Rivista Anarchica Online


pedagogia libertaria

Quando ero “la dada coi baffi”
di Grazia Honegger Fresco, Francesco Codello

Così si intitola il libro del nostro collaboratore Andrea Papi, appena uscito per i tipi della Fiaccola. Vi si racconta la sua esperienza di educatore, al nido primo maschio in Italia, poi nella scuola d’infanzia. Le maestre in genere erano (e sono) donne, ma questa volta aveva i baffi. Ed era anarchico. Ne pubblichiamo la presentazione e la prefazione, scritte da due figure di punta della pedagogia libertaria.

 

Grazia Honegger Fresco
Questo lungo percorso nel nido e nelle scuole d’infanzia

Questo è il racconto – vivace, curioso, accattivante – di una vita di lavoro, di un’esperienza insolita, rara nel nostro paese maschilista: un uomo nell’asilo nido. Toccare bambini così piccoli, lavarli, imboccarli, consolarli quando piangono o quando hanno paura di qualcosa? No, questo è mestiere da donne. Solo le madri sanno farlo davvero, si dice. E invece non è così, perché ci sono madri e donne che non riescono ad essere affettuose consolatrici e padri che, senza perdere nulla del proprio ruolo maschile, sono tenerissimi con i figli.
Ed ecco Andrea Papi, maestro elementare senza lavoro, che decide di entrare nel mondo della prima infanzia, ed è subito assalito da altri ostacoli, per il suo passato da sessantottino, per le sue convinzioni libertarie. Fiero oppositore della logica militare, ha subito per questo anche una condanna. Può una persona del genere capire i piccolissimi, trattarli come essi desiderano essere trattati, presi in braccio, accuditi? Evidentemente no, secondo i tanti pregiudizi di questa Italia beghina. Eppure c’è chi si batte contro di essi , anche se dagli anni Settanta a oggi, nella mia ampia frequentazione di Nidi in varie regioni italiane, solo due ne ho incontrati accanto ai più piccoli, uno a Modena, l’altro a Malnate (Varese); ora scopro che a Forlì c’era Andrea.
Forse ce ne saranno altri: sarebbe bello che con l’uscita di questo libro si facessero avanti, a dire la loro su questo Educare e Autoeducarsi che Papi propone a contenuto e sottotitolo del suo lavoro.
Basta scorrerne l’indice per sentirsi conquistati da questo lungo percorso prima nel Nido e dopo vent’anni, con diverso impegno, nelle scuole dell’infanzia.

Immersa nella materia

L’invasione del ”tutto già pronto”

