Rivista Anarchica Online


riflessioni

Quel poco che so dell’anarchia

di Maurizio Maggiani

È questo il titolo di un intervento dello scrittore spezzino, nel corso della presentazione, lo scorso settembre a Castel Bolognese, del primo volume degli Scritti Completi di Errico Malatesta. Il quale, spiega Maggiani, avrebbe sopportato anche lui, perché la sua Anarchia...

 

Maurizio Maggiani è uno fra i più noti e apprezzati scrittori italiani contemporanei. È nato a Castelnuovo Magra in Lunigiana, ha vissuto gran parte della sua vita a La Spezia. Nonostante i numerosi premi letterari vinti con i suoi romanzi, non perde occasione per mostrare con orgoglio, specie negli incontri pubblici, le sue radici anarchiche e le sue simpatie per il movimento libertario.
Del resto, Maggiani è anche un grande affabulatore e sono ormai numerosi i temi che ha trattato nelle sue conferenze pubbliche. La sua narrazione della Trafila Garibaldina, che ha portato in giro per l’Italia in occasione del 150° anniversario dell’unità nazionale, è stata senz’altro una delle migliori iniziative per ricordare l’anima popolare del Risorgimento. Il suo personale viaggio alla riscoperta di quell’avvenimento costituisce il tema del suo ultimo libro, Quello che ancora vive. Il salvamento del generale Garibaldi nelle terre di Romagna (2011).
L’intervento di cui riportiamo la trascrizione è stato registrato a Castel Bolognese (Ravenna) il 18 settembre (prima che le alluvioni sconvolgessero quella che Maggiani chiama “casa mia”) in occasione della presentazione, insieme al curatore Davide Turcato, del primo volume delle Opere Complete di Errico Malatesta, “Un lavoro lungo e paziente…”. Il socialismo anarchico dell’Agitazione (1897-1898).
L’iniziativa è stata organizzata dalla Biblioteca Libertaria “Armando Borghi”. Maggiani ha voluto intitolare il suo intervento Quel poco che so dell’anarchia. Una modestia malcelata, dato che sono ormai in molti a conoscere le sue capacità nel trattare un tema che gli sta particolarmente a cuore.

Roberto Zani

È da quando mi ricordo che mi sveglio ogni mattina anarchico. Poi però mi rendo conto che passo le mie giornate da socialdemocratico, liberale... per tornare sano e salvo nel mio letto ancora una volta anarchico. Non è per niente facile, come dice Malatesta, portare con sé l’ostinazione dell’anarchia. E tra gli epiteti che usano molti critici nei confronti degli anarchici è che sono stupidi e ostinati. Io credo che l’essenza di ciò che so io dell’anarchia è l’ostinazione. A cosa? L’ostinazione a pensare che la Storia non sia già stata tutta scritta e almeno il suo finale, il suo gran finale sia ancora tutto da scrivere.
Io vivo giorno per giorno nelle parti di chi si arrende alle critiche del pensiero anarchico. Io sono un accusatore dell’Anarchia quotidianamente. È imbarazzante l’ostinazione. Anche perché è un’ostinazione che è un cammino controcorrente, che si oppone non a Marx, a Turati e al loro pensiero, così netto, distante e preciso, ma secondo me addirittura a Dio.
Sto leggendo in questi giorni l’edizione Diodati della Bibbia, cioè la prima traduzione del 1601 che, fino al Consiglio Vaticano II, era l’unico modo per leggerla in italiano, perchè la traduzione era stata proibita dal Concilio di Trento, dalla Controriforma. L’unica che ha viaggiato per questi secoli – non solo tra i riformati, ma anche tra i cattolici – era questa traduzione di un dottore in teologia, Diodati da Lucca, che peraltro essendo lucchese scrive con un toscano tutto focoso e musicale, veramente bello. Sto leggendo e rileggendo l’episodio di Caino e Abele. Ci penso da anni, da decenni a Caino e Abele. Perché questo libro è comunque Il Libro della nostra cultura ancestrale, della nostra civiltà – anche quella assolutamente mondana. È il libro delle storie, i grandi miti lì ci sono tutti. Bene, i primi fratelli della storia dell’umanità si chiamano Caino e Abele: uno è vagante, è libero, fa il pastore, è un contemplativo, è candido, è uno zingaro. Se ne va per le lande dell’Asia, passa le notti a contemplare la luna. L’altro è uno che si fa un culo così tutti giorni, con la faccia sulla terra. È un contadino che si ammazza di fatica. Lui non può contemplare la luna perché la notte gli serve per dormire, perchè l’indomani all’alba è di nuovo con la faccia sulla terra a lavorare, a cercare di ricavarne qualcosa. Le sue mani sono sporche, ha la terra sotto le unghie continuamente, anche a lavarsi non ce la fa a pulirle. Lui sente che qualunque cosa offra Iddio è qualcosa che gli si sporca fra le mani, mentre suo fratello Abele qualunque cosa offra Iddio è poesia, è dolcezza, è candore. Questo lo fa molto arrabbiare, a tal punto che va da suo fratello e ... non c’è lotta: un colpo secco.

