Rivista Anarchica Online


colloqui

Psiche e rivoluzione

Intervista a Eduardo Colombo
di Claudio Albertani e Rafael Miranda


A colloquio con uno dei pensatori anarchici più stimolanti degli ultimi decenni, argentino residente da 40 anni a Parigi, psichiatra, militante anarchico.



Claudio Albertani – Già prima di lasciare l'Argentina eri un militante libertario e, al tempo stesso, psicoanalista. Potresti parlarci un po' del tuo percorso?

Eduardo Colombo – Il mio impegno politico iniziò molto presto, già alla scuola secondaria. La passione libertaria si acutizzò per le condizioni in cui vivevamo allora sotto la dittatura. Aderire all'anarchismo fu quasi naturale, perché era un'idea molto viva nella storia operaia dell'Argentina. Quando entrai nella facoltà di Medicina, lo studio universitario e la militanza non erano in contraddizione, fino a quando nel corso di lunghi scioperi fui incarcerato. Uscito di prigione, scoprii che mi avevano fatto scomparire come studente di medicina – insieme a molti altri, mi avevano cancellato del tutto illegalmente dai registri della facoltà – e dovetti aspettare un po' di tempo, una tappa non esente dalle solite persecuzioni poliziesche. Quando alla fine riuscii a laurearmi, mi orientai verso la psichiatria, ma mi interessai anche di sociologia e psicologia. Seguivo le lezioni di Enrique Butelman, (1) lavoravo come libero professionista e all'interno dell'ospedale pubblico.
Alcuni anni dopo fui nominato docente di Psicologia sociale nella Università nazionale di La Plata e poco dopo nella Università di Buenos Aires. Nel 1966, quando Juan Carlos Onganía fece il golpe militare, la polizia entrò in tutte le facoltà picchiando studenti e professori e io abbandonai definitivamente l'università, saltando da una finestra della facoltà di Filosofia. Poiché, da molti anni, ero anche redattore di “La Protesta ”, il periodico anarchico di Buenos Aires, la situazione divenne difficile, perché non potevo lavorare né all'università né all'ospedale. D'altro canto, avevo già cominciato la mia formazione psicoanalitica, che terminai dopo essere giunto in Francia. In Argentina, i parametri della pratica psicoanalitica erano fissati dalla Asociación psicoanalítica internacional, il che significava, quattro sedute di cinquanta minuti alla settimana, e implicava la disponibilità di molto tempo e di molte risorse economiche, perché, benché fossi medico e psichiatra, disponevo di pochi mezzi per pagare un'analisi: l'università non pagava regolarmente e il lavoro quotidiano nell'ospedale, finché esistette, era a titolo gratuito.
Alla fine, la situazione generale in cui ci trovavamo, unita al panorama politico colmo di nubi tempestose, fecero sì che la mia compagna Heloísa e io decidessimo di emigrare. Arrivammo a Parigi nel 1970, con due figli di cinque e sei anni.

Claudio AlbertaniCom'è stato il cambiamento?

Eduardo Colombo – Per niente facile. Tutti gli esuli sanno che per ottenere il permesso di soggiorno è necessario dimostrare di avere un lavoro e per ottenere un lavoro occorre avere il permesso di soggiorno... Tuttavia, a poco a poco, la situazione si normalizzò e iniziammo a lavorare. Heloísa ricominciò a studiare psicologia, ma i miei studi di medicina non furono considerati validi. Come psicoanalista, invece, non ebbi problemi e questo ci permise di stabilirci qui a Parigi. Dal punto di vista teorico, è importante sottolineare che i miei studi di psicologia sociale mi orientarono agevolmente verso un tipo di pensiero che si articolava con grande facilità con i lavori di Castoriadis in Francia. Ricordo che a quell'epoca pubblicammo una rivista anarchica chiamata “La Lanterne Noire ”. In uno dei primi numeri – più o meno nel 1974 – scrissi un articolo sull'integrazione immaginaria del proletariato, nel quale cito varie volte Paul Cardan (uno degli pseudonimi usato da Castoriadis in “Socialisme ou Barbarie ”), prima che venisse pubblicato L'istituzione immaginaria della società. Occorre precisare che Castoriadis aveva già trattato gli elementi fondamentali dell'immaginario e del simbolico, concetti che corrispondevano al mio modo di pensare.

