|  
                 
 anarchici  
“Tentare è un nostro dovere”  
di Gianfranco Ragona   
 
L'ostinata speranza di Gustav Landauer, anarchico controcorrente, una delle figure più stimolanti e attuali, e al contempo meno note, dell'anarchismo internazionale dello scorso secolo. 
Questo saggio è la premessa al volume appena edito da Elèuthera. 
                 
                   
                   Un 
                  romantico tedesco. Gli studi sulla figura e il pensiero 
                  di Gustav Landauer (1870-1919), pur limitati nel numero e talvolta 
                  parziali nel contenuto, sono riusciti nel complesso a valorizzare 
                  il suo contributo alla teoria anarchica e alla vicenda dell'anarchismo 
                  tedesco tra Otto e Novecento, (1) e questo 
                  a dispetto della mancanza di un'edizione critica dei suoi scritti. 
                  In alcuni casi, sulla base di un procedimento accettabile soprattutto 
                  in ambito accademico, cioè lo studio della formazione 
                  intellettuale e la ricerca delle fonti d'ispirazione, è 
                  stato sottolineato (forse con enfasi eccessiva ma correttamente) 
                  come il romanticismo, o meglio il neoromanticismo che attraversò 
                  la cultura tedesca a cavallo tra i due secoli, abbia costituito 
                  il brodo di coltura delle sue idee politiche. A questo proposito, 
                  è significativo il passaggio di uno dei saggi qui tradotti, 
                  in cui Landauer, riferendosi alla musica di Beethoven, in particolare 
                  alla Sinfonia n. 9, che segna l'ingresso del sommo compositore 
                  nel pieno romanticismo, interpreta lo schilleriano Inno alla 
                  Gioia come un elogio della fratellanza: 
                   
                  E non dobbiamo neppure dimenticare le parole del poema di 
                  Schiller, messe in musica da Beethoven: «Tutti gli uomini 
                  diventano fratelli, là dove il tuo dolce soffio si posa». 
                  Non è vero quello che vogliono farci credere in questi 
                  tempi fiacchi e privi di sentimento a causa della loro debolezza, 
                  che a cagione della decadenza si vergognano dell'amore e della 
                  dedizione, e cioè che per noi la fratellanza sia diventata 
                  una parola vuota. Noi uomini dovremmo di nuovo imparare a proclamare 
                  con forza e decisione, prima e dopo la rivoluzione, che tutti 
                  gli uomini sono fratelli. (2) 
                  Il romanticismo rappresenta effettivamente uno degli elementi 
                  costitutivi del pensiero landaueriano, benché non sia 
                  certo l'unico o quello preponderante. Esso si manifesta tanto 
                  nel richiamo alla mistica, almeno per quanto essa serva a mettere 
                  in rapporto l'individuo con il tutto, quanto nel riferimento 
                  alla cultura völkisch, nazional-popolare, che però 
                  in Landauer, invece di indulgere alla rivalutazione dei miti 
                  degli antichi germani, come accadde in vasti settori dell'intelligencija 
                  tedesca coeva, inclinava al recupero di un'idea dell'uomo quale 
                  essere comunitario, impensabile cioè nei termini dell'isolata 
                  singolarità e sempre frutto delle sue relazioni con gli 
                  altri. 
                  Il peso del romanticismo sulle concezioni landaueriane si nota, 
                  infine, nell'impiego reiterato del termine Geist, che 
                  solo approssimativamente può essere reso nella nostra 
                  lingua come “spirito”. Landauer lo usava per lo 
                  più nel senso di una sintesi di sapere, sentire e volontà 
                  orientata a uno scopo, staccandosi, come altri intellettuali 
                  del tempo, da ogni forma di scientismo positivista applicato 
                  alla politica: rivalutava in tal modo il ruolo della soggettività 
                  nel processo storico, senza scivolare nell'adorazione liberale, 
                  ma poco libertaria, dell'individualismo esasperato. 
                  L'insistente riferimento allo spirito ha causato alcuni problemi 
                  postumi all'anarchico, soprattutto in epoche traumatizzate dagli 
                  esiti nefasti dei fascismi europei, considerati sul piano ideologico 
                  e culturale figli dell'irrazionalismo. È pure comprensibile 
                  che il discorrere di spirito abbia ancora di che disturbare 
                  la nostra cultura politica, permeata di più, non certo 
                  meno, dal culto della tecnica e sottomessa all'autorità 
                  dei suoi sacerdoti, legittimati dall'alto e perciò irresponsabili, 
                  appunto i tecnici: della politica, dell'economia, della 
                  cultura ecc. 
                  Dev'essere sottolineato, però, come nel discorso landaueriano 
                  il linguaggio che fa perno sullo spirito coincida con quello 
                  adoperato da Max Weber per descrivere lo Spirito del capitalismo, 
                  a sua volta risalente al dibattito sulle Geisteswissenschaften, 
                  cioè le scienze della cultura, impostato da Dilthey alla 
                  fine del secolo XIX. Landauer rielabora questa concezione dello 
                  spirito nei termini di ragione umana, che si dispiega in tutte 
                  le sue potenzialità, soprattutto quelle legate alla passione 
                  e allo slancio entusiastico verso un fine. Insomma, la parola, 
                  negli scritti di Landauer, non ha nulla a che fare con il mistero 
                  religioso o con un alcunché di sovrumano. 
                  Egli sferzava anarchici e socialisti e talvolta, anche adottando 
                  un lessico ricercato e provocatorio, si prendeva gioco di loro, 
                  perché si dimostravano senza coraggio quando, per esempio, 
                  pensavano alla rivoluzione come un risultato dello sviluppo 
                  delle forze produttive o dell'evoluzione della specie, o del 
                  progresso della Storia con la maiuscola. Il che ai suoi occhi 
                  rischiava di condurre (come di fatto almeno in parte accadde) 
                  interi settori del movimento rivoluzionario, socialista e socialdemocratico, 
                  persino molti anarchici, (3) alla passività 
                  o peggio all'integrazione nel sistema. Per contro, il ricorso 
                  allo «spirito» evocava la necessità di ricercare 
                  e mettere a punto un insieme condiviso di ragioni di vita, di 
                  obiettivi assai concreti, di desideri e utopie; esprimeva, insomma, 
                  il bisogno di un nuovo clima culturale, che non avrebbe generato 
                  nulla da sé, ma senza il quale l'azione collettiva per 
                  la trasformazione sociale, ossia l'attività politica, 
                  nel senso più nobile d'impegno nella creazione di exempla 
                  di vita buona, non avrebbe potuto produrre nulla di stabile 
                  e duraturo. Si trattava di un approccio eminentemente dialettico, 
                  coerente con lo spirito del tempo. 
                
