Rivista Anarchica Online


pensiero anarchico

Il retroterra politico-culturale di F.S. Merlino

di Enrico Voccia

Nella seconda metà dell'Ottocento Napoli è una delle principali città europee, dalla ricca e vivace vita intellettuale.
L'influenza di Vincenzo Russo, Carlo Pisacane, Mikhail Bakunin nella formazione del giovane Francesco Saverio Merlino, in questa relazione presentata al convegno di studi del 2000 sull'avvocato napoletano, prima compagno e poi critico di Errico Malatesta.

Francesco Saverio Merlino

Nei primi anni postunitari, intorno alla città di Napoli si era andata formando la sezione italiana della Prima Associazione Internazionale dei Lavoratori, che aveva visto, tra i tanti altri, la presenza dell’esule russo Michail Bakunin, di Errico Malatesta e Carlo Cafiero, in altre parole dei protagonisti della formazione del movimento socialista anarchico moderno come forza autonoma e dal punto di vista concettuale e dal punto di vista organizzativo (1). Anche dopo la fine dell’esperienza della cosiddetta Internazionale antiautoritaria, il movimento anarchico a Napoli e nel circondario esprimerà sempre una vivace presenza, che culminerà nell’immediato primo dopoguerra, attraverso soprattutto l’operato e l’intelligenza politica dei fratelli Misefari, nella partecipazione alla ricostituzione di un’organizzazione anarchica nazionale (l’Unione dei Comunisti Anarchici d’Italia, poi semplicemente Unione Anarchica Italiana). Sono gli anni immediatamente successivi alla “Settimana Rossa” ed alla coerente opposizione al massacro proletario nella Prima Guerra Mondiale, nonché gli anni del “Biennio Rosso”: in altri termini il momento di maggior forza, in Italia, del movimento socialista d’ispirazione anarchica (2).
La generazione di militanti libertari che nasce ed opera nella città di Napoli nei primi anni del Regno d’Italia – e tra essi Francesco Saverio Merlino – non nasce però dal nulla. Il comunismo anarchico affondava le sue radici proprio in questa città, che aveva visto le tragiche esistenze, ma anche le lucide riflessioni dei “patrioti” e “martiri” Vincenzio Russo e Carlo Pisacane, il cui pensiero costituisce il retroterra culturale e politico su cui nasce la sezione italiana dell’Internazionale.

Le idee bakuniniane a Napoli

Tra la fine del Settecento e gli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia, le regioni italiche del Sud non sono necessariamente, dal punto di vista dello sviluppo economico e sociale, regioni “arretrate” rispetto al resto d’Italia e d’Europa. Alcune zone, sia pure limitate, di Campania, Puglia e Sicilia vedono, infatti, uno sviluppo capitalistico relativamente avanzato, paragonabile con quello di molte altre regioni europee. La Campania, in particolare, aveva visto un discreto sviluppo nel settore dell’industria tessile: l’esperimento pilota settecentesco della città industriale di S. Leucio (CE) aveva fruttato, e l’intervento di capitali sia locali sia esteri aveva messo in piedi numerose industrie tessili, al punto che le “camiciaie” del nuovo settore produttivo divennero una delle figure tipiche della regione; anche le attività di concia e lavorazione delle pelli si andarono sempre più meccanizzando, e l’odore tipico di tale genere d’industria divenne un non sempre gradito elemento del contesto urbano e suburbano.

