Rivista Anarchica Online


in direzione ostinata e contraria

Ma la poesia viaggia

Intervista a Porpora Marcasciano di Renzo Sabatini

“Io conoscevo proprio Princesa, cioè Fernanda”ci dice la sociologa Marcasciano, impegnata nella difesa dei diritti dei trans. E proprio a partire dalla protagonista della canzone di Fabrizio De André, il discorso si allarga all’ipocrisia e alla violenza che la società infligge a chi ha “cambiato sesso”.

 

Lei è sociologa e attiva da anni per i diritti civili dei transessuali, è il vice presidente del Movimento Identità Transessuale. Come nasce questo impegno sociale e politico?

Nasce fondamentalmente perché sono io, in prima persona, che vivo l’esperienza, in quanto sono una persona transessuale. Ho una laurea in sociologia, sono da tempo impegnata nella battaglia per i diritti civili non solo dei transessuali ma in generale, proprio per i diritti civili. Per cui mi sono ritrovata a lavorare, a Bologna, in questa associazione che ha messo su un servizio molto importante per le persone transessuali offrendo tutta una serie di servizi che vanno dalla salute, al lavoro, alla cultura. Noi ad esempio gestiamo un consultorio per la salute delle persone transessuali, finanziato dalla Regione Emilia Romagna, in collaborazione con la ASL e l’Università di Bologna.
Diciamo che mi sono ritrovata in questo meccanismo e ne sono stata letteralmente assorbita, c’ho messo la mia passione, la mia vita.

Il vostro movimento (che prima si chiamava “Movimento Italiano Transessuali” e poi è diventato “Movimento Identità Transessuale”), è una realtà solo bolognese o ha un respiro nazionale?

È una realtà nazionale che ha la sua sede e il suo centro a Bologna. L’associazione esiste anche nelle altre città ma non ha centri, sedi, quindi per i servizi che offre tutti fanno riferimento a Bologna. Però facciamo degli interventi anche altrove, cercando di appoggiarci ad altre associazioni. Vorrei però dire qualcosa sul cambio di nome: il MIT nasce nel 1979 come Movimento Italiano Transessuali. Col passare del tempo, con una realtà che nel frattempo è mutata, abbiamo ritenuto opportuno cambiare quell’ “italiano”, che un po’ ci stava stretto, nel senso che le transessuali erano cominciate ad arrivare un po’ da tutto il mondo qui da noi, allora l’abbiamo trasformato in “identità”, togliendo “italiano” ma senza cambiare l’acronimo.

Passando a Fabrizio De André, il suo ultimo album, Anime Salve, inizia con “Princesa”, il cui protagonista è un transessuale. Lei come reagì quando uscì questa canzone?

Io conoscevo proprio Princesa, cioè Fernanda, la protagonista della canzone. L’ho conosciuta a Roma, quando vivevo ancora lì, nella pensione dove lei viveva e dove poi successe il “fattaccio” (1), l’aggressione alla proprietaria della pensione. Quando è uscita la canzone ho reagito bene. Anzitutto perché io ho sempre amato De André, mi ha accompagnato sempre, è stata la colonna sonora della mia vita: ho quarantotto anni e quindi appartengo proprio alla generazione che è cresciuta con De André.
All’epoca avevo già letto il libro su Princesa (2), quello della casa editrice “Sensibili alle Foglie”. Il libro m’era piaciuto, era interessante, però in realtà non aveva aggiunto niente di nuovo a quello che già sapevo. Ci potevano essere dei lavori anche più interessanti rispetto alla tematica transessuale. La canzone di De André invece è stata la classica ciliegina sulla torta, ha dato poesia ad una realtà che molto spesso non è poetica, anzi è una realtà problematica, fatta di disagi. Quindi De André, con Princesa, ha dato proprio il sale alla situazione.
A me l’uscita di un nuovo disco di De André ha fatto sempre piacere, lo aspettavo. Quando ho trovato Princesa in Anime Salve non mi ha stupito più di tanto, conoscendo già la poetica di De André, gli argomenti che lui trattava e che a lui piacevano, però me lo sono sentito molto più vicino.

La canzone fu poi inserita nella scaletta della tournée del 1998. In questi concerti De André presentava questa canzone in modo pacato ma esplicito e parlava delle sofferenze, dei dolori dovuti all’emarginazione che essere transessuali comporta. Che reazione c’è stata da parte sua e della comunità transessuale a questo atteggiamento così esplicito da parte di un artista così famoso?

