Rivista Anarchica Online


dossier America Latina. 1

Lettera dal Sud America

del Laboratorio libertario (Montevideo)


Al recente Incontro internazionale di Saint-Imier (agosto 2012) è stata presentata questa relazione sulla situazione in America Latina. Ne pubblichiamo ampi stralci.

(...)
Questa sinistra non ha potuto conquistare il potere politico con le armi, suo obiettivo strategico; ma lo ha ottenuto decenni dopo, dopo anni di carcere, di morti e di desaparecidos, grazie a processi elettorali e complicate, e a volte contraddittorie, alleanze politiche, eticamente impossibili da concepire, e spiegate generalmente con la pragmatica argomentazione secondo la quale “l'unione fa la forza”.

Questa sinistra che gestisce il potere politico, fedele alle linee economiche del capitalismo globale, non è capace di fare autocritica riguardo la sua trascorsa militanza, l'uso e la strumentalizzazione dei movimenti di base in accordo con i propri interessi di partito, già che ha gerarchizzato e separato il politico dal sociale e ha debilitato i movimenti privandoli dei loro migliori militanti, reclutati nell'apparato militare. Ebbene sì, ha costruito un apparato militare, con tutto quello che questo vuole dire, per opporlo a un altro apparato, all'esercito e alle forze repressive dello Stato. Un'istituzione contro l'altra, concepite con le stesse forme e le medesime gerarchie. Erano talmente uguali che, in alcuni paesi, le forze della guerriglia sono andate a integrare l'esercito nazionale.
Questa posizione ha permesso agli ideologi, che oggi cercano di giustificare il terrorismo di Stato, di elaborare la “teoria degli opposti estremismi”. E in questa teoria degli opposti estremismi oggi è coinvolta molta gente, perché i militanti che non facevano parte di queste organizzazioni, i simpatizzanti, i sindacalisti, i padri, le madri, gli amici e i semplici cittadini, hanno subito anche loro il carcere, la tortura, la desaparición e perfino la morte, e sono stati definiti cittadini di serie B e di serie C, non veniva permesso loro di studiare o di lavorare; oggi però, se non si hanno fatto parte di nessuna organizzazione, non vengono riconosciute loro le conseguenze di quanto hanno vissuto; c'è una legge che con tutti i suoi difetti è in fondo riparatoria, che rende lo Stato responsabile del terrorismo, ma lascia fuori chi è stato imprigionato in quell'immenso carcere che era il paese durante la dittatura, senza poter lavorare, studiare o incontrarsi. Ci stiamo riferendo al caso dell'Uruguay. Se ci soffermiamo sull'Uruguay, è necessario ricordare che molta gente sta ancora lottando per i diritti umani (riferiti a quell'epoca), per la verità, per la giustizia. Rimane ancora molto da fare, l'impunità continua a prosperare sotto il sole, qualche militare d'alto rango è stato arrestato (in carceri VIP, riservati esclusivamente a loro), ma molti altri continuano a camminare in mezzo a noi, come se non fossero responsabili di nulla, e non si è riusciti sapere nient'altro, come e dove sono scomparsi i compagni, perché loro, arrestati o a piede libero che siano, non parlano, nonostante sappiano bene cosa è successo. E la colpa non è loro, ma delle autorità a cui rispondevano, ergo ci sono responsabilità nell'attuale governo.

Negli ultimi tempi questa stessa sinistra è stata sconfitta alle elezioni da genocidi dell'estrema destra, come nel caso del Guatemala, mentre nel Salvador il Fronte Farabundo Martí ha perso la maggioranza parlamentare contro un partito dell'estrema destra noto per il suo fascismo.

In Cile ha vinto la destra, e i sostenitori di Pinochet sono tornati al potere sotto mentite spoglie. Quando si promuove come un aspetto della presunta democrazia l'alternanza al potere, in realtà ci si sta ingannando, perché si retrocede a processi più autoritari, preservando sempre il sistema capitalista. In questo modo non si portano avanti cambiamenti profondi ed è impossibile trasformare la società.

Aggiungiamo poi questa situazione ai colpi di Stato appoggiati dall'impero, come nel caso dell'Honduras, e ora del Paraguay. Con un popolo che per un certo periodo ha resistito, come in Honduras, mentre in Paraguay si è vista una resistenza solitaria, sempre la solita resistenza solitaria, quella dei contadini e degli indigeni. In Paraguay gli USA stanno già installando basi militari, che l'Argentina ha ritirato nel Chaco.