Michail Aleksandrovic Bakunin
Intorno ai per l’epoca notevoli Cantieri Navali di Castellammare si andò sviluppando, infine, una fiorente attività siderurgica, di cui la costruzione della prima ferrovia italiana, la famosa tratta Napoli-Portici del 1831, volle essere segno anche simbolico (3). Questo mondo operaio, sorto intorno alle attività industriali prima descritte, si dimostrò assai sensibile alle ideologie repubblicane prime, socialiste poi: le già citate “camiciaie” sono le protagoniste, già all’inizio del XIX secolo, dei primi scioperi operai d’Italia, e gli operai dei Cantieri Navali di Castellammare formeranno il grosso della sezione napoletana dell’Internazionale (4).
Alla stessa formazione politica dei “martiri” Vincenzio Russo e Carlo Pisacane non è dunque estraneo il clima sociale e politico della loro città, la cui evoluzione socio-economica si riflette nella relativa contrapposizione dei due personaggi chiave dell’anarchismo comunista avant lettre. Il primo, che assiste all’inizio della Rivoluzione Industriale, ripropone un classico comunismo agrario: la campagna ed il contadino sono i punti di riferimento della sua proposta di risoluzione della Questione Sociale, che assume spesso toni di vero e proprio astio nei confronti della città “commerciale”, ai limiti del luddismo. Il secondo, lucidissimo teorizzatore ante litteram del comunismo anarchico, invece, pur considerando il settore primario, punta tutta la sua attenzione sul mondo della produzione industriale e dei servizi come protagonista del suo progetto politico e sociale (5). Molti degli uomini legati a lui nel Partito d’Azione (si pensi ad esempio a Giuseppe Fanelli) saranno poi tra i protagonisti della costituzione della sezione italiana della Prima Associazione Internazionale dei Lavoratori.
Anche nello sviluppo delle idee bakuniniane il ruolo del clima politico della città partenopea è determinante: Pisacane, come abbiamo già rilevato, è certamente il primo pensatore anarchico moderno – nel senso socialista del termine – ed ha influenzato in maniera evidente il ben altrimenti noto Bakunin. Questi difatti, quando giunge in Italia dopo una rocambolesca fuga dalle prigioni siberiane, è ancora su posizioni genericamente democratico/populistiche e sviluppa le sue nuove idee a contatto con l’ambiente dei seguaci di Pisacane (6), che l’hanno accolto tra di loro grazie ad una lettera di presentazione di Giuseppe Garibaldi, divenendone successivamente il nuovo elemento di spicco ed organizzando insieme ad essi la sezione italiana dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, in netta polemica con le posizioni mazziniane. La polemica di Bakunin con Mazzini, d’altronde, ricalca largamente l’impostazione critica già impostata da Pisacane alla “teologia politica” del patriota esule, e la critica bakuniniana dell’autoritarismo implicito nella concezione marxista del socialismo ricalca anch’essa, nella sostanza, molte delle argomentazioni già avanzate da Pisacane contro il dirigismo mazziniano. Ed anche una figura come quella di Francesco Saverio Merlino assume nuova luce con il confronto con il “martire” socialista della sua città. Non a caso, una delle prime opere dell’avvocato libertario napoletano sarà dedicata proprio a Pisacane (7).

L'utopia di Pisacane

L’illuminismo è per Pisacane un enorme passo avanti, e nella sua opera si dilunga in varie citazioni “protosocialiste” di Beccaria, Filangieri, Pagano e, ovviamente, Russo: egli vede nella Rivoluzione industriale le premesse di un rivolgimento sociale in senso egualitario e libertario della società, che gli autori in questione hanno cominciato a presentire. Il socialismo del XIX secolo è perciò, agli occhi di Pisacane, il termine ultimo di un processo che ha prodotto un avanzamento senza precedenti della ragione umana: questa, dopo secoli di travaglio, è giunta a saper progettare razionalmente il suo stesso vivere associato, superando le irrazionalità di un misero presente.
Pisacane cerca un fondamento sociale, di classe, che supporti nella concretezza della prassi sociale la sua proposta politica. Sono i proletari, quelli delle nuove officine industriali e quelli della terra, ridotti sempre più a semplici braccianti, che hanno tutto da guadagnare dall’instaurazione di una società egualitaria e libertaria; la loro condizione è perciò attentamente analizzata, e ad essi deve perciò rivolgersi il lavoro politico del movimento socialista. La società presente, infatti, non è per Pisacane in alcun modo recuperabile, ma va rovesciata dalle fondamenta. Non è possibile ripartire egualitariamente le ricchezze, e nemmeno giungere ad una qualche forma di mediazione sociale che migliori almeno in parte le condizioni della grande maggioranza della popolazione, dedita al lavoro dipendente (8).
Se, rispetto alle complesse speculazioni pressocché contemporanee di Karl Marx, l’analisi economica di Pisacane è appena abbozzata, il socialista napoletano mostra però una maggiore lucidità nella delineazione delle strutture della società comunista (9) da lui propugnata: Pisacane è, infatti, tutto dentro le tematiche della progettazione sociale utopica. Le differenze con l’utopismo originario sono però evidenti e ben marcate, segno che la critica illuministica all’ancién régime e la riflessione sulla “questione sociale” insita nella società capitalistica hanno, a metà dell’Ottocento, trasformato dal profondo la riflessione utopica, posto nuovi problemi, dato nuove consapevolezze, aperto spazi di critica verso gli stessi progetti utopici del passato, indicato nuove soluzioni.

