Rivista Anarchica Online


filosofie

Educazione come arte di vivere
di Federico Battistutta

La pedagogia libertaria di Jiddu Krishnamurti.

 

Una terra senza sentieri

Succede a volte che i contributi, se non più significativi, sicuramente maggiormente stimolanti e provocatori che capita di incontrare all’interno di un qualche settore disciplinare provengano da autori cosiddetti outsider, privi di quelle certificazioni accademiche o intellettuali ritenute indispensabili secondo i celebratori del mantenimento dello status quo del sapere. È il caso del rapporto tra Krishnamurti e il mondo dell’educazione.
Nato in India sul finire dell’Ottocento e morto in California nel 1986, Jiddu Krishnamurti è stato un pensatore apolide che non volle appartenere a nessuna organizzazione, nazionalità o religione. Allevato e istruito, sin da bambino, per divenire un maestro spirituale, egli stesso, nel 1929, rifiutando il ruolo di autorità attribuitogli, ruppe drasticamente con tale prospettiva. Dirà proprio in quell’occasione: “Ricorderete la storia del diavolo e di un suo amico che, camminando, vedono un uomo chinarsi, raccogliere qualcosa da terra e metterselo in tasca. L’amico chiese al diavolo: “Che cosa ha raccolto?”. “Un pezzo di verità”, rispose il diavolo. “Un brutto affare per te”, disse l’amico. “Per niente!”, rispose il diavolo. “Aspetterò che la organizzi!”. Io affermo che la verità è una terra senza sentieri e non si può raggiungere attraverso nessuna via, nessuna religione, nessuna scuola. Questo è il mio punto di vista, e vi aderisco totalmente e incondizionatamente. Poiché la verità è illimitata, incondizionata, irraggiungibile attraverso qualunque via, non può venire organizzata, e nessuna organizzazione può essere creata per condurre o costringere gli altri lungo un particolare sentiero”.
Dedicò il resto della sua vita viaggiando per il mondo, parlando con numerose persone e dialogando con gli studenti delle scuole da lui costituite. Ciò che stava davvero a cuore a Krishnamurti era la liberazione dell’uomo dai condizionamenti, dalla sottomissione all’autorità, dall’accettazione passiva di qualsiasi dogma, insistendo sempre sul necessario rifiuto di ogni autorità, a cominciare dalla propria, per capire sino in fondo come la struttura della società condizioni l’individuo. Egli non nutriva alcuna fiducia circa la possibilità di modificare le varie istituzioni politiche, poiché non da queste sarebbe giunta la liberazione dell’uomo, bensì tale possibilità risiede nell’uomo stesso, dentro di lui è racchiusa la storia dell’intera umanità. Il passo da compiere è allora finalizzato alla liberazione dell’individuo dalle forme di servitù volontaria di cui è, ad un tempo, vittima e artefice. Da qui l’interesse per i processi educativi.
È opportuna però una chiarificazione preliminare, in quanto circoscrivere l’esposizione ad un campo specifico – quello educativo, appunto – potrebbe apparire una forma parcellizzante, in ultima istanza un modo specialistico di affrontare il rapporto dell’uomo con l’esistere, in contrasto con un approccio globale da sempre perorato da Krishnamurti. Non a caso dirà in un’occasione: “Se, esaminando un fiore, ne strappate i petali a uno a uno, alla fine il fiore non c’è più. Avete in mano pezzi di un fiore, ma quei pezzi non fanno la bellezza del fiore”.
Ma è anche vero che è sempre stata centrale nella sua riflessione, proprio nella prospettiva di una liberazione dai vari dispositivi sociali opprimenti, l’attenzione e l’analisi ai vari processi di condizionamento che proiettano il soggetto sul piano dell’infelicità e dell’inautenticità. Non solo: se resta fuori da ogni dubbio che Krishnamurti è sempre stato un critico implacabile verso ogni tendenza a codificare e a istituzionalizzare il fluire senza fine della vita, è ugualmente vero che esiste un luogo – la scuola – che non ha rifiutato del tutto e anzi si è adoperato per renderla a misura di bambino (o di adolescente). Del resto, la pedagogia di cui parleremo risulterà esente da fissazioni prescrittive, preferendo invitare ad una osservazione innovatrice, ad un silenzio attivo e partecipe, verso una formazione multilaterale della persona.

