l'essere umano anche alla percezione di quanto accade nell'immediata realtà circostante”.5 E un artista responsabile non può prescindere dalla società in cui vive, perché è quella la realtà in cui lavora e quella è la gente a cui il suo messaggio è rivolto. Di fronte all'estrema povertà e alle condizioni di disagio che vivevano gli abitanti di Tupiza, la sensibilità giovanile e solidale di N.H. non aveva certo la pretesa di risolvere i problemi, ma voleva denunciarli e segnalarli alla società che avrebbe dovuto farci i conti in maniera critica. E questa è la grande lezione che N.H. dà a tutto il paese: l'arte intesa come una forma di vita e di lavoro attraverso cui interrogare la società, e ogni gesto, ogni intervento, ogni azione dovevano risultare benefici per la collettività tupiceña di cui il Conjunto si sentiva parte. A tal proposito Liber racconta di quando, con il ricavato di alcuni spettacoli, acquistarono scarpe per i bambini poveri e scalzi delle scuole serali. Scelte come questa non erano una novità per gli abitanti di Tupiza, che trovavano normali gli interventi di N.H. sugli argomenti più disparati riguardanti la comunità: da una discussione su un monumento alla Madre appena costruito alla collaborazione con il piccolo comune per ottenere il materiale necessario per l'illuminazione pubblica, dalla preoccupazione di dotare la cittadina di una radio trasmittente culturale, come Radio Chorloque, alla collaborazione con le scuole e con i movimenti popolari e sindacali dei minatori e dei campesinos. Spirito solidale e sensibilità, insieme ai sentimenti di giustizia e di libertà che si coniugano tanto bene con il movimento artistico e culturale, fecero emergere nel gruppo un senso etico di responsabilità collettiva consolidatosi nel cammino della realizzazione personale di ogni membro, ma sempre nell'azione comune verso gli altri, offrendo così una sensazione feconda di interazione sociale.