Carlo Pisacane

Il comunismo anarchico di Pisacane?

Il cristianesimo, la vita monastica idealmente trasfigurata alla luce di un mitico comunismo delle comunità cristiane primitive, tanto per cominciare, non è certamente più il modello di riferimento della società prefigurata da Pisacane. Non ha senso, per il socialista napoletano, parlare di un benessere o di un interesse della “nazione” che sia distinto dal benessere e dall’interesse di ogni singolo elemento della società. Che senso ha, si chiede Pisacane, l’idea stessa di una società felice composta d’individui infelici? Che senso ha coartare il singolo, i suoi bisogni e le sue aspirazioni che non mettono in discussione i bisogni e le aspirazioni degli altri singoli, in nome di un preteso “interesse generale” della nazione?
Se una “nazione” va pertanto costruita, essa deve essere fondata su di un progetto sociale che garantisca ad ogni singolo la soddisfazione dei suoi bisogni fondamentali di benessere e di libertà: e una simile società non può essere altro che una società comunista autoorganizzata, senza la presenza incombente della macchina statale, matrice e perpetuatrice di ogni privilegio. Qualunque altra soluzione, per il socialista napoletano, non sarà altro che un meccanismo ideologico, dietro il quale si nasconderanno le tentazioni autoritarie di chi vuole sostituirsi ai vecchi suonatori per suonare più o meno la stessa musica dell’ineguaglianza e del privilegio.
Occorre allora progettare una società in cui eguaglianza e libertà, comunismo e massimo delle libertà individuali, interessi collettivi ed interessi dei singoli si sostengano a vicenda, siano due facce della stessa medaglia. In questo tentativo Pisacane fa appello alla tradizione utopistica e in particolare al suo aspetto di progettazione sociale, d’analisi concreta delle forme razionalmente e concretamente possibili del vivere sociale, e di proposta minuziosa di forme di vita sociale alternative all’irrazionalità del presente.
Carlo Pisacane propone allora al proletariato italiano di costituire, affratellati dalla lingua e da un storia comune, una “nazione” nella quale non esista la proprietà privata ed ogni individuo sia libero al massimo grado, salvo la possibilità di togliere agli altri la medesima libertà. Ogni individuo avrà cioè libero accesso ai mezzi di produzione, potrà accordarsi paritariamente con altri individui per costituire cooperative di lavoro e di distribuzione, istituire fra queste relazioni di mutuo scambio, organizzare la società in generale, sia nei suoi aspetti economici sia di gestione politica, in base al principio del mandato imperativo e non della delega di potere, in qualunque forma si presenti. Al di là di qualche incertezza terminologica, lo stesso principio della democrazia – anche di quella diretta, se giunge alla fine ad una delega di potere – è messo quindi in discussione dal socialista napoletano.
Il socialista napoletano descrive, con minuzia di particolari, i processi comunisti di produzione e di scambio che dovranno andare a sostituire il capitalismo e lo Stato. I mezzi di produzione sono a disposizione di tutti, e chiunque può organizzarsi con chi vuole per mettere in piedi un’attività e federarsi con altri produttori e distributori per ottenere le altre merci e servizi occorrenti alla vita. Se troppe persone accorrono in uno stesso settore, questo non riuscirà ad offrire ai suoi singoli lavoratori una quantità sufficiente delle altre merci; nel frattempo, campi meno affollati si mostreranno maggiormente produttivi ed attrarranno, di conseguenza, i lavoratori in eccesso nel primo settore, equilibrando i vari campi della produzione, senza bisogno d’intervento né dello Stato né del mercato. In ogni caso, nessuno può restare disoccupato perché una delle regole del “contratto sociale” proposto da Pisacane è che i mezzi di produzione sono proprietà collettiva, e nessuno può impedire a chicchessia di aderire ad una determinata azienda – né d’altronde può impedirgli di andarsene, ove una diversa attività offrisse migliori opportunità. Le cosiddette “attività sgradevoli”, tra l’altro, proprio perché poco ambite e conseguentemente frequentate, offriranno buone occasioni di scambio con gli altri settori produttivi e pertanto attrarranno sempre dei lavoratori.
Anche i meccanismi di gestione politica della società – in base ai quali si giunge a decisioni che sono rese valide solo dopo aver subito il vaglio e l’accettazione di ogni singolo (senza però sovraccaricarlo di questioni eccessive e sostanzialmente ininfluenti per la sua vita) – sono accuratamente descritti da Pisacane. “Federalismo” e “autonomia” sono le parole chiave dell’Utopia libertaria di Pisacane: ogni individuo è autonomo nel suo Comune, così come il Comune è autonomo rispetto alla Nazione. Nel progetto pisacaniano, il Comune (cioè a dire l’unità economico/politica territoriale di base) risulta essere nient’altro che una federazione di individui, e la Nazione una federazione di Comuni. In virtù del principio del mandato imperativo e del rifiuto della delega di potere, e in generale di qualunque gerarchia, le decisioni collettive avvengono attraverso un meccanismo teso ad assicurare la perfetta rispondenza degli interessi collettivi con quelli di ogni singolo individuo: le leggi, infatti, dice il socialista napoletano, non possono imporsi alla Nazione, ma solo proporsi.

