Rivista Anarchica Online


movimento operaio

Giulio l’antistalinista
di Maria Antonietta Serci

Dopo aver vissuto dall'interno un'intera epoca del comunismo internazionale, prima a Mosca e poi nella Resistenza e ai vertici del PCI, Giulio Seniga ha rappresentato un punto di riferimento per le forze di sinistra non disposte a cedere al totalitarismo di matrice bolscevica. Le edizioni BFS di Pisa gli dedicano un libro. Ecco una sintetica biografia di Seniga e il ricordo del figlio Martino.

Giulio Seniga nasce nel 1915 a Volongo, in provincia di Cremona, da un bracciante e da una sarta, è un comunista della seconda generazione. Il suo apprendistato politico si svolge, come molti altri suoi coetanei, in fabbrica, presso un’azienda prestigiosa, l’Alfa Romeo, nella quale si forma parte dell’aristocrazia operaia milanese. Lo stabilimento è il Portello di Milano, dove lavora come operaio specializzato e dal 1942 con la qualifica di incaricato tecnico. Per Seniga gli anni vissuti in fabbrica sono determinanti per la sua formazione di uomo e di militante, rappresentando motivo di distinzione e orgoglio, analogamente a quanto accade per altre generazioni di comunisti e di comuniste che attribuiscono al lavoro e alla professionalità acquisita in officina o in laboratorio un posto gerarchicamente importante nella scala dei valori identitari (1).
Dopo l’8 settembre Seniga è nella delegazione di antifascisti che si reca presso il comando militare di Milano a chiedere la distribuzione delle armi per la difesa della città. Risale a queste settimane l’iscrizione al PCI. Per sfuggire all’arresto fugge in Svizzera e nel 1944 rientra in Italia per unirsi ai reparti garibaldini della Valle dell’Ossola, col nome di battaglia “Nino”. Dopo la proclamazione della Repubblica dell’Ossola, Cino Moscatelli gli affida l’incarico di mantenere i collegamenti delle brigate Garibaldi con i responsabili della Resistenza europea, rappresentati dal generale inglese John McCaffery. In questa veste, alla caduta della Repubblica ossolana, il 21 ottobre 1944 è protagonista di una missione che ne forgerà il mito virile del partigiano intrepido e risoluto, nota come Operazione mercurio: un convoglio ferroviario di vagoni carico di metalli pregiati e bombole di mercurio viene messo in salvo in Svizzera mentre i tedeschi cercano di impadronirsene, a disposizione del governo italiano e dei comandi partigiani. Un mito rafforzato da un altro episodio, avvenuto nel mese successivo e noto nella memorialistica e nella pubblicistica successiva come “Il salto del Nino”.

