Rivista Anarchica Online


150° anniversario

Stragi di stato del XIX secolo
di Gianni Sartori

Tra tanta retorica unitaria e patriottarda, ci sono episodi storici che val la pena conoscere. Ci ricordano che il processo unitario non fu tutto rose e fiori.

 

Forse non aveva tutti i torti Nanni Moretti quando, parlando di alcuni esponenti della sinistra (soidisant?) istituzionale e/istituzionalizzata, sosteneva che “questi sono cresciuti guardando Fonzie”.
Di fronte alle manovre della destra (oltre ai soliti fascisti, reazionari e integralisti, qualche anno fa anche Comunione e Liberazione e da tempo la Lega) per appropriarsi delle insurrezioni antisabaude e del brigantaggio meridionale (ma anche delle insorgenze antinapoleoniche venete, trentine e tirolesi o del “furto campestre di massa” post-unitario – rileggersi Federico Bozzini) ci si aspetterebbe un moto di indignazione da parte della “memoria storica” della sinistra. Ma evidentemente le rivolte popolari rappresentano ormai quasi un fastidio (vecchie cose di pessimo gusto), evocando imbarazzanti origini plebee di cui molti “compagni” (soidisant?) preferiscono liberarsi. Invece di studiarle per capire come vennero strumentalizzate dalle classi dominanti, si sceglie di ignorarle o, peggio, demonizzarle, come con tante lotte di liberazione non ortodosse (v. i luddisti, criminalizzati perché “antistorici”).
Eppure anche questi personaggi dovrebbero aver fatto parte (se non per l’anagrafe, almeno culturalmente) di quelle generazioni che tra la fine degli anni sessanta e i settanta del secolo scorso, rimisero in discussione visioni del mondo consolidate e certezze di comodo.
All’epoca, nella rilettura della storia italiana, non mancò a sinistra chi interpretava la conquista del Sud come un’operazione di “colonialismo interno”. Invece nel brigantaggio si riconosceva una forma estrema di ribellione delle plebi rurali contro i “signori”, una resistenza di massa delle classi subalterne contro l’ordine degli sfruttatori, vecchi e nuovi. Il dibattito non rimase monopolio di qualche intellettuale, circoscritto in ambito accademico, ma contagiò anche le arti popolari, la musica, il cinema, il fumetto, i murales. Il gruppo musicale degli Stormi Six, dopo la “fuga in India” del cantante Carlo Rocchi, era divenuto un punto di riferimento per l’area del Movimento Studentesco di Mario Capanna. Tra le altre testimonianze, lasciarono un Lp completamente dedicato alla Resistenza (la loro “Stalingrado” si sente ancora fischiettare in qualche corteo antagonista) e una raccolta di ballate rivoluzionarie reinterpretate. Da Woody Guthrie a Theodorakis, da Amodei (“Morti di Reggio Emilia”) a Mc Ilvogue (“Leaving Belfast Town”). Ma il pezzo che suscitò maggior scalpore rimane “Pontelandolfo” (inserito nell’Lp L’Unità), in memoria dell’eccidio compiuto dai bersaglieri di Cialdini come rappresaglia per l‘uccisione di alcuni soldati piemontesi. In quella circostanza le truppe italiane operarono con metodi nazisti, molte donne prima di essere uccise vennero violentate e anche la chiesa venne rasa al suolo. Va quindi riconosciuto agli Stormi Six il coraggio di aver riesumato questa vergognosa pagina di storia, rendendola di pubblico dominio. Venne eseguita (altri tempi) anche in occasione di un Cantagiro, suscitando notevole imbarazzo e con conseguenze deleterie per la loro carriera.

