Rivista Anarchica Online


antirazzismo

Oltre il mare, oltre il muro
di Maria Matteo

 

Il confine che divide i ricchi dai poveri è sottile, sottilissimo. Sottile come la carta dei passaporti e dei permessi. Fogli pieni di timbri, foto, impronte sono l’emblema della barriera che divide chi viaggia da cittadino del mondo – valige, aereo, hotel – e chi invece viaggia da clandestino – niente bagaglio, gommone, intercapedine di un tir.
La roulette russa di chi non ha niente e deve rischiare tutto è senza regole e con poche speranze.
Per chi viaggia senza le carte è stata un’altra estate torrida.
Il ministro dell’Interno, il leghista Maroni – grazie agli accordi dello scorso anno con la Libia – si vanta di essere riuscito a bloccare gli sbarchi sulle nostre coste, che nell’ultimo anno avrebbero subito una drastica riduzione, obbligando immigrati e profughi e cercare altre vie.
Nuove strade per i disperati che fuggono guerre e miseria. Strade insanguinate. La nuova rotta – inaugurata nel 2005 dai profughi del Darfur dopo la violentissima repressione messa in atto dal governo egiziano – passa del deserto del Sinai verso Israele. Ma è una rotta amara. La polizia egiziana spara e uccide; il parlamento israeliano, dopo una breve stagione di accoglienza, ha approvato leggi durissime contro gli irregolari.
A ferragosto oltre 10 eritrei sono stati ammazzati dalle forze di sicurezza egiziane, altri sono dispersi, probabilmente morti di sete nel deserto. Il bilancio ad oggi è di 31 morti nei primi 8 mesi di quest’anno. Un bilancio di guerra.

Ma le emozioni durano poco

Il 5 agosto il parlamento italiano ha prorogato le missioni militari all’estero. Tra gli altri, l’intervento della guardia di finanza a fianco delle truppe libiche nelle azioni di pattugliamento in mare. I respinti finiscono nei campi finanziati dal nostro governo. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Per chi ne ha uno.
Gli uomini, donne, bambini rinchiusi nelle prigioni libiche nessuno li vede, pochi ne sanno. In quelle galere torture, stupri, umiliazioni sono il pane quotidiano. Il confine tra la vita e la morte è sottile come le banconote gualcite che qualcuno riesce a pagare alle guardie perché chiudano un occhio. E fuori, oltre le mura, spesso c’è il deserto, che impietoso uccide chi non ha abbastanza soldi per riprendere il viaggio.
In luglio la vicenda dei profughi eritrei pestati a sangue nel centro di Misratah, dove si erano ribellati ad un tentativo di deportazione, poi finiti nel campo di Brak, grazie ad un banale sms con richiesta di aiuto, ha bucato l’usuale silenzio dei media, obbligando le autorità libiche a fare dietrofront, liberando i prigionieri, con un permesso temporaneo di tre mesi per la Libia. Di loro da allora non si sa più nulla. Ma che vuoi? Le emozioni, sui giornali, durano poco.
In occasione della visita del premier libico il 30 agosto a Roma, celebrando tra spettacolo e affari il secondo anniversario del trattato che ha dato il via alla collaborazione sui respingimenti, solo poche voci si sono levate per chiedere dei profughi abbandonati nel deserto, dei centri di detenzione che Gheddafi pretende di aver chiuso in luglio. I diritti umani e altre amenità vanno bene per le cerimonie, le dichiarazioni ufficiali, il bon ton umanitario. Ma quando si tratta di business la musica cambia.
Ha fatto scandalo la richiesta del leader libico di 5 miliardi per fermare gli sbarchi: certe cose si fanno ma non si strillano al vento, non si contratta con il governo come battitori nella piazza del mercato. Gheddafi ha lanciato, sia pure con poco garbo “istituzionale”, un messaggio chiaro e forte. Senza di me le vostre politiche non hanno gambe: pagate e pagate bene.

