Rivista Anarchica Online


Grecia/1

Crisi e crisi

di Carlo Oliva

Alcuni insegnamenti della drammatica situazione in Grecia. E anche in Italia.

 

Petros Markaris, il più noto autore greco di romanzi gialli, è attualmente impegnato in una impresa piuttosto ambiziosa: sta lavorando a una “trilogia della crisi” nella quale intende riferire della situazione economica e sociale del suo paese sotto la specie del romanzo criminale.
Nel primo volume, Lixipròsthema Dhàneia (Prestiti scaduti, 2010) si riferisce dell’attività di un insolito serial killer, che prende a bersaglio banchieri, finanzieri e funzionari delle agenzie di rating. I corpi di costoro sono rinvenuti decapitati a colpi di scimitarra e tutto fa supporre che l’assassino, considerandoli responsabili dell’attuale situazione del paese, si sia assunto l’incarico di impartir loro la più plateale delle punizioni. Come se non bastasse, ci sono dei malintenzionati che diffondono per la città volantini e autoadesivi con cui si invitano i cittadini a non pagare i loro debiti alle banche, e, forse, delle due fattispecie di reato, quella che più preoccupa i pezzi grossi è la seconda, anche se il commissario Charitos, naturalmente, non perde mai il senso delle priorità.
Nel secondo romanzo della serie, Pereosi (vuol dire qualcosa come “adempimento”, “realizzazione”, ma anche “conclusione”, è uscito lo scorso ottobre e lo sto leggendo con diletto in questi giorni), la prima vittima è un evasore fiscale: un medico di grido che, nonostante le entrate della lussuosa clinica privata in cui opera, le onerose parcelle che impone ai pazienti e un treno di vita che gli permette di mantenere ben due ville, una in città e una alle Cicladi, nonché una collezione di quadri di grande valore, riesce a dichiarare una minima frazione del suo reddito e a pagarci delle tasse risibili. O almeno ci riuscirebbe, se non incappasse anche lui in un misterioso giustiziere – uno che, figuratevi, si fa chiamare “l’esattore del popolo” – che prima lo invita via Internet a regolarizzare la sua posizione fiscale e poi, evidentemente, passa all’azione, con il risultato che il cadavere del contribuente infedele viene rinvenuto nel sito archeologico del Ceramico, steso con una iniezione di cicuta.

Crisi mondiale

Ora, non sono abbastanza avanti nella lettura per sapervi dire se questo omicidio sia il primo di una serie, come nell’opera precedente, o se l’intera vicenda verta sul singolo caso e, se lo sapessi, comunque non ve lo direi, visto che è buona norma di chi si occupa di gialli non anticipare mai gli sviluppi della trama, ma è evidente che l’immaginazione sociale in Grecia, almeno come la interpreta Markaris (il cui romanzo, in pochi mesi, ha già avuto otto edizioni) è di tipo alquanto sanguinario. In questa Atene spettrale, in cui non c’è praticamente più traffico per le strade, salvi gli addensamenti dovuti ai blocchi degli scioperanti, metà dei negozi hanno le serrande abbassate, l’unico argomento di conversazione in famiglia e sul posto di lavoro (compreso il commissariato) riguarda i tagli dello stipendio e delle altre forme di reddito e le anziane pensionate che vivono sole non hanno altra alternativa all’inedia che il suicidio di gruppo, in questa città che non è che l’ombra di quella che, appena otto anni fa, presentava orgogliosa al mondo la perfetta organizzazione delle sue Olimpiadi, si direbbe diffusa la convinzione per cui le responsabilità del disastro vanno attribuite senza esitazione a una classe dirigente e imprenditoriale che altro non merita che la più severa delle punizioni.
È probabile, anzi, è sicuro che l’analisi sia troppo semplicistica. La crisi ha una dimensione mondiale ed europea e i meccanismi che l’innescano non sono limitati ai ceti superiori. Charitos e i suoi colleghi sanno benissimo che se si volesse colpire a morte tutti coloro che evadono o eludono il fisco la strage sarebbe di massa e quanto alle responsabilità dei banchieri e degli operatori finanziari, in Grecia non saranno diverse che altrove. Tuttavia è vero che in quel paese, storicamente, a una popolazione particolarmente operosa e frugale si è spesso contrapposta una borghesia parassitaria e vorace, che ha intercettato e sperperato la maggior parte delle risorse disponibili, preferendo destinarle ai propri consumi piuttosto che investirle nello sviluppo comune e che a questa mancanza di equilibrio può essere imputata la fragilità dell’effimero benessere di cui la Grecia ha goduto negli ultimi anni. Ed è vero, più in generale, che a una condizione di maggior privilegio dovrebbero corrispondere responsabilità maggiori, per cui i cittadini vessati hanno tutto il diritto di imputare ai ceti abbienti quello che, nella comune disgrazia, sembra un comportamento particolarmente deplorevole. Certo, l’equilibrio non si ristabilisce con le scimitarre né con le iniezioni di cicuta (anche se le particolari caratteristiche della loro storia sociale hanno lasciato in eredità ai greci una certa qual asprezza nello scontro di classe), ma stiamo parlando di romanzi, anzi, di romanzi gialli, non di trattati di sociologia o di programmi politici.

La ricetta è la stessa

In Italia, dove si scrivono, ahimè, molti più gialli che in Grecia, nessuno scrittore, che io sappia, ha mai impostato la propria opera su queste tematiche. Nessuno, d’altronde, si è mai sognato di attribuire le responsabilità della crisi, che non riguarda, notoriamente, soltanto il popolo ellenico, al ceto dirigente, agli operatori finanziari o, semplicemente, ai ricchi. La diagnosi più diffusa, a giudicare da quanto si legge e si ascolta, tende a ribaltare il concetto: non siamo nei guai perché chi sta in alto ha lucrato e sperperato, ma perché chi sta in basso (i lavoratori, in buona sostanza) tende a restare abbarbicato a privilegi e garanzie ormai fuori dal tempo e l’unico modo per salvare l’amata patria dal fallimento – o, come più modernamente si dice, dal default – è quello di riportare quei riottosi a condizioni più sostenibili, di fargli abbassare la cresta facilitando i licenziamenti, allontanando all’infinito le pensioni, rendendo più produttivo il lavoro (che poi vuol dire aumentare lo sfruttamento). La ricetta, in definitiva, è la stessa che è stata applicata e ancora si vuole applicare alla Grecia, con il rischio, ben concreto, di spezzarle definitivamente le reni, solo che da noi neanche a cercarlo con il lanternino si troverà non dico un politico, ma solo un autore di romanzi disposto a sottolineare le colpe di chi da sempre ha diretto e tuttora dirige il paese e il suo sistema produttivo e solo fino a pochi mesi fa assicurava a una società praticamente sull’orlo del baratro che tutto andava benissimo. Perché, anche se il fenomeno, come dicevamo prima, non si esaurisce entro i confini di una singola nazione, c’è crisi e crisi a seconda di come le varie società la percepiscono: se come spinta al rinnovamento e al capovolgimento delle gerarchie o come conferma dell’inamovibilità del sistema vigente. Che è appunto la via che la classe dirigente italiana, di destra e di sinistra, ha entusiasticamente imboccato e se ne capisce anche il motivo, ma noi, scusate, perché mai dovremmo seguirla?

Carlo Oliva

Lixipròsthema Dhàneia e Pereosi di Petros Markaris sono stati pubblicati rispettivamente nel 2009 e nel 2011 dall’editore Gavriilidhis di Atene. Del primo è disponibile la traduzione italiana di Andrea Di Gregorio, Prestiti scaduti, Milano, Bompiani 2011.