Rivista Anarchica Online


teatro

Il teatro irrazionale di Francesco Autiero

Un autore profondo e originale, nel segno di Artaud.

La morte non è nel non poter più comunicare, ma nel non poter più essere compresi.

Pier Paolo Pasolini

Provo dolore, Nostalghia, per dirla con Tarkovskij, a scrivere di Franco Autiero (1945/2008), a scrivere ad memoriam di un amico, di un compagno di strada che ha abbandonato la scena della vita come un coup de théâtre. Si è allontanato lasciando un vuoto impenetrabile, imprendibile nel teatro. Partenza letta come uno dei lampi figurativi del suo teatro: senza trama e senza traccia. Trip improvviso, verso il limbo, in cui r/esistono Craje e Pscraje, le due figure artaudiane di Ambo.
Ho conosciuto Franco circa vent’anni fa e da quel momento abbiamo realizzato alcuni lavori insieme e altri erano in progettazione.
Scenografo, drammaturgo, regista, studioso di teatro, storico dell’arte e della letteratura: un intellettuale a tutto tondo, un umanista moderno figlio di quella provincia colta e curiosa. Era nato a Vico Equense (Na) dove aveva vissuto e dalla quale era partita la sua ricerca teatrale insieme ad Annibale Ruccello e Lello Guida con cui aveva fondato la Cooperativa “Il Carro”, dove Annibale mosse i primi passi come autore, regista e attore e del quale Autiero era stato il fedelissimo scenografo di tutte le sue opere: da Le cinque rose di Jennifer a Ferdinando. Ha svolto attività di ricercatore nell’ambito dei Beni Culturali e dell’antropologia campana, con particolare interesse per gli aspetti teatrali dei rituali popolari. Come storico dell’arte ha scritto, tra gli altri, il prezioso saggio sugli affreschi del XIV sec. della cappella di Santa Lucia a Massaquano (frazione di Vico Equense).

Franco Autiero

Folgorazione istantanea

Si è distinto anche come autore di pièce teatrali che hanno ricevuto premi e segnalazioni a livello nazionale: Ambo nel ’93 ha vinto il premio Stabia C. Madonna e, insieme al testo Il Sale degli esposti, ottenuto un’unanime segnalazione della giuria alla 42° edizione Riccione Ater per il teatro.
Ambo è stato pubblicato nel ’98 e nel 2007 è stato rappresentato, firmandone egli stesso la regia, nell’ambito della XXVII edizione del Festival “Benevento Città Spettacolo”.
Altri suoi testi drammaturgici sono: La trapassata delle trapassate, con cui ha vinto la borsa di studio al Premio Solinas nel ’96, Miserabilia, Espiantati, Polveri condominiali, Matamoro con cui ha vinto il Premio Candoni nel ’95 e andato in scena a Napoli nel 2000 per il ‘Maggio dei Monumenti’.
Autiero ha iniziato a scrivere dopo la morte, la partenza – come egli stesso la definisce – di Ruccello. Nasce da una situazione di sofferenza e gli serve per tentare di ri/elaborare la perdita. E, a proposito della scrittura teatrale, il Nostro in un’intervista di qualche tempo fa ha affermato:

«È stata una cosa difficilissima andare da attori e gente di mestiere per far leggere gli scritti. Però una cosa è la scrittura, altra è la vicenda della realizzazione legata a tutt’altri fattori che sono di natura esclusivamente commerciale: il nome in cartellone del regista o dell’attore. Questo è un aspetto molto amaro. Spesso i testi non vengono nemmeno letti, sembra quasi che gli addetti ai lavori non abbiano la competenza della selezione. Come autore vieni selezionato solo per caso o se hai un grosso sponsor che ti impone».