Eduardo Colombo (Buenos Aires 1929)
è una delle voci più interessanti
dell'anarchismo contemporaneo,
particolarmente in America Latina,
benché egli risieda a Parigi dal 1970.
Ex docente di Psicologia sociale nelle
Università di La Plata e Buenos Aires
(1961-1966), ex militante della
Federación Obrera Regional
Argentina (FORA) e della francese
Confédération Nationale du Travail (CNT-F),
amico e interlocutore di Cornelius Castoriadis
e di figure storiche del movimento libertario,
quali Luce Fabbri e Rubén Prieto,
ha fondato la casa editrice Nordan/Comunidad.

Tra le sue ultime pubblicazioni
si segnalano La voluntad del pueblo (Tupac
Ediciones,Buenos Aires 2006) e
Lo spazio politico dell'anarchia (Elèuthera,
Milano 2009). Ha collaborato con la rivista
italiana “Libertaria” e fa parte del comitato
di redazione della rivista “Réfractions.
Recherche et expressions anarchistes”


Forte carica emotiva

Rafael MirandaA questo proposito mi piacerebbe che ci dicessi a quale scuola psicoanalitica appartieni.

Eduardo Colombo – Per me la pratica psicoanalitica è legata alla problematica sociale. Quando iniziai, la formazione psicoanalitica a Buenos Aires era fondamentalmente limitata a Freud e a Melanie Klein. In Argentina, Lacan non esisteva ancora. Ma, già da allora, mi orientai verso la concezione di una psicoanalisi maggiormente integrata nella teoria sociale, ipotesi su cui ho lavorato insieme a Enrique Pichon-Rivière. (2) Basandoci sul suo insegnamento, abbiamo cominciato a praticare la psicoterapia familiare in un servizio di psichiatria di un ospedale pubblico.
A quel tempo, si stava sviluppando la scuola di Palo Alto. (3) I nostri pazienti erano in cura presso il servizio di psichiatria dell'ospedale; noi praticavamo la psicoterapia a orientamento psicoanalitico direttamente nelle case dei malati, con tutta la famiglia riunita, molte volte la settimane o, a seconda della situazione, ogni quindici giorni. Le sedute duravano un paio d'ore ed erano molto stimolanti dal punto di vista intellettuale, ma difficili dal punto di vista emotivo. Come sosteneva Pichon, è diverso andare a casa del paziente o restare sul proprio terreno di gioco. Per esempio, ricordo una signora anziana che controllava tutta la famiglia e non voleva partecipare. Non la vedevamo, ma un giorno ci rendemmo conto che ascoltava tutto da dietro la porta. A un certo punto, non le piacque quello che stavamo dicendo e allora intervenne bruscamente per dire la sua verità. La carica emotiva di queste sedute era molto forte, ma tutta quell'esperienza faceva parte della formazione.

Rafael Miranda – Oltre a Palo Alto, quali erano i tuoi punti di riferimento teorici?

Eduardo Colombo – La nostra base era freudiana. Non fui mai interessato alle posizioni junghiane, adleriane o alla psicologia del Sé. Mi orientai verso una visione della psicoanalisi basata sul rapporto di oggetto e non sul livello energetico, libidinale o pulsionale. Sono molto critico riguardo la teoria pulsionale freudiana, su cui ho scritto.
Certo, nel momento in cui partivamo da Buenos Aires – verso il 1968 o 1969 – le idee di Lacan avevano cominciato a diffondersi. Io mi trovavo in analisi didattica presso la Associazione psicoanalitica argentina con Willy Baranger, (4) il quale, in una certa misura, mi orientò verso Lacan, pur non essendo lui stesso lacaniano. Ricordo che organizzammo un seminario nel mio studio con Oscar Marotta per studiare Lacan. Al principio mi entusiasmai, ma poi me ne allontanai, e oggi ho una posizione molto critica nei confronti di Lacan e dei lacaniani. In realtà, la mia percezione della psicoanalisi è andata trasformandosi e non potrei dire di appartenere a una scuola o a un'altra. Con il tempo, il mio orientamento riguardo alle differenti scuole è andato incentrandosi su quella che potrei definire la mia scuola. Mantengo certe strutture teoriche della psicoanalisi che considero fondamentali o centrali, ma ne tralascio altre, che mi sembrano errate.

Claudio Albertani – Che legami pensi vi siano tra psicoanalisi e ideali libertari?