In certi ambienti, che definirei più intellettuali, se n’è parlato molto. A livello di trans che frequentano il nostro centro forse se n’è parlato un po’ di meno. La cosa è stata presa con piacere ma senza poi approfondire più di tanto, senza commentare rispetto alla positività o meno della canzone. Io comunque l’ho trovata una cosa molto bella, fatta da un cantautore che era già molto popolare, anche se forse bisogna dire che De André era apprezzato da un pubblico particolare, cioè quel pubblico che già è preparato, che già conosce i temi dell’emarginazione, sa del conformismo, del moralismo, dell’ipocrisia che ci sono in una certa società. Quindi forse la canzone, da quel punto di vista, non ha neanche sorpreso più di tanto il suo pubblico. Ha sorpreso invece noi, perché ha messo l’accento sul transessualismo e l’ha messo molto, molto bene, toccando dei punti che non è da tutti affrontare con quella sensibilità. Qui riconosco la grande capacità poetica di De André, perché lui ha toccato dei punti che, per chi non è dentro all’esperienza, era difficile che venissero fuori.

Porpora Marcasciano

Anticonformismo genuino

Sempre presentando le canzoni di Anime Salve De André diceva che quelli come Princesa, difendendo il diritto di assomigliare a se stessi, in fondo senza far del male a nessuno, difendono la libertà. Qui c’è un bel ribaltamento di valori. Le cosiddette minoranze emarginate diventano quelle che ci salvano dalle maggioranze omologate. Lei che ne pensa?

Non posso che essere profondamente d’accordo. Io nella vita mi occupo dei diritti civili di una minoranza emarginata, una minoranza violentata, concedetemi il termine. E credo che proprio la cultura, la voce, la parola delle minoranze, quella parola che viene sempre negata, è proprio quella che da ricchezza a una società. Credo che più una società è aperta e pronta ad ascoltare tanto più quella società è libera e grande. Quando dico “grande” intendo una società matura, democratica, pacifica.
Intendo quindi grande una società di quelle che piacciono a noi, dove tutti hanno uno spazio per vivere, uno spazio di agibilità. Cosa che in realtà non succede o succede molto poco nel mondo. Basti pensare che ci sono luoghi al mondo dove, ancora oggi, le persone transessuali vengono ammazzate per il solo fatto di essere transessuali. In tantissimi altri posto vengono arrestate, comprese anche le avanzatissime democrazie occidentali.

Princesa, lo ha già ricordato lei, è tratta dal libro omonimo di Fernanda Faria e Maurizio Jannelli. È insomma una storia vera, un racconto autobiografico. Anch’io, confrontando libro e canzone, ho avuto la sensazione che la canzone riesca ad esprimere molto di più, assumendo una valenza più universale. Secondo lei si potrebbe affermare che la storia di Princesa, così come l’ha cantata De André, non è più solo la storia di una persona ma una rappresentazione che ci avvicina a tutto il mondo transessuale, nel suo complesso?

Senza dubbio. Per me questa canzone ha rappresentato un momento culminante. Perché la poesia, la canzone, non ha confini, viaggia da sola, viaggia nel tempo e va oltre i gruppi, le categorie, le nicchie, per cui anche chi non è appassionato di De André la canzone la può ascoltare, in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione. La poesia viaggia, va anche oltre noi e questo penso che sia il merito forse maggiore di De André e della canzone.

Il fatto che a parlare di un transessuale fosse in questo caso una persona non trans potrebbe aver rappresentato un problema? Non c’era il pericolo di sentirsi un po’ “usati” senza essere consultati?

In realtà Fabrizio De André ha raccontato la storia di Princesa in maniera così squisita che in certi momenti io ho avuto persino dei dubbi, mi sono chiesta se per caso non fosse stato aiutato da una persona transessuale. Perché l’uso delle parole, i concetti espressi così chiaramente, facevano pensare che fossero stati narrati da una persona che sta dentro l’esperienza del transessualismo. Potrei ad esempio citare quel passo della canzone che fa: “nella cucina della pensione mescolo i sogni con gli ormoni / ad albeggiare sarà magia / saranno seni miracolosi”. Beh è una battuta che fra noi trans girava da parecchio, quella di mettere gli ormoni in cucina e non usarli nel modo classico, quello che consigliano i medici, ma diluirli proprio nel nostro cibo quotidiano. Quando me la sono ritrovata nella canzone di De André, la cosa non solo mi ha sorpreso ma mi ha fatto sorridere e un po’ mi ha riempito, perché mi ci sono proprio ritrovata. E credo che, come mi ci sono ritrovata io, ci si siano ritrovate anche tantissime altre persone.

