Rivista Anarchica Online


in direzione ostinata e contraria

Il “vecchio professore“ c’è ancora

Intervista a Carla Corso di Renzo Sabatini

Quello cantato da De Andrè in “Città vecchia” si ripropone oggi nell’uomo giacca & cravatta che la notte va per strada a cercare ragazze sempre più giovani, straniere, sfruttate dal racket.
Chiacchierata ad ampio spettro, non solo sul “mestiere”, con la fondatrice del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute.

 

Lei è la fondatrice in Italia del Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute. Come nasce questo comitato, quale percorso l’ha portata a fondarlo e quali sono i suoi obiettivi?

Il comitato nasce nel 1993, da un piccolo gruppo di donne. La ragione per cui lo abbiamo fondato è che non accettavamo più la discriminazione che le donne prostitute subivano e tutte le violenze e i soprusi da parte della polizia, e non accettavamo più che tutta una serie di diritti ci venissero negati in quanto facevamo questo lavoro. Bisogna ricordare che in Italia non è proibito prostituirsi, quindi noi partivamo da questo: se non è proibito prostituirsi, allora perché impedire di vivere liberamente la propria vita? Così abbiamo fondato questa associazione, questo comitato, con l’obiettivo di far cambiare la legge che, in Italia, regola la prostituzione. Però avevamo anche un obiettivo molto più prestigioso che era quello appunto di modificare l’opinione pubblica rispetto alle donne che si prostituiscono. Speravamo che la gente, conoscendoci, parlando con noi, cambiasse quell’atteggiamento di rifiuto che ha rispetto a queste donne.

Dopo tutti questi anni qual è il bilancio? Il Comitato ha ottenuto dei riconoscimenti, le vostre lotte hanno portato dei risultati, Il vostro impegno è servito a cambiare un po’ la mentalità comune su questo tema?

Secondo me sì. A noi personalmente è servito molto. È stato un lungo percorso di lavoro sia politico che sociale. Però direi che in questo momento c’è un approccio quanto meno diverso, quanto meno più rispettoso delle persone, che non vanno necessariamente a indagare nella vita delle donne che fanno questo lavoro anche se naturalmente questo non succede in tutti gli strati della società. La legge però non è stata ancora assolutamente cambiata, stiamo ancora lottando perché la cambino. Ogni tanto viene fuori qualche proposta demenziale da parte dei governi di destra (a volte anche i governi di sinistra non ci vanno leggeri!), però diciamo che a tutt’oggi abbiamo ancora la legge Merlin. Che è comunque una buona legge e che non deve assolutamente essere cancellata per intero ma andrebbe piuttosto modificata in un paio di punti, laddove impedisce alle donne di lavorare nelle proprie case e nella parte dove c’è questo reato, che è il reato di favoreggiamento, per cui chiunque favorisca o faciliti la donna prostituta può essere denunciato. Quest’ultima è la parte più penalizzante della legge, perché crea tutto un cordone di diffidenza attorno alla vita delle prostitute.

Nel libro “gli occhi della memoria”, di Romano Giuffrida, lei ha scritto che ascoltando De André ha sentito montare la sua dignità, dalla quale poi sono arrivati l’orgoglio e la ribellione. Ci vuole raccontare in che modo si è specchiata in canzoni come Via del Campo?

Io ho sempre amato profondamente De André. Quando ho sentito queste canzoni dove con enorme rispetto, con molta sensibilità e con molta delicatezza si parlava di queste donne, io mi sono sentita anzitutto, ovviamente, molto gratificata. E poi è stato quasi come se mi infondessero coraggio: è nato dentro di me il coraggio della ribellione, direi proprio così. Perché ho sentito che, se un uomo così importante, un uomo che io veramente adoravo, diceva queste cose così belle di queste donne allora, perché non provarci? Perché non alzare la testa e chiedere i propri diritti? Perché non gridare a tutti: “sono anch’io Bocca di Rosa, sono anch’io una di Via del Campo e pretendo che voi mi accettiate per quello che sono e non cerchiate di cambiarmi”. Ecco, questo è stato per me veramente fondamentale.

