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                  storia Carlo 
                    Cafiero 1 
                  “Simpatico, distinto, aristocratico” 
                  di Franco Schirone 
                  La figura e il ruolo di Carlo 
                    Cafiero nella storia del primo movimento socialista e anarchico 
                    in Italia. Un DVD a lui dedicato è stato recentemente 
                    presentato a Benevento. 
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                  Il periodo qui 
                    analizzato comprende gli anni 1871-77, precisamente la fase 
                    che precede l’esperimento del Matese per spiegare le 
                    condizioni del paese e quelle dell’Internazionale attraverso 
                    la sua evoluzione teorica e pratica. Costituita in Italia 
                    nel 1868, l’Associazione Internazionale dei Lavoratori, 
                    dopo un periodo di attività, sembra eclissarsi; l’arrivo 
                    di nuove forze giovanili le darà impulso per rinascere 
                    ed ampliarsi attraverso la partecipazione attiva nella questione 
                    sociale. 
                    È nel programma dell’Internazionale di penetrare 
                    in qualsiasi associazione che avesse natura o sembianza operaia, 
                    di partecipare a qualunque congresso in cui si discutesse 
                    di questioni sociali, per far prevalere i principi dell’Associazione 
                    o per affermarli e spiegarli pubblicamente. 
                    Questo spiega, per esempio, la partecipazione e l’intervento 
                    di propri delegati internazionalisti al 12° Congresso 
                    Generale Operaio (Roma, novembre 1871), che in realtà 
                    di “operaio” non ha che il nome dal momento che 
                    la quasi totalità dei delegati sono avvocati e membri 
                    della borghesia. In quella sede viene approvato un Ordine 
                    del Giorno col quale il Congresso Operaio proclama solennemente 
                    i principi politici e sociali di G. Mazzini, come quelli che 
                    condurranno più prontamente ed efficacemente alla vera 
                    emancipazione dell’operaio.  
                    Per l’occasione gli Internazionalisti contestano l’O.d.G. 
                    approvato, ritenendo tali principi contrari ai veri interessi 
                    della classe operaia e al progresso dell’umanità 
                    ed abbandonano clamorosamente il Congresso lasciando alla 
                    sua maggioranza tutta le responsabilità del fatto e 
                    delle conseguenze. Queste parole sono pronunciate dai 
                    tre internazionalisti intervenuti e precisamente da Carlo 
                    Cafiero (delegato della sezione di Girgenti dell’Associazione 
                    Internazionale dei Lavoratori), De Montel (delegato della 
                    Fratellanza Artigiana Livornese) e A. Tucci (delegato della 
                    Sezione Internazionale di Napoli). I tre, con altri dissidenti, 
                    organizzano un Congresso alternativo a Roma (aprile 1872) 
                    in cui auspicano una unione fra tutti gli operai d’Italia 
                    e d’Europa con il comune scopo di risolvere le questioni 
                    che interessano esclusivamente gli artigiani. 
                    A maggio 1872 saranno le società operaie piemontesi 
                    a riunirsi e proporre la necessità per gli operai 
                    ad unirsi nell’Associazione Internazionale dei Lavoratori 
                    per procedere alla soluzione delle più importanti questioni 
                    sociali coi grandi principi dell’universale fratellanza 
                    (1).  
                    Nello stesso anno comincia a concretizzarsi l’organizzazione 
                    e l’unione delle diverse sezioni e federazioni per agire 
                    concordemente sulla base di un comune programma e scopo, considerando 
                    che fino a questo momento hanno vissuto in maniera isolata. 
                    Le sezioni dell’Internazionale (ispirate da Bakunin) 
                    sorte nel napoletano e in Sicilia grazie all’opera di 
                    Fanelli e Cafiero, iniziano ad intendersi con le sezioni sorte 
                    in Emilia, in Toscana e nelle Romagne per l’opera di 
                    A. Costa e Pescatori. Si avviano così una serie di 
                    comunicazioni che hanno come riferimento Firenze che diventa 
                    il centro del movimento e dove viene pubblicato “La 
                    Rivoluzione Sociale”, un foglio clandestino che propugna 
                    i principi dell’Internazionale. 
                    Nei primi mesi del 1872 sono più di cento le sezioni 
                    affiliate, loro scopi dichiarati sono la distruzione di ogni 
                    privilegio, l’uguaglianza sociale e il rifiuto dell’elettoralismo 
                    poiché qualunque governo autoritario è opera 
                    di privilegiati a danno delle classi diseredate.  
                     
                      
                    Il programma di Rimini 
                  L’opera di tessitura e di collegamento continua nel 
                    corso dell’anno e in agosto viene organizzata una conferenza 
                    a Rimini dove si costituisce definitivamente la Sezione Italiana 
                    dell’Internazionale e dal dibattimento emergono contenuti 
                    comuni ed un programma accettato da tutte le sezioni.  
                    Del programma di Rimini, che rappresenta l’atto di nascita 
                    del movimento, è essenziale ricordare alcuni principi: 
                  - Considerando che l’emancipazione dei lavoratori 
                    deve essere opera dei lavoratori stessi;
                    
 - che la lotta per l’emancipazione dei lavoratori 
                    non è lotta per privilegi e monopoli di classe, ma 
                    per l’eguaglianza dei diritti e dei doveri e per l’abolizione 
                    di ogni regime e distinzione di classe;
                    