Nella Resistenza e nel PCI

Nei primi giorni di novembre del 1944 organizza assieme a tre compagni, contro la volontà dei rappresentanti delle forze alleate in Svizzera, una missione per rientrare in Italia, con l’obiettivo di portare armi e denaro alle formazioni partigiane. Per sfuggire ad un rastrellamento, attraversa dei passi di alta quota ormai completamente innevati e il 13 novembre precipita da un burrone presso il Passo Cingino con un salto di più di 100 metri. Gravemente ferito, viene salvato da Ruggero Ascoli, un medico componente della spedizione nonché guida alpina e dai guardiani del lago Cingino, i quali lo mettono in salvo presso una baita a 2.200 metri di altezza dove rimane, privo di cure mediche, per circa due mesi. gennaio 1945, quando le fratture sono in parte ricomposte, con l’ausilio di un bastone raggiunge a valle le brigate garibaldine, con le quali combatte sino alla Liberazione con l’incarico di ispettore militare.
Dopo la Liberazione lavora nella federazione di Cremona e nel 1947 la direzione del PCI lo chiama a Roma presso la segreteria di Pietro Secchia, allora responsabile dell’organizzazione del partito e vice segretario. Dopo l’attentato a Togliatti del luglio 1948, viene costituita la commissione nazionale di vigilanza e Seniga è nominato vice responsabile dell’organismo, col compito specifico dell’organizzazione dei “covi segreti”, ossia della ricerca e della cura delle abitazioni clandestine dove far alloggiare i massimi dirigenti del partito in caso di pericolo; e dei “fondi clandestini”, ossia della custodia delle casseforti contenenti il denaro proveniente dall’Unione Sovietica (2). Informazioni che sono condivise solo con Togliatti e Secchia. È in questa veste che gli viene affidato il compito di pilotare un aereo per mettere in salvo Togliatti nel caso le condizioni politiche lo richiedessero: un Sokol cecoslovacco per condurre il quale frequenta un corso presso l’Aeroclub di Roma-Urbe.
La storiografia si è molto soffermata sull’esistenza nel PCI delle due anime rappresentate dal partito del nord e da quello del sud, sull’insofferenza dei partigiani comunisti e di quelli non comunisti nei confronti dell’ambiente romano, sul cosiddetto “vento del nord”, sulle aspettative deluse, sul tema dell’occasione mancata. disagio e la delusione del partigiano Seniga all’impatto con la politica e la gestione del partito a livello nazionale, nella Roma ministeriale, possono essere letti, pur nella loro specificità, come caso esemplare anche perché, come avremo modo di vedere, ha affidato alla scrittura autobiografica il racconto dei propri sentimenti e delle proprie valutazioni. È in questo contesto che «matura la ribellione», come recita il titolo di un fascicolo conservato nel suo archivio privato.
La volontà di alzare al limite della rottura la critica alla gestione del gruppo dirigente del PCI è sancita da un gesto estremo: l’allontanamento da Roma in un giorno carico di significati simbolici – il 25 luglio, giorno della caduta del fascismo – con un “bagaglio che scotta”, efficace metafora che egli stesso utilizzerà come titolo di un libro nel 1973, per riferirsi materialmente e idealmente al contenuto della valigia con la quale compie il viaggio dalla Capitale alla Milano operaia (3). Trattasi di un nucleo di documenti del PCI e di una quantità ingente di denaro ai quali Giulio Seniga ha accesso grazie al suo ruolo nella commissione nazionale di vigilanza. Un capitale da utilizzare per il finanziamento di un progetto politico del quale ha chiaro l’obiettivo: la creazione di un movimento di dissidenza organizzata.
Un gesto volitivo, consapevole dei rischi e delle difficoltà che si propone subito come una sfida propositiva. Che non si tratti solo di un beau geste lo dimostra la lettera di dimissioni scritta a Pietro Secchia, documento che assume il senso, come avremo modo di vedere più avanti, di una mozione politica.
Milano dunque e poi subito la Francia, un viaggio fatto di spostamenti veloci, serrati, con l’obiettivo di depistare gli inseguitori, tutelare il «bagaglio che scotta» e prendere i primi contatti politici: «Domani cercherò di vedere qualche partigiano di Milano, poi partirò per la Francia, via Svizzera per prendere contatto con quei compagni dissidenti del PCF» (4).
È in queste settimane convulse, cariche di preoccupazioni, paure e speranze, di contatti frenetici che nasce il progetto di Azione comunista, attorno al quale si concentrano bordighisti e anarchici, trostkisti e singoli intellettuali critici verso la politica del Pci, operai comunisti dissidenti ed espulsi.
Esperienze e sensibilità diverse che per alcuni anni convivono affidando ad iniziative pubbliche ma soprattutto ai periodici, prima «Lettera ai compagni» e successivamente «Azione comunista», la diffusione delle proprie idee tra gli iscritti al PCI. Il primo numero di «Lettera ai compagni» viene prodotto in occasione della IV Conferenza di organizzazione, svoltasi dal 9 al 14 gennaio 1955, col proposito di stimolare tra i delegati un dibattito critico nei riguardi della linea politica del gruppo dirigente, così come del costume:
I quadri del partito sono dominati dall’opportunismo, dall’ambizione, dal conformismo e dalla paura. La vigilanza rivoluzionaria è stata trasformata in una vigilanza di polizia preoccupata soltanto di soffocare e controllare ogni voce di critica o di dubbio sulla politica del partito e sulla pretesa infallibilità dei dirigenti. Nel partito regna l’acquiescenza e l’omertà verso atti di indisciplina morale a volte molto più dannosi di quelli di indisciplina politica.

