Rivista Anarchica Online


resistenza

Quelle radio clandestine nei lager nazisti

di Angelo Pagliaro


Ad alcune venne dato un nome femminile, ad altre quello di uno dei componenti principali.
Una piccola (ma grande) pagina sconosciuta della Resistenza.




“Thon,thon,thon.......Parla Londra, trasmettiamo alcuni messaggi speciali: le scarpe mi stanno strette, il pappagallo è rosso, l'aquila vola......parla Londra....abbiamo trasmesso alcuni messaggi speciali”.
Chi ha vissuto quei tristi periodi ricorda ancora le note musicali di apertura della trasmissione radio più “cercata” dagli antifascisti e dai militari in prima linea, erano quelle della quinta sinfonia di Beethoven e la voce inconfondibile era quella del Colonnello Harold Stevens già addetto militare britannico a Roma. Anche gli internati nei campi di concentramento nazisti sapevano, dunque, grazie a Radio Londra, cosa accadeva al di là dei muri di cinta e del filo spinato? Non in tutti, ma sicuramente in molte di queste strutture di annichilimento, alcuni prigionieri, esperti radioamatori, ingegneri e tecnici elettronici, raccattando materiali semplici e di fortuna sono riusciti a dar vita ad apparecchi riceventi perfettamente funzionanti.
Proprio per ricordare questa pagina, un po' sconosciuta della resistenza, il Centro congressi dell'Università della Calabria, all'interno delle iniziative programmate per il giorno della memoria, ha ospitato, lo scorso anno, presso la saletta mostre dell'aula magna, una bella e originale esposizione, curata dal Prof. Luigi Covello, sulle radio clandestine costruite nei campi di concentramento. In un percorso guidato dallo stesso curatore è stato possibile ammirare le ricostruzioni fedelissime di radio costruite, con materiale di fortuna, nei campi di concentramento: dalla famosa “Radio Caterina” assemblata nel lager di Sandbostel, alla “Radio nella gavetta” utilizzata nel campo di Versen, ad alcuni apparecchi originali del terzo Reich facenti parte della collezione privata di Luigi Covello. Carta stagnola, lamette da barba, fili di rame rubati da una bicicletta di un nazista, sapientemente assemblati, hanno consentito, a centinaia di internati, di conoscere, in tempo reale, l'evoluzione degli avvenimenti che si svolgevano oltre i recinti dei campi. Al visitatore, gentilmente accolto e informato da Covello, è stata offerta la visione di un interessante video, della durata di pochi minuti, così ben realizzato da consentire, anche ai non addetti ai lavori, una immediata conoscenza del tema trattato.



Il regalo più bello

Al di là delle celebrazioni, della medaglia d'onore consegnata ai pochi sopravvissuti ai lager ancora in vita o ai loro famigliari, il regalo più bello che studiosi come Covello, Dragoni, Borghini, Oliviero, Casagrande, Ferioli, Grillini, Borgogno, Secci e molti altri hanno fatto agli internati militari italiani è stato senz'altro l'investimento nella ricerca e nello studio. Le fedelissime ricostruzioni di una semplice borraccia di metallo di un marines americano contenente una piccola radio, oppure le valvole con impressa sul vetro l'aquila del Terzo Reich ci hanno fatto pensare, solo per un istante, a cosa sarebbe accaduto se una SS avesse scoperto il reale contenuto di quell'innocua borraccia o di quella gavetta color verde militare. Per i nostri lettori, riportiamo qui di seguito le caratteristiche riassuntive principali di alcune delle otto radio clandestine che, secondo Ugo Dragoni, furono realizzate nei vari Lager. Di tutti questi ricevitori solo tre (“Caterina”, Radio Cestokova e la galena di Zheithain) sono attualmente esposti al Museo dell'Internato Ignoto di Padova.