 - che l’assoggettamento economico del lavoratore 
                    a chi ha il monopolio dei mezzi di lavoro, cioè delle 
                    sorgenti della vita, è causa prima di tutte le forme 
                    di servitù: la miseria sociale, l’avvilimento 
                    intellettuale e la dipendenza politica;
                    
 - che l’emancipazione economica del lavoratore 
                    è perciò il grande fine al quale ogni movimento 
                    politico deve essere subordinato;
                    
 - che l’emancipazione del lavoro non è 
                    problema locale o nazionale, ma sociale;
                    
 - che il movimento il quale riappare fra i lavoratori 
                    dei paesi più industriosi, mentre risveglia nuove speranze, 
                    dà solenne avvertimento di non ricadere nei vecchi 
                    errori e di unire senza indugio gli sforzi fino ad ora isolati.
  
                  Per queste ragioni: 
                  - la Federazione Italiana dell’Associazione Internazionale 
                    dei Lavoratori è stata costituita.
                    
 - Essa dichiara che tutte le Federazioni, Società 
                      ed individui ad essa aderenti riconosceranno a base di condotta 
                      fra di loro e verso gli uomini tutti, senza distinzione 
                      di colore, di credenza e di nazionalità, la Verità, 
                      la Giustizia e la Morale; Nessun dovere senza diritto, nessun 
                      diritto senza dovere… (2)
  
                  Il Congresso di Rimini è presieduto da Carlo Cafiero, 
                    Andrea Costa ne è segretario. Viene anche deciso di 
                    rompere ogni rapporto con il Consiglio Generale di Londra 
                    (Marx e Engels) ritenuto autoritario e di non inviare alcun 
                    rappresentante al Congresso Generale de L’Aia (settembre 
                    1872) convocato dal Consiglio di Londra. Si comprende bene 
                    che la scelta de L’Aia come sede del congresso agevola 
                    il compito del Consiglio di Londra, che può facilmente 
                    inviarvi delegati ad esso devoti, ma allo stesso tempo rende 
                    difficile l’intervento delle Federazioni lontane e dello 
                    stesso Bakunin. 
                    Un secondo motivo di dissidio con Londra è rappresentato 
                    da una circolare segreta in cui Marx attacca Bakunin e l’Alleanza 
                    Internazionale della Democrazia Socialista con la subdola 
                    accusa di lavorare alla distruzione dell’Internazionale. 
                    Alla circolare risponde la Federazione Italiana che accusa 
                    invece Londra di voler imporre a tutta l’Internazionale 
                    una dottrina speciale, autoritaria che è esattamente 
                    quella del Partito Comunista tedesco, dottrina che rappresenta 
                    la negazione del sentimento rivoluzionario del proletariato 
                    italiano. Senza contare l’utilizzo di mezzi indegni, 
                    come la calunnia e la mistificazione, con lo scopo di ridurre 
                    l’Internazionale alla dottrina del comunismo autoritario, 
                    una prassi che ha determinato l’opposizione rivoluzionaria 
                    dei belgi, dei francesi, degli spagnoli, degli slavi, degli 
                    italiani e degli svizzeri. 
                    Su queste motivazioni viene dichiarata la totale rottura con 
                    Marx e contemporaneamente viene indetto un Congresso alternativo 
                    a quello de L’Aia da tenersi a Saint-Imier nel settembre 
                    1872 dove poi parteciperanno in qualità di delegati 
                    per la Sezione italiana, Bakunin, Cafiero, Fanelli, Costa, 
                    Malatesta, Nabruzzi. 
                    A Saint-Imier l’ala antiautoritaria dell’Internazionale, 
                    oltre a confrontarsi sullo stato del movimento e a respingere 
                    le risoluzioni de L’Aia come incompatibili con l’autonomia 
                    e l’indipendenza delle Federazioni e Sezioni operaie, 
                    decide di creare una Commissione di Corrispondenza per comunicare 
                    regolarmente e direttamente senza dipendere da un organismo 
                    autoritario di qualsiasi genere. 
                    Altri temi affrontati riguardano l’azione politica del 
                    proletariato e l’organizzazione della resistenza del 
                    lavoro contro il capitale. Per quanto riguarda l’azione 
                    politica, le decisioni prese lasciano ad ogni Federazione 
                    il diritto incontestabile di seguire una linea di condotta 
                    più consona alla propria realtà, ritenendo come 
                    primo dovere del proletariato la distruzione di ogni potere 
                    politico e adottando la libera federazione di tutti i produttori. 
                     
                    Infine, sull’organizzazione della resistenza del lavoro 
                    contro il capitale, viene dichiarato lo sciopero generale 
                    come mezzo di lotta importante per preparare i lavoratori, 
                    attraverso i conflitti economici parziali, alla più 
                    grande e definitiva riscossa rivoluzionaria. A tale proposito 
                    si ritiene opportuno costruire un progetto di organizzazione 
                    universale della resistenza. 
                    