Anita Galliussi

“Azione comunista” e l’espulsione

Monopolio del vertice sono le designazioni dei dirigenti periferici e l’assegnazione delle circoscrizioni elettorali. Vige nel partito il gerarchismo nel tratto e nelle abitudini l’infatuazione cieca e il culto meschino e servile dei dirigenti. Nessun controllo e autocontrollo è rivolto al costume di vita dei dirigenti e parlamentari ed ai limiti della loro partecipazione alle abitudini e alle consuetudini di vita della società borghese. Ciò espone il fianco alla facile speculazione qualunquista che i capi sono tutti uguali (5).
Vengono pubblicati cinque numeri di «Lettera ai compagni» con gli articoli firmati collettivamente “I compagni di Azione comunista”, con il proposito espresso sulle pagine del periodico di non esporsi pubblicamente ed evitare così l’espulsione dal PCI. Il progetto è di creare una corrente interna di dissenso:
«Premesso che noi compagni di Azione comunista siamo dei militanti del partito e intendiamo rimanervi per esercitare a fondo la nostra azione di attivisti d’avanguardia in tutti i settori dell’attività politica, organizzativa e sindacale, riteniamo utile fare alcune precisazioni chiarire i motivi della nostra azione e indicare alcune gravi responsabilità» (6).
Il primo numero di «Azione comunista» è del 21 giugno 1956, quando è ormai chiaro che ogni tentativo di promuovere un dissenso interno al partito è inutile. Con il primo articolo firmato viene pubblicata su «l’Unità» del 25 luglio la notizia dell’espulsione da partito (7).
L’esperienza di Seniga all’interno di AC si conclude nel 1958, a seguito di contrasti non più sanabili tra le diverse anime del movimento. Egli vuole mantenere una struttura agile, movimentista mentre la maggioranza degli aderenti ad Azione comunista intende costituire un nuovo partito organizzato alla sinistra del PCI. Seniga e altri militanti, tra i quali lo storico socialista libertario Masini, vengono espulsi tra il 1958 e il 1959 (8).
Il pretesto formale per l’espulsione di Seniga è un’iniziativa assunta senza una consultazione preventiva con gli altri dirigenti del movimento, in occasione del dibattito parlamentare sull’esecuzione di Imre Nagy. Si tratta ancora una volta di un gesto dimostrativo, di grande impatto scenico: il 17 giugno 1958 il dissidente comunista si introduce, con la sua compagna Anita Galliussi (9), nell’Aula parlamentare e assieme fanno cadere sulle teste dei deputati una pioggia di volantini che denunciano la responsabilità del PCI con il partito comunista ungherese. Un gesto che simbolicamente chiude il decennio mentre si apre una fase di transizione foriera di un nuovo percorso politico. Un momento colto nella sua immediatezza da Gianni Brera, suo amico dagli anni della guerra partigiana, il quale ne indica gli elementi essenziali mentre tratteggia un quadro della personalità di Seniga:
Per ridare vitalità e vigore al movimento [Azione comunista], sostenevano ancora in molti, sarebbe stato necessario riportarlo ad una prassi politica più immediata: e Seniga vide nell’azione per l’unità sindacale un nuovo scopo degno del suo fervore. Attivista per passione, mordeva il freno nella piccola fortezza che egli stesso aveva costruito. Le parole non potevano bastare. […].
Ora Seniga è all’imbocco di una nuova strada.
Chi lo conosce, inquieto sino alla frenesia, non esita a definirlo un’anima «attraversata». Né egli nasconde che la lotta lo esalta. Non più – dice – iperboli retoriche, non più sterile dottrinarismo. La dialettica lo aiuta a capire che, quando una classe permane inerte, l’altra si organizza e progredisce. Nei giorni in cui [Achille] Lauro e [ ] Covelli si uniscono e il «cattolico di sinistra» Fanfani viene battuto in breccia, gli operai restano divisi in cinque o sei sindacati senza nerbo. I lavoratori italiani assommano a quindici milioni: i sindacati ne organizzano al massimo cinque (10).