                  
                    Il suo 
                  grande amico Martin Buber 
                 Il destino di un eretico. La presente raccolta di scritti 
                  politici intende contribuire a colmare una lacuna nel panorama 
                  editoriale italiano. Infatti, l'unica opera di Landauer ad oggi 
                  tradotta è La rivoluzione, cui si accompagna qualche 
                  saggio ospitato sulle pagine di riviste lungimiranti. (4) 
                  La disattenzione per una delle figure più brillanti del 
                  pensiero politico tedesco a cavallo tra Otto e Novecento non 
                  riguarda soltanto l'Italia, e non è certo il prodotto 
                  di alcuna congiura del silenzio. Solo in epoca recente sono 
                  apparse traduzioni francesi e inglesi di alcuni dei suoi contributi 
                  più originali e interessanti e anche in patria egli ha 
                  dovuto attendere la fine del primo decennio del XXI secolo affinché 
                  vedesse la luce un'ampia raccolta di Scritti scelti, 
                  organizzata in diversi volumi. (5) 
                  Per spiegare l'oblìo o il disconoscimento calati per 
                  molto tempo su Landauer, si sarebbe tentati di ricorrere a una 
                  spiegazione, per così dire, linguistica, giacché 
                  il suo tedesco è ricco, ricercato e spesso ostico, quindi 
                  difficile da tradurre; tuttavia, la contestuale difficoltà 
                  a trovare e leggere le sue sparpagliate opere perfino nella 
                  lingua madre suggerisce di ampliare il raggio di ricerca. (6) 
                  Dopo la sua uccisione per mano di un plotone di guardie bianche 
                  durante la repressione della Repubblica dei consigli di Baviera, 
                  di cui era stato uno dei principali protagonisti ricoprendo 
                  per un breve momento anche l'incarico di Ministro della Cultura, 
                  si pose il problema di curare la sua memoria e di valorizzare 
                  il suo contributo teorico. Le basi per una riflessione e un 
                  lavoro in tal senso furono gettate dal suo grande amico Martin 
                  Buber, celebre studioso del chassidismo e filosofo del dialogo, 
                  che negli anni Venti radunò in volume le conferenze, 
                  gli articoli letterari, quelli sull'anarchismo e sul socialismo, 
                  e mise a disposizione una gran parte della corrispondenza. (7) 
                  Dopo la sua morte avvenuta nel 1965, le nuove pubblicazioni, 
                  quando non riproducevano pedissequamente le edizioni buberiane, 
                  si rivelarono nel complesso insoddisfacenti, (8) 
                  soprattutto sotto il profilo scientifico, se si eccettua la 
                  pregevole raccolta di documenti del periodo rivoluzionario approntata 
                  da Ulrich Linse. (9) Gli studi e l'impegno 
                  filologico vennero ripresi un decennio più tardi, con 
                  la stampa di alcuni scritti giovanili predisposta da Ruth Link-Salinger: 
                  sebbene anche in questo caso mancasse una solida interpretazione 
                  storica, il lavoro era pionieristico e illuminava un momento 
                  fino ad allora trascurato del percorso di Landauer. 
                   
                    Misconosciuto? 
                  Era un pensatore anarchico 
                 Sulla stessa traccia si mosse Siegbert Wolf in un'antologia 
                  del 1989 consacrata agli scritti sull'anarchismo, in cui accluse 
                  alcuni dei principali articoli giovanili. (10) 
                  Tali contributi favorirono la ripresa della discussione: anche 
                  grazie alla nuova documentazione, infatti, furono organizzati 
                  simposi internazionali che stimolarono l'ulteriore avanzamento 
                  degli studi. (11) Nel 1997, Rolf Kauffeldt 
                  e Michael Matzigkeit, nel rispetto di solidi criteri di scientificità, 
                  diedero alle stampe un gruppo omogeneo di opere dedicate alla 
                  critica culturale e letteraria, (12) e nello 
                  stesso anno apparve il primo volume delle Opere complete, 
                  incentrato sugli scritti e i discorsi sulla letteratura, la 
                  filosofia e l'ebraismo: il progetto non è stato portato 
                  a termine e i volumi annunciati per il 2000 sono restati sulla 
                  carta. (13) In compenso, in tempi recenti, 
                  ancora Wolf ha dato alle stampe i primi volumi degli Scritti 
                  scelti, qui già menzionati. 
                  È trascorso quasi del tutto un intero secolo dalla sua 
                  scomparsa, eppure la storia della ricezione delle opere e del 
                  pensiero di Landauer si riassume in poche decine di righe. Alcune 
                  considerazioni possono aiutare a spiegarne le ragioni. 
                  In primo luogo, Landauer era un anarchico, e nel Novecento l'idea 
                  di un ordine sociale senza Stato e senza autorità ha 
                  perduto presto ogni dignità d'esistenza, tacciato senza 
                  esitazione di utopismo, nel senso deteriore di ciò che 
                  non sarà mai in vece di ciò che ancora 
                  non è. In secondo luogo, egli era un rivoluzionario, 
                  e la storia novecentesca del pensiero politico europeo, dopo 
                  l'Ottobre russo e il Biennio rosso europeo, è la storia 
                  del progressivo tramonto dell'idea stessa di rivoluzione, un 
                  declino interrotto solo episodicamente e momentaneamente nel 
                  secondo Novecento e per lo più in contesti extraeuropei, 
                  fino a giungere addirittura ad associare ogni tentativo di dare 
                  un ordine radicalmente nuovo alla vita in società al 
                  pericolo, pressoché ineluttabile, del totalitarismo. 
                  Infine, Landauer era un ebreo, certo laico, ma che della cultura 
                  d'origine portò con sé un afflato messianico, 
                  valutato con scetticismo e sospetto da quei contemporanei colti 
                  o compagni impegnati, che si erano formati in un'epoca ancora 
                  contrassegnata dal culto assolutizzante delle scienze. 
                  Tutte le dimensioni dell'identità politica ed esistenziale 
                  di Landauer non si presentarono mai allo stato puro, ma confluirono 
                  in una forma articolata dell'eresia: egli fu eretico in quanto 
                  rivoluzionario, persuaso che la rivoluzione non fosse certo 
                  «quel che pensano i rivoluzionari»; lo fu in quanto 
                  anarchico, non stancandosi mai di biasimare compagni e sodali 
                  per la loro incapacità di affrontare i problemi “politici” 
                  generali o, per esempio, per il loro disprezzo plebeo nei confronti 
                  dell'azione culturale, non riconoscendo che in quest'ambito 
                  non era possibile alcuna democrazia; e fu eretico in quanto 
                  ebreo, collocandosi in quella corrente dell'intellettualità 
                  ebraico-tedesca che coniugava il messianesimo escatologico con 
                  la dimensione utopico-libertaria della trasformazione sociale, 
                  come ha puntualmente messo in luce Michael Löwy, accostando 
                  la figura di Landauer a quelle di Benjamin, Bloch, Scholem, 
                  Mühsam e Buber. (14) 
                  Tutto ciò può contribuire a spiegare il “caso 
                  Landauer”, portatore di un pensiero che aveva tutti le 
                  caratteristiche dell'eterodossia. 
                  
