Rivista Anarchica Online


dossier Georges Brassens

Una foto nell’album di famiglia

di Laila Sage e Lorenzo Valera
foto di Francesco Cannito

Una rassegna su Brassens, con varie serate, iniziative, dibattiti, cantate collettive. Si è svolta nei mesi scorsi al circolo ARCI “La Scighera” di Milano. A promuoverla, due sfegatati brassensiani, lei (addirittura) connazionale di Georges.
Ecco il loro diario.

 

Laila – Tonton Georges. Uno zio dal volto bonario, una foto nell'album di famiglia, una voce amichevole. Quando incontrai Brassens per la prima volta avevo dieci anni. Mia madre aveva ricevuto per il suo compleanno l'opera omnia, 15 cassette audio. capii dal suo entusiasmo che non si trattava solo di musica. Il pacchetto regalo conteneva qualcosa di molto più prezioso ed esaltante e stuzzicò infinitamente la mia curiosità.
La prima canzone che imparai a memoria fu “Hécatombe”, storia di massaie al mercato che litigano per questioni di cipolle. L'arrivo dei gendarmi riconcilia immediatamente le casalinghe e scatena una battaglia deliziosamente epica che ridicolizza l'autorità a colpi di panni, tette e chiappe. Le parole “mort aux vaches”, “morte agli sbirri” entrarono così a far parte del mio lessico, insieme ad altre cento espressioni, metafore, , locuzioni gergali (verificato: argotismo in italiano non esiste!) riferimenti mitologici, arcaismi.. Scoprii col tempo una visione che sentivo mia senza saperla definire: un'orticaria verso ogni forma di imposizione, un attaccamento alla libertà. Ebbi a disposizione un'altra quindicina d'anni per approcciarmi a una visione del mondo profonda e ironica, a una poesia insospettata... e per imparare buona parte del contenuto delle cassette
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Un compagno di vita

Qualche anno fa, ero arrivata in Italia da pochi mesi, durante un'allegra serata di canti e vino, chiesi timidamente se qualcuno conoscesse delle canzoni francesi. Saltò fuori un intero faldone di canzoni di Georges Brassens. Cantammo sino all'alba. Il chitarrista, Lorenzo, cantava e conosceva Brassens non tanto perché parlava la mia lingua. Aveva imparato il francese proprio per poter capire e cantare i testi brassensiani.

Lorenzo – anche nel mio caso è una storia di famiglia. Il francese incontrato a scuola – facevo ragioneria – era quello non proprio poetico delle lettere commerciali. Tutto ciò che esulava dalla vuota formalità dei “Mr le Président” mi era completamente ignoto. Ma le canzoni di Brassens le avevo incontrate senza saperlo già nei primi anni di vita: in casa, o nell'auto di famiglia, c'era sempre qualche cassetta di Nanni Svampa. Il milanese lo capivo benissimo perché mio nonno Eugenio parlava in dialetto stretto e io restavo ore ad ascoltarlo, incantato dalla sua musicalità. Per questo nel mio immaginario alcune storie inventate da Brassens per me saranno sempre ambientate all'Ortiga o a Lambrà. Poi, nell'adolescenza, l'idolatria per Fabrizio de André (la fortuna di avere genitori che ascoltano buona musica...), la scoperta di alcune assonanze con i canti della mia infanzia, la curiosità per quel personaggio misterioso che addirittura il mio idolo considerava un maestro! Il cerchio si chiuse quando mio padre Alberto, di ritorno da Parigi, portò tre cassette di quella stessa raccolta della Philips. Fu una vera e propria folgorazione: il francese, quel francese, era un distillato di poesia, quelle parole erano musica. Imparare a cantarle, per il puro piacere di farlo, fu un imperativo categorico. Scoprii alcune meraviglie nascoste tra le pieghe di quei versi, perle che potevano essere pienamente godute solo nella lingua originale e mi diedi da fare per imparare il francese, quel francese. Raccolsi tutti i testi che man mano imparavo in un faldone, ma continuai a cantarmele per conto mio finché Laila non mi diede l'occasione per condividerle.

Laila – Non era solo il piacere di cantare e suonare Brassens insieme, c'era qualcosa di più: la condivisione di un immaginario profondamente libertario, privo di ideologia, il gusto per la satira beffarda e per le storie truculente. Come non subire il fascino di chi è in grado di parlare della tua vita molto meglio di te?