Novara, 25 aprile 1945
comizio della liberazione.
Seniga in primo piano

I libri di Azione Comune

La priorità è dunque il rafforzamento del movimento operaio ma sono indispensabili alcuni passaggi interdipendenti: l’unità sindacale, da perseguire attraverso un ridimensionamento della forza della CGIL e un progressivo riequilibrio delle altre componenti nonché la crescita di un partito socialista sempre più indipendente dal PCI. Si avvicina così in questi anni, assieme ad altri compagni, al Partito socialista, con l’obiettivo dichiarato di sostenere lo sviluppo della corrente autonomista.
In questo contesto si inserisce l’impegno intellettuale di Seniga come pubblicista, autore di monografie e operatore culturale. Nei primi anni Sessanta fonda una casa editrice, Azione Comune e il motto che le affianca, “Perché i giovani sappiano e gli anziani ricordino”, definisce la sostanza di questa progettualità che passa anche attraverso l’edificazione di una memoria collettiva altra rispetto a quella dominante, dove trovano spazio comunisti critici, anarchici e socialisti riformisti espulsi dal racconto costruito per un trentennio dai comunisti italiani. Salvaguardare dunque la memoria storica del movimento operaio, attraverso il recupero di rivoluzionari comunisti non ortodossi come Rosa Luxemburg e Alexandra Kollontaj (11) e anarchici, come la russa Ida Mett (12); riabilitare l’onore politico di quegli antifascisti colpiti dalla scure stalinista, ridotti all’isolamento esistenziale e politico attraverso il recupero delle loro biografie, come accade per Pietro Tresso (alias Blasco) e la pubblicazione di loro scritti, come accade per l’anarco-socialista Camillo Berneri e il socialista Ezio Riboldi; (13) tutelare i valori dell’antifascismo e della Resistenza (14).
Le pubblicazioni della piccola casa editrice si propongono anche come stimolo al dibattito teorico interno all’area del socialismo riformista, attraverso saggi prodotti da studiosi e politici italiani, come avrò modo di descrivere meglio avanti.
È attraverso la sua attività, intensa, di pubblicista che diffonde le critiche alla politica e al costume morale del gruppo dirigente del partito, alla pratica del culto della personalità, denunciando le responsabilità dello stalinismo sovietico nella persecuzione di anarchici e comunisti nonché della sua versione italiana, per definir la quale conia la categoria di stalinotogliattismo. Il primo libro, Togliatti e Stalin, è dato alle stampe nel 1961 mentre il secondo, Un bagaglio che scotta, nel 1973 con Azione Comune.
Quest’attività si è concretizzata in un lavoro individuale svolto da Giulio Seniga a tempo pieno, per definire il quale può utilizzarsi la categoria di militante professionale, utile a rappresentare la complessità di un’esistenza dove la dimensione politica è stata dominante, se non totalizzante. lavoro pensato e gestito in modo solitario, con l’impegno e i tempi di un funzionario di partito o di un “rivoluzionario professionale” pur senza stare all’interno di un partito, attraverso il quale egli si propone l’ambizioso obiettivo di condizionare la politica del Pci con il racconto della propria verità, rivendicando un riconoscimento politico alla sua “scelta di vita”. Un’organizzazione del lavoro politico scandita da quelle dinamiche del rapporto militante comunista-partito efficacemente descritte da Sandro Bellassai:
La militanza comunista assume senza alcun dubbio una dimensione totalizzante, rappresenta […] una “scelta di vita”: il lavoro organizzativo è vera e propria mobilitazione permanente. L’attivismo e le sue “qualità”, per così dire, sono scanditi e condizionati in maniera totale dalla radicalità dell’impegno richiesto, in termini sia di tempo quotidiano dedicato al lavoro politico che di ridefinizione complessiva di se stessi e del proprio orizzonte esistenziale.

