Rivista Anarchica Online


G8

Le voci di Genova
di Fabrizio Dentini
foto di Giulio Spiazzi

Lo scorso luglio sono stati ricordati i primi dieci anni dalle giornate del G8. Abbiamo sentito i genitori di Carlo Giuliani, don Andrea Gallo e altre persone. Tanto per non dimenticare.

 

Sono passati dieci anni. Dal G8 di Genova sono passati dieci anni.
E intanto sotto il ponte della memoria non smette di scorrere il fiume dei ricordi, perché chi è stato testimone di quel che successe in quei giorni non lo dimenticherà mai.
Quella che negli anni ‘70 era la gestione del conflitto sociale all’ordine del giorno, noi l’abbiamo vissuta, vista, sentita e inalata tutta in tre giorni.
Ma l’uomo, come le bestie, si abitua alla violenza del simile, si scava una nicchia dove mantenere in silenzio il proprio piccolo simulacro di libertà. Ma ci si deve abituare.
Nel 2001 a Genova non abbiamo avuto il tempo di farlo.


Le voci

Haidi e Giuliano non hanno bisogno di presentazioni. Sono i genitori di Carlo Giuliani morto durante il G8 alle 17.25 del 20 luglio 2001. Raro caso di omicidio senza processo.

Dieci anni di processi e neanche un processo per Carlo. Perché Carlo è stato archiviato subito senza processo e molti ancora non lo sanno. Un processo penale vero e proprio, con tutte le testimonianze, con tutte le prove, con gli imputati in aula, con la prova in piazza con la camionetta e con la prova dello sparo, non c’è stato. Sul perché io ho una risposta. Soprattutto dopo dieci anni. Perché un processo su Carlo metterebbe allo scoperto una brutta storia del nostro paese. Un processo su Carlo andrebbe a toccare alcune pagine molte segrete, molto imbarazzanti della situazione dei servizi segreti e delle forze dell’ordine nel nostro paese. (Haidi)

Le ragioni per cui non c’è stato un processo sono tante. Intanto la prima questione: è stato il primo fatto di cui la magistratura genovese si è occupata. E lo ha fatto in un clima in cui ancora c’era molta disinformazione. Poi indubbiamente chi se ne è occupato ha fatto un lavoro non dignitoso. Perché fidarsi di quanto hanno detto 4 consulenti sul sasso che vola, è una offesa alla logica, alla serietà e all’evidenza. Poi certamente c’è anche il fatto che in quell’occasione i responsabili erano un pezzo del settore ordine pubblico che gode maggiormente, rispetto ad altri, di una logica di impunità (i carabinieri infatti, grazie a Massimo D’Alema, sono stati nominati quarta forza armata e quindi hanno un livello di autonomia rispetto alla vita civile molto più forte di quanto non ne avessero prima). Voglio ricordare che in Piazza Alimonda ci sono il tenente colonnello Truglio, il capitano Cappello, il tenente Mirante, il sottotenente Zappia, che rappresentano un’élite di comando che era stata impegnata, con gradi minori ovviamente, già a Mogadiscio in Somalia già nel 1994. Dopo la Somalia, quello stesso gruppo di comando, ha fatto tutte le cosiddetta campagne umanitarie, cioè le campagne di guerra alle quali l’Italia ha partecipato e cioè il Kosovo, la Bosnia e poi naturalmente l’Iraq e l’Afghanistan. Quel gruppo di comando, il gruppo di elite, come dire messo alle strette, avrebbe dovuto dimostrare che non aveva svolto i suoi compiti in piazza Alimonda. Immagino che andarli a toccare sulla responsabilità di quanto accadde in piazza Alimonda, fosse un’impresa. (Giuliano)

Don Gallo. Prete angelicamente anarchico.

