Rivista Anarchica Online


zapatisti

¿Que pasa en Chiapas?
di Gaia Raimondi

Notizie e aggiornamenti dal sud est del Messico, nella regione del Chiapas, terra di indigeni ribelli con sogni di utopie tangibili, universi di rivoluzione sociale e di mutazione culturale reali in atto, perché come dice il loro motto “Otro mundo es possible”, un altro mondo è possibile.

Nonostante tutti i tentativi del governo di reprimere e sterminare questa “idea esagerata di libertà” la lotta continua e l’impegno aumenta. Ecco le ultime, purtroppo anche negative, notizie dal Chiapas in resistenza. Si ringrazia per le informazioni il collettivo Maribel di Bergamo, che traduce costantemente articoli de la Jornada, quotidiano messicano, i vari blog di controinformazione e tutte le persone che dedicano tempo, energie e abilità per cercare di mantenere viva la voce degli zapatisti nel mondo, affinchè possano continuare ad esistere e resistere al malgoverno.

Guerra a bassa intensità

Da vent’anni ormai gli zapatisti cercano di ritagliarsi uno spazio di autonomia autogestionaria sotto ogni punto di vista, che li renda indipendenti da un malgoverno che li vorrebbe sterminati per speculare sulle loro terre, mettendo mano sulla tanto agognata, rigogliosa e splendida Selva Lacandona, luogo in cui ancora gli indigeni resistono e si autogestiscono la vita quotidiana e la lotta politica, mantenendo vive le tradizioni, un modo diverso di vivere la vita, un pensiero con una tensione libertaria che seppur implicita si percepisce forte.
Gli interessi del governo puntano ad una “riqualificazione” dell’area, considerata a tutti gli effetti una biosfera ricchissima di flora e fauna incontaminate, per renderla oggetto di turismo di massa, come già è avvenuto con Cancun e la penisola dello Yucatan. E per farlo, devono eliminare definitivamente ogni germoglio di resistenza a questo piano di morte. Ed è così che, dopo il famoso levantamiento dell’ormai lontano Gennaio 1994 in cui i riflettori mondiali diedero voce, per la prima volta, a questo esercito di indigeni che dichiaravano guerra al malgoverno, resistenza e lotta al capitalismo, reclamando i diritti umani minimi per la loro sopravvivenza e un’esigenza di piena autonomia su ogni frangente della loro vita che il governo ha pensato bene di iniziare un lungo e lento sterminio di questi desideri di libertà e autogestione, con più azioni violente, morti, uccisioni, sparizioni, torture, ma anche con un meccanismo perfidamente intelligente, nominato “guerra di bassa intensità”, attraverso cui il malgoverno spera di far fuori tutto ciò che resta di una cultura basata sulla dignità, il rispetto del prossimo, la solidarietà, la libertà e l’uguaglianza fra tutti gli esseri umani. Cercare di corrompere gli stessi membri delle basi d’appoggio zapatista, mettere in conflitto una famiglia con l’altra per un pugno di pesos, creazione di squadre di paramilitari composte principalmente da indigeni stessi, comprati e corrotti con alcol ed armi; sporadiche azioni di repressione violenta su uno sfondo di continue minacce e intimidazioni: così il governo messicano cerca di indurre gli zapatisti alla rassegnazione.
Si chiama “guerra di bassa intensità” ed i suoi ingredienti sono il terrore ed il tempo. Inaugurata dalla “politica forte” degli Stati Uniti al tempo di Ronald Reagan e sperimentata con grande successo nella restaurazione delle dittature del Centro e Sud America (si ricordi per esempio la mala ventura del Nicaragua, insanguinato dalle azioni dei “contras” somozisti), anche in Chiapas sta dando i suoi frutti funesti. Continui spostamenti di truppe sulle strade sconnesse delle zone più ritirate; azioni sporadiche e cruente di paramilitari (gruppi indigeni armati in via non ufficiale dal governo che seminano il terrore per rompere il baluardo della resistenza indigena e contadina); infine manovre politiche di una banalità sconcertante che dimostrano appieno la corruzione delle istituzioni. La realtà è amara. L’ideale rivoluzionario zapatista, benché sotto parecchi aspetti diverso dalle rivoluzioni socialiste e comuniste dell’America Latina di trent’anni fa, sta di fatto subendo la stessa sorte e viene combattuto con gli stessi strumenti dalle forze del neoliberismo. L’accerchiamento della politica rivoluzionaria (perché si tratta soprattutto di un movimento politico di opinione), incalzata su tutti i fronti dalla guerra di bassa intensità, sta conducendo alla graduale disgregazione del consenso alla rivoluzione nelle fasce dei primi beneficiari della rivoluzione stessa – i contadini, gli indigeni, e con loro tutti i poveri e gli oppressi del paese, quanti il governo vuole ridurre al silenzio ed alla subordinazione. Il clima di terrore instauratosi a seguito di tutti questi meccanismi, ha generato all’interno delle stesse comunità indigene gravi contese ed attriti, alimentati con subdole manovre da fiduciari del governo priista. È seguito lo spostamento di masse di “desplazados” (profughi): gente che abbandona le proprie case, i terreni coltivati che garantiscono il sostentamento, parenti ed amici. Chi resta deve far buon viso a cattivo gioco, a prescindere dalle convinzioni personali zapatiste o filogovernative.
È la strategia della guerra di bassa intensità: frapporre l’ostacolo del terrore e la prospettiva di una vita da braccato tra la coscienza della necessità rivoluzionaria e la concretizzazione della stessa. In altre parole, tagliare i ponti tra gli ideali e la realtà: si sa, l’imposizione fatalistica dello status quo può sedare in molti casi anche gli animi più accesi. Ma per il momento, come ci dimostrano le notizie che seguono, gli aggiornamenti che ci arrivano per via telematica ci testimoniano che la voglia di lottare è ancora tanta e che gli animi non sono affatto rassegnati, pur nel dolore delle perdite e nella povertà e terrore in cui sono ridotti a vivere.