                  
                    Quale 
                  rapporto tra libertà e uguaglianza 
                   
                  Il pensiero politico. Gli elementi “eretici” 
                  che caratterizzano la figura intellettuale e politica di Landauer 
                  s'innestano sul suo pensiero politico. (15) 
                  La riflessione risulta condensata in tre scritti principali, 
                  sviluppandosi intorno ad alcuni temi portanti (il cooperativismo, 
                  la rivoluzione, il rapporto tra anarchismo e socialismo), e 
                  procede parallelamente alla militanza attiva. 
                  Le prime riflessioni sul complesso rapporto tra l'anarchismo 
                  e il socialismo (16) maturarono all'interno 
                  delle discussioni che agitavano il mondo del socialismo internazionalista, 
                  nel quale Landauer conquistò presto una posizione di 
                  rilievo, partecipando ai congressi della Seconda Internazionale 
                  di Zurigo (1893) e di Londra (1896). Benché proprio nella 
                  capitale britannica si fosse consumata un'insanabile rottura 
                  tra l'anarchismo e le correnti politiche del socialismo, egli 
                  continuò sempre a definirsi un «anarco-socialista», 
                  persuaso che il concetto di anarchismo (inteso nei termini di 
                  assenza di dominio e di Stato e, contestualmente, di riconoscimento 
                  e protezione del singolo dalle interferenze di ogni altra forma 
                  di potere) potesse integrarsi perfettamente con il concetto 
                  di socialismo, quale comunanza tra gli uomini dei beni necessari 
                  alla vita. 
                  Si tratta naturalmente del problema, vecchio ma non invecchiato, 
                  del rapporto tra libertà e uguaglianza, questione che 
                  sottende l'intera trattazione del cooperativismo, il primo pilastro 
                  del suo pensiero. Nel suo principale contributo al tema, uno 
                  scritto pubblicato in forma anonima a Berlino nel 1895 con il 
                  titolo Una strada per la liberazione dei lavoratori, 
                  (17) Landauer avanzava una visione propositiva 
                  dell'anarchismo, in anni in cui era ancora vitale la «propaganda 
                  del fatto», una strategia che nei decenni finali dell'Ottocento 
                  aveva affascinato alcune correnti del movimento, inclini a giustificare 
                  omicidi politici, attentati a capi di Stato e di governo e a 
                  funzionari di polizia, o più in generale disposte a praticare 
                  una vera e propria “politica delle bombe” per seminare 
                  terrore nei luoghi di ritrovo delle classi privilegiate. 
                  Il volumetto esprimeva senza incertezze l'opzione antiparlamentarista 
                  del giovane anarchico e parallelamente riconosceva un primato 
                  all'azione economica quale strada per la liberazione del lavoro 
                  attraverso l'edificazione di associazioni di produttori, autonome 
                  dal capitalismo ma situate entro i confini della società 
                  esistente. Si trattava di una visione che, da un lato, era debitrice 
                  della lezione di Pierre-Joseph Proudhon – il pensatore 
                  francese aveva strenuamente difeso l'ipotesi di creare nel presente 
                  «banche del popolo» dispensatrici di «credito 
                  gratuito» –, ma che, da un altro lato, per gli accenti 
                  economicisti che manifestava, anticipava gli sviluppi futuri 
                  del sindacalismo rivoluzionario, che in Germania, in effetti, 
                  si sarebbe affacciato solo alcuni lustri più tardi. 
                  Landauer delineava la sua prospettiva in modo assai chiaro, 
                  respingendo ogni velleità legata alla conquista del potere 
                  politico, un atto che tutt'al più avrebbe rimpiazzato 
                  una classe dominante con i «cosiddetti rivoluzionari, 
                  che in modo dilettantesco, con decreti dittatoriali, tentano 
                  di far emergere la società socialista dal nulla». 
                  (18) I lavoratori, per contro, avrebbero 
                  dovuto conquistare passo dopo passo un potere sociale, organizzandosi 
                  in comunità di produzione, di consumo e culturali. Dapprima 
                  sarebbe stato necessario dar vita a cooperative di consumo, 
                  poi, sulla base dei risparmi realizzati aggirando i diversi 
                  livelli d'intermediazione del commercio, sarebbero sorte anche 
                  cooperative di produzione, il che avrebbe consentito ai lavoratori 
                  di affrancarsi dallo sfruttamento, dando prova concreta della 
                  possibilità di regolare la produzione e la distribuzione 
                  dei beni in armonia con i princìpi del mutuo appoggio, 
                  della solidarietà e dell'uguaglianza. Egli non intendeva 
                  fomentare l'illusione che questa strategia fosse in grado da 
                  sola di abbattere il sistema generando d'incanto una società 
                  perfetta, ma riteneva che una proposta seria di “transizione” 
                  non potesse limitarsi a evocare quasi magicamente l'alba di 
                  un giorno nuovo, capace di illuminare le macerie lasciate da 
                  un atto rivoluzionario improvviso e violento: il futuro doveva 
                  essere preparato nelle condizioni del presente creando “colonie” 
                  a base cooperativa nel seno di ogni Stato. L'immagine della 
                  società che ne scaturiva non era immobile, fuori dal 
                  tempo e dallo spazio, perché si trattava di organizzare 
                  comunità articolate sulla base della divisione sociale 
                  del lavoro e dei compiti, nel rispetto delle diverse competenze 
                  di ciascuno e delle esigenze collettive. Landauer respingeva 
                  così sia l'apologia della rivolta distruttrice di massa 
                  esaltata in passato da Bakunin, sia il carattere determinista 
                  e scientista del socialismo socialdemocratico, contrapponendo 
                  una concezione etica del mutamento che non attendeva nulla dallo 
                  “sviluppo”, ma richiamava l'intervento attivo degli 
                  uomini nella storia. 
                  Su queste fondamenta gettate in età giovanile, Landauer 
                  costruì nel tempo il secondo pilastro del suo pensiero, 
                  una teoria della rivoluzione dai tratti decisamente originali. 
                  Il saggio in cui sintetizzava le sue concezioni, La Rivoluzione, 
                  fu redatto tra il 1906 e il 1907, nel pieno di una fase politica 
                  in cui la maggioranza delle forze socialiste organizzate d'Europa 
                  aveva ripudiato l'idea stessa che la rivoluzione fosse non solo 
                  possibile ma persino auspicabile. A cavallo tra Otto e Novecento, 
                  il Partito socialdemocratico tedesco aveva riposto in un cassetto 
                  ogni progetto del sovvertimento radicale degli assetti sociali 
                  dominanti: il dilaniante dibattito sul revisionismo della dottrina 
                  di Marx, con la critica della teoria della caduta tendenziale 
                  del saggio di profitto (il capitalismo per Eduard Bernstein 
                  e seguaci non era affatto destinato a crollare) e dell'ipotesi 
                  dell'immiserimento crescente dei lavoratori (che anzi nei decenni 
                  avevano visto migliorare le proprie condizioni materiali di 
                  vita), aveva aperto la strada a politiche d'integrazione del 
                  movimento operaio in un sistema che, se democratizzato, sarebbe 
                  evoluto nel socialismo. Non per caso in quel periodo 
                  i socialdemocratici, che esercitavano un ruolo egemonico anche 
                  nella Seconda Internazionale, leggevano e facevano leggere – 
                  forzandone l'interpretazione – il celebre testamento politico 
                  di Friedrich Engels, l'Introduzione del 1895 alle Lotte 
                  di classe in Francia di Karl Marx, nel quale l'autorevole 
                  “co-fondatore” del materialismo storico giudicava 
                  che l'accesso al potere da parte del proletariato sarebbe potuto 
                  avvenire pacificamente e nel rispetto della democrazia formale, 
                  grazie alla mediazione di un potente partito di massa. Si trattava 
                  di opinioni che mal celavano una smisurata fiducia nella storia 
                  e nel progresso, di cui si scorgeva una direzione, il fatale 
                  esaurimento della spinta propulsiva del capitalismo accompagnata 
                  dalla necessità di socializzare i mezzi di produzione, 
                  almeno nelle compagini nazionali più sviluppate. 
                   
                    La rivoluzione 
                  come processo  
                 Nella socialdemocrazia tedesca e nel socialismo internazionale 
                  le posizioni erano certo più articolate, ma sia gli scritti 
                  di Rosa Luxemburg – in particolare quello celebre del 
                  1906, Sciopero generale, partito e sindacati, concentrato 
                  sulla rivoluzione russa dell'anno precedente, che per un momento 
                  aveva dato l'impressione di poter riaprire quel ciclo lungo 
                  della trasformazione socialista del mondo arrestatosi nel sangue 
                  della Comune parigina del 1871 –, sia i pronunciamenti 
                  di Landauer, che nella Rivoluzione impiegava e sviluppava un 
                  lessico comune alle opposizioni di sinistra del tempo, rappresentavano 
                  l'espressione teorica di esigue minoranze. 
                  La rivoluzione non era un atto, ma un processo, che conteneva 
                  una dimensione spirituale orientata a una vasta riforma intellettuale 
                  e morale. (19) Landauer valorizzava gli 
                  uomini quali soggetti attivi della storia, non meri strumenti 
                  nelle mani della provvidenza, quand'anche essa si presentasse 
                  sotto le vesti delle Spirito assoluto, chiamato di volta in 
                  volta, Ragione, Libertà, Progresso. Ma, soprattutto, 
                  il saggio era fonte di scandalo per l'inedita lettura della 
                  modernità che prospettava: la rivoluzione, contrariamente 
                  a quanto avevano sempre creduto i rivoluzionari, non era un 
                  fatto bensì un'epoca, una lunga transizione inaugurata 
                  col tramonto del medioevo e la riforma protestante, ma non ancora 
                  compiuta. In questa visione, il singolo evento rivoluzionario, 
                  sempre ricorrente nella modernità, veniva ridotto a un 
                  «miracolo d'eroismo», in cui si manifestavano provvisoriamente 
                  le possibilità dell'avvenire sino a quel momento latenti, 
                  in attesa dell'autentico «spirito della rigenerazione». 
                  Tale spirito, ossia la comunanza di ideali, di ragioni di vita, 
                  di obiettivi alti, sarebbe apparso solo quando si fosse incominciato, 
                  anche in piccolo, a edificare nella realtà ostile non 
                  tanto oasi felici nascoste allo sguardo del potere e del mercato, 
                  ma tasselli di un grande mosaico ideale, il socialismo. Landauer 
                  manifestava in questo modo la sua etica di emancipazione: la 
                  prefigurazione razionale della città futura, espressa 
                  in termini di desiderio e di possibilità, doveva consentire 
                  di derivare coerentemente i mezzi dell'azione collettiva. Lo 
                  spirito si sarebbe concretato perciò in istituzioni comunitarie, 
                  capaci di produrre in forma cooperativa e armonica valori d'uso 
                  necessari alla vita di ciascuno. Sulla scorta delle intuizioni 
                  di Buber, egli non immaginava tali comunità come presociali, 
                  anzi il contrario: si trattava d'inedite forme di convivenza 
                  contrapposte alla società borghese e capitalistica, in 
                  cui la maggioranza era abbassata a mero ingranaggio di un meccanismo 
                  totale di sfruttamento e oppressione da parte di minoranze organizzate. 
                  Landauer intendeva riportare a galla l'essenza comunitaria del 
                  singolo, non considerato mai una potenza autonoma in lotta con 
                  potenze uguali e contrarie, senza inclinare, per altro, verso 
                  un'idea di comunità come una sorta di “superindividuo”: 
                  la comunità costituiva una relazione sociale basata sull'eguaglianza, 
                  la solidarietà e la vita in comune, in un contesto in 
                  grado di valorizzare le specificità di ciascuno. Un decennio 
                  più tardi, avrebbe creduto di scorgere nei consigli degli 
                  operai, dei contadini e dei soldati, nati nel vortice della 
                  rivoluzione tedesca, una manifestazione tangibile di questo 
                  archetipo: 
                   