Che cosa lo abbia orientato nelle scelte educative lo si intuisce leggendo i primi capitoli, un punto di vista meno usuale: non di testa, non libresco, ma emozionale, ricco di gioia, del piacere che può dare la scoperta dell’essere umano alle sue origini. Di qui il gusto di relazioni delicate, di attenzioni al corpo e ai sorrisi di un bambino, ai suoi giochi come alle prime tracce lasciate, prima per caso, poi con intenzione.
Belle le sue riflessioni sulle mani dei bambini, ma anche quelle a proposito di organizzazione del lavoro (perfetta a vantaggio dell’adulto o del bambino?), magari attuando nella pratica il contrario di quanto si afferma o delle regole, negoziate e non imposte che, se si stabilisce con i bambini una relazione gratificante, vengono da sole come conseguenza dello star bene con loro. Invece di metterci, scrive ancora Papi, nei panni del controllore, dovremmo indossare quelli di chi è curioso ed è alla qualità delle dinamiche di relazione che occorre porre attenzione piuttosto che a un perfetto scorrere di tempi e di modi prefissati.
E che dice poi della prima volta di un cambio, “mansione fondamentale”, altro che routine, vocabolo, ma “grande opportunità” per comunicare, giocare, parlare o anche del preparare le “pappine” per il divezzamento, scienza ormai purtroppo abbandonata – aggiungo io – di fronte all’invasione del tutto già pronto (e di sicuro meno sano!).
L’attenzione nel momento di cura che diventa carezza per “curare” l’aggressività nascente e si accompagna a un parlare dolce, ritmato, comprensibile al bambino, benevolo – questi i suoi aggettivi – diventa quel contenitore affettuoso senza smancerie di cui ogni piccolo separato dai suoi e dalla sua casa ha bisogno estremo per non vivere la paura dell’abbandono: la voce come carezza ed è detto tutto.
Andrea aveva e ha tuttora quel senso di meraviglia che muove ogni vera azione educativa, ma che molti poi perdono per strada. Il suo punto di riferimento è la pedagogia libertaria, quella che sostiene il valore dell’autonomia di pensiero e della libertà di scelta, tanto strombazzata a parole, ma poi ostacolata di continuo nella pratica a partire da quella educativa. Dunque “una grande sconosciuta”, egli dice, anche se alimentata da nomi illustri come quelli di Marcello Bernardi, Lamberto Borghi, Mario Lodi, William Godwin e altri ancora. La “dada con i baffi”, anzi il “dado”, si è sentito dunque sostenuto, in un lavoro educativo per nulla facile (contrariamente a quanto si pensa), dagli ideali anarchici, termine ancora oggi visto sotto una luce ambigua. L’immagine dell’anarchico bombarolo che ogni tanto rispunta, è definizione comoda a destra come a sinistra per disconoscere la più minoritaria – se così si può dire – delle utopie possibili e negare la ricchezza che viene dalle convinzioni libertarie al modo di Camillo Berneri o dell’inglese Colin Ward, uno degli educatori più illuminati, di recente scomparso. Ma di questo parlerà con ben altra competenza l’amico Francesco Codello.
Torno al tema iniziale. Una vecchia montessoriana come me ha avuto sempre il rimpianto che anche nelle Case dei Bambini e nelle Elementari Montessori gli uomini fossero così rari, soprattutto dopo aver constatato che non è così ovunque. Basta oltrepassare le frontiere verso il Nord Europa, senza contare gli Stati Uniti, per vedere come la cultura del bambino piccolo abbia ben altra diffusione in paesi più evoluti del nostro, meno imbrigliati in pregiudizi vecchi di secoli.
Quello che mi accomuna un poco al lavoro di Papi è il suo averlo vissuto come un’esperienza professionale e umana davvero straordinaria. Anche per me è stato così: un privilegio raro aver imparato a leggere nei silenzi, nei piccoli gesti, nei pianti di un neonato o di un bambino o bambina di uno o due anni. Anch’io ho provato lo stesso senso di meraviglia di fronte a quel miracolo sempre nuovo che è ogni “”lunga infanzia umana” (come Maria Montessori la definì). Anzi sento che proprio questo è stato il motivo conduttore delle mie persuasioni e del mio impegno pedagogico.
Con un grazie di cuore auguro dunque ad Andrea Papi – e a noi tutti per il benessere che ne deriverebbe – che la sua fatica contribuisca a demolire il più ostinato dei pregiudizi, a rimuovere diffidenze e insensate gerarchie sociali, per aprire anche agli uomini i luoghi della prima e della seconda infanzia. Quando questo succederà, saremo davvero in un’altra epoca.

Grazia Honegger Fresco

Contrassegnamo un percorso –
laboratorio (particolare)