Fughe e rivolte

Un’estate torrida nelle prigioni per migranti. Da nord a sud i reclusi nei centri hanno saltato muri, divelto recinzioni, fatto buchi. Molti sono riusciti a fuggire, altri hanno subito pestaggi, arresti, processi.
Sul fronte “interno” è sempre più evidente la difficoltà del governo a gestire le continue rivolte e tentativi di fuga dai CIE: nonostante i pestaggi feroci, l’impiego dell’esercito a fianco di polizia e carabinieri, la situazione sfugge al controllo. In molti centri telecamere, sistemi di rilevamento ad infrarossi, a volte intere sezioni sono state rese inutilizzabili nel corso delle sommosse degli immigrati.
Ne sanno qualcosa gli operatori del consorzio Connecting People, che gestiscono, tra gli altri, i CIE di Gradisca e Trapani, dove in quest’estate di fuoco le fughe tentate e riuscite si sono moltiplicate. I bei soldi che vanno a chi gestisce i Centri cominciano a costar cari a chi ha deciso di gestire un lager.
A più riprese quelli di Connecting People hanno denunciato aggressioni, insulti e minacce da parte dei reclusi, invocando maggior “sicurezza” in quello che definiscono “un carcere a basso costo che utilizza una struttura totalmente inadeguata”. Questi affaristi dell’umanitario, sinistri gestori di gabbie per uomini, chiamano le cose con il loro nome. Senza pudore né vergogna.
Ma, di sicuro, con sempre maggior paura: non può dire che non ne abbiano motivo.
Ad un anno dal prolungamento a sei mesi della detenzione nei centri per immigrati senza carte, la tensione non accenna a diminuire. Secondo poliziotti ed operatori dei Centri è cambiata la strategia di proteste e rivolte, che sarebbero la copertura per chi tenta la fuga. Difficile dire se questa valutazione – in primis volta a pretendere più soldi e più mezzi – sia corretta. Un fatto però c’è. Quest’estate ci hanno provato in tanti e parecchi si sono dileguati al di là del muro. E spesso la protesta sul tetto, i materassi bruciati, le suppellettili distrutte, lo scontro con i militari ha fornito l’occasione di fuga ad alcuni.
Inoltre in luglio il governo Berlusconi ha stipulato accordi con l’Algeria e la Tunisia per realizzare espulsioni rapide e di massa verso i due paesi del nordafrica.
Il 12 luglio in un’intervista a “La Padania” Maroni aveva dichiarato: è “un passo meno eclatante dal punto di vista mediatico rispetto all’accordo con la Libia e tuttavia è ugualmente, e sottolineo ugualmente, importante”.
E i Centri di Trapani, Milano, Gradisca, Roma, Torino, Bari, Brindisi, si sono subito infiammati.

Maria Matteo

Cronache dai CIE

Trapani, mercoledì 14 luglio
Almeno 15 reclusi riescono a fuggire. Secondo la versione della questura che per due giorni ha taciuto l’evasione, ci avrebbero provato in 27, ma 12 sarebbero stati riacciuffati subito.
Secondo altre fonti i fuggitivi sarebbero stati ben quaranta.
Quattro immigrati, individuati come responsabili degli scontri avvenuti durante la sommossa che ha preceduto al fuga, sono stati arrestati e tradotti in carcere.

Torino, mercoledì 14 luglio
Intorno alle 15 divampa la rivolta al CIE di corso Brunelleschi. Gli immigrati tentano di impedire la deportazione di tre di loro. Alla fine la polizia porta via due “ospiti” su tre. I prigionieri reagiscono spaccando suppellettili e dando fuoco ai materassi. Un’intera sezione del CIE è resa inagibile. Alcuni immigrati salgono sul tetto.
Intorno alle 17 davanti al CIE si raduna un presidio di una cinquantina di solidali, alcuni dei quali, in serata, alla notizia di feriti lasciati senza cure, occupa il cortile della Croce Rossa in via Bologna. L’occupazione termina solo quando, dopo ben tre ore di tira e molla con la polizia, al CIE arriva un medico che dispone il ricovero di un immigrato che si era bruciato mani e piedi durante la rivolta.
Un altro immigrato, Samir, che si era tagliato con le lamette le braccia e il corpo, viene portato in ospedale intorno alle 21: sedato, si risveglia al CIE di Ponte Galeria a Roma.