Tutti figli di Caino

E da quel momento in poi comincia la Storia. Perché noi sappiamo che la Storia comincia con i primi insediamenti stabili, con l’agricoltura. Come scrive la Bibbia, Caino è il fondatore della prima città. La Storia comincia con Caino. Con un assassino. Con l’uomo che uccide la bellezza, l’ingenuità, il candore, la libertà, l’uomo libero per definizione: conoscete il mito del pastore errante dell’Asia? Eppure lo stesso Iddio si rassegna che la Storia la faccia quell’assassino perché nessuno tocchi Caino. Ora, se c’è qualcosa che si può dire del Dio della Bibbia è che non è un nonviolento, quando si incazza Dio c’è né per tutti. Non dice “nessuno tocchi Caino” perché è contro la pena di morte: stermina intere città. Nessuno tocchi Caino perché Dio si rassegna, la Storia è toccata a lui. Ma lo segna, gli fa un segno sulla fronte perché nessuno tocchi Caino.
E lì comincia la Storia, e la Storia siamo noi. E nessuno di noi è figlio di Abele, siamo tutti figli di Caino. Tutti segnati da quella vergogna, abbiamo rinunciato all’innocenza, alla dolcezza, alla nonviolenza, all’empatia: per fare la Storia, per fare l’umanità. Questo è quello che ci dice la Bibbia ed è quello che ci diciamo anche noi, e in questo noi troviamo giustificazioni di noi stessi: lì dentro ci siamo noi socialisti, noi liberali, noi socialdemocratici, comunisti, fascisti naturalmente...
E l’Anarchia ogni mattina mi dice: guarda, guardati allo specchio, tu quel segno in fronte non ce l’hai. Guarda la tua compagna: lei, in fronte quel segno non ce l’ha. Eppure io mi guardo allo specchio, guardo la mia compagna e mi sembra di vederlo. E allora comincio ad essere socialdemocratico, comincio a tirare avanti, a cercare di cavarmela. A volte ci riesco e anche bene, ma rinuncio all’ostinazione di uno sguardo abbastanza acuto da farmi notare che quel segno è un’illusione, quel segno è un racconto, quel segno stamattina non c’era. E se tu lo vedi è perchè tu te lo ridipingi ancora una volta. Tutte le mattine che Iddio manda in terra devi risegnarti col segno di Caino.
Ora io capisco che tutto questo è residuale, è andare contro i più acuti e migliori pensatori dell’Anarchia, e forse nemmeno Malatesta sarebbe tanto contento di me... ma invece sì perché era un uomo buono, e certo non mi metterebbe le mani addosso! Però... lui diceva una cosa: “Ogni uomo ha la sua verità, ogni uomo ha la sua Anarchia”. E a questo mi attengo, a questa libertà. Alla libertà di ostinarmi all’idea dell’Anarchia che è quella là.
Io posso non essere figlio di Caino e per questa ragione io posso avere figli, nipoti e pronipoti che non sono i figli, i nipoti e i pronipoti di Caino. E così il mondo solidale, in pace universale, è là, per loro, per loro che lo faranno, per me che lavoro perché loro lo possano fare. Ecco, io ho un lavoro lungo e paziente. Devo dire che è più bello “ben scavato vecchia talpa”, in questo Marx è stato più bravo, purtroppo mi piace di più. Però anche un lavoro lungo e paziente (…)