Francesco Codello
Tra i più piccoli dei piccoli

Gli anarchici hanno sempre avuto nei confronti dell’educazione una sensibilità particolare. Nel corso degli anni della loro storia (a partire dal tardo illuminismo in poi), hanno spesso riposto nella relazione educativa un interesse che trascende la mera attenzione per concentrarsi sulle potenzialità che l’atto educativo libertario può esprimere nei confronti della trasformazione sociale.
L’educazione dunque non è mai stata concepita come una questione privata e isolata ma, piuttosto, come uno degli elementi fondamentali per l’emancipazione umana. Attraverso di essa infatti il cambiamento sociale può sostanziarsi e cementarsi in una sorta di trasformazione antropologica. Fin dalla questione posta da Carlo Pisacane, se siano i fatti che derivano dalle idee o viceversa, la dinamica tra trasformazione sociale e trasformazione individuale, ha caratterizzato il dibattito anche all’interno dei vari movimenti libertari in Europa e nelle due Americhe.
Questo tema costituisce il ragionamento principale che caratterizza sia le teorie che le esperienze che si sono ispirate a questo filone di pensiero. Infatti, per capire e descrivere l’educazione libertaria nel suo dispiegarsi storico, occorre analizzare sia le intuizioni teoriche che il concreto svolgersi delle tante esperienze pratiche che hanno arricchito la storia dell’educazione popolare.
Le riflessioni teoriche e le sperimentazioni sono spesso intrecciate ma non necessariamente organiche, piuttosto contigue, e, infatti, spesso chi ha sperimentato non ha teorizzato e viceversa, ma entrambe queste sensibilità si ritrovano unite in un comune progetto di trasformazione sociale e culturale che caratterizza tutta la storia dell’anarchismo.
Sono stati i primi anni del Novecento in Europa quelli in cui maggiormente si sviluppa una componente “educazionista” all’interno del movimento anarchico internazionale, dopo la grave crisi di fine ottocento che ha colpito questo movimento di emancipazione sociale. L’educazionismo trova infatti vasta eco negli ambienti operai e proletari accanto al sindacalismo rivoluzionario, alle sperimentazioni alternative di vita comunitaria, all’antimilitarismo, ecc.

Sfondo colorato di sabbia e farina

Capovolgere l’impostazione adulto-centrica

Ma le origini, per restare in occidente, delle idee educative libertarie possono essere ricondotte principalmente nelle riflessioni del filosofo-precettore, illuminista libertario, William Godwin (1756-1836), il quale può essere considerato, a tutti gli effetti, non solo l’antesignano di una moderna concezione pedagogica autenticamente libertaria, ma anche, probabilmente, nel complesso il più attuale. Infatti sono presenti nelle sue opere, purtroppo poco conosciute in Italia, le considerazioni e le intuizioni che possono caratterizzare un attuale movimento di radicale rinnovamento di un sistema scolastico quanto mai in crisi irreversibile. Il problema educativo è una costante preoccupazione che trova espressione in quasi tutte le sue opere. Godwin si oppone a tutte le pedagogie, compresa quella di Rousseau, fino ad allora elaborate, in quanto esse esprimono una visione adulto-centrica e sono conseguentemente preoccupate di organizzare l’insegnamento piuttosto che garantire le condizioni migliori in cui possa svilupparsi l’apprendimento. Ecco perché, a detta di Godwin, occorre capovolgere questa logica radicalmente, a favore della centralità dei bambini e quindi non pensare a sistemi educativi fondati su di un curricolo generale statale, ma partire piuttosto dalla spontanea e naturale curiosità di ogni singolo bambino e bambina. I desideri e le motivazioni intrinseche prendono il posto dell’autorità dell’insegnante e, in un rapporto dialogico ed egualitario fondato sull’empatia, costituiscono il motore di un apprendimento significativo e fondato sull’esperienza concreta e la sperimentazione, nonché sulla conseguente riflessione teorica.
Ma un po’ tutti i classici pensatori dell’anarchismo hanno dedicato pagine significative a considerazioni sull’educazione. Proudhon porta all’attenzione dei vari movimenti operai dell’epoca l’importanza strategica di un’istruzione politecnica in grado di trasformare i lavoratori stessi da meri esecutori in attivi protagonisti della trasformazione dei processi produttivi; Stirner si preoccupa di liberare, attraverso l’autocoscienza individuale, ogni individuo da tutte le idee astratte e teleologiche che sono proprie delle filosofie più diffuse, a favore dell’affermazione dell’unicità di ogni essere umano; Bakunin mette in relazione la divisione gerarchica del lavoro nella società statale e capitalista con l’avvento della meritocrazia comune anche alla ideologia marxista; Kropotkin, nel segnalare la centralità dell’idea comunitaria, sviluppa la necessità dell’integrazione fra lavoro manuale e intellettuale come indispensabile caratteristica dello sviluppo armonico e integrale della personalità; Reclus coglie i nessi profondi tra educazione e natura anticipando una moderna concezione cosmocentrica dell’educazione stessa. Molti altri pensatori, impossibili qui da ricordare (rimando al mio lavoro citato in bibliografia), hanno aggiunto, sviluppato, integrato, alla luce delle scienze e delle ipotesi culturali più avanzate, altre considerazioni e altre ipotesi di lavoro e di ricerca (impossibile non ricordare Paul Goodman, Herbert Read, Colin Ward).
Accanto a queste riflessioni occorre però ricordare le innumerevoli esperienze che hanno caratterizzato questa storia straordinaria quali quelle di Tolstoj a Jasnaja Poljana, di Paul Robin all’orfanotrofio di Cempuis, di Louise Michel tra i Canachi in Caledonia e poi in Inghilterra, oltre che durante la Comune di Parigi, di Francisco Ferrer in Spagna, di Madeleine Fernet con L’Avenir Social, di Sebastien Faure alla Ruche, di Jean Wintsch alla scuola Ferrer di Losanna, all’asilo-scuola razionalista di Clivio, alle esperienze nella Spagna pre e durante la rivoluzione del 1936, al Portogallo, alla Russia durante la rivoluzione di ottobre fino alla repressione bolscevica, alla Germania e alle tante esperienze inglesi prima e dopo Summerhill, agli Stati Uniti e alle scuole Ferrer e alle comuni come Stelton, all’Argentina, Brasile, Uruguay, ecc.