Lorenzo – e come non approfittare di versi così perfetti per esprimere un desiderio che non può essere detto? Cantare insieme “La non demande en mariage” (“La non domanda di matrimonio”) ci aiutò a capire noi stessi e a precisare un tipo di relazione che ci calzava a pennello, senza bisogno di altro. Come avremmo potuto spiegarcelo altrimenti?

Laila – Da allora, non abbiamo mai smesso di cantare Brassens, in francese, tradotto in italiano da De André, Amodei, Patrucco, Lega e in milanese da Svampa... una presenza costante, una complicità stretta, una strada da condividere, una profonda goduria.

Milano, Circolo ARCI – Cantando Brassens

Invitare Brassens in Scighera

Laila – Estate 2011. Si avvicinava un doppio anniversario: 22 e 29 ottobre, 30 anni dalla morte, 90 anni dalla nascita. In Francia la ricorrenza veniva già celebrata in ogni modo e forma. Alla Cité de la Musique, un'intera mostra era dedicata al cantautore baffuto. Concerti, spettacoli, omaggi vari fiorivano ovunque. L'Italia invece sembrava ignorare quello che De André aveva chiamato maestro.
Come spesso accade, le buone idee nascono da un bisogno personale, dalla volontà più o meno nascosta di soddisfare i propri desideri. Cosi fu per la rassegna Ridendo sotto i Baffi.
C'era un gran bel sole sul terrazzo di casa mia a Pellafol. Lorenzo e io tornavamo dal Festival di Granara (villaggio ecologico in provincia di Parma) dove avevamo passato intere notti a ripassare il repertorio di Brassens intorno al fuoco sotto gli alberi del bosco, sempre colpiti del suo anticonformismo innato e potente proprio perché privo di moralismo. Brassens continuava ad accompagnarci ben al di là delle sue canzoni per il suo modo pragmatico di guardare la vita, l'amore libero, la morte, la società.
Fu subito chiaro: Georges doveva essere l'ospite della Scighera, per un'intera settimana. Volevamo un omaggio semplice all'altezza del personaggio, di sicuro non una celebrazione pomposa e retorica. Non puoi invitare a cena il più (schivo?) dei tuoi parenti e accoglierlo con una fanfara e un discorso ufficiale. Più che un messaggio sentivamo l'esigenza di portare una modalità di pensiero. Insomma, possiamo essere profondamente rivoluzionari parlando del quotidiano? Come fare politica partendo dalle cose così piccole da sembrare insignificanti, dalle azioni, prassi, emozioni e sentimenti che compongono le nostre vite, i nostri progetti? Brassens non smetteva di dimostrarci che è possibile...
L'idea fu quindi di portare le sue storie, la sua poetica e sopratutto l'immaginario del maestro che odiava le cattedre, dell'idealista che rifiutava le ideologie, dell'anarchico schietto e viscerale che irrideva i dogmi. In una parola: volevamo invitare Brassens, il libertario.
Appunto. Un curioso aneddoto ci tornò in mente. Francia, 2011: un uomo viene fermato dalla polizia per aver cantato i versi di una vecchia canzone chiamata Hécatombe. La notizia circola e nei mesi successivi in tutta la Francia le forze dell'ordine si sentono apostrofare coi versi ferocemente ironici di quella stessa canzone.
Come può una canzone scritta da Brassens 58 anni fa infastidire a tal punto il potere e tenere sveglie le coscienze? Come può un'opera prodotta a metà del 900' essere cosi attuale? Gli eventi che avremmo proposto in Scighera, i numerosissimi ospiti, il pubblico stesso ci avrebbero aiutati a rispondere a quelle domande, e soprattutto... a riderci sopra.