1. Radio Caterina
è la più famosa delle radio clandestine; detta anche “la radio della speranza”, fu costruita nel campo di concentramento nazista di Sandbostel, nel marzo 1944. Come racconta Giuseppe Borghini (IW5CID in Radio Rivista 2-91), la “Caterina” fu costruita intorno ad una valvola, un pentodo 1Q5, introdotta furtivamente nel lager dal tenente Martignago. Ad assemblarla ci pensarono il capitano Aldo Angiolillo, esperto costruttore di resistenze che utilizzò pile e condensatori ricavati da barattoli e stoffa e cartine di sigarette e il sottotenente Oliviero Olivero, ideatore del circuito radio, che era anche l'antenna umana, in quanto fungeva da ricevitore tenendo un filo in bocca e muovendo un piede vicino al pavimento bagnato alla ricerca della migliore ricezione. Con un semplice auricolare di latta, alimentato da pile evanescenti, i due militari riuscirono a captare segnali deboli e lontani. Le bobine di sintonia e di reazione erano state realizzate avvolgendo un filo di rame smaltato tolto dalla dinamo di una bicicletta di un militare tedesco mentre il condensatore variabile era stato costruito con lamiere di barattoli e celluloide per isolante. Grazie alla carta stagnola e alle cartine di sigarette fu possibile costruire il condensatore fisso. La resistenza aveva preso vita partendo dalla grafite per matite, mentre la batteria di accensione era stata costruita con il carbone e la polvere recuperati da una pila esaurita tedesca, con la lamiera di zinco ritagliata da lavatoio mentre, l'elettrolito, era costituito dal liquido dei sottaceti trovati nei pacchi viveri dei prigionieri francesi. La batteria anodica, infine, era stata concepita utilizzando monete di rame da dieci centesimi, alternate a dischi di zinco e di stoffa, imbevuti in elettroliti di fortuna (aceto oppure ammoniaca, ricavata dai pozzi neri, o acidi presi dall'infermeria).

2. Radio Mimma
è leggermente più complessa di “Caterina” in quanto composta da due valvole ed è in grado di captare anche le onde corte. I due militari costruttori, Olivero e Tarini riuscirono, grazie alla collaborazione dei medici italiani operanti nell'infermeria del campo di concentramento di Fallingbostel, a procurarsi gran parte del materiale occorrente.

3. La Radio nella Gavetta di Versen
fu costruita da Giulio Borgogno, internato nel campo di Versen, il quale, mentre teneva dei corsi divulgativi rivolti ai prigionieri sulle tecniche di riparazione delle radio, venne chiamato dai tedeschi per alcune riparazioni. Dopo essere entrato nel magazzino e aver visionato tutto il materiale utile, ne usciva con due pagnotte di compenso imbottite di valvole, fili, condensatori e resistenze varie. Una volta entrato in possesso degli elementi bisognava scegliere il “contenitore” e Borgogno decise per la gavetta. In quelle ridotte e obbligate dimensioni si realizzarono due piani, uno superiore di alluminio ed uno inferiore in legno che corrispondono esattamente alla forma della gavetta; essi furono tenuti insieme da tre lunghe viti. Si assemblarono trasformatori, valvole, condensatori, interruttori, auricolari telefonici e antenne di fortuna fino a che, dopo varie prove, si riuscì a ricevere anche le onde lunghe, proprio quelle di Radio Londra. Le prime notizie sull'avvenuta liberazione dell' Italia pervennero agli ex internati a mezzo di questo apparecchio che a Versen, in prossimità del confine olandese, riusciva a captare le prime emissioni di Milano libera.

4. La galena di Zeithain
istituito nel 1941 sul campo di esercitazioni militari di Zeithain, a nord di Riesa, lo Stalag 304 (IV H), poi Stalag IV B, fu inizialmente destinato ad accogliere prigionieri di guerra sovietici e a partire dal 1943 fu adibito anche a lazzaretto di riserva per prigionieri di guerra di altre nazionalità, tra cui moltissimi Internati Militari Italiani (IMI). In questo campo venne realizzata, nel 1944, dal cappellano militare del campo Padre Luca M. Ajroldi la radio a galena.
Composta da una bobina costruita con uno spezzone di tubo di scarico idraulico in plastica bianca annerito all'interno, il cui avvolgimento venne realizzato in filo di rame smaltato, una piccola pietra di cristallo di galena che fungeva da rilevatore e da un auricolare ricavato da una cornetta telefonica la galena di Zeithain era in grado di ricevere molte stazioni in onda media.

5. Radio Fox hole, a lametta o da trincea
considerata la sorella povera della radio a galena, questa radio preso il nome di Foxhole (tana di volpe) in riferimento alla piccola trincea individuale, scavata dai fanti, per ascoltare le notizie e i programmi di intrattenimento trasmessi da stazioni radio che si trovavano nel raggio di 15-30 Km. Era di piccole dimensioni, leggera e facile da montare, formata interamente da materiale di uso quotidiano (punta di matita, lametta da barba, filo di rame, graffetta, cuffia). Non avendo bisogno di pile di alimentazione in situazioni estreme riusciva, grazie a un contatto strisciante sulla bobina, la grafite di una matita e l' acciaio di una lametta da barba fissata con delle puntine da disegno ad una tavoletta di legno, a sintonizzarsi. Un filo lungo una quindicina di metri costituiva l' antenna e una buona presa di terra erano sufficienti per il funzionamento di questa radio che, per ovvi motivi, veniva usata prevalentemente nelle ore notturne. L'unico elemento “esterno” della ricevente più semplice che sia mai esistita era la cuffia che veniva presa in prestito dalla cornetta di un telefono da campo.