Foto: AFA

Dopo le dittature

La novità di questi ultimi decenni, dopo l'ecatombe dei governi militari che hanno applicato la “dottrina della sicurezza nazionale” per provare a impiantare un nuovo ordine economico, è stata l'esplosione in America Latina di inaspettati, svariati e imprevedibili movimenti sociali. Alcuni di questi hanno resistito agli aggiustamenti neoliberali e al taglio delle libertà pubbliche. Queste resistenze, inoltre, hanno reso più difficile l'applicazione dei piani di ristrutturazione capitalistica e hanno delegittimato il cosiddetto “pensiero unico”. Hanno aperto delle brecce attraverso le quali sono sorte nuove forme di pensare e di cambiare il mondo.

I movimenti sono riusciti a far retrocedere le privatizzazioni, hanno fatto cadere diversi presidenti e, nel caso boliviano, hanno dato vita ad azioni insurrezionali che avrebbero potuto portare a forme organizzative appoggiate di autogoverno, radicate nelle comunità e nell'autogestione.

Negli ultimi anni questi movimenti, che hanno avuto un ruolo sociale importante come le organizzazioni sociali sopravvissute alle dittature militari, hanno affrontato delle difficoltà, hanno perso spazi d'intervento, sono stati messi da parte e in alcuni casi subordinati o cooptati dai nuovi governi. Non tutto però è andato perduto; quanto è avvenuto è penetrato in profondità, ci sono stati cambiamenti che hanno aperto nuove strade, si sono creati nuovi modi di agire, nuove sensibilità, etc.

Non ci sono governi “buoni” che appoggiano e che siano favorevoli ai movimenti sociali che si battono per la propria libertà, che costruiscono autonomamente il proprio senso della vita, che lottano per l'emancipazione sociale. Questo, indubbiamente, non vuol dire che non ci sia nessuna differenza tra un governo e l'altro: una dittatura o un governo di destra non sono la stessa cosa di un governo progressista o di “sinistra”. In definitiva però i governi e gli Stati non si possono permettere l'esistenza di realtà che non controllano o non gestiscono, realtà che stiano al di fuori, che si pongano da una parte.
È bene ricordare che la situazione dell'America Latina rientra nella stessa instabilità in cui si trova il capitalismo globale. Invasioni, truppe d'occupazione, militarizzazione dei territori ricchi di materie prime strategiche, come il petrolio, l'acqua, i generi alimentari (il Paraguay, la triplice frontiera tra l'Argentina, il Paraguay e il Brasile, il “Piano Colombia”), pressioni di diverso tipo e perfino la possibilità di una riformulazione delle frontiere come è avvenuto nell'ex Jugoslavia, sono temi all'ordine del giorno e possono fare affidamento sulla struttura logistica degli Stati Uniti e sulle forze di repressione “nazionali”. La destra continua a cercare di riprendersi i governi perduti, –si veda ad esempio l'offensiva dell'oligarchia agraria in Argentina, i tentativi separatisti in Bolivia, e quanto menzionavamo prima a proposito dei golpe dell'Honduras e del Paraguay–, stanno sperimentando nuove forme d'azione. La novità, un modello non condannato dagli USA, è un colpo di Stato che non è un colpo di Stato, tutto rimane all'interno della difesa costituzionale. A noi uruguaiani ricorda il governo di Pacheco, tra il 1968 e il 1971, definito una dittatura costituzionale (...)

I movimenti sociali

In tutta l'America latina i governi precedenti avevano applicato le ricette neoliberali con gravi conseguenze, che hanno gettato ampi settori della popolazione nella miseria più atroce. I più poveri non hanno potuto fare altro che imparare a organizzare la propria sopravvivenza per continuare a vivere. Ma sono riusciti anche a organizzare la propria ribellione esprimendosi in importanti movimenti in tutto il continente, come ad esempio il “caracazo” in Venezuela, gli zapatisti in México, gli indigeni in Ecuador, i coltivatori di coca e i “guerras del agua y del gas” in Bolivia, i Sem Terra in Brasile, i “piqueteros” e quelli delle fabbriche rimesse in funzione in Argentina, il movimento mapuche in Cile. Ultimamente i popoli amazzonici del Perù si stanno mobilitando contro l'applicazione del Trattato del Libero Commercio con gli Stati Uniti destinato a favorire la commercializzazione della terra e delle sue risorse a favore delle corporazioni transnazionali.