Una copia di Umanità Nova sul tavolo

È morto un anno fa Egidio Lombardi. Di mestiere faceva il rigattiere, il trovarobe, lo stracciarolo. Aveva un negozio in via Monfalcone a La Spezia, è morto che aveva ottant’anni. In quel negozio, pieno di quelle robe che hanno i rigattieri di tutto il mondo, c’era un tavolinetto, le sedie intorno erano quelle che andava in giro a raccattare e che rivendeva, e una copia di Umanità Nova sul tavolo. Io questo negozio l’ho visto per la prima volta che avevo diciott’anni. Lombardi è sempre stato, se volete, anche una macchietta del quartiere, eppure lui non ha mai avuto il suo negozio vuoto: c’era sempre qualcuno che stava seduto a quel tavolo su una di quelle sedie spaiate, e che prima o poi parlando di qualunque cosa prendeva fra le mani questo giornale, e poi magari lo rimetteva semplicemente lì. Lombardi morendo ha lasciato il suo negozio – perché non ha figli – a un ragazzo marocchino che aveva preso con sé come aiutante.
Adesso in quel negozio c’è questo ragazzo. Egidio aveva un mosquito con un carrettino dietro, poi un’Ape, mentre questo ragazzo ha un furgoncino usato. Se quando passo da via Monfalcone lui si trova in negozio, su una di quelle sedie c’è sempre qualcun’altro. Non solo, ma ha anche mantenuto l’usanza che aveva Lombardi di tenere aperto il negozio anche quando non c’è. Perché se qualcuno voleva entrare e sedersi poteva farlo. Questo ragazzo marocchino non ha Umanità Nova in negozio, o almeno non mi sembra di averlo visto sul tavolo, ma non cambia niente secondo me. Quel ragazzo che conosco e con cui mi fermo a parlare insieme ai suoi amici è figlio ideale, è la faccia del buon lavoro che ha fatto Egidio Lombardi. È la faccia nella materia di un lavoro lungo e paziente. È un passo più avanti per l’Anarchia.
Egidio Lombardi è figlio di uno dei due fratelli Lombardi. Lombardi è un cognome molto comune a casa mia perché negli anni ’30 e ’40 dell’Ottocento il fior fiore del terrorismo risorgimentale fuggiva dalle condanne a morte dai Legati Pontifici, dal Lombardo-Veneto, dagli Estensi, da Parma e Piacenza, dal Granducato di Toscana e dal Regno del Piemonte, e arrivava a casa mia, che era un posto ideale per questa marmaglia. Perchè era al confine di quattro stati. La Spezia e la valle del Magra appartenevano al Piemonte ma stavano laggiù in fondo, non c’era nemmeno una sottoprefettura. E allora c’era un fitto così di delinquenti politici che venivano soprannominati “i lombardi” perché quasi tutti passavano dalla Cisa. I padani, insomma. E per 5 o 6 anni c’è rimasto anche Felice Orsini, per esempio. Quando poi nel 1861 ci fu il Regno d’Italia e si rifecero tutte le anagrafi, questi non andarono a registrarsi con il loro cognome vero siccome avevano dei precedenti penali e non si fidavano; così si registrarono col loro soprannome, Lombardi.
I due fratelli Lombardi sono figli di questi rivoltosi, insurrezionali, rivoluzionari del Risorgimento. Erano noti anarchici, forse i più noti di La Spezia. Stavano a Biassa, che è una frazione su una collina. I biassai, credo per qualche ragione climatica (forse perchè prendono quest’aria salmastra in faccia) sono tutti un po’ strani, rivoltosi, banditi. I due fratelli sono anarchici, e sono anche un'altra cosa: sono i migliori congegnatori meccanici della città, per cui lavorano nella più qualificata officina della città, il fiore all’occhiello della città. La Spezia è una città cresciuta e strutturata intorno all’arsenale militare. Per cui i due fratelli anarchici congegnatori meccanici lavorano alla Oto Melara, famosa produttrice di cannoni. Cannoni e carri armati. Non è forse vera la storia dell’Anarchia che è come un’accetta sioux lanciata contro un carro armato? Sì, certo. Sappiamo che i maquis francesi avevano un sistema per bloccare i carri armati tedeschi: infilare un pezzetto di legno dentro una feritoia di una presa d’aria del motore, così si bloccava il motore del carro armato che rimaneva imballato.