Lei allora ha sentito che queste canzoni erano anche un po’ anche le sue? Cioè che non erano state scritte solo per gli altri ma anche proprio per lei?

Ma io le ho sentite veramente per me! Le canzoni di solito parlano di donne molto “perbene”, parlano di amore, parlano di relazioni cosiddette “normali”. Lui cantava veramente la diversità, cantava l’emarginazione, raccontava la vita di tutti questi personaggi di cui nessuno osava nemmeno pronunciare il nome.

Carla Corso

Sole contro il mondo intero

Lei ha potuto condividere questo suo sentimento con altre? Ha incontrato altre prostitute che avrebbero volentieri detto “Grazie Fabrizio per queste canzoni”?

Quelle della mia generazione certamente sì! Abbiamo condiviso questo sentimento in tante. Adesso, non so, le nuove generazioni forse non lo conoscono neanche, o comunque hanno trovato una situazione sicuramente meno difficile e meno spinosa di quando noi, negli anni settanta e ottanta, abbiamo cominciato le nostre lotte e ci sentivamo veramente da sole contro il mondo intero.

In effetti poi lei “grazie” ha voluto dirglielo personalmente, a De André. Lo ha voluto incontrare e lui è stato contento, compiaciuto. Le va di raccontarci come è andato quell’incontro?

È stata una cosa davvero molto emozionante! Io conoscevo, per questi strani motivi per cui la vita ti porta a conoscere gente di tutti i tipi, conoscevo un musicista che suonava con lui all’epoca, era il batterista. E allora gli chiesi se fosse stato possibile essere ricevuta dopo il concerto. Lui mi organizzò quest’incontro e andai. Fuori dal camerino c’era naturalmente molta gente, tutta una coda di gente che voleva vederlo, voleva toccarlo, voleva parlarci. E invece fecero entrare solo me, lui chiuse la porta, io rimasi lì sola con lui e io, veramente, ero paralizzata. Paralizzata perché proprio lì davanti a me c’era uno dei miei idoli, se non proprio l’unico idolo, perché io nella vita ho avuto ben pochi personaggi di riferimento. Lui era davvero lì davanti a me, vivo e vegeto e potevo dirgli qualsiasi cosa, ma ero tutta rigida, avevo la bocca impastata e non riuscivo a parlare. Era proprio una forte emozione, per cui non riuscivo ad aprire la bocca e a dire niente. Ma lui è stato molto cordiale, molto carino. Ha capito del mio forte disagio, ha facilitato la cosa, mi ha messo a mio agio e così poi l’incontro andò molto bene e io sono riuscita a ringraziarlo, a spiegargli quanto il suo lavoro fosse stato importante per farci alzare la testa.

Mi viene in mente che anche De André aveva il suo mito, il cantante francese George Brassens. Però lui Brassens non l’aveva mai voluto incontrare perché temeva che l’uomo poi non corrispondesse all’immagine che lui se n’era fatta. Lei questo timore non l’ha avuto?

No. Io ero sicura che lui non poteva tradirsi, non so come meglio dire. Ero sicura che lui era esattamente quello che scriveva, quello che cantava. Ero sicura che il suo stile di vita era quello e non poteva essere diverso. Anche se è vero che poteva anche accadere: ho conosciuto altri personaggi dello spettacolo che poi si sono rivelati meschini o comunque non all’altezza del personaggio che portavano in giro. Ma lui non era uno che recitava, lui era se stesso in qualsiasi momento. Quello che scriveva lo pensava e lo condivideva. Non credo che frequentasse i salotti eleganti anche se era di estrazione borghese. Non credo che frequentasse la gente “bene” e lo dimostra il fatto che con me si sia sentito subito a suo agio e io lo stesso con lui. Io credo che veramente frequentasse le persone di cui raccontava, altrimenti non avrebbe potuto conoscerle così bene. Perché lui, scrivendo e cantando, ha fatto veramente molto per la nostra categoria e non solo per la nostra, anche per le altre categorie di emarginati. Penso ai Rom, ai tossicodipendenti e ad altri. Ha scritto e cantato cose bellissime per loro.

