Rivista Anarchica Online


storia

A come Abruzzo A come Anarchia
di Massimo Ortalli

Dopo il dizionario biografico degli anarchici calabresi (presentato sul penultimo numero) segnaliamo ora l’uscita di quello degli anarchici abruzzesi, curato da Edoardo Puglielli. Ne pubblichiamo l’introduzione di Massimo Ortalli, alcune schede biografiche e alcune foto.

Edoardo Puglielli,
Dizionario degli anarchici abruzzesi
,
introduzione di Massimo Ortalli,
Centro Studi Libertari “Camillo
Di Sciullo”, Chieti 2010, pp. 174, € 10

Il Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani, lavoro conclusosi alcuni anni orsono, che è riuscito a sistematizzare, in oltre duemila curatissime biografie, il quadro umano e militante dell’anarchismo di lingua italiana, rappresenta sicuramente l’inizio di una nuova stagione di studi. Ad essa fanno seguito nuovi e apprezzati frutti, secondo l’auspicio dei curatori di quell’opera e della Biblioteca Franco Serantini che ne ha promosso l’edizione, nuovi e apprezzati frutti. La ricerca storica sull’anarchismo, infatti, in questi ultimi tempi si è dedicata con particolare attenzione ad affiancare la ricostruzione degli avvenimenti oggetto dei propri studi, con la riemersione delle figure che di quegli avvenimenti furono protagonisti. E i risultati sono decisamente interessanti.
Ne è un esempio convincente il presente volume, che vede raccolte, da Edoardo Puglielli, militante della Federazione Anarchica Italiana e giovane ricercatore con già all’attivo numerosi saggi, le note biografiche di più di centocinquanta anarchici abruzzesi. Molte di queste note, non essendo apparse nel Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani, vanno così ad integrare i lavori precedenti, completando in maniera definitiva il quadro militante dell’Abruzzo. Poiché sappiamo che, parallelamente a questa, sono in corso o in via di ultimazione ulteriori ricerche condotte con gli stessi criteri e i medesimi obiettivi – si tratta di altre regioni e località, quali la Romagna, la Calabria, la Sicilia e le province di Bergamo e di Modena – è lecito prevedere che questo filone di studi, stimolato dagli importanti risultati raggiunti, non si esaurirà prima di aver prodotto una ricostruzione accurata dell’intero panorama anarchico di lingua italiana, affiancando alle biografie dei personaggi più importanti e conosciuti quelle dei militanti di base che hanno costituito il nerbo del movimento. Del resto l’anarchismo, per la sua stessa natura di movimento a struttura sostanzialmente orizzontale e non centralizzata, più di altri ha visto affiancarsi ai cosiddetti dirigenti, che per il loro ruolo e la loro funzione ne rappresentavano anche all’esterno l’immagine e la vitalità, una notevole massa critica di militanti di base che, se pure hanno lasciato meno tracce nelle cronache o meno stimoli alla ricerca storica, pur tuttavia hanno rappresentato la prima garanzia dell’incidenza e dell’importanza del pensiero libertario nel tessuto sociale nel quale si trovavano ad operare.
Alla luce di queste considerazioni, non c’è da meravigliarsi se il puntiglioso lavoro di scavo negli archivi e di spoglio delle pubblicazioni anarchiche compiuto da Puglielli ci trasmette informazioni tanto impreviste quanto interessanti; innanzi tutto quella che, anche in una regione quale l’Abruzzo, “marginale” e periferica rispetto al grande movimento sovversivo di fine Ottocento e prima metà del Novecento, erano numerosi i militanti anarchici capaci di agire concretamente nel proprio territorio e di relazionarsi con tutto l’anarchismo di lingua italiana. E che fra questi, lo si vedrà scorrendo le pagine del dizionario biografico, sono stati non pochi i personaggi di caratura decisamente nazionale se non addirittura internazionale. Del resto la consolidata convinzione che voleva l’anarchismo vivo e vivace, sostanzialmente, nelle sole regioni tradizionali del sovversivismo, quali quelle dell’Italia centrale (Toscana, Emilia Romagna, Marche ed Umbria) e in alcune zone del nord industrializzato era già stata abbondantemente ridimensionata nelle pagine del Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani, laddove si mostrava, dati alla mano, come l’anarchismo fosse, al contrario, un movimento sparso sul territorio nazionale molto più omogeneamente di quanto si potesse credere, e come fosse in grado di esprimere pressoché ovunque militanti di rilevanza nazionale. Dimostrazione ulteriore, se mai ce ne fosse la necessità, che le idee di emancipazione e di liberazione insite nella proposta e nella pratica anarchica erano in grado di attraversare tutti i ceti sociali, soprattutto quelli afferenti al lavoro salariato e artigianale, e di raggiungere non solo i centri industriali o manifatturieri, ma anche i più piccoli borghi. Nell’interessante elenco dei fascicoli di anarchici abruzzesi presenti nel Casellario Politico Centrale conservati presso l’Archivio di Stato di Roma, elenco che compare in calce a questa pubblicazione e che comprende, significativamente e a conferma di quanto appena detto, circa 450 nominativi, non si può non notare come, accanto ai nuclei consistenti di anarchici presenti all’Aquila e nelle località più importanti della regione, gruppi quasi altrettanto numerosi agissero in abitati decisamente minori, quali, ad esempio, Giulianova, Ortona, Raiano o Pescina. Se poi si considera come, rispetto ai militanti censiti, fossero molti di più quelli che non godevano di tali attenzioni questurinesche, ci si può rendere conto della presenza pressoché ubiquitaria del milieu libertario.