Mi pare che lei ci stia confermando quello che ci hanno detto anche altri intervistati: sembra proprio che De André non lasciasse nulla al caso e affrontasse le tematiche che gli stavano a cuore non solo con grande sensibilità ma anche a partire da una conoscenza molto approfondita.

Io credo che la bellezza di De André sia un suo anticonformismo genuino che si percepisce, che non arriva solo alla testa ma anche al cuore. In genere quando si parla di testi, i testi poi vanno interpretati con la nostra mente, mentre magari la musica arriva più direttamente al cuore. Invece i suoi testi, la sua poetica, il modo in cui la porge, credo che non arrivi solo alla testa, che non si fermi solo al significato che ci appare. Credo che tocchi il cuore, le emozioni. Credo che questo faccia grande De André e faccia sì che vada oltre una realtà che purtroppo non è sempre bella. De André prende al cuore perché ha cuore.

Per ogni cosa c’è il suo tempo

Princesa si conclude con un lungo elenco di parole che riassumono tutta la difficile e contraddittoria esperienza della protagonista: le botte, le carezze, il fallimento, lo schifo, la bellezza…. Alla fine un unico verbo: vivere. Questo elenco è in fondo una poesia in sé, che può vivere anche al di fuori del resto della canzone. Ce lo può commentare?

Questo è un po’ l’inizio e la fine del discorso che noi tutti facciamo, l’inizio e la fine delle nostre lotte, delle nostre battaglie. È in fondo il desiderio, che è quello che fa muovere la vita. Il desiderio di essere sé stessi, il desiderio di essere felici, di realizzarsi. Molto spesso, anzi, sempre, l’ostacolo a questo desiderio è quello che crea una vita brutta, le storture, persino le guerre. La realizzazione dei desideri, che è molto semplicemente la realizzazione di sé stessi, il desiderio di vivere in pace con sé stessi, penso che sia il punto di partenza e anche il punto di arrivo. E questo è, secondo me, il punto di partenza della canzone e anche il suo arrivo, la parte finale: vivere. Chiusura migliore non ci poteva essere.

Pensa che una canzone come Princesa possa essere servita a cambiare un po’ l’atteggiamento della gente (almeno di chi ascoltava De André), nel senso di far cadere un po’ di pregiudizi, di steccati, nei confronti dei transessuali?

Il transessualismo è un argomento di cui si parla poco e quando se ne parla se ne parla male. Quindi senz’altro la poesia di De André è servita molto, molto di più di tante trasmissioni televisive in cui si parlava, si parlava e si diceva assai poco! Poi questa poesia viaggia da sola e resta nel tempo. Non è come una trasmissione televisiva, un articolo di giornale, che restano datati ad un certo periodo e sono poi limitati e limitanti perché si fermano alla superficie dell’esperienza. Questa canzone invece tocca il cuore, tocca anche la mente perché esprime concetti su cui poi sorge spontaneo di approfondire. Per cui questa canzone ha dato un contributo. Non so dire quanto grande, non so dare un voto alla grandezza. Però senz’altro è stato un grosso contributo all’approfondimento, alla conoscenza, alla riflessione (questo è forse il termine più esatto) sull’esperienza transessuale.

Parlando di poesie che rimangono nel tempo: Nel libro in cui si racconta a Cesare Romana, De André ha rivelato che Via del Campo è stata ispirata dai suoi incontri con un transessuale di nome Giuseppe, che lavorava in quella strada. Quindi Via Del Campo, del 1966, è indirettamente anche una canzone che parla di transessuali. Però bisogna aspettare il 1996 per una canzone esplicitamente dedicata a questo tema. Secondo lei perché? Era un tema che negli anni sessanta non era molto sentito oppure, semplicemente, De André aspettava l’ispirazione, che poi gli è venuta dal libro?