                    Miseria e tumulti 
                  Le due conferenze (Rimini e Saint-Imier) hanno, dunque, una 
                    fondamentale importanza: l’antica Internazionale di 
                    Marx – specie nei paesi latini – non esiste più, 
                    essa viene sostituita dall’Internazionale antiautoritaria 
                    e bakuniniana che include nel proprio programma le vie di 
                    fatto e la rivoluzione. 
                    Da questo momento le idee dell’Internazionale si diffondono 
                    più radicalmente nel popolo lavoratore e le Sezioni 
                    si moltiplicano. È, questa, una fase in cui il popolo 
                    italiano è economicamente allo stremo, stanco del governo 
                    dal quale ha inutilmente e vanamente sperato un po’ 
                    di benessere. 
                    Nel 1873 le condizioni di vita diventano più gravi 
                    e dolorose, i raccolti non sono sufficienti a sfamare, il 
                    caro-viveri sfianca ancora di più le masse e le previsioni 
                    per l’inverno sono nere e preoccupanti per i poveri, 
                    per i contadini, per gli operai. È la miseria che spinge 
                    ai tumulti, alla protesta, agli scioperi a cui ricorrono gli 
                    operai facendo proprie le parole e le tematiche dell’Internazionale. 
                    È tutta la penisola a protestare contro il caro-viveri: 
                    condizioni e situazione non più sopportabili. Esercito 
                    e forza pubblica sono messi in campo contro gli scioperanti, 
                    la situazione è talmente grave da apparire pericolosa 
                    al governo e ai suoi giornali che invocano a gran voce immediati 
                    interventi: non per migliorare le condizioni economiche ma 
                    per combattere gli internazionalisti e schiacciare la terribile 
                    associazione. 
                    Un movimento che impressiona e fa paura al governo e alle 
                    classi dirigenti che corrono ai ripari. 
                    Sulla scia della Francia che punisce e reprime gli aderenti 
                    all’Internazionale con una apposita legge, anche l’Italia 
                    si adegua e fa di più. Inizia con l’emanazione 
                    di un decreto di scioglimento dell’Internazionale di 
                    Napoli, una delle più attive sezioni, che però 
                    riprende con più intensità le sue attività 
                    e pubblica “La Campana”, un giornale redatto soprattutto 
                    da Carlo Cafiero e Tito Zanardelli.  
                    La repressione, aggravata dalla sfacciata persecuzione contro 
                    l’Internazionale, continua in maniera iniqua: nel 1873 
                    il decreto di scioglimento colpisce molte sezioni (Firenze 
                    e Roma...) e vengono effettuati arresti, ma tutto questo non 
                    basta a fermare la volontà di essere presenti e lottare 
                    per un mondo migliore; il movimento ha la capacità 
                    di riprendere l’attività, tanto da organizzare 
                    (marzo 1873) il secondo Congresso Federale Italiano e continuare 
                    gli impegni presi a Rimini e a Saint-Imier per riaffermare 
                    la verità, la giustizia sociale e propugnare (come 
                    A. Costa scrive nella circolare di convocazione) l’unione 
                    spontanea delle forze operaie nell’anarchia e nel collettivismo. 
                    Sempre in tema di repressione, il secondo congresso si sarebbe 
                    dovuto svolgere a Mirandola ma il governo impedisce la riunione 
                    sciogliendo per decreto quella Sezione, arrestando gli internazionalisti 
                    e sequestrando atti e statistiche. Molti delegati sono arrestati 
                    durante il viaggio e ancora arresti a Bologna dove, vista 
                    la situazione, si è pensato di dirottare il congresso. 
                     
                    Sessanta delegati riescono a sfuggire ai controlli e agli 
                    arresti, ricongiungendosi nelle campagne nei pressi di Bologna 
                    per un incontro clandestino e i cui atti vengono pubblicati 
                    su “La Rivoluzione Sociale”, giornale anch’esso 
                    clandestino. Seguono altri arresti (Cafiero, Malatesta,…) 
                    e sciolte altre Federazioni e Sezioni. 
                    Saranno le persecuzioni poliziesche a spingere l’Internazionale 
                    verso una iniziativa insurrezionale organizzata sempre da 
                    Cafiero, Malatesta e Costa con un apposito Comitato che proclama 
                    l’inizio della lotta armata, della quale Cafiero sarà 
                    il finanziatore. 
                    Entrata in clandestinità, la Sezione Italiana prepara 
                    le prossime iniziative organizzando in ogni città e 
                    nelle campagne dei nuclei di lavoratori pronti ad una generale 
                    rivolta nel giorno prestabilito e annunciato da un manifesto 
                    rivolto “A tutti i proletari Italiani” a firma 
                    del “Comitato Italiano per la Rivoluzione Sociale” 
                    (agosto 1874).  
                    Il manifesto, che rappresenta il segnale dell’insurrezione, 
                    dopo aver ricordato le agitazioni popolari spontanee contro 
                    il caro-viveri e la paura procurata alla borghesia, così 
                    continua: …Ciò che incominciaste bisogna 
                    finirlo; non si tratta di venire a patti coi nostri padroni 
                    per avere il pane a miglior mercato, si tratta di aver per 
                    noi l’intero prodotto delle nostre fatiche, noi dobbiamo 
                    lottare e lottare fino alla morte per l’abolizione di 
                    ogni privilegio, per la completa emancipazione del genere 
                    umano… 
                    Il piano dell’insurrezione prevede la scintilla a Bologna, 
                    per poi espandersi in Romagna, nelle Marche, in Toscana e 
                    nel Meridione. Il movimento non riesce, sono molti gli arrestati 
                    nelle diverse regioni e la repressione si riaccende furiosa. 
                     