Eduardo Colombo – Bisogna prendere in considerazione due elementi importanti. Uno è la cura psicoanalitica, la psicoanalisi come terapia, l'analisi, i pazienti, la forma, la disposizione dell'analisi, il divano, la sedia dietro al paziente. Io mantengo queste strutture perché sono convinto che siano utili dal punto di vista terapeutico, per ragioni concettuali complicate da spiegare in un linguaggio profano.
L'altro è che certe teorizzazioni della psicoanalisi suscitarono il mio interesse dal punto di vista della filosofia politica. Nella psicoanalisi trovo un abbozzo della teoria del potere che mi sembra importante e che Freud risolve introducendo nel soggetto la totalità del conflitto. Dal mio punto di vista, questo conflitto è fondamentalmente sociale. Il modo in cui si costituisce e si costruisce la personalità – il conflitto edipico, la famiglia nucleare, il padre, la madre, il figlio, gli affetti che si sviluppano – non è estraneo alla struttura globale storico-sociale nella quale questa famiglia estesa o nucleare si sviluppa. Per Freud, la struttura edipica è clanica e non familiare. Il divieto dell'incesto, da un punto di vista teorico, è analogo al patto sociale: la società si costruisce a partire da questa proibizione passando dallo stato di natura allo stato sociale.

Il primo libro curato da
Colombo per Elèuthera,
nel 1987.
Pagine 192,
euro 14,00


L'incontro con Castoriadis

Claudio Albertani – Allora Edipo è una struttura metastorica?

Eduardo Colombo – La teoria psicoanalitica postula che la proibizione dell'incesto costruisca la relazione istituzionale della società. Non dico che sia così nella realtà storica. Però, chi istituisce la proibizione dell'incesto? Abitualmente si sostiene che è il padre, nella teoria freudiana i fratelli si accordano tra loro per uccidere il padre. Dopo averlo ucciso, si trovano nella stessa situazione di prima: i fratelli dispongono di tutte le donne, ma sono in guerra gli uni contro gli altri per possedere quel bene; allora, per poter strutturare la società, devono stabilire la legge che vieta agli uomini del gruppo l'accesso a una categoria di donne. La legge, con la proibizione, e sulla base della colpa retrospettiva per l'omicidio commesso, fa sì che si torni al padre spodestato affinché sia il garante simbolico della legge. In questo modo la posizione freudiana è clanica e sociale, non familiare.
Nella terapia compaiono le relazioni sociali di base, le relazioni fondamentali, che costruirono il soggetto, e tuttavia il mondo sociale resta fuori, separato dalla cura. Stando così le cose – e questo è il mio punto di vista – le condizioni sociali fanno sì che il trattamento abbia limiti strutturali imposti da quelle stesse condizioni, il che, naturalmente, riduce il grado di autonomia che il soggetto può aspettarsi dalla cura psicoanalitica.
Per esempio, nella società liberale una psicoanalisi esige il pagamento delle sedute. Ma, che fare quando lo psicoanalista ha una posizione critica di fronte alla struttura capitalista in cui viviamo? Nella cura individuale è impossibile; qualcuno deve pagare perché nella società attuale bisogna vivere in qualche modo. Se uno non guadagna, il paziente viene analizzato, per una semplice ragione: perché uno gli fa il favore di curarlo? Si entra in un tipo di dipendenza che fa sì che l'analisi non funzioni. D'altro canto, se la psicoanalisi si svolge in una istituzione, si è in presenza di una terza istanza che controlla la cura. Allora la condizione di fondo dell'analisi, vale a dire quella relazione a due nella quale il terzo appare come una struttura della relazione stessa, va perduta.
Dal mio punto di vista, la relazione analitica non esiste nel vuoto, ma è determinata dalle condizioni imposte da un tipo di società. Restare al di fuori della vita attiva, fuggire dalla società, non è una soluzione per nessuno. I limiti della terapia sono dettati in grande misura dalla società, e soltanto la teoria, che aiuta la comprensione, consente una evoluzione più lunga e profonda dell'idea e dell'azione, se riusciamo a integrarla con un altro tipo di approccio della problematica sociale.

Rafael Miranda – Quali sono le ripercussioni del tuo impegno politico sulla tua pratica di psicoanalista?