Lorenzo – Già prima dell'estate, senza ancora un'idea precisa della rassegna, avevamo cominciato a contattare alcuni artisti che via via confermarono la loro presenza. Alessio Lega, l'artista che ha praticamente tenuto a battesimo la Scighera; Nanni Svampa e Fausto Amodei in qualità di interpreti e traduttori storici; Giangilberto Monti, che oltre ad aver contribuito all'ideazione dell'intero percorso, proponeva una storia della canzone d'autore francese con Alberto Patrucco e Andrea Mirò. I grandi nomi c'erano. Cosa mancava? Mancavano i momenti nostri, quelli più intimamente “scigheriani”. Noi non siamo solo organizzatori di eventi, questo progetto va ben oltre la gestione di uno spazio. E poi un atto d'amore si fa in prima persona, non può essere unicamente delegato a dei portavoce, per quanto rappresentativi; le canzoni di Georges Brassens echeggiano spesso nelle nostre sale, dalla sua stessa voce o dalle nostre, perché ciò che ha cantato, e come ha vissuto, rappresenta un modello per molti di noi. Così abbiamo pensato di utilizzare due delle formule che i nostri soci hanno ormai imparato a conoscere: il radio-spettacolo e la cantata collettiva.

Radio Bandita presenta: Georges Brassens l'ecatombe del conformismo

Per una web radio fatta in casa non è facile raggiungere molti ascoltatori: i limiti di banda non consentono troppe connessioni simultanee. E così qualche anno fa Radio Bandita, storica emittente web milanese, iniziò a sperimentare la formula del radio-spettacolo, un evento trasmesso unicamente per un pubblico presente fisicamente nel luogo dell'emissione. Cosa resta della radio vera e propria? Il ritmo, il linguaggio, la preminenza del suono su tutto il resto, il formato. E naturalmente il prodotto finale: un file audio che chiunque può scaricarsi ed ascoltarsi in differita. Anche se la suggestione della diretta è tutta un'altra cosa....
Così la conduzione impostata su un modello radiofonico è diventata un po' la cifra stilistica di molti eventi che si sono svolti in questi anni alla Scighera, progetto in cui peraltro la redazione di Radio Bandita ha avuto un ruolo determinante.
Il radio-spettacolo non è solo casalingo, ma è anche rigorosamente auto-prodotto e a chilometro zero, nel senso che tutti gli ingredienti provengono dall'ormai vasto e ramificato mondo degli artisti che gravitano attorno alla Scighera: membri del collettivo di gestione o di una delle tante commissioni, professionisti dello spettacolo che hanno instaurato un rapporto solidale con il progetto, oppure semplicemente amici, assidui frequentatori, mosconi da bancone. Insomma gente che condivide profondamente l'esigenza di liberare le relazioni umane da imperativi di tipo economico-produttivo.
Dopo le note di Hécatombe, canzone-simbolo di tutta la rassegna, parte la sigla di Radio Bandita. Manco a dirlo, un motivo di Brassens in chiave jazz; a Giucas, Marcolfo e Patchinko, rispettivamente il fondatore e due storici collaboratori dell'emittente, il compito di presentare e miscelare gli ingredienti, a cominciare dalle canzoni, che sono ovviamente il piatto forte: Marta Marangoni e Fabio Wolf si occupano delle traduzioni in milanese, il duo Tez (Laila Sage e Lorenzo Valera) delle versioni originali in francese, Gianglberto Monti propone una rivistazione de “Le gorille” (“Il gorilla”), mentre al gruppo di canto popolare Voci di Mezzo sono affidate le traduzioni in italiano di Fabrizio de André, i cui testi vengono distribuiti all'ingresso in modo che tutti possano cantare. E tra una canzone e l'altra spunta la voce di Tonton Georges che racconta di sé, della sua vita da “monaco licenzioso”, della sua timidezza e di come compone le sue canzoni; su uno schermo montato dietro al palco scorrono i sottotitoli in italiano delle interviste originali, tradotte da Silvia Giacomini, e delle canzoni in francese; due attrici, Giulia Viana e Chiara Zerlini, interpretano brani della famosa intervista di André Sève a Georges Brassens e alcune traduzioni letterarie di Svampa e Mascioli. Su una di queste, “La complainte des filles de joie” (“Il lamento delle ragazze di vita”) Elena Dragonetti e Adriana dell'Arte (Minima Teathralia) improvvisano una performance di danza contemporanea; Marcolfo (alias Oscar Agostoni) del collettivo artistico Baravaj si stacca dal microfono per imbracciare il pupazzo Mario e rivisitare “La mauvaise herbe” (“L'erba cattiva”) con un monologo che ribalta completamente la prospettiva della canzone originale, spostando il punto di vista negli occhi della “gente per bene” e lasciando tutti a bocca aperta. Anche la scenografia, che ricorda l'ambiente povero ma dignitoso di un bistrot parigino degli anni Cinquanta, è frutto di un lavoro collettivo: a disseminare la scena di elementi cari all'immaginario brassensiano (una pipa, un gatto che occhieggia da una finestra, una chitarra, pile di libri) ci ha pensato l'autoproclamato Atelier Scighera, gruppo di ex-allieve dei corsi di taglio e cucito creativo tenuti da Nadia Gozzini.
Insomma, un delirio, con una scaletta che avrebbe potuto durare una nottata intera ma che siamo stati costretti a sforbiciare pesantemente prima di incorrere nello sfinimento, nostro e del pubblico. Però che bel delirio...