Educare alla vita

Se nel dibattito pedagogico contemporaneo Krishnamurti ha sollevato talvolta più di una perplessità e diffidenza, al punto da vedere ignorate le proposte concrete messe in atto, non si è potuto d’altronde non cogliere “una sorprendente convergenza fra le esigenze che rampollano da una così totale iconoclastia, e quelle che la migliore pedagogia contemporanea è andata lentamente maturando” (così Aldo Visalberghi, uno dei maggiori scienziati italiani dell’educazione, su Krishnamurti), individuando interessanti analogie con le linee pedagogiche di Tolstoj, Dewey, Whitehead, Huxley, Rogers, fino ad Illich.
“L’insegnamento è la professione più elevata della vita”, afferma il nostro autore, sottolineando la profonda responsabilità che richiede tale attività, poiché l’obiettivo dell’educazione è la facilitazione verso lo sviluppo globale dell’essere umano, e di conseguenza verso lo sviluppo globale della società. Secondo Krishnamurti la connotazione primaria dell’essere umano consiste nella compresenza simultanea di una pluralità irriducibile di tensioni, componenti e livelli che chiedono ascolto ed espressione. Diversamente dalle concezioni riduzioniste che possono indurre acute lacerazioni nell’evoluzione del soggetto, “l’educazione dovrebbe realizzare l’integrazione di queste entità separate: infatti, senza integrazione, la vita diventa una serie di conflitti e dolori”. Poiché le impostazioni settoriali e specialistiche rivelano anche in campo educativo la loro intrinseca limitatezza, Krishnamurti propone un’istruzione che miri a fondersi con l’arte di vivere. Il reale è tutto ciò che sta accadendo – questo è ciò su cui egli insiste anche nel corso degli incontri e delle conversazioni con gli adulti – quindi non vi è mai un istante in cui non vi sia apprendimento, ogni azione racchiude un moto educativo e l’intero processo vitale è istruzione. “Lo studente che osserva una foglia ondeggiante nel sole è attento. In quel momento, costringerlo a ritornare al libro equivale a scoraggiare l’attenzione; mentre aiutarlo a osservare perfettamente quella foglia lo rende consapevole del culmine dell’attenzione in cui non vi è alcuna distrazione”.
L’arte di vivere si manifesta e si dispiega attraverso l’apertura alla complessità della vita per mezzo di una percezione calma e limpida, dove non esiste rifiuto o traccia di dualità di fronte a ciò che c’è, a ciò che sta accadendo, al presente che continuamente si manifesta. Secondo Krishnamurti la visione dualistica, separativa, é in ultima istanza un’espressione oppositiva che si origina quando fuggiamo dinanzi a ciò che c’è, quando le associazioni reattive della mente, rispetto a quanto accade, scatenano l’espressione dei vari condizionamenti subiti e assimilati dalla stessa mente per sottrarsi all’otherness, al radicalmente nuovo, allo stupore permanente di fronte al nudo fatto di esistere. “Vivere significa scoprire per conto proprio quello che è vero, e potete fare questa scoperta soltanto quando c’è libertà, quando dentro di voi c’è una rivoluzione continua”. E ancora: “Non imitare, ma scoprire, questa è la vera educazione”. Da questa prospettiva va assunta criticamente la dicotomia che potrebbe crearsi fra una seppur nobile idealizzazione di valori e di modelli, da una parte, e il puro e semplice dispiegarsi del reale, dall’altra.
Senza accorgercene, siamo entrati nella questione del rapporto docente/discente. L’esistenza è relazione, afferma Krishnamurti, come altri prima di lui, sostenendo che “per comprendere noi stessi dobbiamo essere consapevoli del nostro rapporto non solo con la gente, ma anche con le cose, con le idee e con la natura”. Il primo passo che compirà l’insegnante, secondo la sua prospettiva pedagogica, consisterà nell’accantonare ogni modello di riferimento per accettare la studente com’è e non come dovrebbe essere: “Avere il rapporto più grande e più responsabile è non avere immagini”. A questo punto diviene possibile abbandonarsi alla cooperazione educativa, che assume i tratti di una libera indagine nella libertà, senza barriere tra colui che sa e colui che non sa; ciascuno fa da specchio all’altro nella reciproca e comune responsabilità. “Potete andare molto lontano se partite da molto vicino” scrive Krishnamurti agli insegnanti, “la cosa più vicina a voi stessi è il vostro studente”. Come si diceva poco sopra, a dispetto di ogni dualismo sarà allora possibile raggiungere e toccare il momento in cui l’insegnamento, l’insegnante e colui a cui si insegna coincideranno in un’unità essenziale, meta e cammino dell’intera testimonianza di vita che ci ha lasciato il pensatore indiano.
Su queste basi sono state costruite nel corso del tempo delle scuole ove poter applicare e verificare tali orientamenti. La prima risale alla metà degli anni Venti, in India e oggigiorno molte altre scuole sono state aperte sui principi proposti da Krishnamurti. Ve n’è una anche in Europa, la Brockwood Park School, nell’Hampshire, in Inghilterra, attiva dal ‘69, una comunità residenziale che ospita diverse decine di studenti di entrambi i sessi, di età compresa fra i 14 e i 19 anni, provenienti da tutto il mondo. L’ethos di queste scuole può essere definito come non-gerarchico, non-coercitivo, non-competitivo, volto alla cura globale della persona, orientate quindi non solo al raggiungimento di esiti positivi dal punto di vista del curriculum scolastico dello studente, ma rivolgendo l’attenzione allo sviluppo fisico, psicologico, relazionale, morale e spirituale della persona. Con le parole di un insegnante di queste scuole: “Insegniamo ciò che sappiamo, ma educhiamo ciò che siamo”.