                  Io vedo in quel che è iniziato (e si chiama con termini 
                  rivoluzionari: Consigli degli operai, dei soldati, dei contadini, 
                  come in tutte le rivoluzioni), vedo l'articolazione di tutto 
                  il popolo in corporazioni organiche, vedo in tutto questo il 
                  rinnovamento di un parlamentarismo decaduto, deprecabile e indegno, 
                  che è scomparso, morto e sepolto, sconfitto dalla rivoluzione 
                  e che non riapparirà sotto nessuna forma [...]. (20) 
                   
                  Infine, nel 1911, Landauer diede alle stampe l'Appello al 
                  socialismo. (21) Lo scritto, per molti 
                  versi, tradiva il proprio carattere originario: un'appassionata 
                  conferenza pronunciata nel 1908 da un oratore d'indiscusso talento, 
                  ma disorganica e frammentaria; d'altro canto, però, riassumeva 
                  assai bene e approfondiva le antiche idee sul carattere coessenziale 
                  dell'anarchismo e del socialismo, costruendo così, sulle 
                  basi gettate negli anni precedenti, il terzo pilastro del suo 
                  pensiero politico. 
                  Il volume proponeva prima di tutto un ragionamento articolato 
                  sulle principali cause della servitù nella società 
                  capitalista, tra esse la proprietà privata della terra, 
                  che strappava ai più la possibilità di accedere 
                  a uno dei presupposti essenziali della produzione, costringendoli 
                  a un legame di dipendenza economica dai proprietari. Landauer 
                  non si fermava a tale constatazione, ma esaminava anche il meccanismo 
                  della circolazione delle merci: in un'economia caratterizzata 
                  dallo scambio capitalistico, l'accesso ai beni, sia per il consumo 
                  diretto sia per la produzione, era limitato dal possesso di 
                  denaro, una merce del tutto particolare perché poteva 
                  aumentare di valore nel tempo, sicché i ricchi godevano 
                  del privilegio di limitarne e controllarne la circolazione, 
                  riproducendo il sistema sempre uguale a se stesso. Ispirandosi 
                  all'economista völkisch Silvio Gesell, proponeva 
                  quindi l'introduzione di una moneta che si deprezzasse col tempo, 
                  in modo tale da favorire un più rapido impiego della 
                  ricchezza prodotta socialmente. Non trascurava, infine, di esaminare 
                  il plusvalore, termine con il quale, però, egli definiva 
                  lo scarto tra il prezzo di vendita di una merce e il suo valore 
                  effettivo, prendendo le distanze dalla concezione marxiana, 
                  secondo cui esso si realizzava nel processo di produzione di 
                  merci a causa delle condizioni determinate dai rapporti di classe, 
                  non certo nel processo di circolazione. 
                  Landauer interpretava la società del capitale come totalità, 
                  che permeava sia le condizioni sociali della vita sia la politica. 
                  Lo Stato svolgeva un compito essenziale nel garantire le condizioni 
                  dello sfruttamento, stabilendo le norme dello scambio e dell'accesso 
                  alla proprietà della terra e agli strumenti di lavoro. 
                  Ma cosa intendeva egli con il termine capitale? A suo giudizio, 
                  si trattava di «spirito comune» (Gemeingeist), 
                  ossia un'accumulazione di sapere e saper fare finalizzata all'appagamento 
                  tanto dei bisogni primari quanto di quelli intellettuali, tramandati 
                  nel tempo e patrimonio della comunità; pertanto non respingeva 
                  tout court l'utilità del capitale, in quanto si 
                  trattava di una relazione tra gli uomini, ossia di uno «spirito 
                  che unisce, nella sua realtà economica». In questo 
                  senso, il socialismo lo avrebbe conservato, istituendo un sistema 
                  nel quale ciascuno avrebbe lavorato per sé, ma senza 
                  sfruttare il lavoro altrui, ricevendo integralmente il frutto 
                  del proprio sforzo e godendo liberamente dei prodotti derivanti 
                  dalla divisione del lavoro e dallo scambio. Per mettere in scacco 
                  il sistema vigente, tuttavia, i lavoratori avrebbero dovuto 
                  innanzitutto sottrarsi alla presa del potere economico e politico 
                  incominciando a costruire una sorta di “controsocietà”: 
                  un elemento questo che raccordava l'Appello non solo 
                  allo scritto sulla Rivoluzione, ma anche al vecchio opuscolo 
                  sul cooperativismo. 
                  In questo contesto, invece di designare un soggetto sociale 
                  specifico capace di farsi carico di questa grande trasformazione, 
                  Landauer riteneva che tutti gli individui decisi a «incominciare» 
                  e i gruppi capaci di unirsi nelle cooperative di consumo e di 
                  produzione avrebbero costituito le prime cellule di un «popolo 
                  nuovo», portatore dello spirito comunitario e della rigenerazione. 
                  Si trattava d'inaugurare un complesso «percorso» 
                  di fuoriuscita dalla società esistente e di recupero 
                  di un rapporto con la terra e la natura, che – ipotizzava 
                  – avrebbe ricostruito il legame sociale su basi solidaristiche 
                  e comunitarie. Una strada che non poteva certo incrociarsi con 
                  il marxismo dominante all'epoca, che presentava il socialismo 
                  quale prodotto dello sviluppo «dialetticamente» 
                  necessario del capitalismo, e neppure con il debole anarchismo 
                  tedesco d'inizio secolo. Per questo dal 1909 al 1915 s'impegnò 
                  in prima persona nella costruzione di un'autonoma organizzazione, 
                  l'Alleanza socialista (Sozialistischer Bund), che all'apice 
                  della sua attività raccolse alcune centinaia di militanti 
                  e simpatizzanti in tutta la Germania, con l'obiettivo di creare 
                  comunità: nascoste allo sguardo del potere, funzionando 
                  in forma cooperativa e articolandosi secondo una struttura federalista, 
                  esse sarebbero state capaci di presentare un modello del tutto 
                  alternativo del vivere insieme. 
                