8 Maggio 2011: una marcia silenziosa dell’esercito zapatista per la pace

A San Cristobal de Las Casas, Chiapas, Mexico, nel pomeriggio di Sabato 8 Maggio si è tenuta la marcia silenziosa per la pace, dove hanno partecipato migliaia di militanti zapatisti.
I militanti iniziano ad arrivare fin dal mattino presto, verso le 5.30 al CIDECI, (L’università della terra, un complesso di formazione totalmente autogestito e autocostruito dagli zapatisti in cooperazione con altre realtà ai piedi delle montagne che cullano San Cristobal.) per poi cominciare a camminare verso le 14. Così ci si sposta al centro della città, alle 17.30 circa.
Come consuetudine, al loro fianco ci sono molti stranieri e di altre associazioni e organizzazioni, che non lasciano andare questa occasione per manifestare contro il governo e per supportare gli indigeni nella loro giusta protesta.
Nel più sorprendente ed assoluto silenzio, più di 15 mila basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), secondo calcoli prudenti, hanno inondato le strade di questa città nella riapparizione pubblica delle comunità in ribellione e dello stato maggiore del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comandancia Generale dell’EZLN, dopo più di cinque anni senza manifestare fuori dal proprio territorio.
Nel discorso principale, davanti ad una piazza colma di zapatisti e di organizzazioni e collettivi dell’Altra Campagna in Chiapas, il Comandante David ha espresso con chiarezza la posizione dell’EZLN rispetto alla guerra ed alle diverse correnti: “Non si tratta di vedere chi vince tra cattolici, evangelici, mormoni, presbiteriani o di qualunque religione o non credenti. Non si tratta di vedere chi è indigeno e chi no. Non si tratta di vedere chi è più ricco o più povero. Non si tratta di chi è di sinistra, di centro o di destra. Non si tratta se sono migliori i panisti o i priisti o i perredisti o come si chiamino o se sono tutti ugualmente cattivi. Non si tratta di chi è zapatista o non lo è. Non si tratta di stare col crimine organizzato o col crimine disorganizzato che è il malgoverno. No. Si tratta che per essere quello che ognuno sceglie di essere, per credere o non credere, per scegliere un’ideologica, politica o religiosa, per discutere, concordare o essere in disaccordo, sono necessarie la pace, la libertà, la giustizia”.
Migliaia di indigeni con i passamontagna provenienti dalle cinque regioni sotto l’influenza dell’EZLN (La Realidad, La Garrucha, Morelia, Roberto Barrios e Oventic) sono arrivati in camion dalle prime ore della mattina. Con i volti coperti e con la disciplina che li caratterizza, sono partiti in fila dal Centro Indigeno di Formazione Integrale (Cideci), alla periferia di questa città, fino alla Piazza della Pace, dove sono arrivati dopo oltre quattro ore, e quando la testa del corteo è arrivata nella piazza, la strada per San Juan Chamula, il quartiere di San Ramón, il Puente Blanco e, alle Diego de Mazariegos erano piene di zapatisti.
Il portavoce dell’esercito zapatista, il comandante David comincia il suo discorso: “noi siamo qui, oggi, migliaia di uomini, donne, bambini ed anziani dell’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) per dire la nostra piccola parola, perché la gente dal cuore nobile ci ha chiamato in causa, chiedendoci di fermare la guerra che ha riempito di tristezza, dolore e indignazione il popolo del Messico. Ci sentiamo chiamati in causa dal clamore per la giustizia dei genitori dei bambini che sono stati uccisi dai proiettili, dall’arroganza e dalla stupidità dei malgoverni. Perché ci sentiamo chiamati in causa da parenti di morti, feriti, mutilati, scomparsi, rapiti e imprigionati senza alcuna colpa.