Federico Battistutta

Leggere Krishnamurti

L’ampia citazione iniziale del discorso di Krishnamurti di scioglimento dell’organizzazione che doveva promuoverlo come nuovo messia è apparsa e ricomparsa nel tempo in vari testi; tra i più recenti, segnaliamo l’edizione speciale in italiano del "Bollettino della Fondazione Krishnamurti", giugno 1986.
Una biografia krishnamurtiana, anche se a tratti agiografica, corredata comunque da testimonianze, documenti, immagini e lettere è stata scritta da Mary Lutyens, La vita e la morte di Krishnamurti, Roma, Ubaldini, 1990.
Un’ampia bibliografia krishnamurtiana è stata curata da Susunaga Weeraperuma, A bibliography of the life and teaching of Jiddu Krishnamurti, Leiden-Koln-London, Brill, 1974, successivamente integrata da un Supplement to a bibliography of the life and teaching of Jiddu Krishnamurti, Bombay, Chetana, 1982.
I testi di Krishnamurti, in traduzione italiana, specificamente dedicati all’educazione, da cui sono tratte gran parte delle citazioni nel presente articolo sono i seguenti: L’educazione e il significato della vita, Roma, La Nuova Italia, 1958, Lettere alle scuole, Roma, Ubaldini, 1983, Una scuola per la vita, Milano, Aequilibrium, 1988.
Dal 1997 esiste una pubblicazione annuale delle scuole Krishnamurti: “The journal of the Krishnamurti school”, di cui ne è stata tratta un’antologia di testi in italiano, in un numero unico: “Giornale delle scuole di Krishnamurti”, n.1/2002. Per quanto riguarda l’esperienza della Brockwood Park School cfr. Shila Morelli, Educare alla vita. Il caso della Brockwood Park School, tesi di laurea, Università degli Studi di Milano, anno accademico, 2008/2009.
Infine, per una lettura in chiave libertaria, con particolare riferimento al rapporto individuo/società, cfr. Emilia Rensi, Istanze di “liberazione” in Krishnamurti, “Volontà”, n.12/1966.