Rivista Anarchica Online


Pakistan

La morte dello sceicco
di Stefano Capello

Dopo averlo sostenuto e foraggiato. Osama Bin Laden era diventato per gli Stati Uniti l’essenza stessa del Male Assoluto. Con la sua scomparsa...

Il leader di al-Qaeda, Osama Bin Laden

 

Naturalmente l’attacco americano in Pakistan che ha avuto come risultato la morte di Osama Bin Laden ha scatenato numerose polemiche negli USA e in tutto il mondo.
Vale la pena soffermarsi sul fatto che l’oggetto principale di queste polemiche, la veridicità o meno della morte del volto più famoso di inizio millennio, è di scarsa rilevanza rispetto alla morte politica dello sceicco saudita, sancita in modo definitivo dalle rivolte che hanno attraversato e che stanno attraversando il mondo arabo, primo destinatario della sua azione fin dall’inizio degli anni Ottanta dello scorso secolo.
Ora le insurrezioni riuscite in Tunisia ed Egitto, quelle schiacciate in Bahrein, Siria ed Yemen, la guerra civile (o per bande) in Libia, non hanno nulla a che fare con l’ordine del discorso costruito da Al Qaeda (e dalle altre organizzazioni dell’universo salafita) in questi anni: lotta al satana americano ed al sionismo israeliano e rivendicazione del progetto del califfato. Di tutto questo non c’è traccia nella primavera d’inverno del mondo arabo.
L’emarginazione del discorso qaedista è la diretta conseguenza dell’affermazione all’interno del mondo arabo di un discorso rivendicativo sui temi della libertà, della democrazia e della giustizia sociale profondamente calati all’interno del quadro nazionale dei singoli paesi. L’immaginario medievale del popolo dei credenti contrapposto ad ebrei e crociati è stato il grande assente ed il principale sconfitto dalle insurrezioni nei paesi arabi.
Non è una novità; già da molti anni Al Qaeda riusciva a reclutare i propri militanti solo tra i musulmani trasferitisi in occidente, e quindi in una frangia marginale del mondo islamico. Il paradigma politico (e anche quello religioso) era cambiato mentre nei nostri media mainstream autorevoli commentatori orfani dell’odio vomitato dalle varie Fallaci d’Occidente continuavano a raccontarci questi paesi come pericolosi vulcani fondamentalisti tenuti a bada dai vari Mubarak, Ben Alì, Gheddafi…
Tornando all’evento che probabilmente garantirà la rielezione all’attuale Presidente degli Stati Uniti, dobbiamo però analizzare alcuni passaggi troppo evidenti per non essere visti. Il primo riguarda l’evidente copertura offerta dal Pakistan allo sceicco. È chiaro che almeno l’ISI (i potenti servizi segreti pakistani dediti da sempre al doppio gioco tra USA e Al Qaeda) era perfettamente a conoscenza di residenze e spostamenti di Osama.
Il secondo riguarda il fatto che gli stessi pakistani hanno permesso l’operazione spettacolare andata in scena ad Abbottabad. In pratica avevano il ricercato numero uno del mondo in casa (e che casa, Abbottabad è un centro militare i cui abitanti civili sono quasi esclusivamente parenti dei militari stessi) e hanno permesso agli americani di chiudergli il conto. In pratica, prima lo hanno protetto, per almeno dieci anni, poi lo hanno consegnato agli USA.
Rimane da chiedersi perché. La prima risposta possibile ha a che fare con la morte politica dell’ipotesi Al Qaeda; in altre parole Osama non serviva più, era un sopravvissuto di un’altra epoca, scomodo quanto basta per decidere di permettere agli americani di spazzarlo via.

Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama

Scenari interessanti

Ma un’altra morte politica ha causato la morte fisica di Bin Laden: i talebani afgan e quelli pakistani son da tempo completamente fuori dall’influenza dell’organizzazione panislamista dello sceicco saudita; d’altra parte cosa poteva ancora offrire loro: né armi, né strategia politica, né volontari combattenti.
La morte di Bin Laden apre scenari interessanti sul paese asiatico. Osama era l’ultimo scoglio che rendeva impossibile un’exit strategy ai governi Nato a Kabul, e impediva serie trattative tra Garzai e i taliban per arrivare a una “onesta” spartizione del potere.
Con la morte dello sceicco saudita Obama può proclamare il suo “mission accomplished” con più realismo e più ragioni del suo predecessore; i governi europei possono timidamente iniziare a porre la questione del ritiro da un conflitto la cui popolarità in Europa rasenta lo zero, e i taliban, liberati dal linkage con Al Qaeda, possono infine presentarsi come una forza nazionale rispettabile e pronta a governare il paese.
Questo è uno scenario che non potrà tradursi in realtà a breve ma le fondamenta per un’uscita non vergognosa dal paese asiatico è stata posta dagli USA con questa mossa. D’altra parte gli eroi militari americani in questi ultimi anni son generali capaci di inventarsi il modo di abbandonare l’occupazione di un paese nel modo meno catastrofico possibile e lo stesso Obama aveva un bisogno disperato di togliersi dalle sabbie mobili di un conflitto senza fine che lo scopre nella sinistra liberal senza scontentare troppo i militari desiderosi di poter vantare un successo prima di andarsene.

Truppe governative pakistane

In quanto al Pakistan è evidente che lo scenario descritto risponde ai desideri più profondi di Islamabad. La posizione del Pakistan è chiara: vuole un governo amico a Kabul per evitare ogni possibilità di accerchiamento da parte dell’India. Il fatto che l’India oggi possa volere qualsiasi cosa tranne accollarsi anche il Pakistan non ha smosso di un millimetro la paranoia pakistana. Un governo amico per Islamabad vuole dire un governo islamico e pashtun. D’altronde islamici e pashtun sono anche i vertici militari e dei servizi segreti pakistani. Le altre etnie del paese, in primis i tagli di lingua farsi e gli hazara, mongoli ma sciiti, sono percepiti come la longa manus di Teheran, a sua volta considerata troppo vicina all’India. In più il riferimento islamico ridimensionerebbe un’eventuale nazionalismo afgano che potrebbe trovare spunto da vecchie questioni di frontiera tra i due vicini (la linea Durand è del 1878, non un confine etnico o storico) e spingere Kabul tra le braccia di Dehli. Tra il 1979 e il 1993 Islamabad ha appoggiato in questo senso la fazione di Gulbuddin Hekmatyar, mentre dal 1994 ha iniziato ad appoggiare i talibani continuando a farlo anche durante la guerra tra la Nato e la stessa fazione afgana.
Ora la morte di Bin Laden è percepita ad Islamabad come l’agnello da sacrificare per ottenere i propri obiettivi permettendo agli USA di poter assicurare di aver ottenuto i propri.
D’altra parte fino al 2001 l’amministrazione di Washington trattava i propri affari con gli esponenti governativi dello stesso movimento. Perché non farlo ora? Tanto nessuno ricorderà più la martellante campagna sull’oppressione delle donne afgane iniziata dieci anni fa e presto rimessa in un cassetto da parte degli stessi governi che all’epoca dovevano convincerci che stavamo partendo per l’ennesima guerra giusta.

Stefano Capello