Non credo che De André avesse bisogno di aspettare il libro. Il libro forse gli ha solo offerto l’occasione.
Lui ha parlato di Giuseppe. In realtà quella transessuale di Via del Campo, che io ho conosciuto, si chiamava Morena. È morta qualche anno fa.
Bisogna dire che al tempo in cui è stata scritta Via del Campo la nostra non era una realtà facile. Non era come oggi: oggi, bene o male, almeno se ne parla. Ma negli anni Sessanta, quando è uscita la canzone, la parola: “transessuale” neanche esisteva! Tutt’al più poteva esistere il termine: “travestito”. Ma forse neanche quello: in quel periodo c’era la negazione totale, noi non esistevamo. Quindi credo che fosse solo di pochi la capacità e la possibilità di cogliere delle sfumature della società, della sessualità, dell’identità di genere. Fabrizio De André aveva questa capacità, l’ha fatto. Magari però ha ritenuto di esprimerla in un altro modo, all’epoca. E secondo me va bene così perché in fondo è vero che per ogni cosa c’è il suo tempo e anche in questo, non è che io adesso voglia mettermi a fare le lodi di De André, però direi che anche in questo Fabrizio è stato bravissimo, nella capacità di scegliere il tempo e di darci delle emozioni per ogni tempo.

Prostituzione e violenza

Come Via del Campo, anche Princesa tratta anche il tema della prostituzione. È un aspetto inestricabile dalla questione transessuale? Oppure si potrebbe parlare di transessualismo anche senza parlare di prostituzione?

Senz’altro io parlerei di transessualismo senza parlare di prostituzione. Però bisogna dire che nel periodo in cui Fabrizio De André ha scritto Via del Campo e anche quando è stato scritto il libro da cui poi è stata tratta Princesa, parlare di transessualismo era come parlare di prostituzione. Questo perché in quegli anni non c’erano alternative, non c’erano altre scelte possibili. L’inserimento sociale, l’inserimento lavorativo per le persone transessuali era completamente sbarrato. Quindi la prostituzione ha rappresentato un’ancora di salvataggio, un salvagente per non annegare, per sopravvivere. Per assurdo la prostituzione per le persone trans è stata proprio la via per realizzarsi, perché ha dato la possibilità a tante persone di manifestarsi e diventare visibili. Oggi, per fortuna (e sottolineo “per fortuna”) non è più così perché molte persone transessuali, anche assistite e sostenute da associazioni come la nostra, dai sindacati, da alcune correnti politiche, hanno rotto questo muro che le isolava dalla società. Molte persone quindi hanno recuperato l’autostima e molta forza (perché c’è bisogno anche di quello) e hanno portato avanti la loro battaglia nel mondo del lavoro. Oggi quindi ci sono molte persone transessuali che lavorano e sono inserite. Certo la realtà più consistente è ancora quella della disoccupazione. Questa ultimamente è già una realtà per molti italiani, per le persone transessuali lo è ancora di più perché è una categoria socialmente debole. Quindi possiamo dire che la prostituzione è stata l’unica realtà per molto tempo, per tutti gli anni Sessanta e Settanta e fino a metà degli anni Ottanta.
Alla fine è rimasto questo stigma cucito addosso, per cui dire transessuale equivale a dire prostituzione. Però transessualismo significa tutt’altro, non è solo la prostituzione, come molto spesso si è fatto credere attraverso un’informazione scorretta e sbagliata. Il transessualismo è, molto semplicemente, l’esperienza di tutte quelle persone che non si sentono in sintonia con il sesso in cui sono nate, per cui mettono in moto un processo di cambiamento, di trasformazione e di adattamento del proprio fisico. La prostituzione è qualcosa che si aggiunge a questo, ma è solo una parte, un pezzo.

Un tema legato alla prostituzione è quello della violenza. In Princesa ci sono le botte, la polizia. In altre canzoni si parla della violenza contro le prostitute. Basti pensare a Marinella, canzone ispirata dall’omicidio di una giovane prostituta; Suzanne, costretta dalla vita a prostituirsi e alla fine suicida; Maggie, “uccisa in un bordello dalle carezze di un animale”. Quanta violenza c’è, ancora oggi, nei confronti dei transessuali?

La violenza purtroppo è diffusa perché, secondo un certo tipo di morale, un certo tipo di cultura, le persone transessuali, come un po’ tutte le persone “diverse”, vengono fatte passare per persone pericolose, per la moralità, per la normalità, per la società nel suo complesso. Questo in menti cattive, in menti malate, in menti particolarmente propense alla violenza fa scattare meccanismi pericolosi e incontrollabili. È chiaro che una persona transessuale, come anche una prostituta, come anche tutte le persone che, in un modo o nell’altro possono essere considerate non conformi alla norma, tutte queste persone sono obiettivo di violenze e di aggressività.
Quando si parla di violenza si pensa magari solo agli omicidi, alle aggressioni brutali. Ma posso garantire che di aggressività, intesa proprio come atteggiamento ostile ce n’è ancora tanta e in certe zone del Paese ce n’è tantissima. Quindi per una persona transessuale, che è una persona estremamente visibile e non può passare inosservata, l’aggressività della gente, l’arroganza della gente che si sente in diritto di dire la propria, di aggredire, di dare fastidio, c’è, è diffusa ed è una realtà con la quale ancora dobbiamo fare i conti, nonostante molte cose siano cambiate. Purtroppo c’è ancora questa tendenza che affonda le sue radici nel pregiudizio, che è la cosa più difficile da scardinare. Pensiamo ai luoghi comuni, che poi sono quelli che denunciava De André con le sue canzoni.