Alcuni pensano che l'esistenza di questi governi di sinistra con maggior sensibilità sociale dia alle classi deboli la possibilità di consolidarsi e di ottenere conquiste fino ad oggi mai raggiunte con i governi di destra. Questo può essere vero a breve termine, ma alla lunga tutti i governi, compresi quelli che vogliono perseguire una migliore ridistribuzione sociale, tendono inevitabilmente a strumentalizzare, conquistare e istituzionalizzare i movimenti di base. Le politiche sociali dei nuovi modi di governare hanno una maggiore capacità di trascinare dietro di sé i movimenti, impadronendosi delle loro bandiere e facendo proprie alcune delle loro rivendicazioni. Sbarcano con i loro funzionari e tecnici sociali, molti dei quali sono militanti del sociale, e compiono sondaggi, contano, registrano, neutralizzano e controllano. Ma soprattutto spingono un nuovo stile di lavoro sociale, in cui stimolano organizzazioni sociali consociative ed “autonome”. Le spronano ad agire all'interno dello Stato, riconoscendo loro una rappresentazione istituzionale, cooptando così i movimenti che passano a definire questi governi come “popolari”.

I nuovi modi di governare hanno bisogno di controllare i movimenti, poiché sono creatori di incertezza sociale dato che con le loro rivendicazioni mettono in dubbio la natura e la struttura degli Stati in ricostruzione e spaventano gli investitori.

Foto: AFA

Nuove forme di sviluppo, mega imprenditorialità e traffico di droga

Bisogna evidenziare che i nuovi governi progressisti sorti negli ultimi tempi in America latina (alcuni dei quali sono già stati cambiati con governi di destra) hanno preso a modello di sviluppo economico l'estrazione delle risorse naturali, come il petrolio, il gas, i minerali, quelli vecchi e altri di nuovi, la cellulosa con grandi piantagioni di alberi, che attaccano l'agricoltura, depredando il medio ambiente e la natura. Anche se questo avviene da sempre, la domanda oggi è ancora maggiore e quindi l'estrazione di suddette risorse è molto superiore a prima; inoltre vengono utilizzate nuove tecnologie per ottenere una rendita maggiore, e i progetti sono enormi, con tutto quello che questo implica.

Tutto ciò ha dato vita a movimenti di resistenza nei confronti di suddetto modello, che sorgono in difesa della terra in cui abitano, (da cui vengono espulsi e dislocati in luoghi in cui non hanno risorse per sopravvivere, facendo in modo che alla lunga intere civiltà scompaiano), dell'acqua che in un modo o nell'altro viene sempre contaminata dalla suddetta produzione, quando non definitivamente prosciugata, e del medio ambiente, risorse non rinnovabili che hanno un impatto diretto con la sopravvivenza della comunità e dell'intero pianeta. Questi movimenti, con una visione più profonda e non meramente economica, hanno messo in dubbio la logica del modello.

Dietro al monito della crescita economica, dell'attrazione degli investitori e della promozione delle esportazioni, i governi dell'America latina sostengono, afferma Eduardo Gudynas, che “lo Stato capta parte di quella ricchezza per mantenere sé stesso e finanziare programmi di lotta contro la povertà”. Afferma il sociologo che “la sinistra al governo non sa che farsene dei temi ambientali”, e finisce per interpretarli in maniera contraria, e non si spinge oltre alle vaghe allusioni alla questione ecologica e riesce perfino a interpretare erroneamente la Pacha Mama, che diventa un ostacolo per la crescita economica e, pertanto, “un freno per la riproduzione dell'apparato statale e dell'assistenzialismo economico a chi ne ha più bisogno”. Assistenzialismo che rende i governi sempre più dipendenti dall'esportazione delle materie prime. E queste politiche assistenzialiste riproducono la dipendenza e la distribuzione diseguale dei beni.

In America latina il modello estrattivo patrocinato dai governi di sinistra e di destra è definito da Raúl Zibechi come “appropriazione diretta o indiretta dei beni comuni per trasformarli in merce”.

Come afferma Tadeu Breda, “con alcune minime caratteristiche che cambiano da paese a paese, è sempre più chiaro che i governi della 'nuova sinistra' e le loro politiche del neo-sviluppo non riescono a correggere le disuguaglianze più profonde presenti nella nostra società. Non offrono reali alternative di sviluppo e di benessere. Per questa ragione, i popoli si stanno organizzando e stanno alzando sempre più la voce. È necessario ascoltarli”.