Raiano (AQ), 1921, anarchici abruzzesi.
Si riconoscono, dall’alto in basso e da
sinistra a destra, (?), Quirino Perfetto,
Alessandro Farias, Panfilo Di Cioccio,
Luigi Meta, con la mano sulla sua spalla
Umberto Postiglione, Giuseppe Cerasani,
Franco Caiola, Francesco De Rubeis,
Pasqualina Martino

Le oltre 150 note biografiche raccolte da Puglielli, alcune consistenti in poche righe, vista la difficoltà di reperire notizie più approfondite, altre più complete e ricche di informazioni, permettono di tracciare, nel loro insieme omogeneo, un quadro complessivo non solo dell’elemento umano attivo nella regione, ma anche della struttura organizzativa e militante del movimento, evidenziando il forte sentimento di appartenenza condiviso, con la stessa intensità, da tutti gli anarchici. Schede apposite, infatti, ricostruiscono le storie delle organizzazioni presenti sul territorio, da quelle riguardanti gruppi locali più o meno piccoli e significativi, a quella della Federazione Anarchica Abruzzese, una storia particolarmente importante perché consente di conoscere sia la maturazione ideologica e organizzativa del movimento dopo la Grande guerra, sia il fitto reticolo di relazioni che i libertari abruzzesi, per nulla periferici o marginali, seppero impostare con i compagni a livello nazionale.

Camillo Di Sciullo

Del resto questa attitudine degli anarchici abruzzesi ad interagire a pieno titolo con il resto del movimento la si riscontra anche per l’importanza che alcuni di questi ebbero per la vita del movimento e per la notorietà che li accompagnò anche all’estero. Basti pensare, infatti, a Carlo Tresca, uno dei personaggi più importanti dell’anarchismo e del socialismo negli Stati Uniti non solo di lingua italiana, a Virgilia D’Andrea, una compagna che consumò la propria vita profondendo tutte le sue energie per la causa, alla tragica figura di Severino Di Giovanni, che nel bene e nel male “movimentò” le cronache argentine degli anni Trenta, ad Antonio Cieri e Giovanni Bifolchi che dettero alla lotta antifascista, in Italia e in Spagna, un contributo insostituibile, a Camillo Di Sciullo, la cui produzione editoriale è ancora oggi conservata nelle biblioteche di mezzo mondo, a Umberto Postiglione e Francesco Ippoliti, il maestro e il medico, il cui ricordo è ancora vivo là dove prestarono, con entusiasmo e disinteresse la loro opera.