L’individuo vero protagonista

Il meccanismo prospettato da Pisacane è il seguente. Ipotizziamo il caso estremo, cioè una decisione a livello “nazionale”: qualcuno a cui è stato dato esplicito mandato propone una norma collettiva su una determinata questione, su cui non è possibile che ognuno si regoli come meglio crede. La sua proposta è discussa da chi ha ricevuto il mandato di rappresentare i vari Comuni: se la proposta è accettata da tutti, l’iter procederà; altrimenti la stessa persona – o un’altra che riceve il nuovo mandato – tenendo conto delle obiezioni riscriverà la proposta, finché si giungerà ad una norma unanimemente condivisa e non imposta (nemmeno ad una minoranza). Tenendo presente che anche i rappresentanti della “nazione” sono a loro volta sottoposti, nei loro Comuni di appartenenza che li hanno delegati, ad un simile controllo del loro operato e possono esser sostituiti in qualunque momento se chi ha conferito loro il mandato ritiene che essi non lo svolgano al meglio, alla fine sarà considerata “legge” della nazione solo ciò che è accettato da ogni singolo cittadino. Il principio, insomma, è che le decisioni valgono solo per chi le accetta, ed è per questo che occorre affiancare ad una tale organizzazione politica libertaria una organizzazione economica di stampo comunista: altrimenti i conflitti sociali legati ad una società divisa in classi – dove gli interessi di una classe spesso e volentieri sono antitetici a quelli di un’altra – renderebbero impossibili le decisioni collettive. L’identificazione dei luoghi di vita e di lavoro con quelli della gestione politica ed economica della società nel suo complesso sono, di conseguenza, un altro aspetto della proposta pisacaniana.
Mentre il possesso collettivo/statale dei beni, nell’Utopia moderna, non comporta necessariamente la sparizione della gerarchia politica e sociale (10), l’Utopia socialista presente nelle riflessioni di Pisacane connette indissolubilmente la sparizione della disuguaglianza sociale con la scomparsa della gerarchia politica. Se si affida il potere politico a qualcuno – è questo in buona sostanza il pensiero del socialista risorgimentale – perché questi dovrebbe usarlo per spartire equamente la ricchezza sociale e non, invece, com’è sempre accaduto a memoria d’uomo, tenersene larga parte per sé e per quella piccola parte della società che lo aiuta in tale latrocinio? Il potere politico, lo Stato, non è disgiunto dalla disuguaglianza sociale; non è cioè una variabile indipendente da esso.
Ma l’aspetto che forse più caratterizza queste riflessioni utopiche pisacaniane – e non solo rispetto all’Utopia moderna – è il suo accento sull’individuo. È l’individuo il vero protagonista della progettazione pisacaniana di una civitas socialista; l’analisi in termini di classe degli attori di una rivoluzione, la progettazione di spazi sociali collettivi e quant’altro trovano sempre il loro senso profondo nella costruzione della felicità del singolo, nella liberazione delle sue energie. All’inizio dell’età contemporanea, progetto comunista e autonomia personale si fondono in un’atipica Utopia comunista dell’individuo.