                    Azione insurrezionale e collettivismo 
                  Due anni dopo, scontate le pene e mutate le condizioni politiche 
                    per l’arrivo della Sinistra al governo, l’attività 
                    riprende in pieno e viene organizzato un congresso per il 
                    22 ottobre 1876. Anche sotto il governo della Sinistra l’incontro 
                    viene impedito con la forza, i locali occupati militarmente 
                    e si procede all’arresto del maggior numero possibile 
                    di internazionalisti convenuti a Firenze. In breve il programma 
                    viene cambiato, si trova un luogo fuori dal controllo poliziesco 
                    e chi è riuscito a sfuggire agli arresti si incontra 
                    in un villaggio lontano 30 Km. da Firenze. Per arrivarci occorrono 
                    nove ore di marcia, sotto la pioggia, attraversando strade 
                    di campagna e di montagna, braccati dalla forza pubblica. 
                    L’incontro si tiene, ma è ancora interrotto dai 
                    carabinieri. Nuovo trasferimento lungo i boschi, in una radura, 
                    per proseguire i lavori di notte e approvare le risoluzioni 
                    finali. 
                    L’importanza di questo incontro sta nelle decisioni 
                    prese che determineranno l’azione futura: per l’azione 
                    insurrezionale e contro la tattica elettorale, per la comunione 
                    delle materie prime, degli strumenti di lavoro e dei prodotti 
                    del lavoro. 
                    In tutto questo Carlo Cafiero ha un ruolo determinante, nella 
                    organizzazione e nelle risoluzioni. E lui che scrive e rende 
                    pubblica la dichiarazione di solidarietà verso gli 
                    arrestati prendendo atto delle persecuzioni governative perché 
                    essere questa la via che fatalmente devono percorrere tutti 
                    i governi, dalla Repubblica più radicale all’assolutismo 
                    più dispotico (e gli internazionalisti) se ne rallegrano 
                    perché sanno che le persecuzioni scavano sempre più 
                    profondo l’abisso fra gli oppressi e gli oppressori 
                    ed avvicinano sempre più il giorno della Rivoluzione. 
                     