                  
                    Il recupero 
                  del concetto di “patria” 
                 Sul limitare del baratro. La frenetica attività 
                  pubblicistica, la mole di discorsi, la messe di lettere inviate 
                  e ricevute negli anni in cui animò il «Sozialist», 
                  giornale che costituiva l'organo ufficiale dell'Alleanza Socialista, 
                  rimandano a un tema classico della retorica rivoluzionaria, 
                  quello del rischio d'implosione della civiltà fondata 
                  sul Capitale e sullo Stato, che Landauer raccolse in un passaggio 
                  cruciale dell'Appello per il socialismo: «Forse 
                  nessuna epoca come la nostra ha avuto dinanzi agli occhi quello 
                  che si suol chiamare il tramonto del mondo». (22) 
                  Il tema, che la storiografia del e sul socialismo ascrive per 
                  ragioni classificatorie alla declinazione soggettivista del 
                  socialismo internazionale, era comparso nitidamente nel celebre 
                  Manifesto marx-engelsiano del '48, in cui veniva presentata 
                  una visione drammatica della storia quale storia di conflitti 
                  fra classi, che potevano concludersi con «la comune rovina» 
                  delle forze in lotta. Su questa visione faceva perno l'esigenza 
                  dell'impegno politico del proletariato, incitato a organizzarsi 
                  nella forma del partito, perché in sé e per sé 
                  lo sviluppo delle forze produttive non garantiva affatto la 
                  nascita del socialismo, anzi il contrario. Detto altrimenti, 
                  e sfruttando la celebre variazione sul tema proposta da Rosa 
                  Luxemburg con la fortunata formula d'inizio secolo, «Socialismo 
                  o barbarie», il socialismo non era destinato a realizzarsi 
                  per la forza delle cose: lo sviluppo contraddittorio del capitalismo 
                  conduceva a un accrescimento inaudito delle risorse a disposizione 
                  dell'umanità e nel contempo, a causa della proprietà 
                  privata dei mezzi di produzione, anche alla concorrenza spietata 
                  sui mercati, all'impiego irrazionale delle risorse e a una polarizzazione 
                  rovinosa delle ricchezze. Quindi, di fronte a un dilemma obiettivo 
                  – o una svolta di civiltà sotto le insegne del 
                  socialismo, o il suo tramonto, tramite crisi e guerre fratricide 
                  – s'imponeva una scelta di natura etica, o per usare il 
                  lessico di Landauer, una svolta di natura spirituale: 
                   
                  Siamo come uomini primitivi di fronte all'indescritto e indescrivibile, 
                  non abbiamo niente davanti a noi, ma tutto solo dentro di noi: 
                  dentro di noi la realtà ovvero la forza non dell'umanità 
                  a venire, bensì dell'umanità già esistita 
                  e per questo in noi vivente e consistente, in noi l'operare, 
                  in noi il dovere che non ci travia, che ci conduce sul nostro 
                  sentiero, in noi l'idea di ciò che deve diventare realtà 
                  compiuta, in noi la necessità di uscire da sofferenza 
                  e umiliazione, in noi la giustizia che non lascia nel dubbio 
                  o nell'incertezza, in noi la dignità che esige reciprocità, 
                  in noi la razionalità che riconosce l'interesse altrui. 
                  In coloro che provano questi sentimenti nasce dalla più 
                  grande sofferenza la più grande temerarietà; coloro 
                  che vogliono tentare, malgrado tutto, un'opera di rinnovamento, 
                  orbene, si devono unire. (23) 
                   
                  La fine della civiltà sembrava una possibilità 
                  concreta e veniva espressa in un linguaggio che si rannodava 
                  al clima intellettuale complessivo del tempo: il tramonto della 
                  civiltà o dell'Occidente, come avrebbe detto Spengler 
                  pochi anni più tardi. (24) Quest'eventualità 
                  avrebbe poi assunto forme reazionarie nella cosiddetta «rivoluzione 
                  conservatrice» e nel nazismo, ma non certo per necessità 
                  naturale: anzi, essa avrebbe potuto approdare nell'opposta consapevolezza 
                  del compito emancipatore e liberatorio di un «popolo nuovo», 
                  dando origine a un'inedita configurazione egualitaria dei rapporti 
                  sociali. 
                  Il popolo, dal punto di vista strettamente sociologico, non 
                  fu mai pensato da Landauer come un tutto indifferenziato, bensì 
                  articolato in gruppi e strati sociali molteplici e conflittuali. 
                  Il fatto che egli non fosse un classista, almeno nel senso del 
                  marxismo politico, non significa affatto che non riconoscesse 
                  l'esistenza delle classi, ma attesta solo il rifiuto di attribuire 
                  a una classe specifica l'onere e il privilegio di una fantomatica 
                  transizione per mezzo dello Stato: solo «quando si saranno 
                  individuate le pietre angolari più adatte alla costruzione, 
                  potremo individuare anche gli architetti» (25). 
                  Come l'idea di popolo, anche l'idea di patria e quella di nazione, 
                  concetti appropriati dalla destra conservatrice, in Landauer 
                  furono recuperati con un segno del tutto opposto: la patria 
                  era quella ideale, socialista e libertaria, e la nazione era 
                  quella in cui ciascuno poteva riconoscersi in forza di una condivisione 
                  della lingua, della cultura, del folclore, della mentalità, 
                  trascendendo naturalmente i confini statali. 
                
                   
                     | 
                   
                   
                    Il 
                        calvario dell'anarchico ebreo tedesco Erich Mühsam 
                        in un disegno di George Grosz  | 
                   
                 
                  
                    L'anomalia 
                  anarchica di Landauer 
                 Stato e libertà. L'Appello costituiva 
                  anche il compendio di un metodo di lavoro: la voce, il discorso, 
                  la riflessione, l'agitazione che lo attraversavano, rappresentano 
                  l'espressione paradigmatica di un modo d'essere insieme politico 
                  e impolitico. Impolitico, per un verso, perché era sulle 
                  relazioni tra gli uomini in tutti gli aspetti della vita che 
                  Landauer puntava per inaugurare un'epoca del tutto nuova: una 
                  vera e propria mutazione antropologica. Etico-politico, per 
                  un altro verso, perché egli continuava a credere in forme 
                  forti di azione collettiva, collocate al di fuori della sfera 
                  d'influenza dello Stato ma orientate a un fine dai contenuti 
                  spiccatamente universalisti: l'uguaglianza, la pace e, in esse 
                  e grazie a esse, la libertà. 
                  Lo Stato costituisce una realtà per chiunque nella modernità 
                  s'interessi della vita civile, della polis, e perciò 
                  Landauer non accettava di chiudere gli occhi davanti ai parlamenti 
                  e ai governi, magari limitandosi a sfuggire le divise e i doganieri 
                  cullandosi nell'illusione che bastasse rifiutare l'obbedienza 
                  perché il re apparisse in tutta la sua nudità. 
                  Benché apprezzasse la denuncia morale di Étienne 
                  de la Boétie – un'invettiva rivolta contro i sudditi 
                  che cedono a quel vizio mostruoso rappresentato dall'abitudine 
                  a servire –, quest'anomalo anarco-socialista tedesco non 
                  arretrò di fronte all'esigenza di fornire un'interpretazione 
                  originale dello Stato, considerato un surrogato dell'antico 
                  spirito comunitario, ormai spento. Non quindi un oggetto che 
                  dall'esterno coartava individui e gruppi, ma un rapporto sociale 
                  corrispondente a una fase dello sviluppo della modernità, 
                  in cui gli uomini non erano ancora in grado di dare soddisfacimento 
                  ai loro bisogni in maniera autonoma. Lo Stato, però, 
                  si perpetuava invadendo i campi dell'autogoverno comunitario 
                  ogni qualvolta pretendeva di occupare spazi che le comunità 
                  erano in grado di gestire autonomamente nell'interesse collettivo. 
                  In questo senso, sul crinale che separava lo Stato legittimo 
                  dallo Stato in eccesso (sono espressioni buberiane) (26) 
                  si collocavano i «precursori» che, resistendo alle 
                  pressioni contrarie, tentavano di spingere sempre più 
                  avanti la linea di confine tra il socialismo effettivo e quello 
                  possibile, operando nella realtà per rendere lo Stato 
                  superfluo, non per distruggerlo. Solo riconoscendone l'effettività, 
                  e in un certo modo la legittimità, sarebbe stato possibile 
                  sottrarre allo Stato il terreno sotto i piedi. 
                  L'anomalia anarchica di Landauer risalta anche nel modo in cui 
                  affrontò il tema della libertà: «Mi chiedo 
                  – scriveva sempre nell'Appello – se siamo 
                  sicuri di essere in grado di sopportare tutto quello che adesso 
                  comincia a imperversare al posto dello spirito mancante, fra 
                  istituzioni coercitive che lo sostituiscono, se saremo capaci 
                  di sopportare la libertà senza lo spirito, la libertà 
                  dei sensi, la libertà del piacere scevro da responsabilità». 
                  (27) La libertà poteva ridursi pericolosamente 
                  a una vuota frase, a una vana parola blandita dallo stesso potere 
                  autoritario. Egli era ben conscio di essere un provocatore quando 
                  attaccava le «scatenate e sradicate femminelle», 
                  (28) ma non gli riusciva di vedere alcun 
                  atto di libertà nell'individualistica liberazione dei 
                  costumi, paventando che una mal intesa libertà non comunitaria 
                  potesse approfondire le crepe del corpo sociale, con la perdita 
                  di legami autentici, in un mondo che, pur trovandosi al limitare 
                  del baratro, sopravviveva così com'era proprio a causa 
                  del progressivo allentamento di ogni vincolo tra gli uomini. 
                  Un popolo delle libertà sans phrases non poteva 
                  che essere portatore del peggiore di tutti i mali: l'individualismo 
                  atomistico, dove il singolo era più facilmente alla mercé 
                  del pensiero dominante e dello Stato. Nello stesso tempo, Landauer 
                  richiamava un'idea alternativa di libertà, che da sola 
                  non era nulla, ma poteva assurgere a supremo principio, se accompagnata 
                  dall'uguaglianza, dal rispetto dell'altro, dalla condivisione. 
                  In tal senso, si potrebbe dire, l'individuo è comunità 
                  – perché la porta in sé dalla nascita, la 
                  sviluppa nell'apprendimento e nella crescita, nel lavoro e nella 
                  riproduzione –, e l'appartenenza comunitaria garantisce 
                  a tutti la tanto anelata libertà. 
                   
