Rivista Anarchica Online


Honduras

519 anni di resistenza indigena
di Gaia Raimondi

Le storiche responsabilità dell’Europa e, da un certo punto, anche degli Stati uniti d’America nello sfruttamento e nell’oppressione di uno dei tanti paesi centro- e sud-americani.

Già un anno fa ci eravamo trovati a parlare di Honduras, per raccontare quello che silente accade in Centro America senza che i media del dominio ne diano anche solo un breve accenno.
Grazie alle informazioni e ai reportages che ci arrivano dalle organizzazioni popolari in loco conosciute durante un viaggio in Honduras, grazie ai blogs e siti di giornalisti come Giorgio Trucchi che ci tengono in costante aggiornamento sulla situazione del Centro America, avevamo pubblicato le dichiarazioni indigene dei popoli hondureñi per dar voce agli oppressi di quelle terre in cui anche l’Italia ha pensato bene di investire, fiutando possibili mega guadagni su progetti di impianti turistici devastanti per le popolazioni locali; avevamo raccontato dell’eco-mostro in fase di progettazione, che i potenti agognano realizzare, in quelle terre paradisiache della regione nord dell’Honduras, bagnata dal mar dei Caraibi che fa gola a tutti gli speculatori nazionali e internazionali, Europa compresa e Italia in cima alla lista. Ebbene, ogni anno il 12 Ottobre il Copinh, Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras, cerca di urlare più forte per rivendicare diritti e dignità dei popoli indigeni rispetto a chi celebra in quella data la scoperta dell’America, inizio del dominio europeo su terre e popoli che da più di cinquecento anni cercano di difendere le proprie radici, le proprie culture e le proprie risorse naturali che inevitabilmente divengono anche economiche. Quest’anno il Copinh ha realizzato una veglia a Tegucigalpa per commemorare “518 anni dall’arrivo degli invasori europei nel nostro continente”. La veglia di protesta è stata fatta in tarda serata di fronte alle ambasciate degli Stati Uniti e Spagna. Con cartelli, striscioni, candele e slogan, uomini e donne di questa combattiva organizzazione hanno condannato “i genocidi, i saccheggi delle nostre ricchezze naturali, lo sfruttamento immisericordioso dei nostri popoli da parte dei paesi colonialisti e le oligarchie locali.”.
“Siamo qui di fronte all’ambasciata nordamericana per condannare il progetto di morte che questo paese ha sviluppato per decadi contro il popolo honduregno e contro tutti i popoli che esigono libertà ed emancipazione”, ha detto Bertha Cáceres, coordinatrice nazionale del Copinh.
Secondo Cáceres, bisogna continuare a segnalare le responsabilità dell’impero nordamericano e di quello europeo, perché come più di 500 anni fa, continuano a sviluppare “il colonialismo, saccheggiando i nostri paesi attraverso i trattati di libero commercio, colpi di Stato e l’occupazione militare.
Inoltre, con le loro multinazionali continuano a promuovere progetti di morte, come il settore minerario, la privatizzazione dell’acqua, la distruzione dei boschi e il saccheggio della nostra cultura, conoscenza e diversità biologica. Si vuole ostacolare il nostro diritto a essere sovrani e sovrane –continuò la coordinatrice del Copinh-, ad avere autodeterminazione. Queste potenze rappresentano nel mondo l’impero della morte, dell’avidità e del saccheggio”. Per il Copinh, il 12 ottobre non è il Giorno della Razza e ancora meno della Scoperta dell’America o dell’Incontro tra Razze, bensì è un giorno di Resistenza.
“Commemoriamo il giorno della resistenza indigena, nera, meticcia e popolare in tutto il continente. Continuiamo a lottare contro l’occupazione, come ci hanno insegnato Lempira, Mota, Barauda, Cincumba, Copan Calel e tutti i nostri liberatori e liberatrici”, ha affermato Cáceres.