Francesco Ippoliti

Naturalmente la scelta di comporre un dizionario biografico, oltre a permettere di approfondire le conoscenze di fatti e avvenimenti, consente anche di evidenziare i tratti comuni delle esperienze di vita dei protagonisti. E trattandosi, come in questo caso, di militanti anarchici, di sovversivi e ribelli, che hanno lottato incessantemente contro il potere e le istituzioni per guadagnare spazi di libertà, non mancano, come tratti costanti, le esperienze del carcere, del domicilio coatto e del confino, della repressione e della emarginazione. Siano biografie degli ultimi decenni dell’800, siano della prima metà del 900, comandino Crispi, Giolitti o Mussolini, le sorti individuali cambiano di poco e le notizie raccolte segnalano, troppo spesso, tristi vicissitudini e amare privazioni. Del resto, già nel Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani si era evidenziata questa attenzione repressiva che colpiva, in misura maggiore o minore, la grandissima maggioranza dei biografati. Quello che in più si fa notare, nel bel lavoro di Puglielli, è la significativa frequenza di quanti, vuoi per motivi politici vuoi per la ricerca di un lavoro che altrimenti mancava, ebbero ad abbandonare il nativo Abruzzo per recarsi all’estero. Sono, infatti, una cinquantina quelli che si recheranno negli Stati Uniti, e altri 25 quelli che emigreranno in Europa e in Argentina. Quasi uno su due, quindi, dovrà rifarsi una nuova vita all’estero, spinto spesso dalla repressione incalzante o, altrettanto spesso, dalla necessità. Se si pensa allo stantio luogo comune di un movimento anarchico intellettuale e piccolo borghese, estraneo al corpo proletario, non c’è davvero che dire!

Giuseppe Bifolchi

Appare evidente che, fra i molti motivi che hanno spinto Puglielli a compilare questo prezioso dizionario, ci sia soprattutto quello di fornire un ritratto quanto più preciso e corretto del movimento anarchico d’Abruzzo, non solo per restituirne alla memoria le vite e le vicende, ma anche per sottrarlo a facili e strumentali classificazioni. Facendo, così, non solo opera di seria ricerca storica ma anche di meritoria ricostruzione dell’immagine di un movimento sorprendentemente ricco di valori e di umanità.