Ne: “La Città Vecchia” De André dipinge un affresco dell’umanità varia che affolla i vicoli di Genova, parlando in fondo proprio delle persone che lei ha appena citato. Lì c’è una condanna cristallina dell’ipocrisia benpensante, nella figura del vecchio professore che di giorno chiama la prostituta: “pubblica moglie” ma di notte la va a cercare. Lei come l’ha vista questa figura del vecchio professore proposta da De André?

Io il vecchio professore l’ho incontrato tutti i giorni della mia vita e continuo a incontrarlo! Lui, certo, l’ha descritto molto bene, ma questi personaggi sono attorno a noi tutti i giorni, con quella ipocrisia. Ho anche l’impressione che in questo momento sia sempre più forte questa doppia morale. Questa morale di giorno che poi di notte cambia. Tutti questi personaggi che io personalmente chiamo “Dottor Jekyll e Mister Hide”, che poi sono gli uomini, l’uomo di tutti i giorni, quello che di giorno porta la cravatta e di notte va sulle strade a comprare le piccole albanesi o le donne che arrivano dall’est (adesso io sto parlando proprio dell’Italia), donne sempre più piccole, sempre più giovani, sempre più sfruttate. Quindi il vecchio professore non è un vecchio personaggio: è un personaggio che continua a vivere purtroppo, anche perché ho come l’impressione che l’uomo non si metta mai in discussione e sia sempre pronto a giustificare tutte le proprie debolezze senza mai un’autocritica.

Il prete genovese Don Andrea Gallo ha “confessato”, proprio da questi microfoni, che sono state le canzoni di Fabrizio De André a farlo avvicinare alle prostitute, ai drogati, agli “ultimi”, come lui li definisce.

Conosco molto bene Don Andrea Gallo ed è un personaggio che adoro. Ci vorrebbero tanti sacerdoti come lui ma purtroppo, in questo momento penso che quelli come lui siano veramente rari e in via di estinzione. Mi auguro che lui possa vivere a lungo per continuare a fare quello che fa, e a rompere tutti i giorni, solo per il fatto di esserci, gli schemi precostituiti, e tutti i preconcetti e tutti i pregiudizi che la gente ha e continua ad avere.

Proprio accennando a “La città vecchia” Don Andrea ha detto che Fabrizio De André è grande perché con lui: “le prostitute insegnano e i professori vanno a scuola”. Lei si rispecchia in questa affermazione?

(ridendo) Ma, io non sono molto scolarizzata, però mi piacerebbe molto! Per la verità io credo qualche volta di aver fatto scuola anche a dei grandi professori, scuola di vita intendo. E continuerò a farla, se mi sarà data la possibilità.

La categoria delle puttane

Da Via del Campo a Princesa, il tema della prostituzione, sotto varie forme, ritorna spesso nella poetica di De André. Di tutta quest’opera che ha come filo rosso l’attenzione agli emarginati, che restituisce, come ha scritto lei stessa: “volto e voce ai dannati”, quali canzoni ha sentito più vicine nella sua vita come donna, come prostituta e poi anche come attivista del movimento per i diritti civili delle Prostitute?

Non credo che vorrei sceglierne una in particolare, però c’è una raccolta che amo molto ed è “Storia di un impiegato”. Lì dentro ci sono, davvero, più di dieci anni di storia italiana, importante, nostra, fondamentale. E lui ne ha trattato in modo così delicato, pur trattando temi così drammatici. E comunque io le ho amate tutte le sue canzoni, anche ad esempio l’album che ha pubblicato dopo il rapimento, quello con l’indiano in copertina: bellissimo! Direi che non ho un brano che prediligo. Magari potrei dire che uno lo prediligo meno degli altri ed è la “Canzone di Marinella”, forse perché è stata cantata troppo, ecco direi che questa è forse quella che amo di meno.