Decine di migliaia di persone sono morte in questa guerra senza senso che non porta da nessuna parte, perché non c’è più pace e giustizia in ogni angolo del nostro paese, perché la nostra unica colpa, per essere vittime, è stata quella di nascere o vivere in un paese mal governato da gruppi legali ed illegali, in tempo di guerra, di morte e distruzione e questa guerra ha avuto come suo principale obiettivo militare, fratelli innocenti di tutte le classi sociali, che non hanno nulla a che fare con il traffico di droga, né con le forze di governo. Perché i malgoverni hanno convertito in zone di guerra, le scuole, le università pubbliche e private, e per questo motivo i bambini e i giovani non vanno a scuola, ma vivono nascosti per paura di imboscate. Perché le sedi di incontro e divertimento sono diventate anch’esse obiettivi militari, perché si fa il tragitto da casa a lavoro a piedi con l’angoscia di non sapere cosa accadrà, non sapendo se un proiettile di criminali o del malgoverno sta per versare il nostro sangue, quello di un parente o quello di un amico. I malgoverni hanno creato il problema, e non solo non lo hanno risolto, ma lo hanno diffuso in tutto il Messico. Oggi non siamo qui per parlare dei nostri dolori, delle nostre lotte e dei i nostri sogni, delle nostre vite e dei nostri morti, oggi non siamo qui a sottolineare modi, né per esplicitare strade da seguire, né per dire cosa fare o per rispondere alla domanda di cosa abbiamo bisogno, oggi siamo qui per rappresentare migliaia di indigeni, molto più di quelli che siamo noi oggi, per urlare a gran voce le loro richieste di giustizia, i desideri di pace, le esigenza di libertà, che gli zapatisti comprendono, condividono e sostengono.
Più di 30 Comandanti dell’EZLN, tra loro Tacho, Zebedeo, Bulmaro, Guglielmo, Miriam ed Ester, hanno occupato il palco davanti alla Cattedrale della Pace. Da lì, il Comandante David ha spiegato che l’appello alla marcia nazionale nasce da persone che “non ci stanno chiamando o convincendo ad abbracciare una religione, un’idea, un pensiero politico o una posizione sociale. Non ci stanno chiamando a cacciare un governo per metterne un altro. Non ci stanno dicendo che bisogna votare per uno o per un altro. Queste persone ci stanno convocando a lottare per la vita”. E può esserci vita solo se ci sono libertà, giustizia e pace. Per questo questa è una lotta tra chi vuole la vita e chi vuole la morte. In incredibile silenzio e con migliaia di piccoli cartoncini con le parole “Non più sangue”, “Ne abbiamo abbastanza” e “Stop alla guerra di Calderón”, gli zapatisti tzotziles, tzeltales, tojolabales, choles, zoques e mames hanno sfilato con enormi striscioni con i seguenti messaggi: “fratelli e sorelle, proviamo dolore per la perdita dei vostri cari, per questa guerra crudele di Calderón” e “Viva la vita, la libertà, la giustizia e la pace”.
Alla fine, dopo di più di 5 ore di mobilitazione, senza contare le ore impiegate per raggiungere questa città, la maestra di cerimonia ha detto: “Abbiamo detto quello che dovevamo dire. Anche se siamo stanchi, questa è la lotta”. E sulle traduzioni in tzotzil, tzeltal, tojolabal e chol ha detto con humor zapatista, “sappiamo che non avete capito niente, ma ci avete sopportato. Grazie per la vostra pazienza”. Poi ha salutato, “come siamo venuti, ora ce ne andiamo”.
Per chiudere, hanno gridato con voci all’unisono: “non sono soli!” e “vogliamo vivere la vita, la libertà, la giustizia e la pace”.