Massimo Ortalli

Carlo Tresca

Schede biografiche

Conti, Attilio

Nasce a Castellamare Adriatico (PE) il 17 giugno 1880, pittore. Milita nella locale sezione socialista. Biografato nel 1902 per «propaganda fra gli operai e i contadini». Passa all’anarchismo. Nel 1909 riceve e diffonde il numero unico «Nihil», redatto a Chieti da Federico Mola e Carlo Alessandrelli e stampato nella tipografia di Camillo Di Sciullo. Nello stesso anno promuove le pubblicazioni de «Il Grido», foglio dei libertari di Castellamare Adriatico. Riceve, diffonde e scrive per «Volontà». Nel 1913 contribuisce alla costituzione del locale gruppo anarchico Carlo Pisacane. È tra i promotori del Convegno Sovversivo di Castellamare Adriatico del 1 febbraio 1914. Il convegno, constatate le necessità pratiche di un’intesa rivoluzionaria di base, si pronuncia per l’unità d’azione di socialisti e anarchici, «i soli in grado di creare un serio e pratico movimento di classe», ed esprime parere favorevole alla costituzione di un comitato regionale col compito di propagandare le «idee rivoluzionarie e i principi anticapitalistici». Partecipa nello stesso mese alle agitazioni condotte dai ferroviari per i miglioramenti economici, contro la guerra libica e contro il militarismo. Dal 10 al 13 giugno 1914 prende parte attiva allo sciopero della settimana rossa, tenendo accesi comizi a Castellamare Adriatico e nei centri abitati del circondario. Nel 1915 è assegnato a Palermo per gli obblighi di leva. Nonostante «in divisa», prende parte attiva alle mobilitazioni pro-Tresca promosse da anarchici e socialisti rivoluzionari; l’agitazione finisce con scontri di piazza tra manifestanti e forze dell’ordine. Si congeda nel 1918 e si trasferisce a Verona. Sostiene le agitazioni che prendono piede fin dall’inizio del 1919. Viene incaricato a dirigere quella CdL che, nel mese di marzo, annuncia adesione all’Unione sindacale italiana (USI). Nel corso dell’anno la CdL a direzione sindacalista è protagonista nel contesto sindacale veronese. La prefettura sottolinea Conti «pericolosissimo organizzatore ed agitatore di masse», introduce «sistemi addirittura bolscevichi», spingendo gli operai a presentare memoriali con richieste «sopra le righe» per poi dichiarare immediatamente sciopero nel caso la direzione delle aziende non avesse accettato le richieste. Nel 1919 la CdL organizza circa 40.000 aderenti, estendendo la sua influenza anche a categorie di lavoratori che erano rimasti estranei al processo di sindacalizzazione dell’anteguerra. Complessivamente organizza i lavoratori delle industrie tessili e metalmeccaniche, dipendenti pubblici e dei servizi, infermieri, barbieri, lavoratori della ristorazione, spazzini, fattorini telegrafici, manovali avventizi nelle ferrovie, carrettieri, autisti, guardiani notturni, facchini, gasisti, commercianti ambulanti, braccianti, operai e lavoratori edili. In occasione di alcuni scontri di piazza verificatisi a Lonigo durante uno sciopero degli operai di un cotonificio, Conti subisce un arresto. Oratore di un comizio del 6 luglio 1919 a Verona con Armando Borghi, Virgilia D’Andrea ed un rappresentate dei minatori del Valdarno; gli interventi sono infuocati, si auspica a breve anche in Italia una rivoluzione sul modello della Russia. Capeggia il giorno successivo una manifestazione di un migliaio di operai contro il carovita. Denunciato per incitamento all’odio di classe. Nel mese di settembre, in seguito ad una polemica interna, presenta le dimissioni da segretario. Torna in Abruzzo. È segretario della CdL confederale di Castellamare Adriatico fino al fascismo. Riceve e diffonde «Volontà». Con Lidio Ettorre ed Alessandro Pica è tra gli oratori del comizio per la Russia sovietica di Giulianova del 19 ottobre 1919. Il 2 novembre è tra gli oratori del grande comizio di Teramo per la presentazione dei candidati socialisti promossa da PSI e Lega Proletaria: «Conti fustigò la vile borghesia che non sapendo reagire apertamente e lealmente, dopo aver condotto il paese al disastro, cerca nei palleggiamenti elettorali e nei connubi innaturali, la forza per contrastare il passo al popolo che si avanza minaccioso. Ricordò come tutto questo sia inutile perché ormai il popolo è in cammino verso la redenzione, verso il trionfo dell’Internazionale». Lo stesso giorno è a Giulianova quale oratore designato per l’inaugurazione della bandiera della locale sezione della Lega Proletaria. Attivissimo nelle lotte del biennio rosso su questioni concomitanti sul piano nazionale e locale quali il caroviveri, il pacifismo e l’antimilitarismo, l’emancipazione