Veglia di protesta del Copinh (Consiglio Civico di
Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras)
di fronte alle ambasciate di Stati Uniti e Spagna
(foto di G.Trucchi)

Bertha, coordinatrice del COPINH

In un comunicato diffuso dal Copinh, si sottolinea che il progetto di dominazione è accompagnato da colpi di Stato. “Ci hanno provato in Venezuela, ci sono riusciti in Honduras e poco fa ci hanno provato in Ecuador.
Lo abbiamo detto fin dall’inizio: l’Honduras è stato un copione da seguire nel futuro per imporre il progetto di dominazione e continuare a impadronirsi delle nostre risorse. Ora cercano di mostrarsi interessati a un’Assemblea Costituente, che non è quella che vuole il popolo. Serve invece a rafforzare lo stesso progetto di dominazione e saccheggio”, ha denunciato la coordinatrice del Copinh. Nel comunicato, l’organizzazione indigena e popolare ha evidenziato che i popoli continuano la resistenza, “rafforzando la lotta per la costruzione di società più giuste e più umane”. Nel caso specifico dell’Honduras, il Copinh, insieme a un’infinità di organizzazioni che integrano la Resistenza, promuove la rifondazione di un paese che deve essere “multiculturale, multilingue, in cui si promuova la democrazia interculturale, con il diritto alla partecipazione diretta dei nostri popoli mediante un’Assemblea Nazionale Costituente plenipotenziaria, indipendente, popolare e democratica”, spiega il testo del comunicato. L’obiettivo è di creare una nuova Costituzione della Repubblica, “che generi un patto politico in cui si definisca che le ricchezze naturali sono dei nostri popoli e non dell’oligarchia o delle multinazionali”. Che permetta inoltre “i referendum revocatori delle cariche istituzionali, che riconosca i diritti delle donne, dei giovani, dei bambini e delle bambine, che ridistribuisca in modo equo la ricchezza, mettendo fine ai privilegi delle oligarchie nazionali, che tanto danno hanno fatto ai nostri paesi”.

Bertha

Allo stesso modo, il Copinh chiede una Costituzione “che restituisca la sovranità alla patria, obbligando le truppe straniere a ritirarsi e che ci permetta l’integrazione regionale con i paesi e i governi democratici e popolari della nostra America”. Il Copinh chiede, infine, che finisca l’impunità di chi viola i diritti umani, dei corrotti e di chi ha “propiziato colpi di Stato”. E anche che la nuova Costituzione “riconosca la proprietà comunitaria, i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici, che protegga l’ecosistema e contribuisca a frenare il cambiamento climatico”, spiega il documento. “Il fine della lotta di resistenza è la rifondazione dell’Honduras e l’Assemblea Costituente è uno strumento per raggiungere questa meta. In questo senso – ha concluso Cáceres – è necessario che a questo sforzo partecipino tutti i settori in resistenza, senza esclusioni. Dobbiamo sviluppare processi partecipativi, orizzontali, in cui ci siano dibattito e critica costruttiva, perché sono gli elementi che ci fanno crescere”.
Nel comunicato, il Copinh ha anche rivolto un appello al coordinatore del Fronte nazionale di resistenza popolare, Fnrp, ed ex presidente Manuel Zelaya Rosales, affinché “nonostante tutti i rischi e le persecuzioni giudiziarie contro di lui, ritorni nel paese e contribuisca, dall’interno, alla rifondazione della patria, poiché il momento è cruciale e c’è bisogno della sua presenza”.

Manuel Zelaya

Massacro e barbarie nel Bajo Aguán

A distanza di un mese dalle dichiarazioni indigene i fatti tragici che andiamo ad illustrare dimostrano che la situazione socio-politica è davvero grave e che i tentativi di autorganizzazione e di lotta vengono repressi e scoraggiati con l’eliminazione fisica delle persone. È stato un vero massacro quello di lunedì 15 novembre, nella finca El Tumbador, municipio di Trujillo, nel nord dell’Honduras. Un esercito di più di 200 guardie di sicurezza del produttore di palma africana Miguel Facussé Barjum, presidente della Corporazione Dinant, ha attaccato con armi di grosso calibro i membri del Movimento contadino dell’Aguán, Mca, (foto MCA) i quali avevano recuperato quelle stesse terre da oltre nove mesi. Terre che erano state usurpate loro dal sanguinario impresario per seminare palma africana.