Un altro tema che dobbiamo affrontare, se si parla di alternative e di resistenza, è il narcotraffico e le sue conseguenze che riguardano tutta l'America, con governi fortemente implicati come quello di Uribe, e i suoi diversi strati, che come sempre vanno a detrimento dei ceti più vulnerabili della società. Quando si compiono analisi politiche, questo è un tema che non viene realmente affrontato, perché distoglie l'attenzione da altri argomenti e perché non si sa bene come farlo. In realtà è un problema che riguarda anche il mercato e il capitale, ma che tocca in modo allarmante i giovani, e riproduce molta violenza, sia per chi vive direttamente questo problema e per la sua famiglia, sia quando è preso come pretesto per riflettere sulla violenza di stato con tutta la sua forza, ma anche a proposito dei narcotrafficanti, e il Messico ne è un esempio.

Il Messico e gli USA sono implicati in una guerra non solo perché sono Stati confinanti ma per accordi geopolitici e militari come ad esempio l'iniziativa Merica (un accordo stipulato tra Bush e Calderón nel 2007) nella quale gli Stati Uniti in tre anni hanno investito 1.400 milioni di dollari.

A partire da questa guerra il Messico è un paese completamente militarizzato e para-militarizzato, che, secondo le stime del governo, dal 2010 al settembre 2011, ha visto arrivare a 47?500 il numero delle vittime, incluso un migliaio di bambini, cifra a cui devono aggiungersi le diverse migliaia di scomparsi. Con il pretesto di questa guerra contro il narcotraffico si copre la repressione dei movimenti popolari di resistenza.
Ci è arrivata qualche testimonianza di esperienze nella selva colombiana delle comunità che vivono, – da notare la contraddizione –, in lotta con la violenza. Queste popolazioni si sostengono con quello che loro stesse producono, e alcuni vanno a lavorare in altri paesi. Lì non entra nessuno che appoggi la guerriglia, che abbia contatti con i narcos o con i militari. In queste comunità si verificano di frequente persecuzioni e assassinii, sia per mano dei narcos che dei militari. La loro vita è molto dura, in contatto permanente con la morte. Sono il pretesto per giustificare mattanze che generalmente avvengono da parte dell'esercito. Sono i falsi positivi per i quali familiari e comunità hanno marciato in diverse opportunità, denunciando da molto tempo quanto sta avvenendo.

Anche se la Colombia è il paese che da più anni subisce questa problematica, il Messico non ha avuto nessun tipo di controllo, e nelle popolazioni di frontiera con gli USA, dove il traffico è molto intenso, gli assassinii, il terrore e i massacri sono il pane quotidiano.

Il problema c'è anche per paesi come il nostro, nonostante siano più piccoli, che fanno i conti con un consumo del residuo della coca che contiene elementi corrosivi come i diluenti, essendo così più economica. In Argentina viene chiamata “paco” e qui in Uruguay “pasta base”. Questo traffico è preso come pretesto di repressione massiccia nei quartieri che in Uruguay vengono chiamati “mega operativi”, giustificando così la violenza sui giovani, e si attribuiscono ai minori tutte le cause della delinquenza, senza vedere le vere ragioni profonde e ricorrenti. Si è arrivati a sostenere pertanto di abbassare l'età dell'impunibilità, e rendere complice una popolazione spaventata di questi attacchi ai giovani, ai minori e agli esclusi.

Una scommessa per riflettere e ripensarci con autonomia e con un pensiero critico, di fronte a una difficoltà abbastanza nuova. Nonostante il tema della “sicurezza” non sia nuovo, gli agenti scatenatori sono gli stessi di sempre: fame, esclusione, dipendenza del sapere e del pensiero, ma le conseguenze sono decisamente più nuove.

Foto: AFA

I bassifondi che si muovono

I movimenti dei popoli nativi o degli indigeni sono sicuramente uno dei tratti più evidenti di questi tempi. Forse stanno portando avanti il processo di decolonizzazione che in questi paesi non è mai stato portato a termine. In Ecuador, in Colombia e in Perù si sono scontrati duramente con le transnazionali del petrolio.
In Cile e in Argentina i mapuche hanno resistito alle imprese del legname e della cellulosa. In Cile il governo della socialista Bachelet li ha duramente criminalizzati grazie alla Legge contro il terrorismo (emanata da Pinochet). Il movimento di lotta del popolo mapuche si batte contro le multinazionali che si impadroniscono delle terre indigene per sviluppare affari in campo agricolo, e combatte per l'autonomia e la gestione comunitaria del territorio, senza l'ingerenza dello Stato cileno.