Riferendosi forse alla produzione di Fabrizio degli anni sessanta-settanta lei ha anche scritto “nell’Italia ‘cattocomunista’ di quegli anni lontani essere prostituta, drogato o carcerato significava non esistere, non solo come persona ma anche come categoria sociologica”. Secondo lei le cose sono cambiate? Adesso queste categorie sono più riconosciute?

Esiste una forma di riconoscimento ma soprattutto come problema sociale. Un sacco di gente si occupa di noi e di altre categorie. È nata la filosofia della riduzione del danno, quindi si scende in strada, si cerca di aiutare la gente in difficoltà. Si cerca di portare soccorso ai tossici se sbagliano la dose. Si cerca di insegnare alle prostitute a farlo bene, per non ammalarsi. Ma ancora non si è accettati come persone, si è ancora visti come categorie: la categoria dei tossici, la categoria dei carcerati, la categoria delle puttane. E adesso, qui in Italia almeno, c’è la categoria dei migranti e delle donne migranti, che spesso sono anche prostitute. Non sono ancora accettate come persone, sono diventate categorie e alcune categorie in questo momento sono anche un grande business, come l’immigrazione: si finanziano progetti di inserimento socio educativo, progetti di rieducazione (questa parola la trovo terribile, però adesso molti progetti vengono finanziati per rieducare i migranti, affinché si adattino al nostro standard culturale). Insomma non sono ancora persone!

Nel libro in cui si racconta a Cesare Romana, Fabrizio De André rivela anche alcuni retroscena di queste sue canzoni. Sappiamo così che la sua conoscenza della prostituzione, come del resto diceva anche lei prima, è una conoscenza diretta. Via del Campo ad esempio prende forma dal rapporto con un transessuale che “batteva” in quella strada. De André aveva anche avuto una lunga relazione con una prostituta, che andava a prelevare dopo il lavoro, come lui stesso ha raccontato. Ecco secondo lei in questo non si potrebbe intravedere una contraddizione? Cioè il giovane De André “cliente” di quelle prostitute non è in contraddizione quando poi ne parla con quel rispetto che emana dalle sue canzoni?

Ma io adesso non so dire se lui avesse pagato questa donna oppure l’avesse amata. So però per certo che le prostitute suscitano grandi amori: donne bistrattate di giorno ma molto amate di notte. E quindi, perché no? Perché non concedere anche una grande storia d’amore fra De André e la fortunata che l’ha avuto? Ma potrebbe anche non essere stato tutto questo, potrebbe anche essere stato solo un grande rapporto di amicizia. Genova in fondo è una città davvero particolare e io ho voluto andare a visitarla proprio per capire quelle canzoni, capire perché Genova e non un’altra città. Genova in realtà ha sempre accettato le sue prostitute. Le prostitute lavorano all’interno della città vecchia, nel cuore della città. Lavorano sulla porta di casa fianco a fianco alle botteghe. Quindi non sono mai state discriminate, emarginate, spinte ai margini della città come è successo altrove, nelle periferie di altre città. La prostituta era uno dei tanti soggetti che animavano i vicoli di Genova e quindi, perché no, poteva nascere sia un grande rapporto di amore che un grande rapporto di amicizia. E poi io credo che il fatto di pagare una donna non debba necessariamente portare al disprezzo verso questa donna, se poi il rapporto che ne nasce è un rapporto ricco.

Ma quale “ex prostituta”!

Nell’unico romanzo di De André, Un destino ridicolo, c’è, fra i protagonisti, Carlo, un pappone di Genova. Carlo si somma alla galleria di personaggi di De André, senza che sul suo “lavoro” ricada tutto sommato un giudizio negativo. Anzi, messo a paragone con i caporali che sfruttano le lavoratrici del sud, il pappone qui diventa quasi un benefattore. Secondo lei non si rischia qui di esaltare una figura che in fondo è quella dello sfruttatore?