10 Maggio 2011: Le donne indigene sostengono che i governi uccidono non solo con le armi, ma con la povertà e la fame
Spunti tratti da un articolo di Hermann Bellinghausen, apparso sulla Jornada, quotidiano nazionale messicano

“Non è più tempo di essere vigliacchi. Quando c’è violenza nel nostro paese proviamo tristezza per la gente, la nostra famiglia e la nostra comunità, ed a volte perfino piangiamo quando sappiamo di quelle brutte notizie. Proviamo rabbia perché ci violentano e ci uccidono, ed i governi non fanno niente, invece mettono in prigione gli innocenti e non i colpevoli”. In un comunicato rivolto alle donne del Messico ed all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, alcuni collettivi di donne delle comunità Aguacatenango, La Grandeza, Napité, Corostik, Coquiteel, Sulupwitz, Frontera Comalapa, Santa Rosa de Cobán, Yaluma, Chihuahua, e Bella Vista del Norte, delle regioni nord, Altos e sierra di confine, tutti nello stato del Chiapas, sostengono:
“La terra è con noi”.
Ed aggiungono: “I governi non ammazzano solo con le armi, ma anche con la povertà, la fame che usano per ingannarci con progetti che ci tolgono il tempo e la fermezza, ci inculcano le loro idee, fanno sì che ci dividiamo e non ci organizziamo. Siamo indigene, contadine, attiviste e lavoratrici, coltiviamo la madre terra, la seminiamo e la curiamo, è nostra e la rispettiamo. I governi ed i grandi paesi vengono a togliercela, ma diciamo loro che la terra non si vende, è nostra madre, di lei viviamo e ci alimentiamo e lottiamo per lei”.
Elencano le loro richieste che includono in maniera significativa il diritto delle donne a possedere e coltivare la terra: “Non vogliamo che la nostra terra, né l’acqua siano privatizzate da grandi imprese come la Coca Cola. Non vogliamo più agenti chimici né transgenici perché portano malattie. Nemmeno progetti per coltivare la palma africana e pinoli, perché esauriscono la forza della terra, danneggiano la nostra salute e non ci fanno produrre più cibo per l’alimentazione, ma ci fanno produrre carburante per le auto e quindi moriremo di fame”.
Respingono le miniere, i programmi governativi quali il Programa de Certificación de Derechos Ejidales y Titulación de Solares Urbanos (Procede), il Programa de Certificación de Bienes Comunales (Procecom) ed il Fondo de Apoyo para los Núcleos Agrarios sin Regularizar (Fanar) “perché sottraggono la madre terra e dividono le nostre comunità”. Nel loro ampio ripudio, le donne indigene organizzate comprendono l’alcool e la droga nelle proprie comunità, “perché provoca violenza”.
“Vogliamo dire ai governi che è bugia che non ci sia più povertà. Non vogliamo militari, poliziotti né posti di blocco, ci controllano sempre e ci fanno violenza. Stanno vicino alle nostre comunità, ci fanno paura, è una bugia che gli eserciti aiutano il popolo, ci violentano e ci uccidono”. Contadini e contadine “non abbiamo terra, perché i malgoverni la privatizzano, consumata da agenti chimici e monocolture, comprano a basso prezzo i nostri prodotti, il nostro cuore soffre, cerchiamo altri lavori e lasciamo la nostra terra perché i nostri figli hanno fame.”
Chiedono giustizia, non più violenza, che si riconosca il diritto delle donne alla proprietà, alla semina e alla presa di decisioni. “Che rispettino le nostre lingue e cultura e non ci discriminino”.
Dicono agli uomini e alle donne del Messico: “Non cedete, lottate per la terra ed il vostro territorio. È nostra, coltivatela, non vendetela, difendetela”. Invitano ad organizzarsi “perché solo insieme abbiamo la forza per combattere la violenza ed i malgoverni”. Infine, “ai compagni zapatisti diciamo che grazie alla loro lotta abbiamo potuto vedere la realtà in cui viviamo e per questo diciamo loro di prendere in considerazione le donne perché siamo con loro, lottiamo per la stessa cosa ed uniremo le forze”.