In Bolivia la lotta per l'acqua e per il gas e per la nazionalizzazione degli idrocarburi ha visto in prima fila le comunità indigene e contadine quando nell'ottobre del 2003 hanno fatto cadere il governo e quando, tra il maggio e il giugno del 2005, si sono trovate a un passo dal far destituire il presidente Eduardo Rodríguez e organizzare un autogoverno; Evo Morales e il suo partito, il MAS (Movimiento al Socialismo), hanno negoziato e ottenuto che il movimento insorgente concedesse una tregua al governo, aprendo nuovamente la via elettorale che ha portato l'aymará Evo Morales alla presidenza della Bolivia. Rivendicare la nazionalizzazione del gas e del petrolio, imporre la sovranità su queste industrie organizzate secondo il modello centralizzato statale, significa far entrare un'altra volta il parlamentarismo e lo Stato come interlocutori validi nel conflitto.

In Ecuador i popoli nativi promuovono uno stato multiculturale e multirazziale. Nel caso dell'Ecuador, già in passato i popoli indigeni avevano stretto alleanze in questo senso con i partiti e i candidati governo che poi li hanno traditi. Forse è possibile la costruzione di un nuovo Stato in cui riescano a entrare le culture indigene, sempre che non si metta in discussione il mercato capitalista.

In Bolivia gli aymará propongono l'autogoverno delle comunità, rivendicano la costruzione della “nazione aymará” contrapponendola all'idea di conquistare lo Stato.

Da diversi mesi anche i popoli nativi dell'Amazzonia peruviana difendono i loro territori e la loro maniera di vivere mobilitandosi contro i governi neoliberali per arrestare la mano predatrice della borghesia nativa e transnazionale, che non dubita nemmeno un momento quando si tratta di sfruttare le ricchezze degli idrocarburi e dei minerali, anche se questo vuol dire distruggere intere comunità e il “polmone dell'umanità”, tutto in nome del Trattato del Libero Commercio e del progresso.

In Argentina il movimento piquetero è stato debilitato ed è stato inserito in gran parte nelle politiche governative del governo di Néstor Kirchner. Tuttavia, alcuni settori piqueteros, le fabbriche autogestite, le assemblee dei cittadini, continuano ad affermare i propri legami e a costruire autonomamente la propria vita, producendo e commercializzando in un modo diverso, autogestito, subendo permanentemente le aggressioni dello Stato e del capitale. Organizzazioni sociali e assemblee comunali stanno portando avanti movimenti di resistenza contro il mega sistema di estrazione minerario in difesa della vita e del medio ambiente.

Il chavismo in Venezuela è un movimento promosso dal governo e ha come massimo leader il proprio presidente. Questo rappresenta il suo maggior limite fin dalla nascita, un cordone ombelicale che lo unisce fortemente allo Stato. “La gente deve prendere il potere”, questo è il motto di Chávez, secondo quanto scrive entusiasta il libertario statunitense Michael Albert. Ma che significato può avere una simile proposta quando viene offerta da chi esercita realmente il potere, la stessa persona che costruisce il partito unico PSU (Partido Socialista Único), per dirigere i destini della “rivoluzione bolivariana”, e di cui è il massimo leader? Un potere popolare programmato dall'alto dai funzionari del governo può solo servire a rafforzare il potere dei funzionari, di Chávez e dello Stato. È che il socialismo del XXI secolo si ispira a quel miraggio chiamato socialismo cubano: “Il potere ha bisogno di ridurre la nostra forza d'intervento proprio per esercitare il suo potere su di noi”. Non c'è modo migliore per far perdere la potenzialità d'azione ai movimenti che integrarli nello spazio del governo, istituzionalizzando le nuove forme di partecipazione nate tra la base del chavismo.

Chávez ha voluto affermare il suo potere, non il potere popolare, attraverso un referendum boicottato dallo stesso movimento chavista. Per questo è necessario operare una distinzione tra Chávez e il movimento che lo appoggia.