Tracce di creta

Incontri che lasciano il segno dentro

Ma è indispensabile ricordare infine le tante scuole antiautoritarie che ancor oggi vivono nei diversi continenti e che a partire da Summerhill (fondata nel 1921 in Inghilterra) e dal pensiero di Alexander Neill, costituiscono una rete internazionale di educazione decisamente libertaria senza fare esplicito riferimento alla tradizione anarchica.
Si tratta come si può intuire di un complesso e articolato movimento, poco conosciuto quando non volutamente misconosciuto, che alimenta e arricchisce la storia di un’educazione autenticamente libera e come “seme sotto la neve” (secondo la visione di Colin Ward) prefigura fin da subito un nuovo sistema educativo fondato su principi antiautoritarie ed egualitari, alternativo qui e ora al sistema scolastico autoritario e statale.
Accanto a questi personaggi, spesso carismatici, e a queste esperienze concrete e vive, molte altre persone hanno silenziosamente speso la loro vita e la loro professionalità in questa grande opera di emancipazione umana che è costituita dall’educazione libertaria. Uomini e donne di diverse culture e latitudini geografiche hanno contribuito, e contribuiscono ancor oggi nonostante tutto, a creare ambiti educativi che favoriscono la libera crescita di ogni essere senza il desiderio di sovrapporvi alcuna idea pre-definita di uomo, né religiosa, né ideologica. Persone che si adoperano per far si che l’educazione sia esclusivamente educazione a essere e non a dover essere. Uomini e donne che accettano prima di tutto di mettersi in discussione, di analizzarsi, di confrontarsi, di spendersi gratuitamente, in relazioni empatiche e libertarie, che non fanno parte della storia ufficiale ma che arricchiscono con la loro azione un’altra storia, fatta di esempi vivi di educatori significativi e speciali. Persone che hanno rappresentato e rappresentano esempi di incontri che lasciano il segno dentro, esempi di coerenza e di rispetto dei più deboli, che scrivono pagine fondamentali nel progetto di emancipazione umana e sociale. Questi incontri si possono fare sia nelle esperienze alternative, autogestite che dentro le istituzioni più formali, basta saper cogliere e osservare stili e lineamenti di profili autenticamente genuini e profondamente libertari. Così capita di conoscere maestri come Andrea Papi che ci ha consegnato questa sua testimonianza di una vita lavorativa tra i più piccoli dei piccoli, tutta vissuta intensamente, a favore di questo grande disegno di libertà che è rappresentato da un’opera educativa antiautoritaria ed egualitaria.
Questo libro, che Andrea ha così ben scritto, rivela non solo una storia, seppur minore rispetto a dei canoni tradizionali ma maggiore per intensità e comunicazione, ma anche riflessioni coerenti tra il suo essere anarchico e il suo essere educatore. Forse solo chi ogni giorno si misura con queste problematiche riesce a cogliere le sfumature, le delicate osservazioni, le rispettose parole, con le quali Andrea descrive e racconta questo mondo infantile, ma ritengo che tutti i lettori abbiano il dovere di provarci.

Francesco Codello