No e le dico anche perché. Molto spesso la figura del “pappone” è una figura inventata dalla società perché sembra che sia quasi impossibile, per la società, accettare che un uomo “normale”, un uomo qualunque, osi intrecciare una relazione amorosa con una prostituta. Quindi, di fatto, quest’uomo diventa il suo pappone, sempre, anche se questo è un uomo che non la sfrutta, anche se questo è un uomo che non la picchia, anche se è un uomo che non le porta via il denaro e non la obbliga a prostituirsi, lui sarà per forza il suo pappone. E questo, lo ripeto, molte volte è una figura inventata: tutte le volte che una prostituta ha una relazione con un uomo di fatto lui viene travolto e buttato all’inferno assieme a lei nonostante faccia magari una vita del tutto normale, del tutto regolare. Quindi non bisogna dare per scontato che quelli che vengono chiamati papponi siano tutti davvero papponi e che i compagni delle prostitute siano tutti violenti, rozzi, ubriaconi che magari picchiano la propria compagna, perché non è assolutamente così.

A proposito di sfruttatori, c’è una frase del “Testamento” che mi piacerebbe lei ci commentasse. Quando De André fa dire al suo protagonista, morente, “ai protettori delle battone, lascio un impiego da ragioniere, perché provetti nel loro mestiere, rendano edotta la popolazione, ad ogni fine di settimana, sopra la rendita di una puttana”. Come la vede?

(ridendo) Molto bella, molto bene come lui l’ha scritta! Si vede che sapeva di cosa parlava, perché è evidente che se un uomo fosse riuscito a far quadrare i bilanci delle prostitute avrebbe avuto un futuro come ragioniere! Abbiamo un rapporto perverso con il denaro, le prostitute hanno un cattivo rapporto con il denaro. Forse in generale tutte le donne, ma le prostitute ancora di più! Perché non hanno un datore di lavoro, un orario di lavoro. Le prostitute possono guadagnare in qualsiasi momento: basta uscire in strada, di giorno o di sera, e si troverà sempre qualcuno che ti paga. Quindi far quadrare il bilancio di una prostituta è molto complicato e molto difficile, capitalizzare i soldi di una prostituta anche, quindi posso immaginare perché De André abbia scritto quei versi. E poi mi fa venire in mente che esistono davvero delle figure analoghe, vi racconto questa cosa. C’è tutto un gruppo di prostitute che lavora nella zona che va da Milano al laghi, sulla strada conosciuta come la “Valassina”. E c’è un signore, un signore piuttosto in età, che fa il giro di notte a raccogliere i soldi di queste donne e annota tutto quanto su un libricino: il nome della ragazza e accanto i soldi che raccoglie. Poi, il giorno dopo, li versa in banca, versa ad ognuna la somma che spetta sul rispettivo conto corrente. Questo servizio serve ad evitare il rischio di essere derubate, perché molto spesso le prostitute sono prese di mira da rapinatori e ladruncoli da strapazzo che a metà serata passano e le ripuliscono. Ecco questo signore mi ricorda proprio la canzone di De André anche perché, guarda caso, le ragazze lo chiamano proprio “il ragioniere”, anche se non so se sia davvero un ragioniere, però è sicuramente una persona di estrema fiducia. Ecco: visto dal di fuori questo potrebbe sembrare un pappone, invece non lo è. È una persona di fiducia delle ragazze che lavorano su quella strada.

Lei ha anche scritto: “il mio riconoscimento va al cattivo maestro, che mi ha insegnato l’innocenza del peccato senza pentimento. Lei prima di conoscere De André si sentiva “peccatrice”?

No, però molto spesso mi hanno fatto sentire così gli altri. Ma più gli anni sono passati e sempre meno mi sono sentita colpevole o peccatrice, fino ad oggi, che ho più di cinquant’anni e posso affermare di non essermi mai pentita. E la cosa che mi fa arrabbiare di più è quando mi chiamano: “l’ex prostituta”. E anche questa è una grossa lotta che ho fatto. Perché è un marchio a vita. Qualunque cosa tu faccia, oltre a fare o ad aver fatto la prostituta, tu comunque resti per gli altri l’ex prostituta. E io sostengo che o sei una prostituta o non lo sei, ma come si fa ad essere ex prostitute? E poi questo termine: “ex”, così negativo, viene assegnato sempre e solo alle categorie considerate peggiori: ex carcerato, ex drogato, ex puttana. Non ho mai sentito dire: “ex professore di università”. E quindi io no, non mi sono mai pentita, assolutamente, ma sono gli altri che mi hanno fatta sentire così. Gli altri, ma non De André.