Lorenzo Valera e Laila Sage

Brass-Brunch: cantata libera brassensiana

Niente palchi o microfoni, fotocopie con i testi per tutti: la “cantata collettiva”, o “cantata libera”, è l'altra formula che caratterizza molti degli eventi della Scighera. La prima volta fu il 10 agosto del 2006, in occasione dell'anniversario dell'eccidio di piazzale Loreto. Il comunicato era piuttosto laconico: “Il coro Voci di mezzo propone canti della Resistenza allargando l'invito ad altri cori e musicisti, e a chiunque abbia voglia di esserci per cantare assieme o ascoltare”. D'altra parte, essendo pieno agosto, pensavamo di cantarcela tra di noi. Invece il circolo, che aveva aperto solo tre mesi prima, fu letteralmente preso d'assalto da gente di tutte le età che aveva voglia di cantare. Da lì in poi la cantata partigiana divenne un appuntamento fisso il 10 agosto e il 25 aprile, con laboratori di canto nei giorni precedenti per allargare il repertorio a canti meno noti dei soliti “Bella Ciao” e “Fischia il vento”; nei primi giorni di gennaio a volte c'è quella dedicata a de André, più alcuni appuntamenti spot dedicati ai canti anarchici e anticlericali.
La formula è semplice ma la riuscita non è per nulla scontata; far cantare una sala gremita da oltre duecento persone, pochissime delle quali abituate a cantare in coro, con un risultato minimamente soddisfacente anche dal punto di vista dell'ascolto non è facile. Per questo c'è un gruppo, le Voci di Mezzo, che nel corso degli anni ha affinato la capacità di trainare le cantate collettive.
Tornando alla rassegna su Brassens, una parte di cantata collettiva, le traduzioni in italiano di Fabrizio de André, era presente nel radio-spettacolo, ma era decisamente troppo poco per soddisfare le aspettative di un pubblico ormai abituato a far sentire la propria voce. Così abbiamo deciso di aggiungere un ulteriore appuntamento alla rassegna: un “Brunch con cantata libera. Le canzoni di Brassens ai tavoli dell'osteria, nella lingua o dialetto che preferite, accompagnate dall'appetitoso brunch domenicale della Scighera. Chi ha uno strumento musicale e dei testi li porti!”. Seguivano i link per scaricare testi e spartiti delle canzoni di Brassens in francese e tradotte.

Il risultato è stato un pomeriggio estremamente piacevole, un'isola di puro godimento, rilassato e conviviale, nel bel mezzo di una tre giorni che per molti di noi è stata molto impegnativa dal punto di vista organizzativo. Intanto il fatto che Fausto Amodei e Antonio Mastino (l'ottimo chitarrista di Nanni Svampa), reduci dal concerto della serata precedente, abbiano partecipato a questo momento è stata una bella sorpresa per tutti noi. Ci siamo cantati Brassens in lungo e in largo per diverse ore, quando un chitarrista si stancava ne saltava fuori un altro o si aggiungeva una fisarmonica, spaziando dal francese, all'italiano, allo spagnolo, al milanese e al piemontese. Ma quello che si è veramente suonato tutto dalla prima all'ultima nota è stato proprio Mastino, che di lì a poche ore sarebbe tornato sul palco con Nanni Svampa. D'altra parte, per usare le parole di Amodei: “quando si tratta di Brassens, non ci sono limiti all'impegno...”.

di Laila Sage e Lorenzo Valera