Maria Antonietta Serci

Note

  1. S. Bellassai, La morale comunista. Pubblico e privato nella rappresentazione del Pci (1947-1966), Roma, Carocci, 2000.
  2. G. Gozzini, R. Martinelli, Storia del Partito comunista italiano. VII. Dall’attentato a Togliatti all’VIII congresso, Torino, Einaudi, 1998, pp. 151-158.
  3. G. Seniga, Risorgimento socialista, Milano, Azione Comune, 1973.
  4. AGS, Diario, b. 17, fasc. 1, «Trascrizione pagine di diario e di corrispondenza», S. ad Anita Galliussi, trascrizione dattiloscritta dell’originale mancante, 26 luglio 1954.
  5. I compagni di Azione comunista, Per un’azione comunista, «Lettera ai compagni delegati alla IV Conferenza nazionale del Pci per un’azione comunista», s.d. [gen. 1955].
  6. Esposto di “Azione Comunista” alla Commissione Centrale di Controllo del Pci, «Lettera ai compagni per una azione comunista», n. 2, s.d. [18, post gennaio, 1955].
  7. Si v. «l’Unità», 25 luglio 1956.
  8. Una ricostruzione della storia di Azione comunista e di come si è giunti alle espulsioni si trova in una lettera aperta scritta dallo stesso S. ai lettori: AGS, Azione comunista, b. 22, fasc. 8., “Documenti di Azione comunista e dei gruppi della sinistra rivoluzionaria e corrispondenza”, G. Seniga, «Ai lettori e ai compagni di Azione comunista», cicl., maggio 1959.
  9. Anita Galliussi Seniga è nata a Udine nel 1925, figlia di Sante, un artigiano del ferro battuto, dirigente del Pci e di Mira Ronco, operaia. Nel 1931 espatria clandestinamente con la madre in Francia, per incontrare il padre, un funzionario comunista che ha scontato una condanna al confino al quale il partito ha affidato una missione clandestina in Italia. Nel 1932 apprende che il padre è stato arrestato e sconta una lunga pena inflitta dal Tribunale Speciale e in agosto, il partito organizza la sua partenza per l’Unione sovietica, assieme alla madre Mira. Dal 1932 al 1941 frequenta regolari corsi di studio presso istituti che accolgono i figli di dirigenti comunisti reclusi nelle carceri fasciste o impegnati nella lotta clandestina nei vari paesi: nel 1932 in una struttura promossa dal Soccorso Rosso e dal 1933 presso la Casa internazionale per l’infanzia di Ivanovo. Nel 1942, mentre è in procinto di iscriversi all’università, il rappresentante italiano presso il Comintern le propone di frequentare la Scuola politica di quella organizzazione. Quando nella primavera del 1943 viene sciolta l’Internazionale comunista, lavora presso la segreteria di Togliatti, sino alla partenza di questi per il viaggio che lo riporterà in Italia. Mentre attende di essere inviata in Italia per partecipare alla guerra partigiana e ritrovare il padre, nel marzo 1944 al luglio 1945 frequenta la Scuola speciale di radiotelegrafia presso l’Istituto di ricerche scientifiche di Mosca, uffici che proseguono l’attività degli uffici centrali del Comintern. Ottenuta l’autorizzazione a tornare in Italia, rientra con regolare passaporto assieme alla madre nell’ottobre 1945. Solo al suo arrivo a Udine, il 1 novembre, apprende dalla nonna materna la notizia della morte del padre, avvenuta il 3 febbraio 1943 pochi giorni dopo essere uscito dal carcere.
    Qualche giorno dopo è in partenza per Roma, dove è attesa da Togliatti che l’ha destinata ad un incarico clandestino da svolgere presso un appartamento della periferia cittadina: delle esercitazioni quotidiane per il collegamento via etere con Milano, Genova e Torino, prive però di informazioni. Un’attività, nota solo a Togliatti e a Umberto Massola, che cesserà, con lo smantellamento delle apparecchiature, durante la campagna elettorale del 1948. Nel marzo 1947 viene chiamata a lavorare presso gli uffici della direzione e nelle settimane successive incontra Giulio Seniga, anch’egli appena arrivato a Roma dalla federazione di Cremona. Dal 1947 al luglio 1954 le vengono affidati sia un lavoro d’ufficio sia incarichi riservati. In questa veste, per diversi anni, recapita presso la legazione cecoslovacca i passaporti per i visti speciali di entrata in quel paese e compie mensilmente dei viaggi clandestini a Praga, per portare in Italia il bollettino del Cominform.