Che lungimiranza!
La drammaturgia di Autiero e Ruccello, con tragitti-epidemici differenti ma con le stesse intenzionalità, si rifà alla folgorazione istantanea che già aveva colpito Artaud, sottraendosi alla gabbia morale, etica e scorgendo in essa l’esperienza sostanziale della s/ragione, che impone ciò che è rappresentabile a teatro: il non-dicibile, il delirio, l’assurdo, popolato di mutanti, di ibridi, che si muovono in frammenti di spazio/tempo illimitati. Ne risulta una lingua teatrale in cui la parola/verbo ritrova l’intero suo valore semantico e si fa carico di storie i cui meccanismi narrativi estremamente articolati e complessi focalizzano, mettono a nudo le immagini più torbide e oscure di una Napoli, intesa come non-luogo, dominata dall’irrazionale, dalla follia e dalla morte. Siamo lontani, quindi, dalla logorata e abusata riproposizione oleografica classica e solare della città di chiara derivazione laurina.
Autiero e Ruccello, anche se hanno sviluppato una propria autonomia stilistica che li diversifica sul piano della rappresentazione, sono accomunati da un’affinità elettiva estrinseca che li lega attraverso un percorso drammaturgico che è quello del delirio linguistico, della babele nel senso tragico e nietzscheano del termine; re/inventano un percorso linguistico attivando un processo di decostruzione, di matrice derridiana, nel quale sono consapevoli di non potersi porre in modo dialettico né con la lingua ufficiale né col dialetto della tradizione, bensì in una zona trans/culturale, un limbo in cui la lingua, la parola diventa ritmo, suono, cadenza, confermando il suo potere. C’è, quindi, il desiderio, il bisogno di una decostruzione, Destruktion – da recepire alla maniera di Heidegger – dello spazio scenico, che dà spazio al corpo e alla voce e non più alla messa in scena. È una recherche che accosta tale forma teatrale più alla filosofia ermeneutica che a uno specifico rimando drammaturgico o letterario. Una testualità ermeneutica e genealogica che si rifà a grandi pensatori come Derrida, Foucault, Heidegger, Nietzsche.
I due drammaturghi – aggiungerei anche Antonio Neiwiller (1948/1993) – mettono in pratica un teatro basato sul concetto di voce/narrazione e sul corpo/testo, quindi una parola che si autonomizza radicalmente dalla scena attraverso un processo lacaniano che privilegia il rapporto con la lingua. Una lingua ibrida che commistiona suoni dialettali, lingua colta, linguaggio dei mass media, quello ancestrale degli avi, e che certamente si distanzia dal dialetto della tradizione: una parlata della differenza, per citare Derrida.
Così Autiero:

«La mia lingua non si può definire barocca ma non può prescindere dall’influenza che il barocco ha avuto a Napoli. Al di là della negatività del termine (che nasce dalla conversione del termine barrueco, cioè irregolare), c’è tutta la trasposizione seicentesca dello stile barocco che ha molto influenzato il teatro e con il quale bisogna fare necessariamente i conti. Il teatro è legato alle manifestazioni della Chiesa che nel ’600 aveva un potere fortissimo. La struttura della frase è barocca, pur se contaminata dalla ricerca minuziosa delle assonanze. Io lavoro di lima con le parole, con tale minuzia che la mia diventa quasi una lingua reinventata, che fa rivivere i vari dialetti meridionali.
È una lingua di paesi, di paesi piccoli e forse, per questo, è anche la meno riconoscibile. È una lingua torva, interferente».

Annibale Ruccello (foto Peppe del Rossi)

Senza compromessi

L’universo drammaturgico di Autiero affonda le radici in un universo simbolico dove confluiscono follia, morte, solitudine, attesa: è il teatro della malattia e del malessere che riconduce a Genet, Pinter, Beckett, Artaud.
Comune denominatore di tutti i suoi drammi sono le figure femminili o figure che tendono al femmineo, in senso archetipico e antropologico/psicologico:

«Quasi sempre donne, la drammaturgia contemporanea mette in scena le donne, perché i comportamenti e le mentalità femminili sono molto più intriganti di quelli maschili. La donna ha una capacità di sorpresa che l’uomo non ha. La donna è meno retorica, meno patetica. Le mie donne sono sicuramente dei tipi paranoici, con una capacità di maturare l’emarginazione che diventa teatro»,

conclude Autiero.
Tutte le opere teatrali testimoniano il suo impegno, etico, intellettuale e civile all’interno del cosiddetto effimero/fuggevole – che per i più resta sempre e solo tale – nel tentativo di esplorare la psiche e la coscienza ricercando una Zona-Verità, una soglia, un limine che comunichi coll’Arte senza compromessi. Questo è uno dei motivi, esortazioni, affinché il Nostro non cada nel dimenticatoio e tutti i suoi testi vengano al più presto recuperati e pubblicati. È un nostro dovere. Assolutamente.
Al momento re/cito e ri/cito il finale/climax di Ambo;

Craje: Sono i fuochi di Sant’Ermo, che compaiono durante le tempeste sugli alberi e tra le vele dei navigli. Speranza e salvezza de’ marenare! Pscraje: Dicono salvano i naviganti dalle tempeste. Questo dicono, ma io questo non lo so! Non ci è dato sapere! Ma ’ncopp’ ’a nave, che se schianta ’nmiez’all’onne do’ mare, loro… anime accoppiate dal fato, comm’all’ambo ’o banculotto, sono sereno cielo stellato dint’ ’o niro da’ tempesta! Domani non ci sarò!