Una fratellanza che commuove

I primi dieci anni dell'attività di N.H., dal 1946 al 1956, si svolsero interamente nell'area tupiceña: grande fu il rapporto di collaborazione con la cittadina, ospitale con i componenti del Conjunto e con tutti gli artisti che convogliarono, per periodi più o meno lunghi, nella grande casa comunitaria di N.H. Questo clima umano di cordialità e simpatia caratterizzò Tupiza per la presenza di molti artisti boliviani e stranieri. Attori di teatro, attori con marionette, pittori, musicisti, scrittori, professori universitari, poeti e quant'altro garantirono un permanente apporto in ognuna di queste espressioni artistiche e arricchirono l'esperienza del Conjunto e la vita culturale cittadina.
Ma in un paese in cui la fame e la sopravvivenza di chi lo abita sono problemi all'ordine del giorno, è difficile pensare di ottenere finanziamenti statali per le attività culturali. Non poter usufruire di sovvenzioni e soldi pubblici, però, non fermò in nessun modo i propositi del gruppo e il Conjunto lavorò senza mai compromettere né la propria libertà espressiva, né la qualità del suo teatro. Il bisogno d'indipendenza economica, in nome di una totale autonomia del lavoro, sviluppò forme di autofinanziamento, autogestione e autoproduzione legate al laboratorio di fotografia e alla tipografia-libreria Renacimiento. Ma Forti insiste molto sull'importanza che ebbe, soprattutto per i primi tempi, “la solidarietà umana di tutti coloro che credettero nella qualità della sua proposta e che permisero effettivamente di cominciare a lavorare”. Si riferisce a una rete informativa e di sostegno economico che si costituì intorno alla loro attività, mostrando fin da subito stupore e interesse per tutte quelle energie che arrivavano da un piccolissimo centro di una provincia boliviana. Una fratellanza umana che si sviluppò intorno al Conjunto e che, ancor oggi, commuove Liber quando mi racconta che proprio un prestito permise l'acquisto della impresora muy rudimental, fondamentale per la loro esistenza e determinante per la diffusione della storia di Nuevos Horizontes. Le pubblicazioni giocarono un ruolo importantissimo contribuendo, fin dai primi numeri, ad estendere quel circuito umano e solidale che, giorno dopo giorno, si tesseva sempre più ampio con sottoscrizioni da realtà teatrali nazionali, ma anche peruviane, argentine, cilene, venezuelane. I Cuadernillos Inquietud, il Boletín Informativo e la rivista Teatro divulgarono il lavoro di N.H., dentro e fuori la Bolivia, uniche nel loro genere erano delle vere e proprie finestre aperte sul mondo: “[...] furono i primi e quasi unici mezzi di arte scenica nel paese.”6 Coniugando ancora etica e cultura, informavano su temi sociali oltre che sulle esperienze di teatro europeo e internazionale. I Cuadernillos, editi fin dal 1956, trattavano diversi ambiti culturali, dalla poesia al teatro, dalla letteratura alla sociologia, ma anche temi d'importanza sociale 'necessari' come il sesso e la medicina sessuale, con lo scopo di informare i giovani su tutto quello che avrebbero dovuto conoscere. Avevano una tiratura che variava dalle 3000 alle 4000 copie e Liber Forti li considera una specie di allenamento alle pubblicazioni successive. Il Boletín, invece, era un mensile di quattro o sei pagine, venduto a prezzo simbolico, le cui sezioni comprendevano: Editoriale, Notizie di N.H., Teatro nel mondo, L'autore e la sua opera, Appuntamenti e riflessione sulla condizione umana, Nuovi libri, Vedremo un giorno o l'altro (dedicato al cinema), Notizie culturali, Recensioni di altre pubblicazioni, Lettere, Teatro in Bolivia e Commenti sul lavoro svolto. Furono pubblicati cinquanta numeri dal 1956 al 1961.
La Rivista, infine, s'interessava prettamente di teatro e pubblicò, in ogni suo numero, il testo integrale di un'opera teatrale contemporanea, oltre a materiale pedagogico sulla formazione dell'attore e uno zoom sulla figura del regista, dando a conoscere saggi firmati da G. Graig, R. Boleslavski, S. Kano, Ionesco e altri, importanti per il loro carattere orientativo e didattico. Inoltre, informava sul teatro contemporaneo e di avanguardia di quegli anni, con articoli firmati da Barraúlt, V. Gassman, A. Miller, Drenard, Bryer, Genet. Un merito che, dal punto di vista drammaturgico, incise sulla realtà nazionale proponendo infinite opere di autori allora sconosciuti. Tredici numeri, dalle settanta alle ottanta pagine. L'ultimo uscì nel 1965.
Da un punto di vista strettamente teatrale, invece, Nuevos Horizontes segnò così tanto la scena da rivoluzionare l'estetica del fare teatrale conosciuto in Bolivia. Propose una nuova messa in scena, sperimentò nuove tecniche e nuovi ricorsi e si trasformò ben presto in avanguardia. In questo modo ruppe lo schema del teatro costumbrista sociale dell'unico drammaturgo nazionale, Raúl Salmón, un teatro manicheo e di costume, di denuncia e non di forma, populista e semplice. César Brie, regista del gruppo boliviano Teatro de los Andes ai tempi della mia intervista a Liber, afferma:“[...] Tutte le innovazioni tecniche introdotte da Stanislavskij in poi, vennero introdotte qui da Nuevos Horizontes. Dal punto di vista estetico il loro lavoro è stato quello di rinnovare la scena alla luce dei grandi eventi degli anni cinquanta. Introducono la camera nera, la triangolazione, i princìpi appena conosciuti di Stanislavskij e la tecnica attorale, studiando come far stare l'attore in scena. Con N.H. si comincia a vedere quello che si fa fuori dalla Bolivia ed il Conjunto irrompe nel panorama teatrale nazionale suscitando anche enormi critiche: lo stesso Raúl Salmón, che in questi anni rappresentava con enorme successo le sue opere, interruppe una loro rappresentazione per chiedere spiegazioni su quell'estetica e su quello stile. Questa è la loro modernità e per la prima volta la Bolivia comincia ad avere, al suo interno, un teatro quasi all'avanguardia anche per l'America Latina.”7 Un'avanguardia che viene riconosciuta a livello nazionale e che segna l'inizio di un vero e proprio movimento teatrale: “Tutto il periodo dell'attività di Liber Forti è senza dubbio di grande importanza. La sua esperienza stimolò gli anni sessanta, anni che videro il sorgere dei teatri Universitari. Con questa fase si aprì l'inizio di un movimento [...] che rappresentò il secondo momento importante del teatro boliviano.”8