Senza mai perdere di vista l'umanità

Bene, i fratelli Lombardi lavorano in una fabbrica d’armi. Sono i migliori, sono fieri del loro lavoro, lo sanno fare a regola d’arte. Credo che possiate capire che cos’è la fierezza di fare un lavoro a regola d’arte. E l’unico lavoro che gli si è offerto è nella fabbrica Oto Melara. Per tutto il tempo del fascismo i due fratelli non hanno fatto un giorno di galera, pur essendo anarchici. Non sono stati licenziati, come successe a tanti nel 1924-25. Non hanno mai subito una rappresaglia dalle autorità fasciste. Perché quei due sapevano fare una cosa che gli apparecchi meccanici tedeschi, e cioè i più precisi del mondo, non facevano così bene: la verifica, che loro facevano ad occhio, della rettifica dell’elicoide di una bocca da cannone. Per tutto il tempo del fascismo continuarono a verificare le rettifiche dei cannoni. Ed erano oltraggiati, vilipesi, da quei pochissimi compagni socialisti e comunisti che, silenti, continuavano a lavorare ma odiavano il lavoro che facevano. Disprezzati. Gli hanno tolto la parola.
L’11 settembre del 1943, con la fabbrica occupata dai tedeschi, tra l’ultimo turno di notte e il primo del mattino la fabbrica salta in aria. I due fratelli avevano messo della dinamite nei punti strategici. Non c’è un solo operaio morto. C’è solo, ferito, uno che passa di lì per fare il servizio di guardia. Dopodiché dei due fratelli non si sa più niente. Ritornano nel ’45, ma rifiutano riconoscimenti, medaglie e che cosa chiedono? Di ritornare a lavorare all’Oto Melara!
Ecco, questa storia è piena di contraddizioni, però io voglio pensare che la mia ostinazione a non pensarmi figlio di Caino abbia una qualche relazione con la loro storia, così completamente diversa. Da un punto di vista pratico loro hanno avuto ragione, hanno bloccato l’Oto Melara, che ha ricominciato a funzionare solo 3-4 mesi dopo. Però pensate che vita hanno vissuto per 20 anni, malvisti da tutti, dagli amici, dai compagni, perché continuavano a ostinarsi in un loro disegno.
Si ostinavano. Avevano guardato lontano. Nessuno gli avrebbe dato alcuna possibilità di successo nel ’25, nel ’30, nel ’36, nel ’41, nel ’42… Forse loro erano talmente ostinati che, fieri com’erano di quel lavoro ben fatto, di quell’orgoglio irreprimibile per ciò che sapevano fare con le loro mani, si sono messi lì e sono arrivati a quel risultato.
Malatesta dice l’Anarchia è un metodo. Ma non credo che sia un metodo scientifico; il materialismo storico e quello dialettico sono forse delle scienze, l’anarchismo non è un metodo scientifico. Ma è il metodo migliore che io sappia per trasformare la mia vita di un uomo che cerca di cavarsela nella vita di un uomo che ha lo sguardo lungo. E a una vita, non c’è niente di meglio da augurare di uno sguardo abbastanza lungo per andare oltre il gerarca fascista che ti sta davanti, oltre quello che accadrà domani, perché quello che accadrà domani è buono, può essere buono per quello che accadrà tra vent’anni se sei tanto paziente e ostinato da viaggiare lì dentro senza perdere mai di vista l’umanità, fra venti generazioni, fra venti millenni.

Maurizio Maggiani

(trascrizione a cura di Roberto Zani)