Errico Malatesta nel carcere
milanese di San Vittore (1921)

Merlino, Pisacane l’utopia

Francesco Saverio Merlino, dunque, nasce in un clima dominato largamente dalla riflessione del “patriota” e “martire” socialista della sua città: tutta la prima produzione merliniana, legata all’anarchismo comunista, lo testimonia chiaramente. Ed è questa tradizione che Merlino abbandona. Non a caso, questa mia esposizione del pensiero di Pisacane avrà ricordato a tutti quei presenti che rammentano i termini della polemica tra Malatesta e Merlino, come le risposte del primo siano, sostanzialmente una rivisitazione ed un approfondimento critico delle posizioni pisacaniane. (11) E sono queste posizioni che Merlino esplicitamente rifiuta, giungendo a definirsi non più comunista anarchico, ma “socialista libertario”.
Chi parla ha la netta opinione che la ragione, in questo dibattito, fosse sostanzialmente dalla parte di Pisacane e Malatesta. Al di là delle dinamiche storiche del sistema democratico-parlamentare – che hanno platealmente sostanziato le tesi degli anarchici “ortodossi” – è in generale difficile sottrarsi all’impressione che, nella polemica, nonostante ciò che poteva apparire all’epoca, il “realista” fosse Malatesta, e non Merlino, e che lo scetticismo malatestiano nei confronti delle potenzialità liberatorie delle istituzioni politico-giuridiche liberal-democratiche abbia avuto, alla fine, alla prova dei fatti, oggettivamente ragione sulle “aperture” merliniane. Anche per ciò che concerne il dibattito sull’aspetto normativo della società liberata, di fronte alla oramai numerosa letteratura a favore dell’impostazione merliniana – penso in particolare a Gianpiero Landi, Massimo La Torre, Nico Berti – chi parla ha l’impressione che la posizione malatestiana sia spesso sottovalutata e banalizzata.
Ciononostante, sempre chi parla, ritiene che Francesco Saverio Merlino sia stato un notevole avversario di una teoria politica comunista –anarchica ancora ingenua e, in parte, confusa. La preparazione speculativa dell’avvocato libertario ha costretto Malatesta a ripensare l’anarchismo comunista, a renderlo speculativamente più organico e coerente. Merlino, difatti, mantiene dell’iniziale formazione pisacaniana – da cui pure si va allontanando con piena coscienza – l’impostazione utopica.
L’Utopia, in quanto progetto razionale di ricostruzione di un’intera società, è infatti, per quanto la cosa appaia all’inizio paradossale, estremamente concreta. Al progetto utopico, infatti, si contrappone in maniera pressoché costante l’obiezione della “funzionalità” del presente: il presente sarà anche pessimo, ma esiste e in qualche modo “funziona”: l’Utopia, invece, se non si è mai data, nonostante la sua appetibilità, evidentemente non potrà, per una qualunque ragione, “funzionare”. Il progetto utopico, quindi, è minuziosamente attento nel descrivere i meccanismi di funzionamento della società prefigurata; anzi, è proprio nell’applicazione di tali meccanismi che consiste l’essenza di quella specifica Utopia. I termini normativi della critica merliniana all’anarchismo, pertanto, sono anch’essi, paradossalmente figli dell’impostazione pisacaniana, di quel clima culturale in cui egli si era formato negli anni giovanili, in una Napoli assai diversa dall’oleografia consueta: un luogo in cui il mondo del lavoro dipendente, ed anche operaio strictu sensu, aveva già una sua cultura e prassi organizzativa, di vivaci scambi speculativi, momento di condensazione delle ipotesi socialiste.