                  Incominciare. Durante la Prima guerra mondiale Landauer 
                  fu tra i pochi intellettuali tedeschi che tentarono di attivare 
                  un movimento pacifista in Germania. (29) 
                  Per anni aveva denunciato i pericoli della guerra dalle colonne 
                  del «Sozialist», e continuò in questo senso 
                  finché gli riuscì di tenerlo in vita. (30) 
                  Poi, fu attivo nell'effimera esperienza del Forte-Kreis 
                  (Circolo di Forte) al quale per un breve momento si accostò 
                  anche Romain Rolland; militò nel Bund Neues Vaterland 
                  (Lega della nuova patria), associazione pacifista di maggiore 
                  respiro, di cui fecero parte tra gli altri Albert Einstein e 
                  Kurt Eisner, il futuro leader della Repubblica dei consigli 
                  di Baviera; infine aderì al Zentralstelle Völkerrecht 
                  (Ufficio centrale per il diritto delle genti), guidato dal democratico 
                  Ludwig Quidde, Premio Nobel nel 1927, che predicava una pace 
                  senza annessioni. 
                   
                    Un altro 
                  mondo è possibile. Qui e ora 
                 Negli anni del conflitto Landauer non si stancò di 
                  pronunciarsi sui fondamenti della sua etica, denunciando la 
                  stridente contraddizione tra l'immagine chiara e serena di una 
                  possibile umanità unita in pace e le condizioni reali 
                  del presente. Solo così, richiamandosi ai «fondamenti», 
                  gli apostoli di un'epoca nuova avrebbero potuto ritrovarsi e 
                  creare un'alleanza non compromessa con i partiti o il movimento 
                  di classe. In un discorso pronunciato durante il congresso del 
                  Forte Kreis, disse in maniera eloquente: 
                   
                  Profeti, mistici, filosofi, poeti, artisti, uomini di buon 
                  cuore di tutti gli strati sociali del popolo e, inoltre, singoli 
                  eruditi, in sempre maggior numero, concordano pienamente sul 
                  fatto che la condotta reciproca dell'umanità e le corrispondenti 
                  istituzioni devono e possono essere rese armoniche grazie alla 
                  giustizia, alla bontà, alla dignità e alla convinzione 
                  che albergano in noi. (31)  
                   
                  A chi altri appellarsi, del resto? Il movimento anarchico tedesco 
                  era silente o su posizioni ambigue, tanto che lo stesso Landauer 
                  espresse tutto il suo disappunto di fronte alle posizioni di 
                  Kropotkin, schieratosi precocemente in appoggio delle forze 
                  dell'Intesa, persuaso che una vittoria della Francia avrebbe 
                  riaperto un ciclo di progresso e rivoluzione per tutti i popoli 
                  d'Europa: «Egli ha assolutamente torto [...]. Non è 
                  mai successo che la guerra, la guerra vittoriosa, abbia condotto 
                  alla libertà». (32) E la sinistra 
                  socialdemocratica, ugualmente, non lo convinceva, tanto che, 
                  quando l'amico Erich Mühsam lo sollecitò a prendere 
                  contatti con quella parte dell'opposizione, che all'epoca comprendeva 
                  anche il vecchio Bernstein, e a spendere il suo nome in difesa 
                  di Karl Liebknecht, arrestato il 1° maggio 1916, oppose 
                  un diniego, tormentato ma onesto: 
                   
                  Ciò che per molti anni la socialdemocrazia ha trascurato 
                  e rovinato e sotterrato, non si può far resuscitare durante 
                  una guerra. Nutro la più profonda stima per il coraggio 
                  personale di Liebknecht e ho sincera compassione per il suo 
                  destino. Ma pensando alla bancarotta della socialdemocrazia 
                  è molto significativo che tutto il materiale rivoluzionario 
                  infiammabile si vanifichi nelle sterili esplosioni di un singolo 
                  uomo [...]. (33) 
                   
                  Malgrado il rispetto per Liebknecht, insomma, i riformatori 
                  sociali autentici dovevano esigere chiarezza e “distinguo” 
                  sui punti decisivi della rivoluzione e del socialismo del futuro. 
                  Peraltro, la sinistra socialdemocratica invocava la rivoluzione 
                  quale atto di rottura politico, il che strideva con gli intenti 
                  libertari di Landauer e le sue priorità: l'urgenza del 
                  momento era la pace, non la conquista del potere. 
                  Ciononostante, nello stesso 1915 egli scrisse un articolo destinato 
                  al movimento e ai singoli socialisti, che presentava un appello 
                  all'unione e all'azione nel solco dell'antica prospettiva ideale: 
                   
                  Il socialismo è una rappresentazione da veggenti che 
                  scorgono chiara innanzi la possibilità di trasformare 
                  il tutto. Esso comincia però come gesto degli uomini 
                  d'azione che si separano dal tutto, così com'è 
                  oggi, per salvare la propria anima, per servire il proprio Dio. 
                  L'affermazione: «Noi siamo socialisti» rappresenta 
                  la nostra convinzione che il mondo, gli spiriti, gli animi devono 
                  trasformarsi completamente, se si trasformano le basi sociali 
                  [...]. La scoperta di essere costretto in condizioni indegne 
                  costituisce il primo passo per la liberazione da queste stesse 
                  condizioni. (34) 
                   
                  Prevedendo le difficoltà del dopoguerra e intravvedendo 
                  in anticipo i bisogni di cambiamento che sarebbero sorti, avvertiva 
                  l'esigenza di chiarire i compiti e gli obiettivi finali dei 
                  socialisti: 
                   
                  Il socialismo è innanzitutto opera dei socialisti, 
                  opera che sarà tanto più difficile, quanto più 
                  esiguo sarà il numero di coloro che osano tentarla [...]. 
                  Socialista, assolvi adesso, una volta per tutte, ai tuoi compiti! 
                  Per le masse, per i popoli, per l'unità, per la trasformazione 
                  della storia, per la giustizia nei rapporti economici, nella 
                  vita in comune, fra le generazioni e nell'educazione, tu non 
                  hai bisogno immediatamente delle vaste masse, bensì in 
                  primo luogo di precursori. Solo così è possibile 
                  incominciare. (35) 
                   
                  In questo periodo, pertanto, i timori, il senso della crisi 
                  di civiltà, l'impotenza di fronte alla terribile carneficina 
                  bellica, non generarono in Landauer alcuna interruzione dell'impegno, 
                  e neppure si attenuò in lui il desiderio e la volontà 
                  di contribuire a costruire un mondo migliore, nell'antica consapevolezza 
                  che uno spirito di edificazione sarebbe nato e avrebbe mosso 
                  gli uomini, quando questi si fossero posti all'opera. 
                  E proprio nella parola cominciamento alberga il lascito 
                  più autentico di Landauer, l'anarco-socialista, l'ebreo, 
                  il romantico tedesco: immune dai sacri brividi patriottici che 
                  giustificavano o esaltavano l'«orrendo massacro», 
                  egli riuscì ad associare alla cupa consapevolezza che 
                  un altro mondo fosse necessario, l'ostinata speranza ch'esso 
                  fosse anche possibile, qui e ora. Il che, nel dopoguerra, 
                  fece di lui una delle menti più appassionate della Rivoluzione 
                  tedesca. 
                   