I Sem Terra del Brasile, legati nel momento della loro nascita alle comunità ecclesiastiche e politicamente al PT (Partido dos Trabalhadores), oggi hanno preso parzialmente le distanze dal partito di Lula per le posizioni discordanti riguardo la riforma agraria e la coltivazione degli organismi transgenetici.
Il Movimento Sem Terra è sicuramente uno dei più potenti dell'America Latina, ma è anche il più strutturato e il più verticale. Forse questo deriva dall'aver unito le posizioni della Chiesa progressista con quelle di una sinistra marxista piuttosto ortodossa, che aspira alla costruzione di uno stato popolare.
Un movimento molto combattivo e con una base molto partecipativa negli accampamenti e nelle occupazioni di terra, ma che smette di esserlo man mano che sale nella struttura, dato che si regge sul centralismo democratico.

In questo periodo il movimento zapatista è stato quello ad aver avuto maggior influenza sul movimento libertario e anche quello che più ha inciso nella ricerca di un cambiamento nel pensiero emancipatore in America latina. Tuttavia, nell'ultima fase, gli zapatisti hanno smesso di guardare verso il basso come avevano fatto finora, per attraversare il Messico, ma lo hanno fatto guardando in basso a sinistra. Ciò li colloca in uno spazio politico, quello della sinistra radicale, più o meno ortodossa e leninista, in cui vengono reiterate le politiche che gli stessi zapatisti hanno criticato nel tempo. Inoltre, trovarsi non in basso ma in basso a sinistra, vuol dire continuare ad avere una categoria vincolata alla forma Stato che serve alla sua riproduzione.

Sempre in Messico il movimento indigeno e popolare di Oaxaca organizzato nell'APPO (Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca, Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca) e in un movimento ancora più ampio, noto come la Comune di Oaxaca, sono stati i protagonisti della resistenza contro il governatore Ulises Ruiz, per anni espressione di corruzione e repressione. Flores Magón, anche lui di Oaxaca, aveva riscontrato nelle comunità indigene il fondamento delle sue proposte libertarie.

In Uruguay, i movimenti visibili non sono altro che strutture verticali, prive di vita. Le forze che in qualche momento furono presenti in queste strutture, sono state soffocate dai requisiti della legalità, legalità che gli stessi membri aderenti hanno accettato correndo dietro alla carota della democrazia partecipativa e alle facilitazioni promesse dal “progressismo”, che d'altronde non sono certo gratuite. Queste forze si sono diluite nei meandri del potere, più occupate a perseguire approvazioni legali, a integrarsi nel sistema, più che a costruire le loro proprie realtà. Ma, al di là degli intenti, l'apparato burocratico dei movimenti sociali continua a funzionare e a riprodursi per inerzia.
Tuttavia stanno sorgendo altri movimenti di resistenza, (si definiscono come apartitici: produttori, industria agro-pastorile, sindacati, studenti, docenti, ricercatori, associazioni di cittadini e altri gruppi) che si mobilitano contro le mega imprese, le piantagioni di cellulosa e il sistema di sfruttamento minerario, che hanno riscontrato un relativo appoggio.

Esiste anche un movimento invisibile, disperso e imprevedibile, che partendo dalle proprie realtà e dai propri desideri, persegue quell'autonomia e crea a partire dalla differenza le realtà che desidera; si fa a carico dell'alimentazione, dell'istruzione, della sanità, sottraendosi alla legalità per poter avere un luogo in cui vivere, dove far crescere i generi alimentari... vivendo giorno dopo giorno l'avventura (in maggior o minor misura) di costruire insieme quella realtà che ci renda possibile vivere più sani e liberi.

Fino all'arrivo della sinistra, in Uruguay il sistema sanitario si articolava in tre maniere: sanità privata (tipo mutuale, che ai suoi inizi ha avuto una base solida facendosi poi via via sempre più commerciale), le assicurazioni private (per le persone facoltose) e la sanità pubblica, poverissima e per i più indigenti. Le rispettive risorse umane ricevevano stipendi abissalmente diversi. Con l'arrivo del Frente Amplio si è instaurato un sistema che pretende di integrare la sanità privata con quella pubblica, si sostiene con un'assicurazione che viene scalata dai salari dei lavoratori. Continua a essere un sistema ingiusto (anche se la sanità pubblica è un po' migliorata) e si è reso insostenibile; la popolazione è ricorsa alle strutture private, intasandole, e queste non hanno migliorato le proprie risorse, né quelle tecniche né quelle umane, e la sanità pubblica ha grandi difficoltà, giacché alle sue strutture non vengono destinate le stesse entrate di denaro che ricevono quelle private. I lavoratori nelle loro assemblee richiedevano che la sanità del sistema Stato fosse solamente pubblica, con uguali condizioni per tutti. Inoltre questo sistema, come sempre è stato, non ha considerato la salute mentale e l'assistenza agli anziani (in un paese di geronti).
Oggi la crisi nella sanità si acutizza, aumenta il tasso di mortalità infantile, gli ospedali pubblici si sono visti sovraccaricati di persone e si tagliano i letti per mancanza di personale.