Io voglio sottolineare una cosa: “Come mai sino al giovedì non era successo niente? Lunedì, martedì, mercoledì, giovedì. Niente. Come mai? Li scatta un ordine.” La Burlando [NDR.Vice questore all’epoca dei fatti, oggi in pensione] una volta tra noi dice: “A me come graduata non mi ha mai interpellata nessuno”. Tutto ruota attorno alla trappola e alla provocazione grave di Via Tolemaide, addirittura avevamo il lancio di lacrimogeni da sopra, dalla ferrovie. Quindi era già preparata. Se poi hanno fatto quello che hanno fatto da Bolzaneto alla Diaz è perché sapevano che potevano farlo. Tanto è vero che li hanno promossi tutti. Io ho parlato con dei protagonisti, c’era anche un giornalista sportivo il quale figlio è finito a Bolzaneto. E belin li han massacrati.

Angela Burlando, ex poliziotta e sindacalista. Nel 2001 era vice questore di Genova.

C’è stato un momento particolare in cui mi sono resa conto che l’ordine pubblico era sfuggito completamente di controllo. C’è stato un momento in cui ho capito cosa voleva dire essere servitore dello Stato. Perché ti sentivi impossibilitato a rispondere ai problemi nella maniera in cui desideravi. Di fronte al caos, di fronte a una folla, alla mancanza di spazi, poi diventi un qualcosa che non è più quello che credevi di essere. [...] E poi non è stato possibile favorire l’accertamento delle verità. Perché c’è stato un percorso che andava in direzioni opposte: mentre il Ministero tutelava a spada tratta i funzionari che secondo me potevano essere considerati o meno responsabili di fatti più o meno gravi, ma comunque dovevano essere analizzati proprio nei contenuti delle loro azioni, dall’altro lato la magistratura portava avanti un’inchiesta e invece il Ministero degli Interni li promuoveva. Per cui mentre erano sotto accusa venivano promossi. Risultato che oggi noi abbiamo una polizia che dovrebbe essere al servizio del cittadino che ha nei posti chiave molte persone che sono pregiudicate. Piaccia o meno questa è una verità, cruda, ma è così.

Carlo Bachschmidt, consulente tecnico dei processi. Gestore dell’archivio del Genoa Social Forum attraverso il quale le difese hanno potuto ricostruire cosa accadde in quei giorni.

Il G8 è qualcosa di scomodo da ricordare e contiene in se elementi problematici che appartengono a tutti, appartiene al movimento come alla politica istituzionale che ad esempio non si è mai espressa sulle condanne delle forze dell’ordine, se non a loro difesa. Ecco questo è un problema politico perché dopo la sentenza in appello qualcosa bisogna restituire all’opinione pubblica. Sono passati dieci anni e politicamente, non sulla condanna del singolo funzionario, ma una valutazione grazie alla ricostruzione che è emersa dai processi, secondo me è necessario farla. È possibile che non sia mai stata fatta una riflessione politica seria sul perché quelle forze dell’ordine sono state impiegate in quel modo in quei giorni a Genova? E che si porti sempre la responsabilità sui singoli funzionari che hanno operato? E che non siano invece le forze politiche istituzionali a farsi carico di quel risultato? Ad esempio del fatto che la carica di Via Tolemaide, che ha determinato i fatti di venerdì pomeriggio, sino all’uccisione di Carlo Giuliani, perché quello è stato l’evento scatenante della reazione dei diecimila del corteo dello tute bianche e che ha portato al disastro della situazione in quella zona. La carica illegittima avviene alle 15.00 meno qualche minuto e Carlo Giuliani muore alle 17.25. Il capitano dei carabinieri Antonio Bruno con 200 uomini del III battaglione Lombardia e senza probabilmente ricevere l’ordine dal dirigente di polizia, ha deciso di caricare un corteo autorizzato e pacifico di 10.000 persone. Questo secondo me è un dato molto significativo.

Laura Tartarini, avvocato e attivista genovese.

Perché i dirigenti dei carabinieri che avevano la responsabilità di questa carica illegittima non sono stati rinviati a giudizio come i vertici della polizia che avevano responsabilità in altri frangenti?

Per esempio perché alla fine del processo ai 25 manifestanti quando venne emessa la sentenza, nella sentenza era scritto che il Capitano Bruno e altri due responsabili della carica in Via Tolemaide dovevano essere...insomma gli atti dovevano essere inviati alla Procura affinché indagasse sull’ipotesi di falsa testimonianza. La Procura della Repubblica non ha mai fatto un atto di indagine. Per cui adesso il processo è prescritto perché la falsa testimonianza si prescrive in 5 anni.