                    In questa nuova fase la Federazione italiana indica a tutta 
                    l’Internazionale la via da seguire: l’azione insurrezionale 
                    e il collettivismo dei prodotti del lavoro. Ed è qui 
                    che nasce anche la teoria della “propaganda del fatto” 
                    che, come ben sottolinea Pier Carlo Masini, con queste 
                    parole si intende attribuire alle iniziative rivoluzionarie 
                    come scopo primario non più quello politico-militare 
                    di abbattere le istituzioni, ma quello morale-pedagocico di 
                    scuotere le masse e di far loro pervenire un messaggio politico 
                    avvolto in gesti clamorosi e significativi (3). 
                    E si pensa ad un’azione clamorosa nel Matese per la 
                    primavera del 1877, storia che viene narrata nel documentario 
                    che viene per la prima volta presentato a Benevento. 
                    Ricordiamo che durante la detenzione a Santa Maria Capua Vetere, 
                    Cafiero traduce e compendia, primo in Italia, “Il Capitale” 
                    di Carlo Marx, poi pubblicato dall’editore Bignami nel 
                    1879 col titolo Il Capitale di Carlo Marx, brevemente 
                    compendiato da Carlo Cafiero. Libro primo. Sviluppo della 
                    produzione capitalista, annunciato dal giornale “La 
                    Plebe” con queste parole: è l’opera 
                    brevemente compendiata da un italiano, cioè da uno 
                    dei nostri più intelligenti e operosi compagni, di 
                    cui siam dolenti di non poter dire il nome, perché 
                    vuole mantenere l’anonimo. E’ un lavoro fatto 
                    colla esattezza e colla coscienza del più scrupoloso 
                    ammiratore e cultore del socialismo.  
                    Cafiero, nel considerare il suo lavoro scrive: …Io devo 
                    solamente guidare una turba di volenterosi seguaci per la 
                    strada più facile e breve al tempio del capitale; e 
                    là demolire quel dio. Onde tutti possano vedere coi 
                    propri occhi e toccare con le proprie mani gli elementi dei 
                    quali si compone; e strappare le vesti ai sacerdoti, affinché 
                    tutti possano vedere le nascoste macchie di sangue umano, 
                    e le crudelissime armi, con le quali essi vanno, ogni giorno, 
                    immolando un sempre crescente numero di vittime (4). 
                    L’edizione è un successo e contribuisce a riaccendere 
                    l’interesse verso le idee del Socialismo.  
                    Questo lavoro avrà innumerevoli edizioni nel corso 
                    del Novecento, ne ricordiamo alcune.  
                    Nel 1908 la rivista «L’Università Popolare» 
                    lo ripropone in forma ridotta a puntate. Nel 1913 esce una 
                    seconda edizione, a distanza di oltre trent’anni, per 
                    conto dell’Istituto Editoriale “Il Pensiero” 
                    e per la “Controcorrente” di Firenze con prefazione 
                    di Luigi Fabbri che ricorda di offrire al pubblico un’altra 
                    opera da gran tempo dimenticata e divenuta rara anche per 
                    i più diligenti bibliografi (5). 
                    Fino all’avvento del fascismo ci saranno almeno 4 edizioni. 
                    Nel 1945 viene ripubblicato per conto della “Libreria 
                    dell’800 Editrice” e nello stesso anno altre tre 
                    edizioni appaiono a Milano, Padova e Torino; poi ancora nel 
                    1950 per la Universale Economica con una lunga prefazione 
                    di Giulio Trevisani; nel 1970 sarà la volta della Samonà 
                    e Savelli con cinque edizioni, nel 1976 della Garzanti e nel 
                    1996 dell’editrice Demetra. 
                    Nel corso del 2009 saranno ben due le edizioni.  
                    Nella prima, per le “Edizioni dell’asino”, 
                    vengono riproposti e curati da Carlo De Maria (come introduzione 
                    al Compendio) i testi e le note di Luigi Fabbri, James Guillaume, 
                    Robert Michels, Gianni Bosio e Pier Carlo Masini. L’ultima 
                    edizione è quella curata dalla Biblioteca Franco Serantini 
                    di Pisa, con introduzione e note critiche di Franco Bertolucci 
                    ed una biografia di Carlo Cafiero curata da Pier Carlo Masini 
                    (6).  
                    Questi cenni bibliografici riguardano solo alcune edizioni, 
                    in quanto nel solo Novecento le edizioni del Compendio di 
                    Cafiero assommano ad almeno 18, con una tiratura complessiva 
                    di oltre cento mila copie, un vero e proprio record6, senza 
                    contare le edizioni in francese, spagnolo, tedesco e greco. 
                    Concludo questo breve e incompleto percorso sulla figura e 
                    l’azione del grande personaggio apulo-napoletano, trasmettendo 
                    il ricordo che di lui hanno lasciato uomini di ogni fede politica. 
                    Un corrispondente del giornale «Satana» che si 
                    pubblica a Cesena e che conosce bene Cafiero, nel 1877 lo 
                    descrive come un bel giovane, simpatico, distinto, aristocratico. 
                    Parla poco, ascolta molto, riflette sempre. I capelli e la 
                    barba lunga e bionda danno al suo volto una viva espressione 
                    di un ispirato e a vederlo si direbbe che ha una missione 
                    da compiere (7).  
                    Per Pietro Kropotkin è un idealista del tipo più 
                    alto e più puro. Ha donato alla causa un considerevole 
                    patrimonio senza domandarsi come avrebbe vissuto il domani; 
                    un pensatore assorto nelle sue speculazioni filosofiche; un 
                    uomo che non odiò mai nessuno (8). 
                    L’espressione del viso non ha in sé niente di 
                    fanatico, né di eroico, scrive Robert Michels. È 
                    il quadro di uno scienziato e passionato, con tutta la sua 
                    serietà, la sua profondità, ma anche la sua 
                    impraticità e timidezza…Un’anima dotata 
                    di altruismo e di spirito di sacrificio fino all’eroismo, 
                    così da meritare di essere tenuto come un santo. La 
                    caratteristica principale di Cafiero è stata la smisurata 
                    bontà, chi lo ha avvicinato subisce la soggezione di 
                    quest’anima semplice e buona, ma pure nobile e grande. 
                    È l’incarnazione della nobiltà d’animo, 
                    avverso a qualsiasi lusso, parco fino all’esagerazione, 
                    per i suoi pasti si accontenta di pane e latte, vegetariano 
                    per qualche tempo (9).  
                    Un’anima sensibilissima, ricorda Filippo Turati, è 
                    stato uno dei primi e dei più veri eroi del socialismo 
                    in Italia al quale ha consacrato intelletto, cuore e la vasta 
                    fortuna, con un disinteresse e una coerenza da antico apostolo 
                    cristiano. Resta di lui una memoria dolcissima della sua figura 
                    nel cuore dei suoi fedeli amici (10). 
                    Tipo di vero apostolo – ha scritto lo Stiavelli –, 
                    apostolo umanitario, quale lo ritrarranno gli storici avvenire 
                    dell’idea socialista. Aveva studiato scienze sociali 
                    e letto tutte le opere degli scrittori socialisti tedeschi, 
                    inglesi, francesi (11).  
                    Nello Rosselli lo definisce anima semplice e generosa, mentre 
                    A. Lucarelli conclude la sua biografia con queste parole: 
                    Con Carlo Cafiero noi sentiamo nell’animo nostro tutto 
                    lo strazio di due mondi: l’uno che volge al tramonto 
                    fra sinistri bagliori, l’altro che sorge all’oriente 
                    nel sereno, lusinghiero sorriso dell’alba (12). 
                    