Eduardo Colombo – Penso che l'effetto più importante si sia verificato a proposito del mio modo di pensare e concettualizzare i problemi. D'altro canto, il paziente che cerca di risolvere conflitti personali o problemi emotivi, non sta lì per essere indottrinato. Nella cura psicoanalitica si verificano effetti emotivi profondi. Esiste quella che si chiama regressione, e il paziente non gestisce i suoi sentimenti in modo totalmente libero. La regressione facilita l'attualizzazione della nevrosi infantile, secondo la definizione degli analisti, ed è in questo momento che la posizione dell'analista si trasforma in una posizione di sciamano, in una figura dominante, che, per così dire, può manipolare il paziente. La neutralità dell'analista in questo tipo di situazioni è necessaria e fondamentale. L'ho sempre pensato e con i pazienti non ho mai messo sul tappeto le mie idee politiche. Evidentemente, sono cose complesse, perché la neutralità non è mai assoluta o totale; la gente capisce, o crede di capire, spesso senza esserne consapevole, ciò che uno non dice. Inoltre, Internet ha ampliato l'informazione in modo tale che, nel mio caso, per esempio, la militanza politica appare in primo piano. E oggi non c'è paziente che non vada a consultare Google...

Rafael Miranda – Parliamo un po' di più del tuo rapporto con Castoriadis. Entrambi provenite dalla critica sociale e in qualche momento entrambi avete adottato una pratica clinica.

Eduardo Colombo – Come vi dicevo, in Argentina non conoscevo Castoriadis. Quando giunsi a Parigi, entrai a far parte della Organizzazione psicoanalitica di lingua francese, chiamata Quarto Gruppo, in cui, per ragioni differenti, era presente anche Cornelius Castoriadis. (5) Voglio precisare che, nonostante quello che molti pensano, Castoriadis non fu né il fondatore né un membro del Quarto Gruppo, però frequentava le riunioni ed essendo allora sposato con Piera Aulagnier – lei sì, fondatrice del gruppo –, il nostro rapporto si costruì così. Conobbi Castoriadis tramite la psicoanalisi e Piera.
Mi interessavano in particolare il suo approccio riguardo l'immaginario e la struttura simbolica della società, concetti che io stesso avevo utilizzato nell'articolo che vi ho citato. A differenza di Lacan, Castoriadis non separa il simbolico dall'immaginario, tema che considero centrale. Occorre anche tener conto della mia formazione nel campo della psicologia sociale. In psicologia sociale è impossibile trascurare il contributo di Herbert Mead, che teorizza quello che in un certo periodo fu chiamato il behaviorismo sociale, ma che non ha niente a che vedere con il behaviorismo se non nel nome. (6) Mead considera l'atto sociale il fondamento della relazione simbolica, della relazione a tre termini, che è uno degli aspetti fondamentali nella comprensione della problematica sociale. E ritiene che l'immaginario non possa esistere senza il simbolico, perché l'immaginario ha bisogno della forma del simbolico che gli conferisce senso, che gli conferisce la significazione e che permette l'introduzione del nomos, della convenzione della regola, della norma. Il simbolico in sé non funzione senza l'immaginario. La mia formazione mi orientava direttamente verso questo modo di porre il problema. Quando conobbi Castoriadis la questione politica ebbe evidentemente il suo peso. Su questo piano, ed è uno degli elementi fondamentali, Castoriadis difese sempre l'idea di rivoluzione. Sempre. Era una cosa importante, benché egli avesse un'idea nefasta dell'anarchismo. Nefasta in due sensi: pensava male dell'anarchismo e credo che non lo conoscesse bene. In realtà, mi sembra, che non volesse neppure conoscerlo, perché era troppo immerso nella sua concezione.
Qualche volta ne abbiamo parlato, per esempio in occasione del colloquio di Cerisy, (7) ma senza approfondire il tema. Non so se tu, Rafael, eri presente. Ci si chiese, nei corridoi: Che differenza c'è tra la “autonomia ” castoriadiana e l'anarchia? Castoriadis faceva una critica più generale, dicendo: “Be', l'anarchismo critica tutte le norme e senza norme non esiste società ”. Sono assolutamente d'accordo: senza norme non esiste società. Ma l'anarchismo non critica tutte le norme. Critica il modo in cui la norma si radica nella società, non accetta la posizione della élite che si autoattribuisce la capacità di emanare la legge, e combatte l'universalità di una legge di maggioranza. L'anarchismo non postula per niente una non istituzionalizzazione della società, anzi, teorizza una auto-istituzione cosciente e riflessiva del collettivo umano.