Queste le voci di alcuni protagonisti di quelle giornate e dei dieci anni che ne sono seguiti. Le domande inevase restano molte, da un lato l’omertà e il depistaggio messi in atto dalle forze dell’ordine, con il suffragio dei partiti politici di tutti gli schieramenti, miete inevitabilmente uno spartiacqua profondo fra le verità accertate dai tribunali e la verità di quel che successe in quei giorni di luglio. Dall’altro lato, a dieci anni di distanza, abbiamo persone condannate in concorso in devastazione e saccheggio, semplicemente perché presenti in un contesto di scontri di piazza. Le condanne per i manifestanti sono durissime, sino a 15 anni. E se nelle file della polizia i dirigenti condannati sono stati promossi, rimane sempre da chiedersi perché fra carabinieri, guardia di finanza e polizia penitenziaria, soprattutto i GOM, presenti a Bolzaneto, ma mai chiamati a giudizio, nessuno abbia mai subito un processo. Il rigore dei tribunali, l’accertamento giudiziario dei fatti mostra un diverso metro a seconda di quanto sono scomode le inchieste da approntare.

Sono passati dieci anni e francamente non ci meritiamo di certo quello che abbiamo di fronte.

Fabrizio Dentini

Don Gallo sul palco

Piacenza

Un prete, l’anarchia, Emilio Canzi

Nell’affascinante cortile di Palazzo Farnese, gremito da oltre un migliaio di persone, si è tenuta lo scorso 1° luglio a Piacenza un’originale serata incentrata – già nel titolo – sull’anarchismo e gestita, con incredibile energia, dal palco, da un prete. La cosa, forse, può apparire meno strana se si tiene conto che il prete in questione è don Andrea Gallo, della Comunità San Benedetto di Genova e che il titolo (“Angelicamente anarchico”) riprende pari pari quello di uno dei vari libri che ha pubblicato negli ultimi anni.
A chiarire ulteriormente che il riferimento all’anarchismo non era nè superficiale né strumentale, sul manifesto di convocazione (riprodotto qui a fianco) era evidenziata un’affermazione del don decisamente impegnativa: mi sento anarchico perché nella mia vita la coerenza l’ho imparata dagli anarchici.
Per due ore e mezzo don Gallo ha avvinto il pubblico con il suo strabordante eloquio, raccontando episodi della propria vita di prete “da strada”, i numerosi e vari incontri avuti con tante persone, e gli scontri con tanti uomini di potere. Da Giuseppe Pinelli a Carlo Giuliani, dal periodo partigiano alla drastica critica alla Chiesa dei privilegi (cui don Gallo contrappone la Chiesa di Cristo il rivoluzionario), dal sarcasmo anti-berlusconiano alla difesa dei diritti di tutti gli emarginati e gli oppressi, don Gallo ha corso avanti e indietro per il palco, inframmezzato dalle canzoni dell’amico Fabrizio De André eseguite dal vivo dall’ottima band genovese degli Ostinati e Contrari, ragazzi che sono stati o sono nella Comunità San Benedetto. “Sentite come sono bravi i miei drogatoni” scherzava don Gallo.
Quando ha parlato in specifico degli anarchici e dell’anarchismo, don Gallo ha chiamato sul palco Paolo Finzi, della redazione di “A”, con cui già aveva partecipato ad iniziative in ricordo del comune amico De André e in difesa dei diritti degli ultimi. Quando Finzi, che ha rivendicato di essere “orgogliosamente ateo”, ha ricordato la limpida figura di Emilio Canzi, piacentino, mitico “capo” della Resistenza in questa zona, il pubblico è scoppiato in un prolungato applauso che segnala la memoria che ancora si conserva dell‘uomo e del suo impegno antifascista.
Decisivo è stato il contributo di Orazio Gobbi, anarchico, dell’Associazione culturale Kairòs, organizzatore dell’iniziativa.