Rivista Anarchica Online


storia

Comandante Unico

di Giorgio Sacchetti

Storia di vita del partigiano anarchico Beppone Livi.

Giuseppe Livi, negli anni ’50

Anarchia declinata come organizzazione e “comunismo libertario”, antifascismo come solidarietà: scelta di vita contro il potere e dalla parte degli ultimi. Giuseppe Livi – Beppone per gli amici, “Unico” e “Iconoclasta” i nomi di battaglia da capo partigiano – ha attraversato il Novecento border line, da ribelle sociale, campando con il suo fantasioso lavoro di ambulante, costruendo giocattoli, brevettando originali medicine per le malattie dei polli, fabbricando miscele per “cavallucci”, rinomati biscotti di Siena. Spesso in prigione, per reati comuni oppure politici. Uomo semplice (bicicletta e barroccio i suoi mezzi di trasporto), insieme alla sua Giangia – compagna di sempre – ha affrontato mille peripezie. In contatto con Errico Malatesta negli anni venti; protagonista nella Resistenza in Toscana.
Nasce nel 1899 ad Arezzo in una numerosa famiglia del sottoproletariato urbano, da genitori reduci da una sfortunata emigrazione in Brasile. Il babbo, facchino avventizio alla stazione, è di carattere violento e dedito all’alcol. Povertà ed ambiente familiare degradato segneranno da subito il suo destino. Per motivi di sopravvivenza – erano sette fratelli – il piccolo Giuseppe è dato in affido. I Livi di Arezzo sono ricordati come una genìa di autentici “personaggi”, anarchici, venditori ambulanti, poeti estemporanei, campioni sportivi. Una duratura passione per la bicicletta e la militanza nel ciclismo agonistico dell’epoca eroica accomunano molti di loro.
Richiamato come “ragazzo del ’99” Beppone mette subito in pratica il suo antimilitarismo. Processato per rifiuto di obbedienza e insubordinazione nei tribunali militari di Firenze e Bologna, gli sono inflitti 4 anni e mezzo di reclusione. È uno dei 210.000 “disfattisti” condannati dalla giustizia militare sui 350.000 processati fra i 5.200.000 italiani mobilitati, espressione di un esteso movimento di opposizione popolare alla guerra.
Affascinato dalle idee di Malatesta e Pietro Gori, aderisce insieme ai suoi fratelli al locale Circolo anarchico di studi sociali. Nel 1919 è processato per lesioni, porto di coltello e oltraggio, assolto per i primi due capi d’imputazione. In occasione di un comizio socialista vi erano stati tafferugli con un gruppo di nazionalisti fra i quali il Livi aveva riconosciuto, e additato agli altri compagni, un carabiniere in borghese. Che, preso di mira dai sovversivi e ferito con prognosi di dieci giorni, aveva sporto denunzia. Ancora sotto processo, questa volta con i fratelli Gregorio e Cafiero, per oltraggio e resistenza, nel 1920 si trova – nei mesi di settembre e ottobre – “detenuto per altra causa e rinchiuso nel Manicomio di Montelupo”, luogo dove si infliggono ai prigionieri / ricoverati inenarrabili sofferenze. Nei suoi precedenti penali c’è un’assoluzione del Tribunale militare per infermità mentale che qualcuno gli vuole ritorcere contro “utilizzandola” in modo improprio. La sua colpa quella di aver promosso, insieme ai fratelli, un “ammutinamento” al carcere di Arezzo.

Nascosto in una fogna

Sul quotidiano “Umanità Nova” sono intanto comparse un paio di brevi corrispondenze da Arezzo a firma “Livi” e “BF”. La prima (17 apr. ‘20) racconta una vivace irruzione di una commissione di disoccupati alle officine Bernardini. La seconda (25 lug. ‘20) descrive l’episodio per il quale il nostro è stato arrestato, ossia una fotografia in gruppo con soldati e bandiere anarchiche.

“Arezzo, (BF) – Il giovane compagno Livi Giuseppe è caduto ingenuamente in un ignobile tranello tesogli dai pretoriani della borghesia […] Egli ch’era amico di alcuni soldati del 70° fu da questi persuaso di fare un gruppo fotografico di soldati in mezzo a delle bandiere anarchiche. Dopo 2 giorni, veniva tratto in arresto da 8 carabinieri. Sappiamo che gli sono stati vibrati in cella colpi di chiave e di canna di revolver nel viso e nel petto…”