Il secondo libro di
Eduardo Colombo edito da
Elèuthera, 2009.
Pagine 192,
euro 16,00


Ma oggi l'anarchismo non viene ascoltato

Claudio Albertani – Quali altri divergenze ci furono?
Eduardo Colombo – Quando ci conoscemmo, Castoriadis aveva già abbandonato la militanza politica, ma continuava ad avere una posizione politica. Lo invitai parecchie volte a Milano per una chiacchierata con i compagni anarchici italiani e per un colloquio pubblico sull'immaginario sociale. Gli anarchici giudicavano positivamente le basi della sua filosofia politica: il progetto di autonomia, il cambiamento rivoluzionario della società. Tuttavia, le discussioni si mantenevano su un livello teorico socio-politico senza entrare ulteriormente nella polemica sull'anarchismo, o sulle differenze che sorgerebbero riguardo, per esempio, la legge di maggioranza nella democrazia diretta. In questo modo erano maggiori i punti di convergenza che di divergenza.
Ebbene, a partire da quanto ho indicato e dal punto di vista del pensiero critico, non ci sono importanti differenze tra me e Castoriadis. Le differenze maggiori sono piuttosto a livello filosofico o metapsicologico. Per esempio, non condivisi mai le sue teorie sul concetto di monade psichica, sulla sua eterogeneità radicale, monade che deve subire la frattura o la rottura della socializzazione. (8) Questo tipo di teorie non mi convinse mai. È a partire dalla socializzazione del soggetto nel quale credo che le convergenze sono maggiori. Vale a dire, nella parte socio-istituzionale.

Rafael Miranda Possiamo parlare di una clinica impegnata nel progetto sociale in Castoriadis? Egli teorizza che scopo della psicoanalisi è l'autonomia del soggetto. Condividi questa posizione, secondo la quale il fine della psicoanalisi è l'autonomia del soggetto?

Eduardo Colombo – Non so fino a che punto lo stesso Castoriadis sarebbe d'accordo con questa formulazione se non la si completa. È chiaro che il fine della psicoanalisi è l'autonomia del soggetto. Al tempo stesso, come abbiamo detto all'inizio, sappiamo che il grado di autonomia cui può aspirare un soggetto è limitato dalla struttura di una società eteronoma. Vale a dire che l'autonomia del soggetto è direttamente connessa all'autonomia della società. Il rapporto è vicendevole. La società e il soggetto si costruiscono vicendevolmente. Un soggetto umano non è un elemento inerte; fin dalla nascita l'individuo si inserisce in un sistema di relazioni interpersonali, ne fa parte, le modifica e si costruisce come soggetto, tendendo sempre verso l'ampliamento della propria autonomia.
Ma questa autonomia ha limiti esterni in una società, come abbiamo visto riguardo alla cura. Tali limiti non sono superabili individualmente. È, questa, una delle ragioni per le quali difendo la posizione rivoluzionaria. Sono convinto che la società non si cambia mediante modifiche parziali, poiché essa funziona come una totalità, e quindi sociologicamente dobbiamo disporre di un approccio olistico. Castoriadis definisce questo aspetto attraverso le rappresentazioni immaginarie centrali, che attraggono come in un campo di forze altre significazioni. Questo campo di significazione è opaco, occulto.
Ci sono altri elementi altrettanto importanti. Per esempio, ciò che Foucault chiama l'episteme – la struttura di base a partire dalla quale pensiamo – implica una serie di elementi di significazione, di teorie, concetti e pratiche, forme di pensare il mondo, che si fanno visibili quando le cerchiamo, ma non sono evidenti di per sé. Colui che pensa, pensa contro qualcosa. Se si pensa che sia necessario modificare la realtà sociale, la negazione logica di ciò che è permette l'insorgere di ciò che non è ancora, di ciò che diviene. È da qui che si sviluppa il pensiero. Nella struttura del soggetto, l'identità che il soggetto va acquisendo nel corso della vita, nel divenire della sua auto-costruzione costante, è l'alter, l'altro, l'altro collettivo, l'istituzione sociale, che apporta la materia di un simile processo.
Le rappresentazioni, le idee, non sono inerti, vivono delle emozioni e delle passioni del soggetto, per questo il pensiero critico deve attaccare l'episteme della sua epoca, che funziona come una soglia di enunciazione, per così dire, o meglio come supporto o base a partire dal quale un discorso è udibile, comunicabile, capace di circolare collettivamente.