Progetti di accoglienza

Nel vostro sito web, si parla della libertà di vendere e comprare sesso fra adulti consenzienti. Ma oggi si parla sempre più spesso di schiave del sesso, di straniere costrette a prostituirsi. Lei stessa accennava prima a ragazze sempre più giovani e sempre più sfruttate. Quanto è diverso il quadro della prostituzione oggi, rispetto all’epoca in cui De André scriveva Via del Campo?

È cambiato radicalmente, perché le prostitute delle canzoni di De André, della sua epoca, erano donne italiane, perlopiù adulte, qualche volta anche in età, comunque molto consapevoli di quello che stavano facendo. In questo momento invece abbiamo, in tutta Europa, non solo in Italia, migliaia di donne spinte dalle guerre, dalla fame, dal desiderio proprio di cambiare il loro destino, e assieme al loro quello della loro famiglia, che emigrano. Però qui io farei una scelta ben precisa: molte di queste donne non vogliono fare le prostitute, non vengono in Europa per vendere sesso o per prostituirsi. Vengono con la speranza di trovare un lavoro. Però entrare in Europa è così difficile, così impossibile, che l’unica possibilità che resta per venire qui è quella di affidarsi ai trafficanti. E quindi di fatto queste donne diventano merce, da importare, da trafficare, da mettere sui nuovi mercati, sulle nuove frontiere del sesso. Ecco perché prima ne parlavo in maniera critica: perché moltissime di queste donne non sono né consapevoli di quello che andranno a fare e neanche sono d’accordo. Però, pur di andarsene per sfuggire al destino miserabile che hanno nel loro paese, sono disposte ad accettare qualsiasi compromesso. Il primo è quello di mettersi nelle mani di chi riuscirà a far loro varcare le frontiere, questi trafficanti di vite umane. E poi qualsiasi opportunità di lavoro è buona, pur di non dover tornare a casa, a meno che non si tratti di tornare da migrante che ce l’ha fatta, con le valigie nuove e con del denaro da dividere con le proprie famiglie.

Come Comitato voi siete in contatto con queste prostitute che non vorrebbero fare questo lavoro? Avete la possibilità di aiutarle a uscire dal giro o è troppo difficile e pericoloso?

Noi abbiamo vari progetti di accoglienza per donne vittime che decidono di uscire dal giro della prostituzione, che non vogliono più stare in strada e vogliono fare altro. Noi in questi casi le accogliamo in questi nostri centri di accoglienza e facciamo assieme a loro un percorso, che molto spesso dura anche un anno, e che è un percorso lento ma che progressivamente le porta ad una totale emancipazione dalla prostituzione e dal racket che le sfruttava e cominciano una vita diversa, andando a lavorare, ecc. Noi le aiutiamo a ricostruirsi una vita, a cominciare dai documenti che molto spesso vengono sottratti dai trafficanti. Le mandiamo a scuola di italiano, perché senza parlare la nostra lingua non avrebbero nessuna possibilità; poi facciamo formazione professionale e inserimento lavorativo. Alla fine le aiutiamo a trovare una propria abitazione e a quel punto sono, si spera, libere di vivere nel nostro paese, lavorando e con un dei documenti regolari e non più clandestine in balia dei malavitosi e del racket che le sfruttava.

Non avete mai avuto minacce dal racket? Voi non fate certo i loro interessi!

Alcune minacce sì, ma non molto spesso. Non vorrei neanche focalizzarmi più di tanto su questo. Comunque poca roba. C’è anche da dire che questi trafficanti, purtroppo, persa una donna ne recuperano altre tre. C’è talmente tanto materiale umano, in Europa dell’Est, in Africa, in America Latina, per cui anche se si riesce a portar via dal giro due o tre donne, per loro non è una grande perdita. Purtroppo le sostituiscono subito.