11 Maggio 2011: Arriva la risposta alla marcha di San Cristobal. Elementi dell’Ejército de Dios sparano contro basi dell’EZLN

Il popolo organizzato di Mitzitón, aderente all’Altra Campagna, ha denunciato aggressioni e spari da parte di elementi del cosiddetto Ejército de Dios durante e dopo la marcia delle basi di appoggio dell’EZLN e dell’Altra Campagna nel centro di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, l’otto maggio scorso. Di fronte alla massiccia mobilitazione zapatista e dell’Altra Campagna, sostengono gli indigeni, “il governo risponde subito alla nostra dimostrazione di organizzazione civile e pacifica dellfunica maniera che conosce: con la violenza, oggi per mano dei suoi paramilitari, domani con la sua polizia”. Gli ejidatarios riferiscono che quel giorno si sono uniti alla Marcia Nazionale per la Giustizia e contro l’Impunità, “vicino ai nostri compagni basi di appoggio zapatisti dei cinque caracoles aderenti all’Altra Campagna; 120 uomini e donne siamo andati a San Cristóbal, il resto delle famiglie sono rimaste in comunità a svolgere le loro attività quotidiane”.
Intorno alle 13 “alcune compagne stavano pascolando le pecore su terreni che confinano con la 31 Zona Militare di Rancho Nuevo”, quando hanno iniziato a sparare contro di loro. “Sono riuscite a vedere due paramilitari aggressori, ma hanno riconosciuto solo il figlio di Roberto Vicente Pérez, noto paramilitare padrone dell’autoveicolo utilizzato nell’attacco che abbiamo subito il 13 febbraio, e che grazie all’impunità e complicità del malgoverno è libero anche se ci sono molte prove dell’attacco armato ed un compagno è stato gravemente ferito”. Passate le 19 di sabato, “stavamo rientrando dalla marcia quando abbiamo sentito quattro detonazioni”. Un’ora dopo, “i paramilitari hanno esploso altri spari”. I poliziotti appostati nella comunità “dicevano di aver riferito della situazione al loro comandante, ma a noi dicevano che erano petardi”. Due aggressori sono stati riconosciuti: Andrés Jiménez Hernández Segundo e Pascual Zainé Díaz Jiménez. Ce n’era un altro, “ma non sappiamo se ce n’erano altri”. Alle 21, aggiungono, “Gregorio Gómez Jiménez, leader dei paramilitari dell’Ejército de Dios, col suo camioncino da casa sua percorreva la strada internazionale e la strada sterrata, come se cercasse qualcuno di noi. Ancora adesso continuano la tensione e le minacce”. Ricordano che il 3 maggio la stampa locale ha pubblicato la dichiarazione del delegato della Segreteria di Comunicazioni e Trasporti, Ernesto Jáuregui Asomoza, che diceva che il progetto dell’autostrada San Cristóbal-Palenque “non è morto e che sarà realizzato come è stato tracciato”.
Denunciano: “Deve essere per questo e perché vedono che siamo organizzati e non siamo soli, ci vogliono provocare, torturare, reprimere ed assassinare affinché smettiamo di difendere il nostro territorio. Il malgoverno di Juan Sabines e di Felipe Calderón deve pensare che in questo modo noi siamo presi solo dalla paura e da difenderci dai paramilitari, ma non dimentichiamo i motivi della nostra lotta, i nostri diritti di popoli indigeni, la difesa della nostra terra e territorio e la costruzione della nostra autonomia”.