Enrico Voccia

Note

  1. Una lettura di parte libertaria di tali eventi è presente in J. Guillaume, Bakunin. Note biografiche, in M. Bakunin, Libertà, Uguaglianza, Rivoluzione. Scritti scelti del grande rivoluzionario anarchico, Milano, Antistato, 1976, pp. 41-81; sul ruolo che in essi ebbe la sezione napoletana vedi M. Toda, Errico Malatesta da Mazzini a Bakunin, Napoli, Guida, 1988.
  2. Sulla storia dell’anarchismo italiano di inizio secolo vedi A. Borghi, Mezzo secolo d’anarchia, Catania, Anarchismo, 1978 e G. Cerrito, Dall’insurrezionalismo alla settimana rossa, Firenze, CP, 1977. In effetti, il periodo che va dall’ultimo decennio dell’Ottocento allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale è il momento storico che vede l’anarchismo raggiungere, in tutto il mondo, i suoi massimi livelli di penetrazione di massa. Il lavoro anarcosindacalista porta alla costituzione di più che consistenti e talvolta maggioritarie centrali sindacali un po’ dappertutto: dalla già ricordata U.S.I. italiana alla spagnola C.N.T. (che raggiungerà i due milioni e mezzo di aderenti), dalla svedese S.A.C. all’americana I.W.W, dalla messicana C.G.T. all’omonima centrale sindacale francese, dall’argentina F.O.R.A. alla tedesca F.A.U.D., senza nominare una miriade di altre strutture sindacali di ispirazione libertaria presenti in Europa, America ed Asia. Attraverso queste strutture di massa, il movimento anarchico internazionale diventerà una notevole forza composta da milioni di persone e centinaia di migliaia d’attivisti, giungendo a tentare, in più occasioni e talvolta con un sia pur momentaneo successo, l’instaurazione rivoluzionaria del comunismo libertario: dalla “Settimana Rossa” in Italia, al Messico zapatista, all’Ucraina libertaria durante la Rivoluzione Russa del 1917, alla Rivoluzione Spagnola del 1936. Per una prima informazione di massima sui tentativi anarchici di realizzazione di una società comunista libertaria – e, in genere, del ruolo dei movimenti anarchici internazionali nelle rivoluzioni proletarie novecentesche – si possono consultare D. Tarizzo, L’anarchia. Storia dei movimenti libertari nel mondo, Milano, Mondadori, 1976, pp. 123-141 e pp. 212-261 e F. Pani, S. Vaccaro, Il pensiero anarchico. Alle radici della libertà, Bussolengo, Demetra, 1997, pp. 65-110. Ognuno di questi testi contiene poi un’approfondita bibliografia.
  3. Sulla industrializzazione della Campania in epoca preunitaria vedi A. Scirocco, Democrazia e socialismo a Napoli dopo l’Unità (1860-1878), Napoli, Libreria Scientifica Editrice, 1973.
  4. Vedi, in merito, N. Rosselli, Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), Torino, Einaudi, 1967; F. Della Peruta, Democrazia e socialismo nel Risorgimento, Roma, Editori Riuniti, 1977; M. Toda, Errico Malatesta da Mazzini a Bakunin, cit.
  5. Per ciò che concerne Vincenzio Russo, vedi G. De Martino, Metamorfosi dell’Illuminismo, in V. Russo, Pensieri politici ed altri scritti, Napoli, Procaccini, 1999. Per ulteriori notizie sulla figura ed il pensiero di Carlo Pisacane si possono agevolmente consultare F. Della Peruta, Introduzione a C. Pisacane, La Rivoluzione, Torino, Einaudi, 1970, pp. VII-LXVIII; C. Vetter, Carlo Pisacane e il socialismo risorgimentale. Fonti culturali e orientamenti politico-ideali, Milano, Franco Angeli, 1984; E. Voccia, Utopia e razionalità politica, introduzione a T. Campanella, La città del Sole e C. Pisacane, La Rivoluzione, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1997, pubblicato in appendice al IV fascicolo di “Porta di Massa. Laboratorio Autogestito di Filosofia” dedicato al tema dell’Utopia.
  6. Vedi J. Guillaume, Bakunin. Note biografiche, in M. Bakunin, Libertà, Uguaglianza, Rivoluzione, cit. Ciononostante la storia dell’influenza di Pisacane sulla nascita della sezione italiana dell’Internazionale e sull’anarchismo comunista in genere, a quanto ci risulta, non è mai stata scritta. Qualche elemento si può trovare in N. Rosselli, Mazzini e Bakunin. Dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), cit. e in M. Toda, Errico Malatesta da Mazzini a Bakunin, cit.
  7. F. S. Merlino, Carlo Pisacane, Milano, La Plebe, 1879.