Truillos – Campesinos

L’attacco dei gruppi paramilitari ha lasciato un tragico saldo di cinque morti – Teodoro Acosta (45), Ignacio Reyes (50), Raúl Castillo, 45, Ciriaco Muñóz (45) e José Luis Sauceda Pastrana (32) –, uno scomparso – Noé Pérez – e vari feriti, alcuni dei quali sono ricoverati in gravi condizioni. “Le guardie di Facussé sono arrivate alle 5 di mattino e hanno intimato ai contadini di abbandonare il luogo. Di fronte al rifiuto di questi ultimi hanno chiamato rinforzi. Sono arrivate più di 200 guardie e senza proferire parola hanno aperto il fuoco con armi di grosso calibro”, ha raccontato Santos Cruz, membro del Mca, alla Lista Informativa “Nicaragua y más” e a Sirel. Secondo varie testimonianze, le guardie dell’impresario palmero hanno usato armi da guerra: AK-47, M-16 e fucili R-15. Hanno invaso la proprietà e hanno iniziato a inseguire i membri del Mca per più di quattro ore.
Nemmeno la polizia, che come sempre è arrivata quando la situazione si era calmata e il massacro consumato, è potuta entrare nel terreno, in quanto totalmente controllato e protetto dalle guardie. “È stato un massacro. Hanno sparato per uccidere. La gente scappava tra le palme, cercando di proteggersi. Ci sono ancora due compagni scomparsi (uno, José Luis Sauceda, è stato poi ritrovato assassinato con tre colpi di R-15 al volto dopo l’intervista) e non si sa se si siano nascosti o se siano stati assassinati e i loro corpi sono ancora nella proprietà. Nessuno può entrare. Queste terre sono nostre e le difenderemo”, ha spiegato Cruz.

Tornabe

Corruzione e saccheggio

Martina Melendez

La finca El Tumbador fa parte di una delle tante “storie nere” che hanno contribuito all’usurpazione delle terre in Honduras da parte di latifondisti senza scrupoli. Quando Temístocles Ramírez de Arellano, portoricano nazionalizzato statunitense, è stato obbligato a vendere allo Stato i suoi 5.724 ettari nel Bajo Aguán, quelle terre sono state passate all’Istituto nazionale agrario, Ina, per fini di Riforma Agraria. Su queste terre il governo dell’Honduras ha installato il tristemente famoso Centro Regionale di Addestramento Militare (CREM), luogo in cui durante gli anni 80 esperti statunitensi hanno addestrato nell’arte di ammazzare le tenebrose truppe honduregne, salvadoregne, guatemalteche e la Contra nicaraguense. Perfezionando tecniche di corruzione e appellando alla Legge di Modernizzazione Agricola, promossa all’inizio degli anni 90 per scardinare la riforma agraria iniziata nelle precedenti decadi, i latifondisti riuscirono ad impadronirsi illegalmente di queste terre, cominciando a seminare palma africana.
Quando le famiglie contadine si resero conto dell’esistenza di una scrittura con la quale la Procura Generale della Repubblica passava le terre all’Ina, cominciarono a organizzarsi e a progettare il loro recupero. “L’Ina ha già misurato le terre della finca El Tumbador. Ha definito che fanno parte di ciò che è stato il CREM e che devono essere consegnate ai contadini, i quali dovranno pagare solamente il valore dei miglioramenti fatti in questi anni – ha detto Esly Banegas, coordinatrice regionale del Coordinamento delle organizzazioni popolari dell’Aguán, Copa –. Ciò che è accaduto è assurdo. Ci sono già negoziazioni in corso e lo stesso Facussé ha accettato che quelle sono terre fiscali destinate alla riforma agraria. I contadini del Mca sono stati costantemente perseguitati e minacciati e quello che abbiamo visto ieri è un’evidente dimostrazione che il potere in Honduras è in mano ai gruppi economici egemonici. Sono loro che comandano nel paese”, ha affermato Banegas. Anche per il Movimento unificato contadino dell’Aguán, Muca, il massacro perpetrato dalle guardie di Miguel Facussé dimostra la debolezza e la connivenza del governo di Porfirio Lobo con l’oligarchia nazionale. “Il regime di Porfirio Lobo, i ministri della Sicurezza e della Difesa e Miguel Facussé sono i principali responsabili di quanto è accaduto. Vogliono seminare il terrore nella regione per fermare le lotte per la terra, e hanno già avvisato che militarizzeranno nuovamente la zona – ha detto Juan Chinchilla, dirigente del Muca –. Il Muca si solidarizza con i compagni e le compagne del Mca. Siamo indignati per questo nuovo massacro e per l’inettitudine di questo regime. Esigiamo che si indaghi a fondo. Basta con l’impunità!”, ha rimarcato Chinchilla. Di fronte a questa situazione, il Mca si prepara per ciò che potrà accadere nei prossimi giorni.
“Siamo feriti. In dieci anni ci hanno assassinato più di 20 compagni. È una campagna del terrore, per spaventarci, per farci rinunciare alla difesa dei nostri diritti sulla terra. Ci stiamo preparando e stiamo prendendo le misure necessarie e non ci fermeranno”, ha concluso Santos Cruz.