Nos vamos de Turpiza

Negli anni che andarono dal 1956 al 1960, così motivati e lontani da ogni fine di lucro, i componenti di N.H. portarono il loro teatro ovunque – tra i più poveri, tra i contadini dimenticati nella miseria e i minatori che venivano divorati dalle miniere – contando sull'appoggio dei sindacati sia per l'ospitalità sia per la pubblicità incaricata di comunicare il loro arrivo: “Forti ed i suoi compagni percorsero in cinque anni circa diecimila chilometri, rappresentando i loro spettacoli nei teatri, nei cortili, nei campi di calcio dei villaggi, nelle piccole piazze, nei vicoli, nelle sedi sindacali, nelle scuole, nelle chiese. Difatti, tra il 1956 e il 1960 fecero otto tournée sotto il sole, la pioggia e la neve.”9
Ma il 1961 si sarebbe rivelato un anno fatale. Dopo ben quindici anni di attività, il Conjunto dovette far fronte ad una vera e propria diaspora che si levò dagli abitanti della tanto ospitale Tupiza. Se è vero che “la vetta di N.H. si dette grazie alla comunione fraterna che il Conjunto ottenne con il pubblico formato da minatori, da casalinghe degli accampamenti e dai loro figli”, è vero anche che il premeditato regime di convivenza comunitaria tra i membri del Conjunto, le persone che in un modo o nell'altro partecipavano alle attività che si organizzavano e amici e simpatizzanti che lì confluivano, determinò una certa insofferenza tra gli abitanti. Lo scontento crebbe, loro divennero ostili alla casa 'promiscua' di N.H. e i membri del Conjunto decisero di abbandonare la cittadina. Lucido e commovente il saluto di Liber nell'editoriale dell'undici giugno 1961 intitolato Nos vamos de Tupiza, dove si legge: “Nostro fu l'impegno attraverso un duro lavoro, con fede e trasparenza [...] per ottenere nobiltà e amore in queste relazioni. Loro fu l'asprezza e l'indifferenza...”10
Molti dei membri si dispersero, alcuni lasciarono la Bolivia, altri coltivarono sempre il sogno del teatro e, più in generale, dell'arte come mezzo di educazione, convinti che Nuevos Horizontes non fu “solo una scuola di teatro, ma una proposta di vita”.
Questo aspetto è sempre stato vivo nello spirito dell'anziano Liber Forti. La sua preoccupazione per la condizione del teatro boliviano lo ha portato alla stesura di un 'Corso di formazione per direttori e registi teatrali' che, al momento del mio colloquio con lui, non aveva ancora trovato un editore. La sua casa raccoglie una vastissima biblioteca pubblicamente consultabile e nella città di Cochabamba c'è la Fundación N.H., una struttura che cerca finanziamenti per la realizzazione di opere teatrali. La presenza di questo folletto del tempo ai dibattiti che interessano il teatro è ancora molto forte, collabora attivamente a manifestazioni ed incontri culturali, viaggiando da una città all'altra senza apparentemente il peso dei suoi anni e alla luce della sua lunga esperienza.
E se è vero che nel 1961 Liber scrisse con lucido dolore Nos Vamos de Tupiza, oggi, a 93 anni, torna con oneri e clamore. I teatranti boliviani, riconoscendo in lui un maestro d'arte e di vita, hanno portato quest'anno a Tupiza la Primera Edición del Festival Nacionl de Teatro Liber Forti, tenutosi dall'11 al 20 gennaio, che Liber ha personalmente inaugurato, mentre i tupiceños e l'amministrazione locale, a distanza di anni e alla luce di un'eredità indissolubile che ha scritto la storia della cittadina e del teatro in Bolivia, gli restituiscono la casa che da sempre era stata del Conjunto perché diventi la sede della Fundación Nuevos Horizontes. Così, un sogno d'inizio secolo salta lo sbarramento dello spazio e del tempo, diventa realtà attuale, cancella la parola “impossibile” dal suo percorso culturale e umano.
Ulteriore risultato della tenacia e della cocciutaggine di uomini impegnati come Liber e Eduardo Kilibarda, altro membro del Conjunto, è Nuevos Horizontes de Iniciación en la Educación por el Arte, un corso di formazione per talenti giovani e adulti dei settori popolari, perché l'arte continui a insinuarsi nelle pieghe delle vita, regalando aneliti di gioia e di dolore, tenendo gli occhi bene aperti su una società a cui denunciare, ogni volta, le proprie mancanze e le proprie ingiustizie.
A Liber il nostro conjunto abrazo fraternal.

Federica Rigliani

Note

  1. Liber Forti, per non venir meno alle sue convinzioni politiche e ideologiche, mi ha chiesto di non registrare la sua testimonianza, pertanto non possiedo un'intervista trascritta del nostro colloquio. Mi affido ad alcuni appunti scritti velocemente durante la nostra conversazione, alla mia memoria, alla mia capacità di sintetizzare il fiume di parole che Forti, con la sua grandissima energia, non riusciva a frenare, e al materiale d'archivio inedito di proprietà dell'autore che me lo ha gentilmente concesso.
  2. Intervista a Lupe Cajías, Yotala, Sucre, marzo 1997. L'esperienza di Liber Forti è raccontata anche in Lupe Cajías: Los caminos de nuevos horizontes. 60 anos de una apuesta cultural. Editorial Gente Común, 2007 - 249 pp.
  3. Intervista a Lupe Cajías, Cit.
  4. Liber Forti, Apuntes para una semblanza panoramica del acontecer vivido en las actividades realizadas por el Conjunto N.H., archivio Liber Forti, pag. 1.
  5. Liber Forti, Apuntes... Cit. pag. 5.
  6. L. Cajías, Los caminos de nuevos Horizontes, 'El tonto del Pueblo, Revista de artes escenicas' N.1 /Marzo 1996, pag. 48.
  7. Intervista a César Brie. Sucre, maggio 1997.
  8. Intervista a Maritza Wilde, La Paz, giugno 1997. Attrice, regista e drammaturga, dirigeva la sezione di teatro del Festival Internazionale della Cultura di Sucre e ha inaugurato nel 1997, insieme a René Hojestein, la prima edizione del Festival Internacional de Teatro di Santa Cruz. Nel 1999 ha diretto il Festival Teatral di La Paz.
  9. Luis Ramiro Beltrán S., Por más de medio Siglo Teatro por la Hermandad, in 'El Diario', La Paz, 11 maggio 1997.
  10. ***, Nos vamos de Tupiza... Editorial de 'Teatro', Publicación del Conjunto teatral “Nuevos Horizontes”, N° 11 giugno 1961, Taller Grafico Renascimiento, Tupiza.