                  Gianfranco Ragona 
                 Note
                 
                  -  Segnalo in particolare: Wolf Kalz, Gustav Landauer. 
                    Kultursozialist und Anarchist, Meisenheim am Glan, 
                    Verlag Anton Hain, 1967; Charles B Maurer, Call to Revolution. 
                    The Mystical Anarchism of Gustav Landauer, Detroit, Wayne 
                    University Press, 1971; Eugen Lunn, Prophet of Community. 
                    The Romantic Socialism of Gustav Landauer, Berkeley-Los 
                    Angeles-London, University of California Press, 1973; Siegbert 
                    Wolf, Gustav Landauer zur Einführung, Hamburg, 
                    Junius, 1988. In italiano rimando a G. Ragona, Gustav Landauer. 
                    Anarchico, ebreo, tedesco, Roma, Editori Riuniti UP, 2010. 
                  
 - Cfr. La nascita della società, p. 126. 
                  
 - Alcuni dei primi compagni anarchici che con Landauer animarono 
                    all'inizio degli anni Novanta lo stanco movimento tedesco, 
                    rientrarono più tardi tra i ranghi della socialdemocrazia 
                    o nei sindacati che alla SPD erano legati: tra essi, ad esempio, 
                    Eugen Ernst (1864-1954) che, una volta recuperato, fu dirigente 
                    del Partito per moltissimi anni, prima di aderire alla Partito 
                    comunista alla fine dell'esperienza nazista; Paul Kampffmeyer 
                    (1864-1945) e Hans Müller (1867-1950), esponenti dell'Unione 
                    dei Socialisti Indipendenti, formazione libertaria nata nel 
                    1891 dalla convergenza tra esponenti dell'anarchismo berlinese 
                    e fuoriusciti dal Partito socialdemocratico. 
                  
 - G. Landauer, Die Revolution, Frankfurt a.M., Rütter 
                    & Loening, 1907, tr. it. a cura di Ferruccio Andolfi, 
                    Reggio Emilia, Diabasis, 2009 (una prima versione italiana 
                    apparve all'inizio degli anni Settanta a cura di Anna Maria 
                    Pozzan, Assisi, Carucci, 1970). Si veda inoltre: G. Landauer, 
                    Attraverso la separazione verso la comunità, 
                    «La Società degli Individui. Quadrimestrale di 
                    teoria sociale e storia delle idee», X, n. 30, 2007/3, 
                    pp. 123-140, traduzione del saggio landaueriano Durch Absonderung 
                    zur Gemeinschaft, apparso originariamente in Heinrich 
                    und Julius Hart et al., Die neue Gemeinschaft, ein 
                    Orden vom wahren Leben, Leipzig 1901, pp. 45-68. Esiste 
                    poi un'antica versione italiana, imprecisa e lacunosa, dello 
                    scritto Von Zürich bis London, Pankow bei Berlin, 
                    Verlag von Gustav Landauer, 1896: Da Zurigo a Londra, 
                    «Biblioteca di Studi Sociali» (Forlì), 
                    n. 1, 16 pp. 
                  
 - Cfr. G. Landauer, La Communauté par le retrait 
                    et autres essais, traduits et présentés 
                    par Charles Daget, Paris Éditions du Sandre, 2008 e 
                    Id. Un Appel aux poètes et autres essais, traduits 
                    et présentés par Charles Daget, Paris Éditions 
                    du Sandre, 2009; in inglese si veda G. Landauer, Revolution 
                    and other Writings. A Political Reader, Edited and translated 
                    by Gabriel Kuhn, Oakland, CA, PM Press, 2010; in tedesco, 
                    dal 2008, sono in corso di pubblicazione le Ausgewählte 
                    Schriften, a cura di S. Wolf, Lich/Hessen, Verlag Edition 
                    AV: sono attualmente stati pubblicati i volumi: Anarchismus 
                    (2008), Internationalismus (2009), Antipolitik 
                    (in due tomi, 2010), Nation, Krieg und Revolution (2011); 
                    Skepsis und Mystik (2011). 
                  
 - Questo osservava alcuni anni or sono Rudolf De Jong, Gustav 
                    Landauer und die internationale anarchistische Bewegung, in 
                    Gustav Landauer im Gespräch. Symposium zum 125. Geburtstag, 
                    a cura di Hanna Delf e Gert Mattenklott, Tübingen, Niemeyer 
                    Verlag, 1997, p. 221. Sul linguaggio di Landauer, cfr. l'intervento 
                    di Nino Muzzi, infra, pp. 31-38. 
                  
 - Cfr. G. Landauer, Shakespeare. Dargestellt in Vorträge, 
                    a cura di Martin Buber, 2 voll., Frankfurt a.M., Verlag Rütten 
                    & Loening, 1920; Id., Der werdende Mensch. Aufsätze 
                    über Leben und Schrifttum, a cura di M. Buber, Potsdam, 
                    Gustav Kiepenheuer Verlag, 1921 (nuova edizione con il titolo 
                    Der werdende Mensch. Aufsätze über Literatur, 
                    con un saggio di Arnold Zweig, Leipzig/Weimar, Gustav Kiepenheuer 
                    Verlag, 1980); Id., Beginnen. Aufsätze über Sozialismus, 
                    a cura di M. Buber, Köln, Marcan-Block-Verlag, 1924 (ristampa 
                    anastatica Wetzlar, Verlag Büchse der Pandora, 1977); 
                    Gustav Landauer. Sein Lebensgang in Briefen, 
                    a cura di M. Buber, 2 voll., Frankfurt a.M., Rütten & 
                    Loening, 1929. 
                  
 - Cfr. G. Landauer, Zwang und Befreiung. Eine Auswahl aus 
                    seinem Werk, a cura di Heinz-Joachim Heydorn, Köln, 
                    Verlag Jakob Hegner, 1968; Entstaatlichung. Für eine 
                    herrschaftslose Gesellschaft, a cura di Hans-Jürgen 
                    Valeske, Telgte-Westbevern, Büchse der Pandora, 1976; 
                    Erkenntnis und Befreiung. Ausgewählte Reden und Aufsätze, 
                    a cura di Ruth Link-Salinger (Hyman), Frankfurt a.M., Suhrkamp 
                    Verlag, 1976. 
                  
 - Gustav Landauer und die Revolutionszeit 1918/19. Die 
                    politische Reden, Schriften, Erlasse und Briefe Landauers 
                    aus der November-Revolution 1918/19, a cura di Ulrich 
                    Linse, Berlin, Karin Kramer, 1974. 
                  
 - Signatur: g.l. – Gustav Landauer im “Sozialist”. 
                    Aufsätze über Kultur, Politik und Utopie (1892-1899), 
                    a cura di Ruth Link-Salinger, Frankfurt a.M., Suhrkamp Verlag, 
                    1986; G. Landauer, Auch die Vergangenheit ist Zukunft. 
                    Essays zum Anarchismus, a cura di S. Wolf, Frankfurt 
                    a. M., Luchterhand Literaturverlag, 1989. 
                  
 - Oltre al volume Gustav Landauer im Gespräch 
                    cit., segnalo: Gustav Landauer (1870-1919). Eine 
                    Bestandsaufnahme zur Rezeption seines Werkes, a cura di 
                    Leonhard M. Fiedler et al., Frankfurt a.M., Campus Judaica, 
                    1995; “Die beste Sensation ist das Ewige”. 
                    Gustav Landauer: Leben, Werk und Wirkung, a cura di Michael 
                    Matzigkeit, Düsseldorf, Theatermuseum, 1995. 
                  