Gradisca, sabato 17 luglio
Nella notte esplode l’ennesima rivolta. Tutto parte da un tentativo di espulsione di uno o più tunisini: per resistere, i reclusi salgono sui tetti delle celle e la polizia risponde, come altre volte, con un fitto lancio di lacrimogeni. I reclusi di un’altra area trascinano i materassi in cortile e li incendiano per sviare l’attenzione dei poliziotti. Uno dei migranti sul tetto viene colpito da un candelotto lacrimogeno e cade sui materassi in fiamme ustionandosi al volto in modo talmente grave da essere portato in ospedale a Udine. Per diverse ore non sarà possibile avere sue notizie. Domenica il ferito viene riportato all’interno del CIE in condizioni critiche ma per fortuna meno gravi di quello che si temeva e lunedì viene visitato da un avvocato solidale.
Il martedì successivo il detenuto che aveva opposto resistenza all’espulsione viene processato per direttissima e condannato a 9 mesi di reclusione, per resistenza e violenza contro pubblico ufficiale.

Torino, 19/22 luglio
Un immigrato tunisino, Sabri, sale sul tetto della sezione viola del CIE: gli mancano pochi giorni alla scadenza dei sei mesi e si batte per non essere deportato. Sabri è tra quelli che, il 14 luglio, avevano reso inagibile la sezione bianca, dando vita alla rivolta.
Un folto gruppo di antirazzisti, in buona parte della rete “10 luglio antirazzista” si danno appuntamento davanti al CIE. Sabri resiste sul tetto per tre giorni e tre notti, mentre sotto le mura c’è un presidio permanente, che sostiene la sua lotta, facendola conoscere in città, con volantinaggi, giri informativi, dirette alla radio.
All’alba del terzo giorno la polizia, coadiuvata dei vigili del fuoco, tira giù dal tetto Sabri, che si sloga una caviglia. In strada gli antirazzisti del presidio bloccano i due ingressi: vengono caricati e manganellati. In serata un corteo di 500 persone fa il giro del CIE.
Sabri non ce l’ha fatta, ma, grazie alla sua resistenza, la sua storia personale, che è poi una delle tante storie tutte uguali dei poveri che emigrano per campare la vita, ha oltrepassato le gabbie del CIE, rompendo brevemente il muro di silenzio e menzogna che lo circonda.

Roma, venerdì 23 luglio
Samir, il ragazzo che si era tagliato durante la rivolta del 14 luglio al CIE di Torino e si era ritrovato a Ponte Galeria, sale sul tetto, ingoia vetri. Venerdì 23, ultimo dei suoi 180 giorni, riguadagna la libertà.

Gradisca, sabato 24 luglio
Presidio solidale organizzato dal coordinamento libertario regionale.

Gradisca, mercoledì 28 luglio
Nove o, secondo altre fonti, sei immigrati, rinchiusi in cella per punizione, ne hanno approfittato per fare un buco nel tetto e scappare dal Centro. Il giorno dopo sono fuggiti altri tre.

Bari, venerdì 30 luglio
Nel CIE di Bari si sta malissimo: qualsiasi richiesta, anche minima, è accolta con scherno, insulti e magari anche una buona dose di legnate.
Non stupisce che la rabbia a lungo covata sia esplosa in una rivolta tra le più dure di questo periodo. Ci hanno provato in 50 a riprendersi la libertà. La protesta è scoppiata nella notte. Gli immigrati, dopo aver divelto con spranghe di fortuna la recinzione del CIE, si sono scontrati violentemente con polizia, carabinieri e con i marò del battaglione “S. Marco”. Solo sei sono riusciti a scappare. Altri 30 sono saliti sui tetti, lanciando contro i militari tutto quello che avevano.
Secondo quanto riportano alcuni siti di informazione tre sezioni sono state distrutte, ci sono stati 11 feriti tra i militari e sei tra gli immigrati. Un senza carte ha un trauma cranico e i medici si sono riservati la prognosi.
18 reclusi sono stati arrestati con l’accusa di “di devastazione, saccheggio seguito da incendio, resistenza, violenza e lesioni a pubblici ufficiali”. Il giudice convaliderà l’arresto di 17 di loro, quattro ancora ricoverati per le ferite riportate durante gli scontri.

Torino, lunedì 2 agosto
I detenuti danno fuoco a qualche materasso per protestare contro il pestaggio di un senza carte tunisino. Il giorno successivo il ragazzo pestato verrà arrestato con l’accusa di aggressione.