Le camicie rosse, che delusione

Nel film “Bronte, cronaca di un massacro” (girato nello stesso periodo del brano degli Stormi Six, nei primissimi anni settanta) veniva rievocata una rivolta popolare in Sicilia (sorta sull’onda della spedizione di Garibaldi) contro i ricchi, i possidenti e anche i liberali moderati (comunque esponenti delle classi dominanti). Nel corso dell’insurrezione i proprietari terrieri vennero giustiziati e le loro case incendiate. Tra i rivoltosi spiccava un carbonaio, Calogero Ciraldo Gasparazzo. Come è noto, la ribellione venne poi repressa nel sangue dagli stessi garibaldini agli ordini di Nino Bixio che operò come lo stalinista Lister contro le comunità contadine libertarie (in Aragona, agosto 1937). Se vogliamo, una piccola Kronstadt con sessant’anni di anticipo.
Assieme ai pochi sopravvissuti il buon Gasparazzo riuscì a raggiungere le montagne diventando con il tempo un famoso brigante. Il suo spettro tornerà a inquietare potenti e privilegiati nel secolo successivo. Agli inizi degli anni settanta il disegnatore satirico Roberto Zamarin battezzò con il nome di Gasparazzo, richiamandosi esplicitamente all’eroe popolare di Bronte, l‘operaio della Fiat (immigrato dal Sud e regolarmente incazzato con padroni, capetti, sbirri e fasci) delle sue strisce apparse sul quotidiano (di cui Zamarin, prematuramente scomparso, aveva disegnato il famoso logo con le lettere che formavano il pugno chiuso).
Una conferma che gran parte dei “cafoni” e degli altri diseredati del Regno delle due Sicilie non avevano imbracciato le armi della rivolta per amore dei Borboni, ma come rivalsa contro i “galantuomini”, viene dalle memorie del brigante Carmine Crocco Donatelli. Mentre Crocco prestava servizio militare nell’esercito, sua madre morì nel manicomio di Aversa, lasciando dieci figli, tutti più piccoli di lui. Crocco presentò una prima supplica al re e poi un’altra senza avere mai risposta. “Un giorno dissi al re che avevo spesso occasione di avvicinare essendo soldato: o provvedi per queste creature o ti darò da fare! Per questa minaccia mi fu inflitto un mese di prigione. Appena uscito disertai, uccisi due gendarmi, mi diedi alla macchia”. tanti altri ribelli anche Carmine Crocco si illuse che con l’arrivo delle camicie rosse le cose potessero cambiare.
In effetti, come in precedenza Pisacane, anche Garibaldi nel 1860 aveva aperto le prigioni (molti ex galeotti indossarono la camicia rossa) e aveva emesso alcuni decreti a favore dei contadini: l’abolizione dell’imposta sul macinato, la soppressione dei dazi, la divisione delle terre (a sorteggio). Ma i suoi decreti rimasero sulla carta e i contadini impararono a loro spese che i “liberali” stavano ridistribuendo le terre a loro vantaggio, occupando nel contempo le remunerative cariche burocratiche del “nuovo ordine”. Crocco aveva seguito Garibaldi fino a Capua combattendo con le sue truppe. “Io e i miei compagni facevamo parte dei volontari di questa provincia che andarono a riunirsi ai battaglioni di Garibaldi. seguimmo il generale a Napoli e prendemmo parte alle battaglie della patria indipendente. Finita la guerra il governatore ci assicurò che si sarebbe tirato un velo sulle nostre colpe passate. Costui però non tenne fede alla promessa. presi una seconda volta la via dei boschi”.

Miseria e brigantaggio

Nel 1861 miseria e brigantaggio dilagarono nel Sud. L’abolizione delle tariffe protezionistiche nell’ex regno delle Due Sicilie determinarono il crollo delle industrie qui presenti alimentando una ampia disoccupazione. Settantamila soldati dell’ex esercito borbonico vennero smobilitati e tornarono a casa, disperati e affamati. Anche ventimila garibaldini, con lo scioglimento dell’esercito dei volontari, si ritrovarono in mezzo alla strada. Il richiamo alle armi dei giovani da parte dello Stato unitario produsse migliaia di renitenti e sbandati. A questo punto le bande armate dei briganti si ingrossarono assumendo una vera struttura militare. Il re detronizzato, Francesco II di Borbone, non si fece cogliere impreparato provvedendo a finanziare la sollevazione, prima da Gaeta e poi da Roma. Venne contattato anche Carmine Crocco, prontamente rifornito di “ottocento fucili e corrispondenti munizioni e ottocento berretti rossi alla repubblicana (sic)”. Alla guerriglia dei briganti, il governo risponderà con lo stato d’assedio e i tribunali di guerra.

Gianni Sartori

Pontelandolfo
Firmata: Stormy Six

Era il giorno della festa del patrono
e la gente se ne andava in processione
l’arciprete in testa ai suoi fedeli
predicava che il governo italiano
era senza religione
ed ecco da lontano
un manipolo con la bandiera bianca
intima ad inneggiare a re Francesco
ed ecco tutti quanti lì a gridare
poi si corre furibondi al municipio
e si bruciano gli archivi
e gli stemmi dei Savoia

Pontelandolfo la campana suona per te
per tutta la tua gente
per i vivi e gli ammazzati
per le donne ed i soldati
per l’Italia e per il re.

Per sedare disordine al paese
arrivano quarantacinque soldati
sventolando fazzoletti bianchi
in segno di pace,
ma non trovano nessuno.
poi mentre si preparano a mangiare
il rumore di colpi di fucile
li spinge ad uscire allo scoperto
e son presi tutti quanti prigionieri
poi li portano legati sulla piazza
e li ammazzano a sassate,
bastonate e fucilate.

Pontelandolfo la campana suona per te
per tutta la tua gente
per i vivi e gli ammazzati
per le donne ed i soldati
per l’Italia e per il re.

La notizia arriva al comando
e immediatamente il generale Cialdini
ordina che di Pontelandolfo
non rimanga pietra su pietra
arrivano all’alba i bersaglieri
e le case sono tutte incendiate
le dispense saccheggiate,
le donne violentate,
le porte della chiesa strappate, bruciate
ma prima che un infame piemontese
rimetta piede qui, lo giuro su mia madre,
dovrà passare sul mio corpo.

Pontelandolfo la campana suona per te
per tutta la tua gente
per i vivi e gli ammazzati
per le donne ed i soldati
per l’Italia e per il re.


 

Fonte: Stormy Six, L’unità, First, 1972