    Il 25 luglio 1954, giorno in cui il suo compagno si allontana da Roma, la coglie a Udine mentre, ignara degli eventi in corso, ritorna da una missione in Cecoslovacchia. Il 28 luglio, dopo il suo rientro a Roma, riceve un espresso speditole da Seniga, contenente la lettera di dimissioni inviata a Pietro Secchia, con la richiesta di trascriverla e inviarla al destinatario. Mentre Secchia, Cino Moscatelli e altri dirigenti cercano di rintracciare Seniga, intrattiene con lui una corrispondenza epistolare. In questi giorni ha già deciso di condividere la scelta di vita di Giulio Seniga. Il 12 agosto si reca a Udine dove concorda un appuntamento con Seniga per raggiungere assieme il paese natale di quest’ultimo, Volongo. Non appena giunti in paese, apprendono che il padre di Seniga è stato colto da un ictus. Mentre si svolgono gli incontri familiari, è testimone delle lunghe riunioni e discussioni tra il dissidente e il gruppo di dirigenti del Pci che nel frattempo hanno raggiunto Volongo, tenutesi sia in case private sia presso la federazione provinciale di Cremona. Alla richiesta del partito di rientrare immediatamente a Roma Anita Galliussi oppone un rifiuto, decidendo di ripartire solo dopo lo svolgimento dei funerali del padre di Seniga. Al suo rientro al lavoro, è convocata in direzione da Arcangelo Valli e Antonio Cicalini, collaboratori di Secchia, i quali le chiedono di chiarire il suo ruolo nella vicenda. In questa occasione comunica al partito che ha deciso di aderire alla scelta politica del suo compagno. Si trasferisce così a Milano e da questo momento la sua storia politica si interseca con quella di Giulio Seniga, del quale è la più stretta collaboratrice in tutte le iniziative intraprese in un quarantennio di attività. Assieme compiono numerosi viaggi all’estero, in Francia, in Israele, in Inghilterra, negli Stati Uniti. Nel 1966 dà alle stampe un libro, I figli del partito, contenente il diario scritto negli anni in cui è vissuta nell’istituto di Ivanovo integrato dalla corrispondenza con il padre Sante, negli anni in cui sconta la pena inflittagli dal Tribunale Speciale. Il libro inaugura un lavoro di recupero e di conservazione delle carte e di recupero della memoria del padre, abbandonato dal suo partito nelle mani dell’Ovra perché sospettato di simpatie trostkiste.
    Dopo la morte del marito, avvenuta nel 1999, si è trasferita a Roma, dove ha proseguito quest’impegno dedicandosi alla conservazione dell’archivio personale di Giulio Seniga, testimonianza anche di gran parte della propria storia politica.
  10. Mario Padano [pseudonimo di G. Brera], La nuova battaglia di Seniga, «Settimo Giorno», 7 maggio 1958.
  11. R. Luxemburg, Centralismo o democrazia? (Replica a Lenin), Testo integrale del saggio: “Questioni di organizzazione della socialdemocrazia russa” (Stuttgart, 1904), a cura di Gruppi d’azione Carlo Pisacane, Introduzione di P. Carlo Masini, 1962; Sciopero generale: partito e sindacati: pagine scelte, con la 3. edizione di Centralismo o democrazia? (Replica a Lenin), introduzione di M. Pinzauti, 1963; e di A. M. Kollontaj L’opposizione operaia” in Russia. “Rabociaia Oppositzia” (Inedito per l’Italia), introduzione e note a cura di G. Bianco, A. Galliussi, P. Luigi Gasparotto, 1962, L’opposizione operaia da Kronstadt a Danzica. 1921-1971, pagine scelte di V. Serge, prefazione di P. Carlo Masini, [dopo il 1971]. Un’operazione avviata già qualche anno prima durante la militanza in Azione comunista, con le edizioni milanesi Prometeo e Movimento operaio: R. Luxemburg, La rivoluzione russa, introduzione di O. Damen, Milano, Edizioni Prometeo, s.d. [1957]; Replica a Lenin a proposito di centralismo e democrazia: il testo integrale del saggio “Questioni di organizzazione della socialdemocrazia russa” 1904, introduzione di P. Carlo Masini, Milano, Movimento Operaio, 1957.
  12. I. Mett, La rivolta di Kronstadt (Il ruolo della Marina nella rivoluzione russa). Pagine inedite di storia sovietica, 1962; I contadini russi 50 anni dopo. Luci e ombre della rivoluzione sovietica, prefazione di L. Paladini, 1967.
  13. A. Azzaroni, Blasco. La riabilitazione di un militante rivoluzionario, introduzione di I. Silone, 1962; C. Berneri, Mussolini: psicologia di un dittatore, a cura di P. Carlo Masini, 1966; E. Riboldi, Vicende socialiste. Trent’anni di storia italiana nei ricordi di un deputato massimalista, introduzione di G. Tamburrano, 1964.
  14. G. Marozin, Odissea partigiana.” I 19 della Pasubio”, introduzione e note di F. Catalano, 1965.
Milano 28 aprile 1945 comizio della liberazione.
Moscatelli sta parlando alla folla. Sotto di lui si riconosce
Luigi Longo (è importante perché secondo alcune
“testimonianze” quel giorno Longo si sarebbe trovato a Dongo
per organizzare la fucilazione di Mussolini)