L’inclusione e i mille colori

Da quando è morto De André si sentono spesso artisti, critici, giornalisti dire cose tipo: “De André ha restituito dignità alle prostitute, ai drogati”. Non ho mai sentito dire: “De André ha restituito dignità ai transessuali”. Perché? È un aspetto sottovalutato della produzione dell’artista oppure si tratta di un tema di cui è più difficile parlare rispetto, per esempio, alla prostituzione?

Devo dire che è un tema di cui si parla poco e forse è più difficile da affrontare. La prostituzione per esempio è un tema che riguarda tutti e nessuno, rispetto al quale si può parlare in maniera più distaccata. Perché la prostituzione può riguardare tutti: maschi, femmine, giovani e meno giovani, ricchi e poveri. Il transessualismo invece è, un’esperienza che va a toccare dei nervi scoperti della nostra cultura, che sono la sessualità e l’identità di genere. La nostra cultura è costruita su dei valori: l’eterosessualità, l’essere maschio, l’essere donna. Quando si va a parlare di questi argomenti l’imbarazzo, molto spesso, la fa da padrone. Molti, e fra questi molti ci metto dentro anche le persone più tranquille e più aperte, preferiscono lasciar perdere l’argomento, proprio per non entrare in un terreno scivoloso, in cui potrebbero entrare in crisi, non solo con gli altri ma anche con se stessi. Sicuramente De André questi problemi non li aveva, non se li è mai creati. E mi piacerebbe tanto (e questo è un augurio che mi faccio e che faccio a tutti), mi piacerebbe che quel messaggio di De André non arrivasse solo alla testa ma che arrivasse anche al cuore, che secondo me era il suo vero obiettivo.

Nei messaggi che ci siamo scambiati in questi giorni lei diceva con rammarico di non aver avuto la possibilità di conoscere personalmente De André. Se avesse avuto questa possibilità cosa le sarebbe piaciuto dirgli?

Grazie!

Solo questo?

Beh, è la prima cosa che mi viene. È chiaro che, a pensarci, sarebbero tante le cose. Ma più che dirle, quando io penso a De André, abituata forse ad ascoltarlo, se l’avessi conosciuto, se l’avessi incontrato, magari forse sarei rimasta in silenzio ad ascoltarlo. Penso che ci sarebbe stato questo tipo di rapporto, più basato sull’ascolto da parte mia.
Tutta la mia riconoscenza l’avrei condensata in un “grazie” molto profondo, che credo lui avrebbe capito, perché comunque sarebbe venuto dal cuore, come al cuore sono rivolti i suoi testi, le sue poesie, così dal cuore mio e dalle persone che rappresento sarebbe venuto un grazie rivolto a lui.

Lei mi ha scritto e anche ripetuto oggi di aver molto amato De André. A parte Princesa, cos’è che ha più amato della produzione di De André e cos’è che lascerebbe indietro?

Io sono molto legata al primo De André, al “Bombarolo” a “Marinella”, alla prima produzione, che è poi anche la prima che ho ascoltato. Del resto comunque io non butterei via niente. A me piace tutto il lavoro di De André e non saprei neanche esattamente come definirlo. Stavo per dire “produzione”, ma non la trovo giusta. Forse potrei dire la sua poetica, ecco direi che la poetica di De André mi piace tutta, anche perché la trovo in sintonia con lui, con il suo personaggio. Perché noi viviamo in un mondo molto spesso schizofrenico, in cui quello che si dice non corrisponde a quello che si è, in cui il personaggio non corrisponde a chi si è veramente.
Quindi trovare una persona vera, genuina, autentica sotto tutti i punti di vista, credo che sia un grandissimo pregio che è molto difficile da ritrovare e questo è forse quello che più mi ha dato Fabrizio de André.

Recentemente lei ha partecipato a un dibattito che, prendendo spunto da De André, si domandava: “a che punto è la liberazione sessuale in Italia?”. In coda di intervista, le rivolgo anch’io questa domanda. A che punto è la liberazione sessuale in Italia, e a che punto siamo con i diritti dei transessuali?