Domenico Sabino

Domenico Sabino
Diplomato al Conservatorio e laureato in Antropologia.
Drammaturgo e regista.
Autore, tra gli altri, dei drammi SEqueNZA, Festa a mmare, Padiglione Sorveglianza; dei video Ma/donna delle Galline e Annibale Ruccello – Assoli
.

 

Annibale Ruccello

Siamo tutti figli di Annibale

Due date, 7 febbraio 1956/12 settembre 1986. In mezzo i trent’anni vissuti da Annibale Ruccello: autore e regista di teatro, antropologo, re-inventore della lingua teatrale napoletana e della cultura popolare campana, palombaro di conflitti interiori e contraddizioni umane, testimone di letteratura alta e di noir, frequentatore delle teorie sceniche novecentesche, narratore ribelle senza convenzioni né romanticismi.
Nei venticinque anni successivi alla morte: riprese degli allestimenti, trasposizioni televisive, tesi di laurea, nuova drammaturgia nel suo segno, festival a lui dedicati, memoria degli spettatori che lo videro nei garages e nelle cantine prima che nei teatri ufficiali ed il lutto mai risolto di chi ne condivise cervello e cuore.
Oltre le stagioni: la verità del teatro inteso come altra cosa dal mondo, come dolorosa illusione fatta di parole, carne, luci, scene, costumi per sopravvivere ad una soporifera indotta omologazione.

I fatti della vita
I fatti della vita di Annibale Ruccello è possibile rintracciarli anche sul web. Meno facile trovare fotografie dell’uomo alto e affascinante che sulla scena, con voce insolita e malinconica, raccontava di solitudini femminili e di sconfitte.
Era nato a Castellammare di Stabia in provincia di Napoli. Con il massimo dei voti, si laurea in Lettere a Napoli nel 1977, discutendo una tesi in antropologia culturale sulla Cantata dei pastori di Andrea Perrucci, pubblicata poi con il titolo Il Sole e la Maschera. Il suo interesse di ricercatore lo porta ad interessarsi alla cultura popolare della Campania e come naturale conseguenza al lavoro di ricerca che da anni Roberto De Simone sta realizzando con la Compagnia di Canto Popolare. Iniziò a recitare al Teatro del Garage di Gennaro Vitiello. Nel 1978 fonda la Cooperativa ‘Il Carro’ e, in collaborazione con Lello Guida, comincia a scrivere e a mettere in scena i suoi primi lavori teatrali.
Si segnala nel 1980 con Le cinque rose di Jennifer di cui è anche interprete. Nel 1983 scrive e mette in scena Notturno di donna con ospiti e Week-end. Il successo nazionale arriva con Ferdinando che gli vale due premi IDI: uno nel 1985 come testo teatrale, e un secondo nel 1986, come miglior messinscena firmata da lui con la filologica e non meno simbolica scenografia di Franco Autiero, interpretata da Isa Danieli, Fulvia Carotenuto, Pierluigi Cuomo e dallo stesso Annibale Ruccello, con le musiche di Carlo de Nonno e i costumi di Annalisa Giacci.
Nel 1985 elabora, inoltre, una riduzione teatrale dal romanzo La ciociara di Alberto Moravia. Delle sue storie fanno parte anche Anna Cappelli, Mamma: piccole tragedie minimali, Ipata, L’osteria del melograno, Una tranquilla notte d’estate. E proprio sul finire dell’estate muore, sull’autostrada Roma/Napoli, in un incidente stradale.

Il teatro
Come sia successo che un giovane autore sia stato capace – con il suo lucido fare teatro – di colmare i vuoti che donne e uomini di una determinata epoca scoprivano attorno a sé e cercavano di popolare con i fantasmi che loro stessi creavano, può sembrare faccenda misteriosa. Però è accaduto ed ora Annibale Ruccello è tra i grandi autori del Novecento. Non solo per la critica. Sarà stato anche per la possente portata dei suoi spettacoli nella vita delle persone in carne e ossa, per la vocazione alla ribellione, per la radicale messa in discussione della realtà reale o per la necessità di narrare storie, controcopertine e risvolti del mondo ufficiale.

Raffaella Amabile

Bibliografia di riferimento
  • Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, Einaudi, 1968
  • Francesco Autiero, Ambo, Nicola Longobardi Editore, 1998
  • Franco Cuomo, Dei volti che ha Medusa. La drammaturgia del rischio. Ermeneutica e testo nel teatro di Autiero, Moscato, Ruccello, Nicola Longobardi Editore, 2008
  • Jacques Derrida, La scrittura e la differenza, Einaudi, 1971
  • Annibale Ruccello, Il Sole e la Maschera, Guida, 1978
  • Annibale Ruccello, Teatro, Ubulibri, 2005
Videografia