Lei ha anche scritto tre libri sul tema della prostituzione. Di che si tratta?

Il primo s’intitola: “Ritratto a tinte forti”. È una sorta di autobiografia molto ironica, ma anche un racconto di quello che è la prostituzione vissuta in prima persona negli anni ottanta e novanta, come donna autonoma e consapevole e senza alcun sfruttatore dietro le spalle. Il secondo invece, che s’intitola “Quanto vuoi?” e a mio avviso è anche il migliore, è una sorta di ricerca sui clienti delle prostitute. Io, prima di lasciare l’attività volevo lasciare qualcosa di scritto sul mondo dei clienti. Perché tutti quanti hanno scritto delle prostitute. Tutti quanti le hanno analizzate, tutti quanti le hanno studiate, tutti quanti hanno detto la loro sulle prostitute. Ma nessuno aveva mai osato scrivere niente sui clienti. Quindi io ho fatto una raccolta importante di testimonianze. Ho raccolto 340 interviste. Alcune consapevoli, nel senso che i clienti hanno accettato di farsi intervistare, altre invece le ho “rubate” mettendo il registratore in un punto strategico. Ne è venuta fuori una bella panoramica dell’umanità maschile, anche se, devo dire, non si rappresentano un granché bene! Il terzo libro, “E siam partite”, è una serie di storie di donne migranti, di donne che hanno lasciato il loro paese e si sono affidate ai trafficanti e che raccontano il loro progetto di vita, il loro progetto migratorio, i loro sogni. Qualcuna ce l’ha fatta, qualcuna non ce l’ha fatta, io ho messo nel libro le loro storie.

Che accoglienza hanno avuto i suoi libri, come ha reagito il pubblico italiano?

Il primo ha avuto abbastanza successo, è stato anche tradotto in Spagna e Germania. Quello sui clienti, come mi aspettavo evidentemente, visto che l’editoria è in mano ai maschi, non è stato molto apprezzato. Sono stata molto criticata per aver osato svelare quelle cose. Quanto al terzo, mi auguro proprio che la gente lo legga, perché dietro a queste storie c’è una grande umanità e c’è una grande speranza: nessuna di queste donne è disperata, nessuna si è arresa. Sono tutte donne combattive che vogliono comunque vincere la loro sfida contro la miseria, la guerra, contro il niente che si sono lasciate dietro nei loro paesi.

Nei messaggi che ci siamo scambiati in questi giorni, prima di questa intervista, mi ha colpito una sua affermazione. Lei era un po’ stupita che la contattassimo dall’Australia per parlare di De André in questo modo, e mi ha scritto: “lei certo farà parte di quella schiera di persone colte e sensibili che hanno capito il grande messaggio che ha lasciato De André”. Perché secondo lei, per capire De André bisogna essere anche “colti”?

Ma io non volevo riferirmi alla cultura formale, scolastica. Intendo colti in modo sensibile per poter riuscire a capire il suo messaggio. Io francamente non credo che la massa, questo tipo di persone che guardano la televisione e ascoltano le canzonette siano davvero in grado di capire quel messaggio fino in fondo. Forse voi non sapete cosa trasmette la televisione qui in Italia ma ormai il livello è così basso che io lo trovo quasi offensivo. Allora io non credo che questa gente che magari passa cinque ore al giorno davanti alla TV a vedere queste cose possa poi capire quello che ci ha lasciato De André. Forse sono troppo presuntuosa io e sottovaluto l’umanità, però in questo momento io trovo che l’umanità che mi circonda sia veramente povera e anche un po’ gretta. Non ho grandi speranze su questa società. Sono tutti quanti uguali, si vestono tutti nello stesso modo, la pensano tutti allo stesso modo e mangiano tutti le stesse cose. Quindi io penso che non siano in grado di capire cose profonde come quelle di De André.