La libertà sessuale e la liberazione sessuale in Italia è un po’… come i canguri in Australia! Mi viene benissimo proprio questo paragone. Purtroppo l’Italia è un paese che risente di una certa morale, di una certa cultura. E io credo che un paese democratico, un paese maturo, dovrebbe essere laico quando decide e fa le cose. La spiritualità è molto, molto importante, ne abbiamo bisogno, fa parte di noi. Però credo che il problema più grosso dell’Italia sia proprio la laicità dello Stato. Rispetto alla sessualità, quindi ai diritti ed alla libertà riferita alla sessualità, l’Italia ha dei grossi problemi, perché, appunto, è un po’ come i canguri: salta.
Ci sono periodi in cui dà e periodi in cui toglie. Questo è un periodo che toglie. Faccio un esempio, perché dagli esempi si capiscono meglio tante cose: fra qualche giorno, a Verona, si inaugura la mostra di un artista cattolico, promossa dal Comune di Verona e dalla Curia. Il titolo della mostra è: “Miserere” e vuole rappresentare le dieci disgrazie, le dieci malattie del mondo. Una di queste dieci disgrazie è proprio la transessualità e l’artista ha tenuto a precisare che lui non ha niente contro i transessuali, però voleva consegnare la sofferenza di certa umanità alla misericordia di Dio. E questo è un po’ emblematico di come è vista la sessualità, la libertà sessuale, in Italia, in questo periodo.
Ancora partiamo dalla morale. E non dimentichiamo che nei secoli passati le persone transessuali sono state mandate al rogo, poi sono state chiuse nei manicomi, poi nelle prigioni, nei campi di sterminio. Ora consegnare tutto questo alla misericordia di Dio mi sembra un po’ una beffa. Preferirei non essere consegnata. Ecco, mi piacerebbe essere rappresentata in un’opera d’arte ma in un modo più felice e gioioso. Di quella rappresentazione ne faccio volentieri a meno.

Per fortuna non tutto il mondo cattolico la pensa a questo modo. Per esempio abbiamo ascoltato Don Gallo da questi microfoni e lui, mi pare, ha tutta un’altra impostazione.

Certo. Io con Don Gallo ho lavorato molto, su tante cose, e confermo che si tratta di una persona deliziosa. Così anche Don Ciotti. Ce ne sono tantissime di persone cattoliche che sono bellissime e che sono veramente molto vicine alla parola di Gesù, di San Francesco. Tante altre no! Però riconosco che c’è un pezzo di mondo cattolico molto aperto e a me molto vicino.

Siamo in chiusura, cosa le piacerebbe aggiungere?

Io sogno e mi auguro un mondo che ci appartenga di più, un mondo che sia basato sull’inclusione e non sull’esclusione. Non un mondo in bianco e nero, ma un mondo fatto di mille sfumature, di mille colori, perché i colori rendono bella la vita.

Renzo Sabatini

Note

  1. Fernanda Farias De Albuquerque, detta “Princesa”, arrestata a Roma nel 1990 con l’accusa di tentato omicidio (www.wikipedia.it).
  2. Fernanda Farias e Maurizio Jannelli: “Princesa”. Ed. Sensibili Alle Foglie, 1994.

(Intervista realizzata via telefono il 18/05/2005. Registrata presso gli studi di Rete Italia – Melbourne. Andata in onda nell’ambito della trasmissione radiofonica settimanale: “In Direzione Ostinata e contraria”, dedicata ai personaggi delle canzoni di Fabrizio De André).

In direzione ostinata e contraria

Con questa intervista a Porpora Marcasciano, prosegue la pubblicazione su “A” di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche realizzate da Renzo Sabatini e andate in onda in Australia nel programma “In direzione ostinata e contraria” sulle frequenze di Rete Italia fra il maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si è trattato di sessanta puntate (ciascuna della durata di circa quaranta minuti, per un totale di quasi 40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono state trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più lunga e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al cantautore genovese.

Se proponiamo questi testi, è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio e voce ne hanno poco o niente nella “cultura” ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio e poste alla base di una riflessione critica sul mondo e sulla società, con quello sguardo profondo e illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con una profonda sensibilità libertaria e – scusate la rima – sempre in direzione ostinata e contraria.

Precedenti interviste pubblicate: a Piero Milesi (“A” 370, aprile 2012) e a Carla Corso (“A” 371, maggio 2012).

la redazione di “A”