                    “Il nostro ideale rivoluzionario” 
                  Sono trascorsi 120 anni dalla scomparsa di Cafiero, 140 anni 
                    dalla fondazione dell’Internazionale antiautoritaria 
                    e 148 dalla Prima Internazionale proudhoniana, ma sono sempre 
                    attuali le sue parole: Il nostro ideale rivoluzionario 
                    è l’antico ideale di tutti coloro che non vollero 
                    rassegnarsi all’oppressione ed allo sfruttamento, e 
                    si compone per noi, come per i nostri predecessori, dei due 
                    non meno antichi termini: Libertà ed Eguaglianza...Edotti 
                    dalla storia del passato, che ci mostra gli infiniti inganni, 
                    messi in opera dai reazionari di ogni specie e di ogni tempo, 
                    per diminuire, alterare e falsare il valore reale della libertà 
                    e dell’eguaglianza, cioè della rivoluzione stessa, 
                    noi ci siamo avvisati di mettere accanto all’espressione 
                    di queste due monete, tante volte falsificate, la cifra esatta 
                    del valore che esse devono realmente contenere, per essere 
                    da noi accettate per buone monete. 
                    Ora, il valore reale della libertà e dell’eguaglianza 
                    noi lo esprimiamo con i due termini: Anarchia e Comunismo... 
                    La sottomissione dei nullatenenti, grande maggioranza dell’umanità, 
                    agli accaparratori delle materie di lavoro e dei mezzi di 
                    lavoro, piccola minoranza, è la causa prima di ogni 
                    oppressione e sfruttamento, di ogni ineguaglianza, dispotismo 
                    e abbrutimento umano. Rivendicare alla comunità umana 
                    le materie ed i mezzi di lavoro, sorgenti della vita di tutti, 
                    è rivendicare la libertà e l’eguaglianza 
                    di tutti gli uomini. Ma a guardia del tesoro rapitoci trovasi 
                    lo Stato con tutte le sue autorità costituite e la 
                    sua forza armata, ostacolo che dobbiamo abbattere se vogliamo 
                    mettere la mano sul nostro bene. E per conseguenza, benchè 
                    gemelli siano i due termini della nostra rivoluzione, l’anarchia 
                    è destinata per la prima ad uscire dall’alvo 
                    materno, e fare la strada al comunismo... (13) 
                    Questi concetti sono stati scritti sulla bandiera delle classi 
                    e dei popoli di tutto il mondo. quella delle rivolte soffocate, 
                    delle insurrezioni represse e delle rivoluzioni tradite. Su 
                    quella delle libere comunità sperimentali, delle lotte 
                    dei lavoratori per le otto ore, delle Camere del Lavoro. Su 
                    quella delle masse affamate a cui è stato dato piombo 
                    al posto del pane, sul manifesto per la liberazione della 
                    donna e su quella degli antimilitaristi. Sulla bandiera del 
                    sindacalismo di Azione Diretta e della capacità dei 
                    lavoratori di gestire direttamente la produzione e la sua 
                    distribuzione: come nei primi Soviet traditi, come in Italia 
                    nel ’20, nella Spagna del ’36. Su quella di tutti 
                    gli oppositori ad ogni forma di tirannia, della massa anonima 
                    dei lavoratori in lotta, dei resistenti, della gioventù 
                    ribelle in tutte le epoche e fino ai giorni nostri. 
                    Il seme è stato gettato nella storia dell’umanità. 
                    E sta crescendo, qui, sotto i nostri occhi! 
                   
                  
                  Franco Schirone 
                Note 
                  - A. Angiolini, Cinquant’anni di Socialismo in Italia, 
                    Nerbini, Firenze, 1908. 
                  
 - Vedi «Volontà», rivista anarchica bimestrale, 
                    La rivolta antiautoritaria, numero speciale per il 
                    centenario della Conferenza di Rimini, ed. RL, Pistoia, 1972. 
                  
 - P. C. Masini, Cafiero, Rizzoli, 1974. 
                  
 - In P. C. Masini, Cafiero, Rizzoli, 1974. 
                  
 - L. Fabbri, prefazione al libro di Carlo Cafiero, Il 
                    Capitale di Carlo Marx, brevemente compendiato, con cenni 
                    biografici ed appendice di James Guillaume, seconda edizione, 
                    Firenze, Ist. Edit. “Il Pensiero”, 1913. 
                  
 - F. Bertolucci, Carlo Cafiero. Compendio del capitale, 
                    BFS edizioni, Pisa, 2009. 
                  
 - «Satana», Cesena, 1877, anno VI, n. 4, ora in 
                    A. Lucarelli, Carlo Cafiero, Trani 1947. 
                  
 - P. Kropotkin, Memorie di un rivoluzionario. 
                  
 - R. Michels, Storia del marxismo. 
                  
 - F. Turati, «Critica Sociale», 1892, a. II, n. 
                  15.
                  
 - G. Stiavelli, «Avanti!», 19 settembre 1906.
                  
 - A. Lucarelli, Carlo Cafiero, Trani 1947. 
                  
 - G. C. Maffei, Dossier Cafiero, Bibl. Max Nettlau 
                    editrice, Bergamo, 1972.
  