politica ed economica del proletariato, le libertà e i diritti sindacali. Guida svariate mobilitazioni e manifestazioni popolari contro il ripetersi degli eccidi proletari. Capeggia anarchici, socialisti e ferrovieri di Castellamare Adriatico e Pescara «all’assalto» di un comizio che dannunziani e nazionalisti tengono a Pescara. Sul versante politico è attivo nella propaganda anarchica, per la ricomposizione del movimento locale, nel cercare di orientare lo sforzo comune verso la sollecitazione delle masse alla formazione dei gruppi del FUR. È tra i principali promotori del percorso organizzativo preparatorio al convegno anarchico regionale di Sulmona del 20 maggio 1920, nel corso del quale si delibera la costituzione della FCAA. Tra i mesi di maggio e giugno organizza i gruppi anarchici di Guardiagrele e Tocco Casauria, entrambi aderenti alla FAA. Partecipa al II congresso che l’UAI tiene a Bologna (1-4 luglio 1920) quale delegato del gruppo Carlo Pisacane. Organizzatore del II convegno della FAA (Castellamare Adriatico, 15 agosto 1920). Il 29 agosto 1920 è tra gli oratori del comizio di Giulianova a conclusione della mobilitazione popolare contro gli eccidi proletari, per le vittime politiche e per la Russia sovietica. Oratore del comizio di Caramanico del 30 agosto 1920 contro gli eccidi proletari e per la libertà delle vittime politiche. Il 9 settembre 1920 organizza a Castellamare Adriatico la conferenza di Guglielmo Boldrini, oratore designato dalla CdC dell’UAI per un giro di propaganda anarchica in Abruzzo. Nei mesi di novembre e dicembre promuove mobilitazioni e comizi per la libertà dei prigionieri politici e per la scarcerazione immediata di Malatesta, Borghi e dei redattori di «Umanità Nova». Arrestato a Castellamare Adriatico il 2 gennaio 1921 e condannato dalla Corte d’Assise di Brescia a cinque mesi di reclusione, per aver vilipeso l’esercito in un comizio tenuto a Montagnana, nel padovano nel 1919. Partecipa al III convegno che la FAA tiene a Sulmona il 23 ottobre 1921. Interviene al III congresso dell’UAI di Ancona (1-4 novembre 1921). Organizzatore ed oratore del comizio pro-Sacco e Vanzetti di Castellamare Adriatico del 22 ottobre 1921. Nel 1922, la sua attività di segretario della CdL confederale di Castellamare Adriatico è davvero notevole. Nel mese di gennaio costituisce a Fossacesia una Lega di Resistenza composta da 150 operai, dando avvio ad una lotta per l’aumento dei salari. Sempre nel gennaio è oratore a Fossacesia del comizio pro-Sacco e Vanzetti al Teatro Comunale. Il 12 marzo 1922 riorganizza la Lega degli operai edili di Castellamare Adriatico aderente alla CdL; la nuova Lega vota immediatamente un ordine del giorno di lotta contro la disoccupazione. Dal 20 marzo 1922 dirige l’agitazione degli operai dell’officina D’Achille, tutti aderenti alla CdL. Nel mese di aprile è alla dirigenza della sezione dell’Alleanza del Lavoro (AdL) di Castellamare Adriatico. È tra gli organizzatori dello sciopero del I Maggio e tra gli oratori del comizio in Piazza Vittorio Veneto. Lo stesso giorno è tra gli oratori del comizio di Penne. Organizza il IV convegno che la FAA tiene a Castellamare Adriatico il 7 maggio 1922. Contribuisce all’organizzazione dello sciopero del I agosto indetto dall’AdL. Con l’avvento del fascismo è sottoposto a vigilanza e a numerose perquisizioni domiciliari. In relazione epistolare con Francesco Ippoliti negli anni Venti. Diffidato nel novembre 1930. Il 19 gennaio 1932, dopo una protesta di lavoratori disoccupati avvenuta tra Popoli e Bussi, dalle indagini risulta militante di una cellula anarco-comunista attiva nella province di Chieti e Pescara. Nel 1935 la prefettura di Pescara ordina una perquisizione presso la sua abitazione perché «accanito antifascista e iscritto nell’elenco delle persone d’arrestarsi in determinate circostanze»; vengono sequestrati opuscoli e giornali di propaganda anarchica. Viene ammonito. Arrestato e condannato a cinque anni di confino a Pisticci nel novembre del 1940 per disfattismo politico (per aver «borbottato» dentro una tabaccheria che «invece dei discorsi di Mussolini ci vuole il pane»). Liberato condizionalmente il 14 gennaio 1943. Le cattive condizioni di salute conseguenti ai maltrattamenti subiti lo portano alla morte poco dopo la Liberazione. Il primo numero del risorto foglio socialista di Castellamare Adriatico «Il Proletario», pubblicato il 18 febbraio 1945, commemora la morte di Conti avvenuta da pochi giorni, ricordando come avesse tenuto ancora comizi anarchici e antifascisti fino al dicembre del 1944.