Claudio Albertani – In questo senso, come articoli l'impostazione di Castoriadis con l'anarchismo?

Eduardo Colombo – L'anarchismo, nell'epoca in cui viviamo, si trova sulla soglia della visibilità, lo si vede, ma non raggiunge il livello basilare di enunciazione: non viene ascoltato. Le sue idee centrali, antiautoritarie, sono estranee alla società gerarchica e il discorso anarchico non viene percepito correttamente perché, come accade con il trattamento psicoanalitico, tale discorso si scontra con i limiti strutturali del sistema, ma ora la lotta sociale esige la distruzione di questi ostacoli. Attualmente se voglio far passare le mie idee, devo ricorrere ai mezzi di comunicazione di massa. Bisogna arrendersi alle esigenze del mercato. Occorre essere in primo piano; bisogna farsi intervistare (come sto facendo io adesso) per uscire dall'anonimato. Non è importante l'anonimato delle persone, ma è importante quello delle idee.
Le idee eterogenee rispetto al sistema gerarchico incontrano grandi difficoltà nel farsi ascoltare, perché, come dice il proverbio, non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire. Nuove invenzioni hanno invaso le tecniche di comunicazione, in particolare Internet. In questo ambio la diffusione dell'anarchismo è enorme. È incredibile vedere la quantità di portali e pubblicazioni che popolano la rete, se li si paragona con l'occultamento e la deformazione patiti dal movimento anarchico nella seconda metà del secolo scorso. Ma permangono limitati a chi va a cercarli; non passano al livello pubblicitario. Se scrivo un libro, chi lo leggerà? Quelli che sanno che questo libro esiste e quelli che sanno che questo libro esiste sono quelli che per una ragione o per l'altra sono legati al movimento anarchico. In caso contrario, non ne conoscono l'esistenza, perché non essendo presente sul piano pubblicitario commerciale, questo tipo di libri non è visibile. Il tema centrale, ancora una volta, è come il soggetto può accedere all'autonomia quando è costretto a corrispondere a determinate condizioni che la società gli impone. La possibilità di pensare l'autonomia, o di essere autonomo, o anche di avere un progetto di autonomia, dipende dalla elaborazione individuale e collettiva di idee e pratiche che permettono di far proprio il nuovo, l'antigerarchico, le relazioni non autoritarie. Tutto ciò porta in direzione dell'autonomia. Nell'idea bakuniniana di libertà era già presente tale problematica.
Nell'ultimo libro pubblicato qui a Parigi da Castoriadis su Tucidide c'è una pagina in cui si definisce la libertà in senso bakuniniano; benché il vincolo ideologico non sia esplicitato, è la relazione tra gli esseri umani ciò che fa emergere il valore di libertà. (9) È assurdo considerare la libertà come fa il principio liberale, che afferma che “la mia libertà finisce dove comincia la libertà dell'altro ”. È vero l'opposto: la libertà si dà nella relazione tra i soggetti. È qui che si creano le possibilità di essere liberi e di pensare liberamente. Bakunin lo dice con grande chiarezza: ci sono tre momenti della libertà. Il primo momento è puramente positivo: è la società umana il luogo in cui appare l'idea, il valore della libertà. Ma il secondo momento della libertà è la ribellione contro ciò che opprime. È il momento negativo: la ribellione contro lo Stato, contro il fantasma del divino o contro gli elementi che direttamente ci opprimono in qualsiasi situazione. Ma dietro a questo esiste un'altra ribellione, più profonda, che è la necessità di ribellarsi contro se stessi, vale a dire contro la società che si trova interiorizzata in noi.

Un'idea deve essere in movimento

Claudio Albertani – In Bakunin c'è già questo tipo di analisi psicologica?