12 Maggio 2011: I “prigionieri politici” della Voz del Amate e i “prigionieri solidali” chiedono di essere scarcerati

I “prigionieri politici” della Voz del Amate, aderenti all’Altra Campagna dell’EZLN, ed il gruppo di “prigionieri solidali” con loro, rinchiusi tutti nel penale numero cinque di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, chiedono di essere liberati immediatamente, perché il loro arresto è ingiustificato.
Alberto Patishtán Gómez e Rosario Díaz Gómez hanno inoltre dichiarato che “la soluzione dei molti problemi che angosciano il Messico non è aumentare le retribuzioni del personale dell’Esercito federale e poi militarizzare tutto il paese, tanto meno far sparire ed assassinare civili innocenti ed opprimere la povera gente”.
“Non vale nemmeno arrestare gente innocente”. Così facendo, il presidente Felipe Calderón “che vuole dare l’immagine di un paese stabile e di pace”, fa il contrario. “Qui si vedono solo i diritti umani violati e l’impunità in molti casi”.
Comunicano di essersi uniti come La Voz del Amate “alla marcia silenziosa convocata dall’EZLN il 7 maggio”, con un digiuno e preghiera di 12 ore, “in solidarietà con la Marcia Nazionale per la Giustizia e contro l’Impunità, per l’omicidio dei ragazzi e della famiglia del compagno Javier Sicilia che sono Juan Sicilia Ortega, Luis Antonio Romero Jaime, Julio César Romero Jaime e Gabriel Alejo Escalera”.
Dicono “basta alla guerra di Calderón, non più sangue”, e sostengono: “Ne abbiamo abbastanza delle ingiustizie e degli arresti per reati fabbricati. Chiediamo a tutto il Messico di fermare questa guerra di morti e odi, e chiedere la liberazione di tutti i prigionieri politici del paese”.
Il professore tzotzil Alberto Patishtán, in prigione da più di dieci anni, non desiste dal chiedere la sua libertà. Il governo di Juan Sabines Guerrero ha promesso di intercedere per lui presso le autorità giudiziarie della Federazione, ma a tre anni dallo sciopero della fame con cui si ottenne la liberazione di decine di “prigionieri politici”, il suo caso non è ancora risolto.
Ora, inoltre, c’è un nuovo “prigionieri politico” zapatista, Patrizio Domínguez Vázquez, contadino base di appoggio dell’EZLN del municipio autonomo Tierra y Libertad, originario della comunità Monte Redondo, ingiustificatamente in prigione dal 12 aprile a Motozintla, dopo che la sua casa era stata bruciata da gruppi filogovernativi appoggiati dal presidente municipale di Frontera Comalapa, David Escobar.

Altri detenuti dell’Altra Campagna, i cosiddetti “5 di Bachajón”, sono dietro le sbarre dal 3 febbraio senza che le autorità chiapaneche diano segno di liberarli. Si tratta di Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo Pérez Álvaro, Juan Aguilar Guzmán e Domingo García Gómez, nel Centro Statale di Reinserimento Sociale numero 17, a Playas de Catazajá, e Mariano Demeza Silvano nel Carcere Minorile di Villa Crisol, municipio di Berriozábal.
La loro difesa ha dimostrato che sono tenuti imprigionati come “ostaggi politici”, nonostante non siano responsabili dei reati che imputano loro.