 

Virginia D’Andrea

D’Andrea, Virgilia

Nasce a Sulmona (AQ) l’11 febbraio 1888, insegnante elementare. Rimasta prematuramente orfana, viene affidata dai parenti a un collegio di religiose che le impongono una educazione rigidamente dogmatica a cui riesce in parte a sfuggire rifugiandosi nella lettura. Leopardi, Carducci, Ada Negri sono gli unici compagni di una giovinezza solitaria; nulla entra della vita esterna al convento nell’immaginario delle collegiali fino al 1900, quando le suore costringono le ragazzine a pregare per la morte del re Umberto I assassinato a Monza dall’anarchico Gaetano Bresci. È il primo incontro di D’Andrea con l’anarchia, filtrata attraverso la parole delle suore che definiscono Bresci «un pazzo ed un criminale». Nel 1909, conseguito il diploma di maestra elementare, deve lasciare il collegio ed entrare in quel mondo, fuori dal cancello dell’istituto, di cui niente conosce. È sola, e la solitudine diviene sempre più un tratto caratterizzante della sua vita, un sentimento al quale spesso dovrà abbandonarsi, anche negli anni a venire. A Napoli consegue la licenza per insegnare e inizia a lavorare in alcuni paesini vicini a Sulmona; ama quei luoghi pieni di silenzi e di pace, dignitosamente poveri, dimenticati, come lei stessa sottolineerà in Torce della notte (New York 1933), dalla classe dirigente nazionale, tanto che quando quelle terre nel gennaio del 1915 sono devastate dal violento terremoto «non l’ombra di un re, di un duca o di una principessa reale, passò per qualche ora fra quelle rovine». Il 1915, anno in cui l’Italia entra in guerra, è per D’Andrea il momento della svolta: il conflitto delle decimazioni, degli orfani, dei mutilati, l’infame massacro di tante giovani vite la portano a fare la scelta dell’impegno politico attivo, contrassegnato da interventi a convegni e conferenze contro la guerra imperialista di cui sollecita una rapida fine auspicando un immediato ripristino delle libertà. In questi anni conosce alcuni esponenti del movimento anarchico abruzzese e si avvicina con entusiasmo all’ideale anarchico. Nel 1917 proprio un compagno abruzzese, l’avvocato Mario Trozzi, l’accompagna all’Impruneta a conoscere Armando Borghi, leader del movimento anarchico e sindacale, qui internato per aver sostenuto posizioni antinterventiste dopo le agitazioni della settimana rossa. È un incontro importante sia sul piano pubblico che su quello privato, l’inizio di una vita insieme fino alla morte. Da questo momento le forze di polizia di tutta Italia iniziano a seguire la D’Andrea nei suoi spostamenti perché, come scrive nel 1918 il prefetto di Campobasso, «benché non consti che la D’Andrea sia all’altezza di dirigere un movimento sindacalista anarchico [...] attraverso la lettura delle lettere che al Borghi pervengono, e da questi sono spedite ai suoi compagni, si rileva che l’accennata donna costituisce il centro di diffusione più fedele dei propri divisamenti». Ben presto D’Andrea smentisce il prefetto circa le sue capacità organizzative; infatti essendo Borghi internato ad Isernia e sottoposto a rigido controllo da parte delle forze dell’ordine, è lei ad aiutarlo a mantenere viva «Guerra di classe», il periodico dell’USI e a mantenere i contatti con il movimento. Nel 1919, terminata la guerra, i due anarchici possono lasciare il confino e tornare alla politica attiva; comincia un giro da un luogo all’altro dell’Italia centro settentrionale per fare propaganda, incontrare i compagni, cercare nuovi proseliti. Nel dicembre dello stesso anno si tiene a Parma un importante convegno dell’USI in cui viene riaffermata la totale autonomia dalla CGdL; nell’occasione D’Andrea viene inserita nella segreteria della centrale sindacale rivoluzionaria. Dal 1920 la sede milanese dell’USI, in via Mauri 8, diviene anche l’abitazione di D’Andrea, di Borghi e di Malatesta, da poco rientrato in Italia. È in quei giorni di vita in comune che si cementa l’amicizia tra Malatesta e D’Andrea, amicizia fondata sulla reciproca stima, sulla condivisione di ideali di vita e di militanza politica, sulla scoperta di una forte vicinanza intellettuale. La vita di D’Andrea trascorre freneticamente tra conferenze, interventi in pubbliche manifestazioni, compilazioni di articoli per «Guerra di classe» e «Umanità Nova», e altre prose che poi verranno raccolte nel volume Tormento (Milano 1922). Per il rientro di Malatesta scrive Il ritorno dell’esule, ma è soprattutto il mondo del lavoro quello che le interessa. È del 1920 un dattiloscritto La presa e la resa delle fabbriche in cui vengono descritti i lavoratori in lotta che D’Andrea incita all’azione di difesa dei propri diritti e di rivendicazione di una vita migliore. Sono gli anni del dopoguerra, della mancata riconversione e della forte disoccupazione, dell’idea della rivoluzione possibile cosi come era avvenuto in Russia. È di questo momento la lirica Resurrezione, che D’Andrea dedica «ai ribelli della Rhur», in cui rievoca l’antica ribellione di Spartaco offrendola ai lettori come esempio di coraggio per le insurrezioni moderne. Il 27 ottobre del 1920 D’Andrea conosce per la prima volta il carcere: deve rispondere dei reati di cospirazione contro i poteri dello Stato, di incitamento all’insurrezione, di istigazione a delinquere e di apologia di reato. Quando il 30 dicembre successivo esce di prigione è tutto fuorché una donna vinta: continua ostinatamente la sua attività di