Eduardo Colombo – Bakunin dice: “Nell'angolo più oscuro del cervello del più leale figlio del popolo dorme un poliziotto ”. Perché? Non perché la gente sia buona o cattiva. Tutti noi siamo socializzati in un tipo di società autoritaria ed è impossibile staccarsi totalmente da questa società quando ci si vive. Il secondo momento della ribellione, vale a dire il terzo della libertà, consiste nel ribellarsi contro se stessi, riuscire a pensare indipendentemente dai limiti nei quali ci siamo formati. Questo ha a che vedere con la critica della tradizione, la critica del nomos, la critica della norma, della legge. Per un anarchico, anche nella società più anarchica che si possa immaginare, esisterà sempre l'idea che un'altra società migliore sarà possibile. La società ideale è un impossibile, è immaginare una fine della storia, però l'ideale di un'altra società è ciò per cui bisogna battersi. Ibsen diceva che, nella lotta per la libertà, chi si ferma proclamando che l'ha raggiunta, dimostrerà proprio che l'ha perduta.

Rafael Miranda – È possibile una clinica impegnata in un progetto sociale?

Eduardo Colombo – Poco fa, ho tentato di evidenziare le contraddizioni della cura. La psicoanalisi può aiutare a svelare la realtà, mostrare molti aspetti che stanno a indicare l'autonomia, la liberazione sociale, ma con i limiti di cui abbiamo parlato. Forse Castoriadis non lo direbbe così. Il concetto castoriadiano di autonomia è che non esiste autonomia del soggetto se non esiste autonomia della società, per questo torniamo all'aspetto rivoluzionario. Perché il peggio che possa capitare con un'idea è che si ponga come una verità. Un'idea deve essere in movimento: senza passioni, la società non cambia.

Claudio Albertani e Rafael Miranda

Questa intervista è stata registrata a Parigi nell'aprile del 2011, nell'ambito delle attività preparatorie dell'Incontro internazionale annuale della Cátedra Interinsitucional Cornelius Castoriadis
(http://vimeo.com/channels/formacionenalteridad#25056626) che si è svolto nella Casa de la Primera Imprenta de Américe, Città del Messico, il 5, 6 e 7 ottobre 2011.


Il testo è stato rivisto e migliorato dallo stesso Colombo nel febbraio 2012.

Traduzione dal castigliano di Luisa Cortese.


Note

  1. Enrique Butelman (1917-1990), è stato docente di Storia della Psicologia, Psicologia sociale e Psicologia contemporanea nella Università di Buenos Aires. È stato cofondatore e direttore della casa editrice Paidos.
  2. Enrique Pichon-Rivière (1907-1977). Medico psichiatra svizzero naturalizzato argentino, fu tra coloro che introdussero la psicoanalisi in Argentina.
  3. La scuola di Palo Alto è basata sul lavoro di Gregory Bateson, sistematizzato e ampliato da Paul Watzlawick, a partire dai paradigmi imperniati sulla nozione di informazione e sui concetti derivanti dalla cibernetica.
  4. Willy Baranger (1922-1994). Psicoanalista di origine francese, emigrò in Argentina dopo aver effettuato studi filosofici. Pubblicò varie opere di ispirazione kleiniana e si interessò in particolare all'opera di Jacques Lacan.
  5. Si tratta del Quatrième Groupe, organisation psychanalytique de langue française.
  6. George H. Mead (1863-1931). Psicologo sociale statunitense, teorico del primo behaviorismo, chiamato anche interazionismo simbolico, nell'ambito della scienza della comunicazione.
  7. Si tratta del Colloquio di Cerisy sulla vita e l'opera di Castoriadis (1990). Cfr. http://vimeo.com/27681198.
  8. Secondo Castoriadis, la monade è lo stato originario della psiche, anteriore all'introduzione della separazione che precede il processo di socializzazione. Lo schema che prevale nella monade è l'onnipotenza; rappresentare è realizzare immediatamente, e non ci sono distinzioni tra il sé e il tutto. Quando tale stato viene spezzato violentemente, la psiche trasferisce questo schema nell'altro che tutto può e che si trasforma nella fonte esclusiva del senso. In primo luogo la madre, il partito, la chiesa, la tecnica, la ragione, il mercato ecc. Il modo in cui lo stato monadico della psiche perdura nel corso della vita del soggetto si manifesta mediante la tendenza perenne alla negazione della alterità e il ricorso alla ripetizione contenuta in ogni identità rivendicata.
  9. Cornelius Castoriadis, Ce qui fait la Grèce, t. 3: Thucydide, la force et le droit, “La couleur des idées ”, Seuil, Paris 2011.