L'istruzione mostra una situazione deplorevole: locali inadeguati, salari di maestri e professori che non raggiungono i livelli minimi di sussistenza, i contenuti che non cercano nemmeno di sviluppare un pensiero critico. Docenti e alunni dell'istruzione, amministrativi e i pazienti del sistema sanitario continuano la loro lotta per migliorare i contenuti e le forme.

Sono centinaia di migliaia le case vuote e le masse sono senza casa. La mancanza di abitazioni è molto grave, non sono accessibili ai lavoratori e aumentano le baraccopoli.

Si pianifica di abilitare la distribuzione della marihuana nello Stato e allo stesso tempo si rende possibile l'internamento compulsivo.

Nuovi contesti, nuove capacità

Uno sguardo critico sui movimenti, sulla loro fragilità, non implica un giudizio negativo. Poiché da questa fragilità, dalla crisi di referenti, dalle incertezze nasce quel desiderio di creazione e di ricerca di nuovi significati per le nostre vite.

I movimenti non sono puri, sono eterogenei, ibridi, sono un miscuglio di differenze con diversi tipi di impurità, ma da questi incontri, da questo meticciato possono nascere le trasformazioni. Dall'omogeneo, dal puro, nascono solo ripetizioni autoreferenziali, mai creazioni.

Tuttavia, in America Latina alcuni movimenti di base continuano a essere intrisi di quella logica leninista, secondo la quale la politica di partito è un'istanza superiore della politica, che separa il sociale dal politico, affermando in questo modo il suo ruolo di cinghia di trasmissione delle decisioni prese nelle istanze superiori; e quando non è così, molti di loro non vanno più in là di rivendicazioni corporative o di pratiche clientelari.

La crisi della rappresentatività e dell'avanguardismo non sfocia automaticamente nello sviluppo di azioni autonome e nell'autoorganizzazione. All'interno dei nuovi gruppi della sinistra radicale, molti rivendicano strumentalmente l'autonomia degli organismi di base, ma è un'autonomia costruita al servizio di una strategia di potere. Si gioca con il concetto di indipendenza di classe e autonomia, confondendo le due cose. In Uruguay negli anni sessanta e settanta l'indipendenza di classe significava l'indipendenza dello Stato, dei governi di turno, e dei partiti borghesi, ma non dei partiti e dei gruppi di sinistra. E questa è l'autonomia che si cerca di far passare.

La strategia del potere implica l'unione e qual è il luogo per eccellenza, secondo questa strategia, dell'unione politica se non il partito o l'organizzazione politica?

Per i movimenti sociali, non solo quelli che si limitano a fare richieste allo Stato in una posizione subalterna, ma soprattutto per quelli che non vogliono rimanere impigliati nelle reti delle istituzioni statali, sembra chiaro che non si può continuare a combattere nello stesso modo di prima di questi governi, come se non fosse successo nulla.

Non è tutto uguale e la situazione attuale, che è più complessa, rende necessaria l'invenzione di nuove forme che evitino tanto la cooptazione quanto l'emarginazione dei movimenti, o sarà che giustamente dobbiamo fomentare la marginalità stessa, nel senso che stiamo ai margini di un sistema da cui vogliamo uscire?
È un conteso nuovo che ci sfida e che richiede, a noi anarchici, di creare di nuovi concetti e pratiche, nuove capacità, che chiami a raccolta l'allegria della nostra potenza creatrice ed emancipatrice.

Laboratorio libertario
Montevideo (Uruguay)
Traduzione di Arianna Fiore

Questa relazione riprende in parte il documento pubblicato su “A” 337 (estate 2008) al quale rimandiamo per approfondire tematiche e aspetti non presenti in questi stralci.