 - G. Landauer, Zeit und Geist. Kulturkritische Schriften, 
                    1890-1919, a cura di Rolf Kauffeldt e M. Matzigkeit, München, 
                    Boer, 1997. 
                  
 - Gustav Landauer, Werkausgabe, Vol. III, Dichter, 
                    Ketzer, Außenseiter. Essays und Reden zu Literatur, 
                    Philosophie, Judentum, a cura di Hanna Delf, Berlin, Akademie 
                    Verlag, 1997. 
                  
 - Si veda: M. Löwy, Redenzione e utopia. Figure della 
                    cultura ebraica mitteleuropea (1988), Torino, Bollati 
                    Boringhieri, 1992; L'anarchico e l'ebreo. Storia di un 
                    incontro, a cura di Amedeo Bertolo, Milano, Elèuthera, 
                    2001. Landauer influenzò, in misura diversa, tutti 
                    i personaggi menzionati, ma esercitò un influsso particolare 
                    su Erich Mühsam, che gli fu accanto nella rivoluzione 
                    baverese: cfr. E. Mühsam, Dal cabaret alle barricate, 
                    a cura di Alessandro Fambrini e Nino Muzzi, Milano, Elèuthera, 
                    1999. 
                  
 - La questione della morale, che rappresentò per Landauer 
                    una porta di accesso ai temi tipici dell'anarchismo, non viene 
                    affrontato direttamente in questo profilo introduttivo: rimandiamo 
                    però ai due articoli, invero assai chiari, tradotti 
                    nel presente volume: Qualcosa sulla morale (1893), 
                    L'immorale ordine del mondo (1895). Essi sviluppavano 
                    un discorso unitario e omogeneo, benché scritti a distanza 
                    di tempo, a causa di un periodo di detenzione che Landauer 
                    dovette scontare dal 1° novembre 1893 al settembre 1894, 
                    vittima di una severa campagna antianarchica messa in atto 
                    dal governo. 
                  
 - Nella presente raccolta si riferiscono a questo tema – 
                    che pure ritorna in molti altri – gli scritti: Anarco-socialismo 
                    (1895); Da Zurigo a Londra (1896); Anarchismo e 
                    socialismo (1896). 
                  
 - [G. Landauer], Ein Weg zur Befreiung der Arbeiterklasse, 
                    Berlin, Verlag von Adolf Marreck, 1895, pp. 30; dichiarò 
                    di essere l'autore dell'opuscolo in Arbeiter aller Länder, 
                    vereinigt euch!, «Der Sozialist», V, n. 7, 
                    28 settembre 1895, p. 39. Il testo costituiva anche l'inquadramento 
                    teorico della cooperativa di consumo berlinese «Befreiung» 
                    (Liberazione), nata a Berlino il 1° ottobre 1895. 
                  
 - [G. Landauer], Ein Weg zur Befreiung der Arbeiterklasse 
                    cit., p. 8. 
                  
 - Il saggio che proponiamo in questo volume col titolo Trenta 
                    tesi socialiste costituisce la premessa logica ed etica 
                    del volume sulla Rivoluzione, così come quello 
                    intitolato La nascita della società rappresenta 
                    un estratto, lievemente rielaborato, dell'opera principale. 
                  
 - Si veda il discorso La Germania, la guerra e la rivoluzione 
                    tedesca, p. 168. 
                  
 - G. Landauer, Aufruf zum Sozialismus, Berlin, Verlag 
                    des Sozialistischen Bundes, 1911. In questo volume ne proponiamo 
                    un estratto, che ci sembra significativo per la valorizzazione 
                    della soggettività che emerge, ma anche per l'idea 
                    che accompagna l'intero saggio, ossia l'esigenza «di 
                    edificare in grande iniziando dal piccolo». Cfr. infra, 
                    p. 128. 
                  
 - Cfr. Appello per il socialismo, infra, p. 133. 
                  
 - Oswald Spengler, Il tramonto dell'Occidente. Lineamenti 
                    di una morfologia della storia mondiale (1923), Milano, 
                    Longanesi, 1957 (e successive ristampe). 
                  
 - Cfr. La nascita della società, infra, p. 122. 
                  
 - Cfr. M. Buber, Pfade in Utopia, Heidelberg, L. Schneider, 
                    1950; prima ed. in inglese: Paths in Utopia, New York, 
                    Macmillan, 1950. Nuova edizione tedesca, a cura di Abraham 
                    Schapira, Heidelberg, Verlag Lambert Schneider, 1985. Traduzione 
                    italiana di Amerigo Guadagnin, Sentieri in utopia, 
                    Milano, Edizioni di Comunità, 1967; nuova traduzione 
                    a cura di Donatella Di Cesare: Sentieri in utopia. Sulla 
                    comunità, Genova, Marietti 1820, 2009. 
                  
 - Cfr. infra, p. 132. 
                  
 - Ibidem. 
                  
 - Parallelamente tentò di mettere le basi per un intervento 
                    attivo dei lavoratori, con lo sciopero contro la guerra, una 
                    mobilitazione che immaginava dovesse essere preparata dal 
                    basso, senza l'intermediazione di partiti e sindacati. In 
                    quest'ottica pubblicò in opuscolo il dialogo L'abolizione 
                    della guerra, redatto in forma intellegibile a beneficio 
                    dei lavoratori, e che venne immediatamente confiscato dalle 
                    autorità. Cfr. infra. 
                  
 - Il giornale cessò le pubblicazioni nel marzo 1915. 
                    Per una lista dei numerosi interventi pubblicati nel periodo 
                    rimando a Gustav Landauer. A Bibliography (1889-2009), 
                    Edited with an Introduction by G. Ragona, Roma, Edizioni di 
                    Storia e Letteratura, 2011. 
                  
 - L'intervento è conservato in AAFL, fascicolo 24; 
                    ora pubblicato in C. Holste, Der Forte-Kreis cit., 
                    pp. 278-280, e in Sieben Thesen Gustav Landauers für 
                    einen Bund der Aufbruchsbereitens, vortragen am 10. Juni 
                    1914 auf der Gründungstagung des Forte-Kreis, in 
                    “Die beste Sensation ist das Ewige” cit., 
                    pp. 251-253. 
                  
 - Landauer a Hugo Warnstedt, 4 novembre 1914, in Gustav 
                    Landauer. Sein Lebensgang in Briefen cit., vol. II, p. 
                    11. 
                  
 - Landauer a Mühsam, 16 giugno 1916, in ivi, pp. 
                    142-146: la citazione è a p. 145. Mühsam annotò 
                    nel suo diario i termini generali della discussione con Landauer 
                    e il suo disappunto: cfr. E. Mühsam, Tagebücher, 
                    1910-1924 München, Deutscher Taschenbuch Verlag, 
                    1994, p. 178. La vicenda è riportata anche da E. Lunn, 
                    Prophet of Community cit., pp. 247-248. 
                  
 - Cfr. Rialzati socialista!, infra, p. 154-155. 
                  
 -  Ivi, p. 156. 
                
  
                 
                
                   
                     Nel 
                        1999 è uscita (ed è tuttora disponibile), 
                        sempre presso Elèuthera, l'antologia di Erich Mühsam 
                        Dal cabaret alle barricate (pagg. 224, 
                        euro 14,00), 
                        a cura di Alessandro Fambrini 
                        e Nino Muzzi. 
                        
                         
                        Erich Mühsam (Berlino, 1878-Oranienburg, 
                        1934) nasce in una famiglia della borghesia ebraico-tedesca. 
                        Poco 
                        più che ventenne abbandona l'ambiente familiare 
                        e inizia l'attività di giornalista e scrittore. 
                        Nel 1902 si trasferisce nel quartiere bohémien 
                        di Friedrichshagen, dove esordisce come cabarettista e 
                        dove conosce e fa sue le idee anarchiche. 
                        Da allora al 1933 si divide fra la scrittura e l'impegno 
                        politico. 
                        È, tra l'altro, uno dei leader della Rivoluzione 
                        dei consigli 
                        a Monaco nel 1918. Nel 1933 viene immediatamente 
                        arrestato dalle SA naziste 
                        e un anno dopo viene 
                        torturato e ucciso nel lager di Oranienburg. 
                       | 
                   
                 
                 |