  8. Pisacane rovescia dialetticamente le argomentazioni dei difensori della proprietà privata e del capitalismo: è vero che ogni sorta d’interferenze nella dinamica interna alla società industriale/capitalistica porta conseguenze dannose, ma questa dinamica non è meno disastrosa se lasciata a se stessa! Non resta perciò che una sola soluzione secondo ragione, l’abbattimento della società presente e l’instaurazione di una società comunista.
  9. È nota la riflessione del pensatore socialista tedesco volta al rifiuto dell’elaborazione utopistica. Nel suo rifiuto di “prefigurare il futuro” egli però si costringe, ogni qualvolta è portato a descrivere in qualche modo l’obiettivo del movimento socialista, ad una notevole genericità o, talvolta, ad una sorta di pseudo-utopismo del tutto irrazionale, privo cioè di quell’aspetto di progettazione sociale razionale che caratterizza il pensiero utopico. Quest’aspetto è stato messo in rilievo soprattutto da Domenico Losurdo: “Nella società comunista, in cui nessuno ha una sfera di attività esclusiva ma ciascuno può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo rende possibile fare oggi questa cosa, domani quell’altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare. così come mi viene voglia; senza diventare né cacciatore né pescatore né pastore, né critico’ [MEW, vol. III, p. 33]. Se accogliamo tale definizione, allora il comunismo presuppone uno sviluppo così prodigioso delle forze produttive da cancellare i problemi e i conflitti relativi alla distribuzione della ricchezza sociale e quindi relativi al lavoro, e alla misurazione e al controllo del lavoro, necessario alla sua produzione; anzi, così configurato, il comunismo sembra presupporre la scomparsa, oltre che dello Stato, della divisione del lavoro, e in realtà dello stesso lavoro, il dileguare, in ultima analisi, di ogni forma di potere e di obbligazione.” (D. Losurdo, Utopia e stato di eccezione, Napoli, Laboratorio Politico, 1996, p. 76.) La tesi generale di Losurdo è che Marx sarebbe condizionato da posizioni “anarchiche”: Losurdo dimentica però che queste posizioni marxiane nascono proprio come critica all’anarchismo. Le pagine citate, che s’inseriscono nella tematica della “abolizione del lavoro”, sono nate all’interno della polemica antistirneriana. Stirner, infatti, riteneva impossibile tale abolizione, e poneva invece ad obiettivo della “unione degli egoisti”, dell’azione dei proletari, la “liberazione del lavoro” dal capitalismo e dallo Stato: “Lo Stato si fonda sulla schiavitù del lavoro; se il lavoro diventerà libero, lo Stato sarà perduto”. (M. Stirner, L’Unico e la sua proprietà, Milano, Adelphi, 1979, pp. 124). Anche la prefigurazione della scomparsa di ogni forma di potere e di obbligazione fa parte della polemica antianarchica di Marx. Stirner, infatti, affermava che: “È ben vero che una società a cui aderisco mi toglie alcune libertà, ma in compenso me ne concede altre; non c’è niente da dire nemmeno sul fatto che io stesso mi privo di questa o di quella libertà [...]. Per quel che riguarda la libertà, non vi è differenza essenziale tra lo Stato e l’unione. Neppure la seconda può nascere o conservarsi senza che la libertà venga limitata [...]. La religione e in particolare il cristianesimo, hanno tormentato l’uomo con la pretesa di realizzare ciò che è contro la natura e contro il buon senso; l’autentica conseguenza di questa esaltazione religiosa, di questa tensione esagerata è nel fatto che la libertà stessa, la libertà assoluta, venne alla fine innalzata ad ideale.” (M. Stirner, L’Unico e la sua proprietà, cit., pp. 321-322). Le posizioni dell’anarchismo, analizzato nella sua concreta storicità, sono dunque molto diverse dalle motivazioni che condurrano Marx al rifiuto della progettazione sociale utopica. Sul comunismo anarchico ante litteram di Pisacane si può vedere, oltre il presente lavoro, il saggio di Franco Della Peruta in C. Pisacane, La Rivoluzione, cit.
  10. La “Città del Sole” di Tommaso Campanella, per esempio, non esclude neppure la schiavitù. Vedi T. Campanella, La città del Sole, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, cit.
  11. Vedi E. Malatesta, F. S. Merlino, Anarchismo e democrazia. Soluzione anarchica e soluzione democratica al problema della libertà in una società socialista, Ragusa, La Fiaccola, 1974.
Un convegno e un libro su F. S. Merlino