6. La Caterina di Cestokova
un tempo custodita dal colonnello di cavalleria Riccardo Melodia, è stata donata da quest'ultimo al Museo dell'internamento di Padova ove è esposta. La Caterina di venne messa in vendita, nel dicembre 1943, nello Stalag di Kestochan, da un ufficiale internato che dopo aver aderito alla Repubblica di Salò stava per rientrare in Italia. Gli ufficiali prigionieri si autotassarono subito per acquistarla e misero insieme la somma di £ 1.800 circa mentre, la pretesa del proprietario della radio era di £ 25.000. Di fronte a quella enorme differenza di prezzo, dopo molte trattative, il colonnello Melodia riuscì ad acquistare, da solo, l'apparecchio in questione sacrificando il suo portasigarette d'oro e firmando, allo strozzino, un assegno di £ 6.000 sul suo conto corrente in Italia. Entrato in possesso della radio la la battezzò “Caterina” e consegnò l'apparecchio a due tecnici: il colonnello Borghetti e il Maggiore Arceri del Genio Aereonautico, i quali, con l'aiuto degli interpreti Ten. Col. Ronti e Ten. Col. Melano ascoltavano ogni sera, dopo la chiusura delle camerate, le comunicazioni di Radio Londra. Radio Caterina veniva nascosta in una cassetta piena di carbone, in maniera che spostando un'assicella se ne scoprivano i comandi. Quando nell'Agosto del 1944 da Kestokau gli internati vennero trasferiti a Norimberga e poi, nel febbraio 1945, da Norimberga a Gross Hesepe, Caterina corse dei seri rischi a causa delle minuziose riviste e perquisizioni. Arrivati a Grosse Hesepe Caterina venne affidata dal Col. Melodia al Col. Di Maio che ne curò la audizione. Con essa riuscirono a seguire le varie fasi dello sbarco degli Alleati e in special modo quella della colonna canadese che il giorno 16 Aprile 1945 li liberò.

7. Radio nella borraccia
era una radio monovalvolare, camuffata all'interno di una borraccia in alluminio dei marines americani, alimentata da corrente continua che captava le onde corte, molto simile a quella che operò nel Campo di concentramento giapponese di Cabanatuan, nell'isola di Luzon (Filippine), dove erano reclusi 513 prigionieri sopravvissuti alla micidiale Marcia della morte di Bataan, del giugno 1942, durante la quale morirono ventimila uomini fra americani e filippini.

Angelo Pagliaro
(a tutti i radioamatori il mio 73, “cordiale saluto”)

Chi erano gli IMI
Gli Internati Militari Italiani nei lager nazisti

Italienische Militär-Internierten, furono denominati dai tedeschi i soldati italiani catturati in patria e sui fronti di guerra all'estero nel settembre 1943 dopo la proclamazione dell'armistizio. Non vollero qualificarli «prigionieri di guerra» per sottrarre al controllo e all'assistenza degli organi internazionali previsti dalla convenzione di Ginevra del 1929 le vittime predestinate al «castigo esemplare» che Hitler aveva promesso agli italiani, rei di essere venuti meno al patto di alleanza, che era in realtà un rapporto di soggezione. Fu quella la più grave disfatta politica e militare subita dal nostro Paese in epoca moderna. Seicentomila uomini e forse più: ufficiali, sottufficiali, soldati, medici, cappellani militari, chiusi nei carri ferroviari e trasferiti nei campi della Polonia e della Germania a languire di inedia o a lavorare come schiavi nelle miniere e nelle fabbriche di guerra. Più di quarantamila morirono di fame o di tubercolosi, per sevizie ed esecuzioni sommarie o sotto i bombardamenti. Finita la guerra, su questa immane tragedia calò un inesplicabile silenzio. Parve che nella coscienza nazionale fosse avvenuta una sorta di rimozione dell'evento, anche se ben altre furono le motivazioni politiche e sociali che la determinarono. Soltanto l'Associazione Nazionale Ex Internati di volumi, a disposizione degli studiosi. Il dato macroscopico che caratterizzò la vicenda dei militari italiani internati nei lager fu il loro massiccio rifiuto di combattere e di collaborare con i tedeschi e con i fascisti. Il NO che li trattenne prigionieri in Germania, e che molti pagarono con la vita, fu atto volontario e consapevole.

Fonte: http://www.anei.it

 

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