Gaia Raimondi


Dichiarazione dell’incontro di popoli indigeni dell’Honduras per la difesa dei territori

Noi qui riuniti, rappresentanti e membri dei popoli indigeni Tulupanes, Pech, Miskitos, Maya-Chortis, Lencas e Garífunas, nella comunità di Sambo Creek, nei giorni 2 e 3 d’ottobre del corrente anno, consideriamo e segnaliamo quanto segue. L’offensiva da parte dello stato-nazione e dell’elite di potere honduregna contro i popoli indigeni dell’Honduras è stata permanente e sistematica e, a partire dal colpo di stato del 28 giugno 2009, abbiamo visto una recrudescenza del colonialismo interno, con l’intento di rinsaldare il Plan Puebla Panamá (ribattezzato come Progetto Mesoamerica), e l’Iniziativa Merida (versione locale del Plan Colombia), strategie con cui gli organismi finanziari internazionali pretendono appropriarsi di fiumi, boschi e risorse energetiche, che formano parte degli habitat funzionali dei nostri popoli.
Gli effetti del cambiamento climatico in Honduras sono stati ignorati dalle varie amministrazioni governative, che non hanno preso le misure necessarie ad evitare la distruzione della biodiversità, essendo l’Honduras indicato come uno dei paesi del pianeta più danneggiati dal riscaldamento globale. Nondimeno i nostri popoli si vedono soggiogati mediante gli strumenti provenienti dal Fondo del Carbonio delle Nazioni Unite, quali i Meccanismi di Sviluppo Pulito (MLD) ed il programma di Riduzione delle Emissioni Derivate dalla Deforestazione e Degradazione Forestale nei Paesi in Via di Sviluppo (REDD), che sequestrano i nostri fiumi e boschi, dopo che li abbiamo curati per secoli; prova ne sia la recente concessione di 41 bacini idrografici per la costruzione di dighe di sbarramento, senza aver consultato le comunità.
C’è stata violazione del diritto alla consultazione, che possediamo noi popoli indigeni, diritto negato dallo Stato honduregno, che pure firmò e ratificò l’Accordo 169 dell’OIT e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Popoli Indigeni, diritto che tali strumenti giuridici ci riconoscono. Piano di Nazione dell’attuale amministrazione, concessione di bacini idrografici da parte del Parlamento nazionale ad imprenditori associati alla cricca al potere, creazione della “Segretaria per lo sviluppo di questioni indigene ed afro-honduregne”: dal processo di consultazione previa, libera ed informata per tali iniziative, noi popoli indigeni siamo stati esclusi. Noi popoli indigeni dell’Honduras abbiamo patito trasferimenti forzati causati dalle pressioni territoriali, senza che conflitti vecchi di decadi siano stati risolti, ma permangano in un limbo giudiziario, in conseguenza della precarietà del sistema di giustizia che regna nel paese. Frequentemente essi diventano violazioni dei diritti umani e negazione del diritto fondamentale all’alimentazione.
A fronte della persistente opinione che noi indigeni ci opponiamo allo sviluppo, dichiariamo che questa convinzione è assolutamente falsa, poiché la crisi ambientale in cui si trova il pianeta, richiede una messa in discussione immediata del modello di sviluppo imposto e delle conseguenze dell’uso smisurato di idrocarburi, oltre che della distruzione sistematica dei fiumi, per compiacere all’assuefazione energetica dei paesi ricchi del mondo e dei fautori di un tale obsoleto modello.
Rimarchiamo la nostra condizione di popoli indigeni e non di minoranze etniche, denominazione attribuitaci dallo stato-nazione e dai mezzi d’informazione del sistema, denominazione che nega i nostri diritti storici come popoli, facendoci diventare semplici minoranze etniche senza diritto alcuno.