propaganda antigovernativa e provvede, da sola e con pochi mezzi, a far uscire «Umanità nova». La lirica Non son vinta, composta nei giorni della detenzione, mostra il suo forte carattere: nessuna esitazione, se le sbarre frenano le sue azioni, la sua parola, le sue poesie volano più in alto dei confini di una cella. La poesia come espressione di trasmissione degli ideali diviene una costante dell’agire della D’Andrea, tanto che Malatesta, nella prefazione a Tormento, non esita a definirla la poetessa dell’anarchia: «Ella si serve della letteratura come d’un arma; e nel folto della battaglia, in mezzo alla folla ed in faccia al nemico o da una tetra cella di prigione, o da un rifugio amico che dalla prigione la sottrae, lancia i suoi versi come una sfida ai prepotenti, uno sprone agli ignavi, un incoraggiamento ai compagni di lotta». Nel 1923 D’Andrea è con Borghi a Berlino per partecipare al congresso sindacale internazionale; il soggiorno berlinese è denso di incontri, nuove conoscenze, attività, ma segna anche l’inizio dell’esilio e della malattia che la porterà alla morte. Non può rientrare in Italia perché su di lei pende una nuova denuncia per «istigazione a delinquere» a causa della pubblicazione di Tormento. Con Borghi si reca prima ad Amsterdam, poi a Parigi. Qui vive un periodo di serenità nell’ambiente dell’antifascismo, alloggia nel Quartiere Latino, in rue de Malebranche; si iscrive alla Sorbona e fonda e dirige, tra il 1925 e il 1927, la rivista «Veglia». Come lei stessa scrive nell’editoriale del primo numero, «Veglia» vuole essere «la rivista di tutti gli anarchici, si propone di lavorare per una salda unione spirituale fra tutti noi, unione tanto necessaria per la difesa dell’essenza vitale dell’anarchismo». La rivista propone articoli che spaziano dalla più stretta attualità alla storia del movimento anarchico e sono spesso corredati da fotografie. A Parigi, nel 1925, pubblica anche la raccolta di scritti L’ora di Maramaldo, dove confluiscono i suoi scritti sul fascismo delle origini e sul primo squadrismo, su Mussolini, ma anche sulla vita parigina, città che celebra nei versi Nel covo dei profughi. Nel 1928 lascia Parigi per raggiungere negli USA Borghi, che vi si era trasferito nel 1926. Le autorità italiane si fanno premura di comunicare immediatamente a quelle americane che si tratta di una pericolosa propagandista e organizzatrice di attività radicali. Subito D’Andrea si mostra per quello che è: un’instancabile attivista del movimento anarchico; la salute, un po’ migliorata la sostiene nel giro di conferenze che tiene per tutti gli Stati Uniti. Scrive a Malatesta nel 1932: «Io continuo a lavorare, pur se la salute si mantiene delicatissima; ma sono rimasta sola a sbrigarla la propaganda orale, e gli Stati Uniti sono immensi. Come accontentarli tutti? Alle volte sono tanto fisicamente stanca; ma nuovi oratori purtroppo non sorgono ancora, mentre essi sarebbero cosi necessari!». Ogni sua parola, ogni sua lezione, ogni suo spostamento è sistematicamente segnalato alla polizia italiana e vanno ad arricchire il suo fascicolo personale di «pericolosa rivoluzionaria». D’Andrea è dotata di un’oratoria chiara ed efficace, affronta con competenza e approfondimenti personali i temi classici dell’anarchismo: la libertà, la lotta all’oppressione da qualunque parte provenga, l’individualismo, la società rinnovata. Anche i suoi scritti, tra cui numerosi interventi su «L’Adunata dei Refrattari», colpiscono per lucidità d’esposizione unita a una rara capacità di sintesi, dove il filo conduttore è l’idea forte della continuità storica del pensiero e dell’azione rivoluzionaria: «in tutte le epoche – afferma – vi sono stati uomini capaci di lottare contro i vincoli oppressivi e i falsi moralismi; queste lotte hanno rappresentato sempre la via del progresso umano. L’azione, la lotta contro quanto e quanti comprimo e opprimono le libertà degli individui è il compito fondamentale e la funzione storica degli anarchici, con l’obiettivo di far sorgere una società libera, felice, senza privilegi». D’Andrea individua nella società a lei contemporanea due grosse menzogne: la religione e la patria. La religione è condanna del progresso inteso come ragione libera di esprimersi, di esercitare i suoi diritti di critica e di libera indagine; la patria, intesa come stato, vincola l’uomo a interessi egoistici e contrari al vero significato della parola, vale a dire il naturale aggregarsi dell’uomo in società dal nucleo più elementare, quello famigliare, al villaggio alla città. Il vero sentimento di patria è quello che risponde ai principi della solidarietà umana senza distinzioni di frontiere. Simbolo per eccellenza dell’antiprogresso è il fascismo che limita tutte le libertà, opprime le coscienze, impedisce il libero sviluppo del pensiero umano. Gli spostamenti continui, le conferenze, il lavoro di scrittura minano sempre più il fisico malato di D’Andrea, che nel 1932 subisce un primo intervento chirurgico in seguito a una crisi emorragica. I dolori non le impediscono di continuare di lavorare alla stesura di Torce nella notte, il suo ultimo libro. Il 1° maggio 1933 l’acutizzarsi della malattia, un cancro all’intestino retto, costringe D’Andrea al ricovero in ospedale dove è sottoposta a un nuovo intervento chirurgico; dopo 10 giorni di sofferenze, muore a New York il 12 maggio 1933.
Fonti: ACS, CPC, ad nomen; DBAI, vol. I, pp. 486-488.

