Rivista Anarchica Online



a cura di Marco Pandin

 

 

Your past comes back to haunt you

La Fonotone di Joe Bussard è stata una di quelle piccole etichette discografiche casalinghe che hanno praticato, forse inconsapevolmente, la conservazione della memoria storica della musica popolare americana nelle forme del blues, del jazz e del folk. Bussard non era uno studioso o un ricercatore, tantomeno un imprenditore: era un appassionato ed un collezionista che registrava e scambiava bobine cercando di tenere basso il limite delle spese. Tali registrazioni Bussard spesso le incideva (non le “stampava”: le incideva letteralmente, un vinile alla volta tramite un’attrezzatura semiartigianale) su dischi 10 pollici a 78 giri sopra ai quali infine incollava etichette ritagliate e scritte a mano, e poi rivendeva a basso prezzo per corrispondenza. Era un giro locale, tra Washinton DC e il Maryland, in cui si ritrovavano appassionati e curiosi, conduttori di programmi su piccole emittenti locali, musicisti e gente che mandava avanti altre microscopiche etichette discografiche.
Tra il 1958 ed il 1959 il diciannovenne John Fahey registrava le sue prime cose eseguite alla chitarra pagandole con quanto guadagnava lavorando alla stazione di benzina del paese, più qualche piccolo prestito occasionale. Fahey era cresciuto in una famiglia dove si ascoltava e si suonava musica, aveva fatto studi filosofici e teologici e questo forse spiega quel suo certo atteggiamento misto di curiosità, rispetto e meraviglia di fronte alle musiche in viaggio, alle musiche semplici, a quelle tramandate oralmente ed eseguite dai vagabondi e dagli sconosciuti. La sua idea era quella di ricostruire vecchie canzoni ed inni in via di estinzione, ma offrendo alla sua chitarra tutta l’attenzione possibile, sottraendola al testo ed alle melodie vocali, così da trasformare il suo strumento in unica fonte sonora della sua espressione artistica. La chitarra non più come semplice oggetto d’accompagnamento, ma sola protagonista, al centro della musica.
Testardo ed appassionato al punto da aprire a vent’anni la propria etichetta discografica personale (la Takoma, che pubblicò negli anni seguenti i capolavori di altri chitarristi visionari come Peter Lang, Robbie Basho e Leo Kottke), ed altrettanto collezionista ed ascoltatore vorace, prese presto contatto con Bussard offrendogli delle registrazioni. Era roba che Fahey aveva imparato e stava imparando in giro, alcune erano frutto di scambi e collaborazioni, nomi poco o niente conosciuti e comunque tutti dimenticati perché nessuna industria musicale d’allora sarebbe stata capace di addomesticarli piazzandogli un microfono davanti. Gli studi di registrazioni erano i luoghi improbabili del lo-fi a cui costringe la scarsità di mezzi economici: stanze di casa, camere in affitto, un microfono e via, spesso buona la prima.
Era solo sostanza, dedizione, passione. A questo, adesso, si aggiunge una confezione.

John Fahey

Nel megabox “Your past comes back to haunt you” (il passato ritorna a perseguitarti) sono raccolte le registrazioni – di Fahey e/o scambiate con Fahey – pubblicate da Bussard tra il 1959 e il 1965, accompagnate da un libro di un’ottantina di pagine che ricostruisce quegli anni, ricco di testimonianze, note critiche (ciascun pezzo è spiegato e commentato), immagini e contributi. Nei cinque cd ci sono sei ore di delirio totale, che sono riuscito ad affrontare solo a spezzoni.
Il titolo con ogni probabilità si riferisce al fatto che Fahey – fosse stato vivo, è scomparso nel 2001– non avrebbe superato l’imbarazzo della pubblicazione di queste sue prime prove, che reputava acerbe, e difficilmente lo avrebbe autorizzato. Ricordo che l’ho incontrato, marzo 1982, io a metà tra sragionare e stare coi piedi per terra per la distanza ravvicinata con uno dei miei idoli di ventenne, lui sorridente e straordinariamente bendisposto, un pomeriggio/sera lungo di confidenze e di invenzioni sballate come gli piaceva fare. Non gli piaceva che gli si chiedessero spiegazioni sui suoi dischi precedenti, diceva che era tempo perso. Lui era tutto concentrato sulle cose del presente, su quello che stava inventando, sull’adesso e magari azzardava già alle visioni future ma chissà, diceva, se sarebbe stato in grado di registrare altri dischi, mi raccontava nebulosamente di problemi di separazione con la moglie, di problemi di soldi e di salute.
Nonostante la giovane età comunque, qui dentro Fahey già nelle registrazioni più indietro nel tempo dimostra già possedere quel tocco magico che contraddistinse la sua produzione a venire: la musica è ipnotica e suggestiva, sotto le sue dita anche gli arpeggi più semplici prendono subito fuoco e raccontano storie che lasciano a bocca aperta. Addirittura possiamo ritrovare già in alcune delle tracce qui raccolte, quelle più recenti, le tracce delle sperimentazioni a cui egli si dedicò negli ultimi anni di attività.
Un visionario e un profeta. Un tecnico e un virtuoso. Un pensatore ed un inventore. Un artista e un bugiardo. Un perfezionista e un giocoliere. Tutte definizioni buone, oppure no, comunque definizioni senza significato: John sapeva suonare, ma la strada della sua maestria passava per il cuore. Come un mago Merlino depositario del segreto delle sei corde, lui era capace di ammaliare le sirene e farle spiaggiare sulla costa, sapeva impersonificare la tristezza e la malinconia del blues, riusciva a dare consistenza materiale alla luce solare degli spiritual e degli inni religiosi, era in grado di scatenare tempeste attorno a una storia dimenticata. Tutto con un solo gesto della mano, e tenendo spesso e volentieri gli occhi nascosti dietro a due vetri scuri.
Il pacco è pubblicato dall’americana Dust-to-Digital (contatti: http://dust-digital.com/), un’indipendente attiva da oltre una decina d’anni, dedita allo studio musicale antropologico nonché al restauro di registrazioni storiche. Suppongo che anche questo, come i precedenti prodotti dell’etichetta, sia stato stampato in un numero limitato di copie. Fatto per me inspiegabile, il box viene offerto in giro a un prezzo che varia tra i 70-75 ed i 140-e-passa euro.

Marco Pandin
stella_nera@tin.it


“Duemila papaveri rossi”
2 cd con libretto

I due cd contengono 37 canzoni di Fabrizio de André
interpretate da musicisti e gruppi indipendenti.
Una iniziativa a sostegno di "A" delle Edizioni stella*nera.

Una copia 15 euro

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Paola Sabbatani e Roberto Bartoli
“Non posso riposare”
cd+dvd

Un cd e un dvd, dodici canzoni da ascoltare e un documentario realizzato da
Mario Bartoli e Giangiacomo De Stefano (Va.C.A. Vari Cervelli Associati).
Una co-produzione Editrice Bruno Alpini, Aparte e stella*nera.

Una copia cd+dvd 15 euro

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