La relazione di Enrico Voccia è stata presentata al Convegno di studi su Francesco Saverio Merlino, tenutosi a Imola (Bo) il 1° luglio 2000, promosso e organizzato dall’Associazione “Arti e Pensieri”.
Gli Atti della Giornata di studi sono stati pubblicati nel 2010 dalle Edizioni del Centro Studi Libertari “Camillo Di Sciullo” di Chieti, a cura di Gianpiero Landi, con il titolo La fine del Socialismo? Francesco Saverio Merlino e l’anarchia possibile (pagg. 314, Euro 15,00).

Per informazioni e richieste ci si può rivolgere direttamente all’editore: fab.pal@libero.it.

Su questa rivista sono già apparsi altri interventi tratti dagli Atti di quell’importante Convegno, il primo e finora l’unico che sia stato dedicato specificamente alla figura di Merlino, sicuramente uno dei più rilevanti tra i militanti e i teorici del socialismo libertario, tra Ottocento e Novecento, a livello italiano e internazionale. Nel n. 356 (ottobre 2010), alle pagg. 135-138 abbiamo pubblicato la Presentazione del curatore Gianpiero Landi, con il titolo Riscoprendo Merlino. In “A” n. 360 (marzo 2011), nelle pagg. 82-85, è poi apparsa la relazione di Giampietro “Nico” Berti (autore in passato di una ponderosa biografia scientifica merliniana), con il titolo Il socialismo liberal-libertario.
Uno dei pregi maggiori del Convegno su Merlino riteniamo che sia rappresentato dal fatto che ad esso hanno preso parte studiosi e ricercatori con competenze diverse (storici delle idee, storici dei movimenti sociali, economisti, sociologi, filosofi del diritto e della politica), nonché di differenziati orientamenti culturali e politici. Questa partecipazione ampia e variegata ha assicurato una pluralità di approcci che si è tradotto in un confronto ad ampio raggio, in cui il rigore storiografico si è intrecciato a riflessioni e dibattiti su nodi teorici di grande rilevanza e attualità.
Tra le recensioni al libro segnaliamo quella di Roberto Zani, apparsa in “Cenerentola”, a. 10, n. 136, giugno 2011 (ora anche in http://www.cenerentola.info/archivio/numero136/articoli_n.136/libri.html#1).
Riportiamo qui di seguito l’indice completo del volume degli Atti:
Giampietro Berti, Il socialismo liberal-libertario di Francesco Saverio Merlino; Massimo La Torre, Una concezione deliberativa della politica. Francesco Saverio Merlino tra anarchismo e democrazia; Enrico Voccia, Il retroterra politico-culturale di Merlino; Natale Musarra, Merlino e la rivoluzione nel Mezzogiorno d’Italia; Emilio Raffaele Papa, F.S. Merlino, un “avvocato dei malfattori”, alla difesa del regicida Gaetano Bresci; Bruno Bongiovanni, La revisione del marxismo tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento; Paolo Favilli, Sui concetti: “ortodossia”, “revisionismo”, “marxismo”. Noterelle a proposito del loro odierno uso storiografico; Raimondo Cubeddu, Merlino, i marginalisti austriaci e i teorici dell’individualismo; Pietro Adamo, Merlino e Tucker: le ragioni di un dissidio; Nadia Urbinati, Un padre fondatore della cultura democratica italiana; Gianpiero Landi, Aldo Venturini studioso e continuatore dell’opera di Merlino; Luciano Lanza, Merlino? Un marginalista piccolo piccolo; Luciano Pellicani, Merlino e l’utopia collettivistica. Completano il volume alcune Appendici, tra cui meritano di essere segnalati soprattutto due testi inediti di Bruno Rizzi sul pensiero di Merlino.

 

Enrico Voccia insegna Filosofia e Storia in un Liceo Scientifico a Napoli. Si occupa da molti anni di ricerca in campo filosofico e storico. Fa parte della Associazione culturale “Porta di Massa” – Laboratorio autogestito di filosofia epistemologia e scienze politico-sociali, di cui dirige l’omonima rivista e gestisce il sito internet. È un militante della Federazione Anarchica Italiana. Ha pubblicato Luigi Fabbri: le radici, il tempo, il pensiero (1989) e ha curato alcune edizioni di scritti di Tommaso Campanella, Carlo Pisacane, Étienne De La Boétie.