                  
                
                 
                
                   
                    |   “Il 
                        principio è affermato” 
                      di 
                        Massimo Ortalli 
                      Una 
                        vita complessa, una finestra, un bel DVD 
                       Pochi, come 
                        Carlo Cafiero (1846-1892), hanno saputo interpretare, 
                        tanto nella propria biografia quanto nell’immagine 
                        popolare creatasi intorno alla loro figura, lo spirito 
                        ascetico e messianico del socialismo delle origini. E 
                        pochi sono stati amati e rispettati in vita e affettuosamente 
                        ricordati da morti, come l’anarchico barlettano. 
                        Figlio di una famiglia di possidenti, appartenente a una 
                        borghesia conservatrice e fermamente chiusa alle urgenze 
                        della nuova Italia, ribelle al ruolo, destinatogli per 
                        nascita e per censo, del proprietario insensibile alle 
                        sofferenze degli affamati “cafoni” delle sue 
                        terre, dedicò tutta la propria breve, felice e 
                        tormentata esistenza, al progetto di emancipazione morale 
                        e materiale delle plebi italiane. Fra i fondatori della 
                        Internazionale con Andrea Costa ed Errico Malatesta, figura 
                        autorevole e di riferimento per la generazione di entusiasti 
                        sostenitori della causa popolare che si affacciano sulla 
                        scena sociale dell’Italia unitaria, lo troviamo 
                        protagonista delle prime e audaci imprese degli internazionalisti 
                        italiani. Per le quali subirà, come tutti i suoi 
                        compagni, carcere e repressione. 
                        È alla sua limpida figura che si ispira il bel 
                        documentario con il quale Ezio Aldoni e Massimo Lunardelli 
                        (Carlo Cafiero, il figlio del sole, Brescello, 
                        Studio Digit, 2011) hanno raccolto, dopo tanti anni, l’accorato 
                        appello di Pier Carlo Masini e Ugo Ronfani che già 
                        nel 1954, dalle pagine di «Cinema Nuovo» si 
                        chiedevano se mai ci fosse qualche regista interessato 
                        a portare sullo schermo la figura dell’anarchico 
                        barlettano: C’è in Italia un regista 
                        che, senza affidarsi a comode divagazioni della fantasia, 
                        voglia trarre dalla biografia di Cafiero un film che sia 
                        un quadro di quel tempo, dei cafoni del Matese, degli 
                        operai di Napoli e Milano, degli amici di Cafiero, delle 
                        donne che affollano il dramma; un film che sia una visione 
                        della nostra terra, dalla Puglia bruciata al carsico Matese? 
                        Noi vogliamo sperarlo. 
                        Appello raccolto, dunque! E con la puntuale ricognizione 
                        dei tratti essenziali della avventurosa e incomparabile 
                        esistenza di Cafiero, i due autori ne hanno fatto riaffiorare 
                        il senso profondo, con una partecipazione emotiva ed ideale 
                        che, pur venendo naturale in chi affronti la biografia 
                        di questo straordinario interprete dell’800 italiano, 
                        ne rende ancora più interessante e coinvolgente 
                        il lavoro. 
                        Nel documentario, recentemente presentato in una affollatissima 
                        sala di Benevento (se ne parla in un’altra parte 
                        della rivista) vengono ripercorse le principali tappe 
                        dell’esperienza politica e sociale di Cafiero, riportandoci 
                        nei luoghi dove queste si svolsero. Non si poteva iniziare, 
                        pertanto, che da Locarno dove Peter Schrembs, esponente 
                        del locale gruppo anarchico “Carlo Vanza”, 
                        mostrando i luoghi del primo, fondamentale, incontro, 
                        nel 1872 con Bakunin, riassume la storia della Baronata, 
                        la villa nella quale fu accolto il Russo, esule e ricercato 
                        dalle polizie di mezza Europa. Come si sa, le vicende 
                        legate a questa villa affacciata sul lago di Lugano, tra 
                        l’altro gravata da una sinistra fama jettatoria, 
                        se furono esaltanti per la vita della composita e cosmopolita 
                        comunità che la frequentò, lo furono molto 
                        meno per le tasche di Cafiero, che avendo messo generosamente 
                        a disposizione del russo le sue doviziose finanze (sottratte 
                        al controllo della famiglia fermamente contraria a come 
                        le disperdeva il figlio “perduto”) rimase 
                        praticamente quasi in miseria. È a Lugano, comunque, 
                        che Cafiero sposa – per permetterle di uscire dalla 
                        Russia zarista e riparare in Svizzera – Olimpia 
                        Kutusoff, la nichilista russa che, nonostante l’aspetto 
                        platonico di quel singolare matrimonio, sarà sempre 
                        e comunque vicina a colui che, in una lettera del 1883, 
                        scovata da chi scrive in un negozio di antiquariato, e 
                        riprodotta nel documentario, definisce mestamente come 
                        il “suo sfortunato marito”. 
                        Dalla ricca Locarno, gli autori ci portano, con il commento 
                        di Vincenzo Argenio e Bruno Tomasiello, cultori locali 
                        della memoria di Cafiero e della sua compagnia di rivoluzionari, 
                        nelle povere, sperdute terre dei monti del Matese, fra 
                        la Campania e il Molise. Là dove nel 1877 Carlo, 
                        Malatesta, Ceccarelli, Papini, e un manipolo di avventurosi 
                        internazionalisti, in gran parte imolesi, marchigiani 
                        e toscani, si scontrarono con i carabinieri, abbatterono 
                        i contatori daziari posti alle macine dei mulini per la 
                        riscossione della tassa sul macinato, distrussero in un 
                        falò gli archivi comunali che conservavano memoria 