 

Pasqualina Martino

Martino, Pasqualina

Nasce a Musellaro (CH) il 6 gennaio 1901. Dal 1918 è a San Benedetto dei Marsi. Compagna di Francesco de Rubeis. Sul finire del 1921 è a Raiano con Alessandro Farias, Quirino Perfetto, Luigi Meta, Giuseppe Cerasani, Franco Caiola, Panfilo Di Cioccio, Francesco De Rubeis ed altri compagni per l’inaugurazione della Casa del Popolo di Raiano, la prima d’Abruzzo, voluta e realizzata da Umberto Postiglione. Nello stesso periodo torna a San Benedetto il medico Francesco Ippoliti, con cui stringe un’affettuosa amicizia. Nel novembre 1922 viene arrestata per porto abusivo di rivoltella. Subisce la violenza fascista. Il 25 dicembre 1922 è obbligata a sfilare in processione per le strade del paese con cartelli sul petto e sulla schiena di gloria e elogio al fascismo. Clandestinamente, riceve e diffonde «L’Adunata dei Refrattari». In relazione epistolare con Osvaldo Maraviglia e gli anarchici esuli negli USA. Subisce per questo diverse perquisizioni domiciliari e fermi di PS. Vigilata fino al 1942.
Fonti: ACS, CPC, b. 1745, f. [De Rubeis Francesco]