Martino Seniga

Giulio Seniga
nel ricordo del figlio Martino

Perché il 25 luglio del 1954 Giulio Seniga si dimette dall’incarico di (vice)responsabile dell’«apparato di riserva» del pci?

Il 25 luglio 1954 Giulio Seniga esce per l’ultima volta dalla sede del pci in via delle Botteghe Oscure a Roma. Nella borsa che porta con sé una parte dei fondi segreti, che il partito riceveva regolarmente da Mosca, e alcuni documenti politici. Iniziava così quella che Seniga, nell’introduzione alla terza edizione del suo Togliatti e Stalin (1), ha definito: «una ribellione cosciente e determinata sotto ogni aspetto politico e organizzativo».
Nei mesi precedenti Seniga aveva inutilmente cercato di convincere Pietro Secchia, allora numero due del pci, ad agire contro l’egemonia politica e il culto della personalità di Palmiro Togliatti. Nella lettera che invia a Secchia con le sue dimissioni dagli incarichi di partito, ma non dal partito, chiarisce che quella che ha intrapreso è un’iniziativa motivata dal «malcostume fatto di opportunismo, paura e conformismo che vige nei massimi organismi dirigenti» e che intende agire perché «il movimento operaio italiano è stato un’altra volta imbarcato su una strada in fondo alla quale non ci sarà che il fallimento completo» (2).
A questo punto si possono formulare almeno due ipotesi:

  1. Seniga sperava di obbligare Secchia ad opporsi apertamente a Togliatti anche a costo di uscire dal partito comunista;
  2. Seniga aveva capito che Secchia non intendeva ribellarsi all’apparato di partito ed aveva deciso di dotarsi dei mezzi (danaro e documenti) necessari per costruire un movimento politico militante ed operaista con l’obiettivo di spingere il partito ad un rinnovamento di linea politica e di agevolare un ricambio della dirigenza.

Oggi sappiamo che, tra queste due possibilità, quella che si è avverata è la seconda, anche se non escludo che, per qualche tempo, mio padre abbia sperato nell’avverarsi della prima ipotesi.
Da anni Palmiro Togliatti guidava un partito servo di due culti della personalità, quello del «Piccolo Padre» Stalin e quello del «Migliore», lo stesso Togliatti, che era ad un tempo confidente e complice di Stalin, nell’Internazionale comunista, e leader del maggiore partito comunista al di fuori del cosiddetto blocco comunista. Un partito in cui le voci di dissenso, quando erano ritenute pericolose, erano immediatamente schiacciate. Nel 1954 perfino Secchia, unico possibile antagonista politico del capo, trovava sempre meno spazio, rischiava di perdere il ruolo di responsabile della Commissione centrale di organizzazione e veniva privatamente calunniato. Tra le altre voci messe in giro nel partito e stranamente riprese, con tattica trasversale, dalla rivista «Risorgimento socialista» di cui era responsabile Valdo Magnani (3), c’era persino quella di una propensione omosessuale di Secchia, cosa che in quegli anni era considerata una degenerazione morale gravissima indegna di un dirigente del partito.