                        degli odiati balzelli e, acclamati anche dai diseredati 
                        preti locali, dichiararono decaduta la monarchia e proclamarono 
                        la Rivoluzione Sociale. Dove non dovevano più esserci 
                        schiavi e padroni, dove la proprietà privata cedeva 
                        il passo al comunismo anarchico. Ecco dunque la locanda 
                        da cui partirono, il campo nel quale si scontrarono con 
                        i carabinieri, la finestra del municipio di Letino dalla 
                        quale Malatesta rovesciò gli archivi e arringò 
                        una folla più incuriosita che partecipe, e infine 
                        la masseria sperduta nel carsico altopiano dove, circondati 
                        dal piccolo esercito inviato dal governo impressionato 
                        da tanta audacia, gli Internazionalisti si arresero, sconfitti 
                        ma consapevoli di aver dato impulso alla causa dell’emancipazione 
                        delle masse popolari. Non a caso il processo alla Banda 
                        del Matese, svoltosi a Benevento nell’agosto del 
                        1878 e nel quale gli imputati proclamarono orgogliosamente 
                        la grandezza del progetto anarchico, li vide tutti assolti 
                        fra le acclamazioni del pubblico. Tra l’altro la 
                        lunga permanenza di Cafiero in attesa del processo nel 
                        carcere beneventano, non lo costrinse affatto all’inattività, 
                        perché fu lì che scrisse il famoso Capitale 
                        di Carlo Marx brevemente compendiato che nelle sue 
                        innumerevoli edizioni rappresentò una sorta di 
                        utile breviario per un proletariato affamato di sapere. 
                        Dopo il Matese, Imola, un altro dei luoghi topici della 
                        tormentata esistenza di Cafiero. È nel locale manicomio, 
                        infatti, che nel 1883 la sua influente famiglia, una della 
                        più facoltose dell’intera Puglia, dopo averlo 
                        interdetto, lo farà relegare per quasi due anni, 
                        dopo che a Firenze aveva manifestato i primi segni di 
                        quella che sarà definita la sua pazzia. Qui uno 
                        dei curatori dell’Archivio Storico della Fai mostra 
                        gli spazi di quell’edificio, oggi sede della locale 
                        Asl ma allora struttura manicomiale fra le più 
                        avanzate e attente ai bisogni dei ricoverati. Felice Accame, 
                        metodologo e storico collaboratore di questa rivista, 
                        nel descrivere i cosiddetti sintomi maniacali di Cafiero, 
                        si interroga opportunamente se quella fosse veramente 
                        pazzia o non i segni evidenti del profondo turbamento 
                        di un’anima che, nel denudarsi e nel farsi abbracciare 
                        dal sole, nel creare un contatto fisico con gli elementi 
                        della natura, voleva dare corpo, finalmente, al sogno 
                        della propria completa realizzazione. Ma evidentemente, 
                        per chi lo tenne rinchiuso in manicomio lunghi anni, altro 
                        non doveva essere che un processo di psichiatrizzazione 
                        coatta. 
                        Dal manicomio di Imola Cafiero fu trasferito, successivamente 
                        in quello meno avanzato di Nocera Inferiore, dove comunque 
                        il teorico del comunismo anarchico poteva ricevere le 
                        visite dei vecchi compagni, fra questi Amilcare Cipriani 
                        e Paolo Schicchi. Anche qui vengono mostrate le sale e 
                        le stanze che videro lo stanco trascinarsi di quest’uomo 
                        ormai vicino alla morte prematura e del quale non si poté 
                        conservare neppure la tomba, perché, come viene 
                        ricordato, il suo povero corpo fu gettato nell’ossario 
                        comune del cimitero di Nocera Superiore.  
                        Una vita infelice, non compiuta, dunque la sua? Non si 
                        direbbe, anzi, sicuramente no! È lui stesso, infatti, 
                        che al medico che lo visita quotidianamente, spiegherà 
                        il senso della propria esistenza: Io sono felice: 
                        ho menato vita errabonda, ho sciupato un grosso capitale, 
                        mi sono ridotto a una modestissima pensione, ma sono contentissimo 
                        perché mi si è aperta la luce e ho conosciuto 
                        la ragione prima di tutte le cose esistenti. E che 
                        questa sua lucidità, nonostante le apparenze, lo 
                        abbia sempre accompagnato, lo vediamo ancora una volta 
                        proprio a Imola. Là, in quella villa nelle campagne 
                        romagnole dove, di quando in quando, una facoltosa famiglia 
                        di possidenti, attratta dalla sua figura, lo ospitava 
                        sottraendolo saltuariamente dalla vita manicomiale. Stanno 
                        tornando a piedi da Castelbolognese a Imola, gli internazionalisti 
                        imolesi che hanno celebrato, il 18 marzo1888, la Comune 
                        parigina. E sfilano, con le bandiere rosso e nere sotto 
                        i muri della villa che si affaccia sulla via Emilia. Cafiero 
                        li guarda dalla finestra e ne ricambia il saluto dicendo: 
                        Il principio è affermato. È proprio 
                        in quella parola, principio, che si compendia 
                        la figura di Carlo Cafiero. Principio come dovere morale, 
                        come impegno civile, come manifestazione della volontà, 
                        non come un arido processo materialisticamente determinato. 
                        Come ricorda Pier Carlo Masini, il sentimento d’amore 
                        di cui Carlo fu così splendido esempio. 
                         
                        Devo ammettere che è stato emozionante sostare 
                        proprio sotto quella finestra! 
                        
                        Massimo 
                        Ortalli 
                       | 
                   
                 
                
               | 
             
           
         
             
        
            
        
  
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