Esce dal carcere nel 1923. Anarchico “pregiudicato per lesioni, oltraggio e violenze alla forza pubblica”.
Negli ultimi anni, passati in galera, due incredibili disgrazie hanno colpito la sua famiglia. La sorella Vanda Gemma di appena 16 anni è morta suicida. Poi Attilio, il suo amato fratello maggiore – quello nato in Brasile, il ciclista campione – rimane ucciso a soli 28 anni. Assassinato dal babbo nel corso di una violenta lite! Dolore insopportabile per Beppone.
Nel 1924 si trasferisce ad Anghiari. La prima moglie muore – giovanissima – l’anno dopo. In fuga perenne dal suo destino e dal suo passato doloroso, da un padre violento e da una giovinezza tribolata, vorrebbe ricominciare un nuovo capitolo della sua vita. Conosce la Giangia (Angiola Crociani) e la sposa nel 1930. Un amore che durerà una vita.
La sorveglianza della polizia fascista si fa asfissiante. Fino ad impedirgli di lavorare e di viaggiare in treno. Beppone comunque utilizza la bicicletta o va con il barroccio. I mercati nei paesi dell’Appennino rimangono il suo scenario di lavoro preferito. Strade, piazze, persone, paesaggi si fanno straordinarie occasioni di conoscenza: duro pane da guadagnare da libero viandante senza padroni.
Sull’appartenenza al movimento anarchico del Livi non vi sono dubbi. La rete dei contatti rimane estesa. I suoi recapiti saranno rinvenuti dalla questura di Roma in un’agenda appartenente a Malatesta. L’anarchismo in Italia, sebbene falcidiato, riesce a mantenere un livello organizzativo clandestino apprezzabile. I mestieri “viaggianti” sono poi quelli più adatti a svolgere le funzioni rischiose di corrieri dell’antifascismo: ferrovieri, marinai, agenti di commercio, artisti girovaghi e, appunto, barrocciai. Durante la guerra, lavorando insieme alla Giangia in Valdichiana, Beppone rimane a lungo nascosto a Foiano – “in una fogna” racconterà lui stesso ai nipoti – contraendo lì una grave malattia polmonare. Solidale con tutti i perseguitati nonostante patisca un forte disagio economico, stringe rapporti di amicizia con israeliti rifugiati ad Anghiari. Cacciatore di frodo, si procura cibo dai boschi. Vive alla giornata con l’attività di mercato nero e contrabbando di tabacco (pratica all’epoca diffusa in Valtiberina), tabacco di cui è accanito consumatore “illegale”.
Alla caduta del fascismo l’azione si fa febbrile. Organizza il soccorso ai prigionieri slavi e anarchici rinchiusi nel campo (fascista poi badogliano) di Renicci. La logistica è il suo pallino.

“Uomo d’azione, carattere impulsivo. Lui era il capo dei partigiani di questa zona …”
“Dopo l’8 settembre – ricorda Gastone Mercati – noi ragazzi si frequentava il campo abbandonato di Renicci. Si cercava qualcosa da portare a casa (formaggi dalle dispense del corpo di guardia, coperte…). Beppone invece ridistribuiva viveri e generi di conforto agli sfollati e ai fuggiaschi…”.

Angiola e Beppone (Archivio
privato fam. Draghi, Anghiari)

Una lunga scia di dolore

Fra i primi ad entrare nella Resistenza. Fin dall’ottobre 1943 svolge funzioni di coordinamento. Per disposizioni del Comitato Provinciale di Concentrazione Antifascista (CPCA) è responsabile, con la moglie Angiola (partigiana della 23.a Brigata garibaldina “Pio Borri”), del vettovagliamento e del rifornimento di armi per i trecento slavi evasi. Evasi che formeranno, di lì a poco, un loro combattivo plotone comandato dal giovane studente sloveno Dušan Bordon. Combattente nella “Tani – Zuddas” e nella “Banda Autonoma del Russo”, Beppone è esponente di prima fila della resistenza aretina di cui costituisce, insieme al sacerdote don Nilo Conti, il referente per tutta la Valtiberina. Arrestato dalla GNR è rinchiuso nel carcere di Arezzo. In questa occasione, prima di essere perquisito fa sparire documenti compromettenti in carta velina del CTLN, mangiandoli. Condannato alla deportazione in Germania, riesce ad evadere approfittando di un bombardamento. Svolge funzioni di collegamento con il CLN toscano a Firenze, in specie con azionisti e anarchici, fra cui l’anghiarese Lato Latini, tipografo di “Umanità Nova”. Porta a compimento la “missione Morris” smascherando l’attività di una spia infiltrata nella Resistenza. Il Morris, passato poi per le armi, è definito “spia di grande portata” dai servizi segreti alleati che, però, sembra non avessero approvato l’operazione. Il 26 giugno ’44 contribuisce a salvare dalla rappresaglia le popolazioni di Anghiari, La Chiassa, Montauto e Borgo a Giovi, rintracciando in extremis la banda autonoma del Russo e riuscendo a far liberare due prigionieri tedeschi.
La guerra lascia una lunga scia di dolore per la famiglia di Beppone. Un cognato ed un nipote sono trucidati dai tedeschi. Nella Resistenza si è speso non solo fisicamente. Le sue risorse economiche si sono esaurite per far fronte all’emergenza dei prigionieri evasi da Renicci. Ha inoltre impiegato – su ordine del CTLN – i ricavi del commercio illegale di tabacchi per finanziare la lotta armata. Costretto a vendere i mobili di casa, ha subìto danni notevoli per i sequestri della merce e per i vari arresti.
Subito dopo la Liberazione ricopre incarichi nella Cooperativa Consumo Lavoratori del paese e nell’ANPI. Nel dopoguerra è vittima di un episodio sconcertante e inspiegabile. Il 31 luglio 1948 “La Nazione” riporta questa laconica notizia:

“Giano Bifronte. Risulta informatore dell’OVRA – Dopo aver ricercato per tutte le Questure della Toscana per ordine dell’Ufficio sanzioni contro il fascismo della Presidenza del Consiglio dei Ministri, la Questura di Arezzo ha identificato Livi Giuseppe fu Alessandro e fu Livi Vittoria, nato in Arezzo il 30 marzo 1899, residente ad Anghiari, venditore ambulante quale informatore dell’OVRA...”.

Fino a quel momento è conosciuto come partigiano combattente, anarchico. Nonostante ciò “Umanità Nova” al momento dell’arresto diffonde solo questo comunicato (e poi più niente) con informazione incompleta e, in parte, inesatta: “Il compagno Giuseppe Livi di Anghiari è stato condannato ad un anno di reclusione per resistenza alla forza pubblica. Attualmente si trova all’infermeria del carcere di Arezzo”. Comunque la vicenda non ha nessun seguito e si rivelerà una calunnia. Infatti, dal 1949 risulterà titolare di pensione di guerra. Il suo nominativo risulta al n. 714 dell’elenco Partigiani combattenti, ANPI provinciale. A chi, allora, ha dovuto pagare il conto nel ’48 con l’accusa infondata di “spia dell’OVRA”? Ai servizi segreti alleati? Ai partigiani comunisti?

Attilio Livi (1893-1921), fratello di Beppone
(Archivio privato fam. Draghi, Anghiari)

Funerali senza prete

Certo non è visto di buon occhio da tutti. Esercita commercio abusivo, vende fondi di magazzino recuperati chissà come. Ha atteggiamenti circospetti. Ha fama di estremista e conduce vita randagia. Sempre in giro con quella sua bicicletta munita di specialissimo capiente portabagagli. Nonostante il fascismo sia finito, continua ad avere problemi con la giustizia, per l’attività politica oppure per quella di rivenditore senza permessi. Per via di quel suo essere una sorta di “vu’cumprà di allora”.
Negli anni Cinquanta l’ultima perquisizione con sequestro di una pistola cimelio, non denunziata, regalatagli da un tedesco disertore.
Nella sua tessera ANPI 1969 risulta ben evidente la qualifica di “Comandante Partigiano”. Gravemente malato di bronchite cronica ed enfisema a causa delle peripezie degli anni della Resistenza, è spesso ricoverato in sanatorio. Ma continua a lavorare ed a frequentare mercati con la moglie (memorabili i suoi banchi di chicche e giocattoli a Cesenatico). Trascorre gli ultimi anni assistito dalla Giangia e circondato dall’affetto di amici e nipoti, mentre permane una difficoltosa situazione economica familiare.
Pochi giorni dopo la sua morte, avvenuta in Anghiari il 29 gennaio 1972, i dirigenti della locale sezione ANPI constatano la scomparsa di documenti conservati fino a poco tempo prima nella sua abitazione.
Fiori rossi dai partigiani e funerali senza prete per Beppone. Mancano le bandiere degli anarchici, quelle che oltre mezzo secolo prima aveva messo in mano ai soldati per la “simpatica” foto di gruppo.

Giorgio Sacchetti

Delega congresso ANPI 1947

Per saperne di più

  • Archivio Centrale dello Stato, Roma, Casellario Politico Centrale (ACS, CPC), busta n. 2800, Livi Giuseppe di Alessandro;
  • Archivio di Stato di Arezzo (ASAR), fondo Avv. Giovanni Droandi, Fascicoli Processi Penali 1911 –1931, buste nn. 3, 4, 19, 20;
  • Archivio privato Famiglia Draghi, Anghiari (Arezzo);
  • Antonio Curina, Fuochi sui monti dell'Appennino toscano, Arezzo, Tipografia D. Badiali, 1957;
  • Enzo Droandi, Arezzo distrutta 1943-44, Cortona, Calosci, 1995;
  • Giorgio Sacchetti, Barroccio e bicicletta. Una vita da ribelle sociale: Beppone Livi (1899–1972), « Pagine Altotiberine », Sansepolcro (AR), XV, n. 45, 2011, pp. 89 –116;
  • Intervista ai nipoti di Beppone Livi, a cura di G. Sacchetti, conversazione con Fausto Draghi e signora, con il loro figlio Mirco, presso l’abitazione di via Infrantoio ad Anghiari, 26 maggio 2011;
  • Beppone “personaggio”, intervista a Gastone Mercati (cl. 1932) e a Vittorio Mugelli (cl. 1927), a cura di G. Sacchetti, Centro di aggregazione sociale di Anghiari, 8 giugno 2011.