Renzo Sabatini

(Intervista realizzata via telefono il 29/04/2005. Registrata presso gli studi di Rete Italia – Melbourne. Andata in onda nell’ambito della trasmissione radiofonica settimanale: “In Direzione Ostinata e contraria”, dedicata ai personaggi delle canzoni di Fabrizio De André).

In direzione ostinata e contraria

Con questa intervista a Carla Corso, prosegue la pubblicazione su “A” di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche realizzate da Renzo Sabatini e andate in onda in Australia nel programma “In direzione ostinata e contraria” sulle frequenze di Rete Italia fra il maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si è trattato di sessanta puntate (ciascuna della durata di circa quaranta minuti, per un totale di quasi 40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono state trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più lunga e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al cantautore genovese.

Se proponiamo questi testi, è innanzitutto per dare ancora una vlta spazio e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio e voce ne hanno poco o niente nella “cultura” ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio e poste alla base di una riflessione critica sul mondo e sulla società, con quello sguardo profondo e illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con una profonda sensibilità libertaria e – scusate la rima – sempre in direzione ostinata e contraria.

La prima intervista – a Piero Milesi – è stata pubblicata sullo scorso numero (“A” 370, aprile 2012).

la redazione di “A”

Il nuovo volto della prostituzione

I flussi migratori hanno cambiato, non solo in Italia, le basi stesse della prostituzione. E il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute, nato trent’anni fa, oggi si occupa di....

Nel lontano 1983 a Pordenone un piccolo gruppo di prostitute danno vita al Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute con l’obbiettivo di modificare la legge Merlin, legge che regola la prostituzione in Italia, ma non la proibisce. Le richieste erano: decriminalizare la prostituzione e farla diventare un lavoro con diritti e doveri di tutti i lavoratori, ma l’obbiettivo più ambizioso era di aprire un dibattito culturale ampio che portasse ad un cambiamento del pensiero comune e al superamento di preconcetti e stereotipi che rendono la vita di chi si prostituisce invivibile.
Dopo tanti anni il lavoro del Comitato è continuato ma la situazione non è affatto migliorata, vuoi perche la prostituzione è cambiata e le nuove figure che la esercitano, non sono più le donne che negli anni ottanta, con molta fierezza chiedevano diritti e spazi politici.
Purtroppo tutta l’Europa è stata pacificamente invasa da nuove figure, donne e uomini provenienti da mondi lontani in cerca di lavoro spesso in fuga da paesi in guerra o da carestie e sempre con il sogno di migliorare la vita di tutta la famiglia. Questa massa invisibile per poter entrare in Europa si affida ad organizzazioni di trafficanti ipotecando tutto quello che hanno, casa, bestiame e quando non hanno nulla la loro vita, vengono poi sfruttati dai datori di lavoro, e le donne più giovani vengono costrette a vendersi nelle nostre strade per pochi spiccioli. Pochi riescono a regolarizzarsi e a vivere liberamente, gli altri restano clandestini, invisibili e dipendenti dalle organizzazioni criminali che continuano a sfruttarli assieme ai datori di lavoro.
In questo momento una delle attività del Comitato e di accogliere in case protette e accompagnare queste persone verso la regolarizzazione fino ad una completa emancipazione. Lavoriamo anche all’interno del carcere femminile per dare la possibilità alle donne detenute di usufruire di pene alternative al carcere: affido, arresti domiciliari ecc..
Tutto questo è frutto di lavoro quasi volontario, viene sostenuto saltuariamente da scarsi e discontinui finanziamenti. Il nostro governo continua a spendere in armamenti, a finanziare missioni di “pace” improbabili, grandi opere inutili, e non riconosce il diritto di asilo quasi a nessuno. Continua ad emanare ordinanze repressive per controllare immigrati, prostitute, dipendenti da sostanze o da alcol, mendicanti, rom e chiunque esca dai loro parametri. Tutta quest’umanità potrebbe essere governata dignitosamente con poco denaro e qualche legge ad hoc.

Carla Corso

Per contatti:
Lucciole
Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute
– p.o. 67 – 33170 Pordenone – cell. (0039) 0434 55 18 68
lucciole@iol.ithttp//www.lucciole.org
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