Pertanto concordiamo ed esigiamo:

  1. Dando seguito agli accordi emersi dai differenti incontri avviati verso la Rifondazione dell’Honduras, svoltisi nella zona Lenca, ci autoconvochiamo per portare a termine l’Assemblea Costituente dei Popoli Indigeni e Neri, gente che veniamo dalla terra, la quale ci permetta di riaffermare la nostra cosmo visione e la nostra lotta, per costruire un nuovo modello di vita che può essere raggiunto soltanto attraverso la rifondazione.
  2. A fronte della decisione autoritaria ed aggressiva contro i nostri popoli indigeni da parte del Parlamento nazionale, che ha violato l’Accordo 169 dell’OIT in maniera irresponsabile ed ignorato la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti indigeni, ci dichiariamo in stato d’allerta e in mobilitazione permanente, per cui fin d’ora respingiamo e condanniamo la concessione dei nostri fiumi per la costruzione di dighe di sbarramento (tra esse PATUCA I, II e III). Allo stesso tempo rivolgiamo un appello alle nostre comunità, organizzazioni e popoli, affinché seguano l’esempio dei nostri antenati alla ribellione ed all’esercizio dei nostri diritti con dignità.
  3. Dopo aver analizzato ampiamente la problematica che affrontano le donne indigene, ove si riscontra una chiara violazione dei diritti umani delle donne, prodotto del patriarcato, decidiamo di dare impulso ad un processo che rafforzi l’articolazione delle donne indigene, che generi la proposta della costituente popolare, basata sul rispetto del diritto alla vita e dignità delle donne, senza patriarcato, senza razzismo e senza capitalismo, per cui ci autoconvochiamo per realizzare un incontro nazionale di donne indigene e nere, durante i mesi di marzo – maggio 2011.
  4. Ci pronunciamo contro la promozione e l’iniziativa di creare la “Segreteria per lo sviluppo di questioni indigene ed afro-honduregne”, poiché mediante questa segretaria si vuole incoraggiare la burocrazia governativa, la politicizzazione della questione indigena, la divisione delle nostre organizzazioni, così come favorire l’investimento in progetti di morte ed il saccheggio delle nostre risorse.
  5. Abbiamo concordato la creazione di un Osservatorio Indigeno e Nero dell’Honduras, che vigili sulla difesa e vigenza dei nostri diritti umani.
  6. Esigiamo l’immediato riconoscimento giuridico dei territori in cui abitiamo, compreso l’habitat funzionale già escluso dai titoli e poi concessoci a metà.
  7. Facciamo un appello urgente a tutte le comunità indigene e nere a rendere profondo il nostro spirito di dignità e ribellione, ad esercitare più che mai il diritto storico e sovrano all’autonomia e all’autodeterminazione, seguendo il degno esempio di Lempira, Cicumba, Barauda, Satuye, Copan Galel, ed altri antenati ed antenate che ci tracciarono la strada dell’emancipazione.


Comunità Garifuna di Sambo Creek
Organizzazione Fraterna Nera Honduregna, OFRANEH
Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari ed Indigene dell’Honduras, COPINH
Consiglio Indigeno Maya Chorti dell’Honduras, CONIMCHH
Associazione delle Tribù Indigene della Montaña de la Flor
Federazione delle Tribù Pech dell’Honduras, FETRIPH
Organizzazione delle Donne Miskitas, MIMAT
Federazione del Popolo Miskito, FINZMOST