20 Maggio 2011: Dichiarazione Mondiale a Sostegno degli Indigeni Tseltales di San Sebastián Bachajón aderenti all’Altra Campagna

In Chiapas gli investimenti nel turismo e nelle infrastrutture, nella logica di “sviluppo” governativo attraverso il progetto Centro Integralmente Planificado Palenque (CIPP) che a sua volta fa parte del progetto più ambizioso denominato Mesoamérica (già noto come il Plan Puebla Panamá), sono ormai una contesa cruciale contro la costruzione di alternative di vita dei Popoli originari in Chiapas, che lottano ormai da anni per il riconoscimento della propria autonomia come popoli nella cornice della libera determinazione, e che nella pratica esercitano il loro processo autonomistico. Sono loro che storicamente conservano le risorse naturali ed il proprio territorio, in un equilibrio di relazione razionale e umana. In quella lotta per la sopravvivenza si colloca la resistenza civile delle e degli ejidatarios di San Sebastián Bachajón (SSB) aderenti all’Altra Campagna (LOC) nella zona di Agua Azul. I Popoli che resistono in difesa dei loro diritti devono affrontare, da parte dei governi neoliberali, molteplici azioni con le quali si intende distruggere l’organizzazione ed il lavoro di costruzione di altri mondi possibili. Oggi, il governo del Chiapas ha arbitrariamente arrestato e tiene sotto costante vessazione e minacce, 5 ejidatarios di San Sebastian Bachajón dell’Altra Campagna, tutti innocenti dei reati di cui sono accusati, sono vittime del sistema giudiziario messicano corrotto, che ubbidisce alla voce degli interessi degli investimenti nazionali ed internazionali. Questo sistema serve a reprimere e distruggere il Popolo, le organizzazioni o le persone che non concordano con gli interessi del governo neoliberale, interessi che stanno provocando stragi e la morte di chi scommette su una vita in cui i diritti umani si sviluppino e si vivano in pienezza.
L’azione di repressione più recente affrontata dagli ejidatarios è avvenuta lo scorso passato 9 aprile 2011, quando circa 800 agenti della Polizia Statale Preventiva, Polizia Federale e Militari hanno sgomberato gli ejidatarios di San Sebastian Bachajón dell’Altra Campagna, che ore prima avevano preso il controllo del botteghino di ingresso alle cascate, lo stesso che era stato sottratto loro il 2 febbraio con un piano messo a punto dal governo del Chiapas insieme agli ejidatarios “filogovernativi”. La regione di Agua Azul è il chiaro esempio dove i governi statale e federale esercitano tutta la forza dello Stato per lo storico saccheggio del territorio dei Popoli indigeni.
Per le innumerevoli violazioni dei diritti umani compiute contro gli ejidatarios di San Sebastian Bachajón dell’Altra Campagna, collettivi, comitati, movimenti, organizzazioni sociali e società civile così ci pronunciamo (per vedere le adesioni a questo appello: http://chiapasbg.wordpress.com/2011/05/20/dichiarazione-mondiale):

  1. Per il rispetto del diritto alla libera determinazione e all’esercizio della propria autonomia del Popolo tseltal di San Sebastián Bachajón aderente all’Altra Campagna, come stipulato nel Trattato No.169 su popoli indigeni e tribali in paesi indipendenti; Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni e gli Accordi di San Andrés, Documento 1, 3. 1. Documento 2, II, IV (2. 3.); Documento 3.1 (c, d); Documento 1, Principio della nuova relazione 5.
  2. Per il rispetto del diritto all’uso e sfruttamento delle risorse naturali che come Popoli originari hanno preservato nel corso di secoli. Diritto sancito dal Trattato No.169, su popoli indigeni e tribali in paesi indipendenti art. 13.2; Dichiarazione delle Nazioni Unite su Diritti dei Popoli Indigeni e gli Accordi di San Andrés, Documento 1.4 B. 2.; Documento 1, Principio della nuova relazione 2.
  3. Per la liberazione immediata di: Jerónimo Guzmán Méndez, ejidatario dell’Altra Campagna; Domingo Pérez Álvaro, membro della Commissione di promozione dell’Altra Campagna; Juan Aguilar Guzmán, cassiere dell’Altra Campagna; Domingo García Gómez, membro del Comitato di Difesa dei Diritti Umani; Mariano Demeza Silvano, minorenne dell’Altra Campagna.
  4. Per il ritiro immediato dei corpi di polizia e militari che tengono sotto assedio la zona dell’Ejido di San Sebastián Bachajón, esattamente agli accessi dello stabilimento balneare di Agua Azul che oggi è gestito dai governi statale e federale.

Gaia Raimondi