Il comando delle Brigate Garibaldi nei giorni della liberazione.
Cino Moscatelli è quello con il cappello da alpino,
Seniga è il secondo da destra

Dagli appunti di mio padre risulta chiaro che, nel luglio del 1954, Secchia, sulla via di essere sostituito da Amendola nella responsabilità organizzativa del partito e calunniato per le sue presunte propensioni sessuali, stava subendo gli attacchi con rassegnazione, senza provare a ribellarsi alla tenaglia che lo stava stritolando.
Probabilmente fino all’ultimo Seniga ha sperato che Secchia prendesse in mano la situazione opponendosi a Togliatti dentro o fuori dal partito. Giorgio Galli ricorda che quando mio padre era andato a cercarlo a Milano, su incarico di Togliatti (4), Seniga gli aveva parlato di un gruppo di opposizione interna al partito. Forse questo gruppo non esisteva veramente e si basava solo sulla adesione a parole, quasi carbonara, di alcuni militanti e dirigenti che si richiamavano a Secchia ed alle sue posizioni operaiste. Certamente Seniga riteneva che, per sopravvivere nel partito, un gruppo di questo tipo doveva contare su un leader politico della levatura di Secchia. Insomma Seniga si riteneva “in missione” per conto di Secchia ma probabilmente non aveva mai avuto l’avallo di Secchia.

Mosca 1949 nei giorni del compleanno di Stalin. Seniga
è al centro. In senso orario dall'alto: Matteo Secchia, Giuliano
Gramsci, Mario Spallone, l'interprete sovietica e Delio Gramsci

Davanti al rifiuto ad agire del suo referente politico Seniga ha deciso di fare tutto da solo, cercando di realizzare lui stesso, seppure con obiettivi diversi, quella “svolta” che Secchia non aveva né la forza, né la voglia di fare. Come appare chiaro dalla lettera a Secchia, Seniga si ribellava essenzialmente al culto della personalità stalino-togliattiano ed all’andazzo politico che vedeva la crescita, all’interno del pci, di una nuova “casta” di funzionari che (anche se non operava nei modi disonesti e truffaldini, che diventeranno la norma per i partiti politici italiani negli anni Ottanta e Novanta) era il riflesso di quella “terza classe” di burocrati di partito che si era andata formando in Unione Sovietica e nei paesi del cosiddetto “socialismo reale” dove, per dirla con George Orwell, «tutti gli animali sono uguali ma qualcuno è più uguale degli altri».

Seniga a Milano alla fine degli anni '80

A Pietro Secchia probabilmente è mancato il coraggio di fare quel passo che avrebbe consentito di aprire anche in Italia il dibattito sulla degenerazione del sistema sovietico, sul culto della personalità staliniana e i suoi riflessi italiani. Una scelta che l’ex numero due del pci ha pagato perdendo ogni posizione di potere e restando isolato all’interno del suo stesso partito, ma senza mai rinunciare agli onori delle cariche parlamentari ed istituzionali. Secchia, che è morto a Roma il 7 luglio 1973, è stato regolarmente rieletto al parlamento ed ha rivestito, per alcuni anni, l’incarico di Vice presidente del Senato.

Martino Seniga

Note

  1. G. Seniga, Togliatti e Stalin, Milano, SugarCo, 1978.
  2. Ibid.
  3. Ex partigiano, deputato e segretario della federazione di Reggio Emilia, cugino di Nilde Iotti, era stato espulso dal partito nel 1951 con Aldo Cucchi per aver espresso dubbi sulla politica attendista del pci, aveva fondato l’Unione socialista indipendente e la rivista «socialista». Proprio su questa rivista venne pubblicato nel 1954 un trafiletto intitolato La secchia bucata con chiare allusioni alle presunte tendenze sessuali di Secchia.
  4. Giorgio Galli ricorda che, dopo la pubblicazione della prima edizione della Storia del Partito Comunista, che aveva scritto nel 1953 con G. Bellini, Seniga era stato incaricato da Togliatti di scoprire se lui e Bellini fossero in collegamento con Ignazio Silone.