Brindisi, giovedì 5 agosto
Ci provano in sedici ci riescono in otto. Nello scontro con le forze dell’ordine un immigrato precipita dal muro di cinta finendo in ospedale con un piede fratturato. I militari feriti sono due. Da maggio a luglio dal CIE di Restinco sono scappati 25 immigrati. Il bilancio arriva quindi a 33.

Trapani, venerdì 6 agosto
Nuova sommossa al Serraino Vulpitta, dove i reclusi attaccano in massa i loro carcerieri, tentando la fuga. Gli immigrati hanno lanciato suppellettili e danneggiato le strutture, ma, secondo quanto riferisce il quotidiano “La Sicilia”, sono stati infine bloccati dalla polizia. Due tunisini, arrestati con l’accusa di aver partecipato attivamente alla rivolta, sono stati portati in carcere in attesa del processo per direttissima.
Al CIE di Trapani arriveranno presto 50 militari: lo ha deciso Maroni nell’ambito del programma “strade sicure”, prorogato dal consiglio dei ministri il 5 agosto.

Brindisi, domenica 15 agosto
Ci provano in trenta, ci riescono in 10, gli altri, alcuni malconci per il salto del muro, vengono riacciuffati. Questo il bilancio di ferragosto al CIE di Restinco.

Milano, notte tra domenica 16 e lunedì 16 agosto
Dal CIE di via Corelli provano a scappare in 4, ma solo uno ci riesce, 18 reclusi sono invece denunciati per la sommossa che per tutta la nottata ha infiammato il centro. La repressione contro gli immigrati saliti sul tetto della struttura è durissima: i poliziotti pestano duro, colpendo anche il viso, persone distese inermi a terra. Una vera mattanza. I quattro feriti più gravi, svenuti per le botte ricevute, vengono ricoverati in ospedale.

Gradisca, domenica 15 agosto
Nel campetto di pallone dei CIE si accede a gruppi di 10, fatti entrare da un operatore di Connecting people, che fa la conta. In una quarantina si scagliano addosso al secondino, un immigrato algerino in Italia da anni, e fanno irruzione nell’area, divelgono i lucchetti e provano a saltare il muro. Ci riescono in 25: purtroppo 14 vengono ripresi. Per gli altri 11 è un ferragosto di libertà.

Trapani, 17 agosto
Nuova fuga di massa dal “Serraino Vulpitta”. Ci hanno provato in piena notte, calandosi dalle finestre del primo piano e forzando poi la cancellata. Dei 43 fuggitivi soltanto una quindicina è riuscita ad allontanarsi facendo perdere le proprie tracce ai poliziotti che hanno ripreso gli altri. Un immigrato, la gamba fratturata nel salto dalla finestra, è stato ricoverato in ospedale e potrebbe essere stato denunciato per i danneggiamenti alla struttura durante la fuga. La magistratura sta vagliando la posizione di altri cinque immigrati. I CIE, vale la pena ricordarlo, non sono formalmente carceri, per cui chi scappa non può essere imputato di evasione. Ma ai pubblici ministeri non manca mai la fantasia per scovare altre imputazioni.
Il Centro di Trapani, assieme a quello di Lamezia Terme, è finito nel mirino di Medici senza Frontiere, l’associazione di volontari, che da qualche anno ha scelto di intervenire nella tutela e nella denuncia della condizioni igienico sanitarie in cui vivono gli immigrati nel nostro paese. Nel rapporto di MSF, i centri di Trapani e Lamezia sono descritti come i peggiori d’Italia ed andrebbero immediatamente chiusi.

Gradisca, 28 e 29 agosto
Nuova fuga di massa dalla struttura isontina. In trenta sono saliti sul tetto inscenando una protesta, mentre nella confusione 13 tentavano la fuga: solo 8 ce la fanno ad allontanarsi dal centro.
Il giorno successivo la replica, ma questa volta la polizia è pronta ad intervenire: volano le manganellate, due immigrati pestati ed ammanettati sono portati fuori dal centro, vengono sparati anche dei lacrimogeni.

La guerra contro i poveri continua.
La resistenza anche.

M.M.