Rivista Anarchica Online


canzone d’autore

a cura di Andrea Staid

 

 

Per una volta non è Alessio a riempire questa sua consueta rubrica. Andrea Staid ha deciso di intervistarlo e – tutti d’accordo – la loro chiacchierata viene pubblicata in questa rubrica. Dal prossimo numero (ahinoi!) sarà di nuovo Alessio a riprenderla in mano…

Alessio Lega è entrato a far parte della storia della canzone: viene regolarmente inserito in ogni dizionario dai grandi editori (Garzanti, Giunti, Rizzoli), Gianni Mura lo citò su Repubblica fra i 100 nomi del 2007 (subito prima di Claudio Lippi), ha vinto i riconoscimenti più ambiti (Targa Tenco, Premio Lunezia, ecc…), le sue canzoni sono inserite in antologie, libri, dvd. Eppure Alessio non rinuncia alla sua “anima” ribelle che lo porta a cantare dove gli piace, piuttosto che dove “si deve” e di continuare ad andare in giro a tentare di cambiare se stesso e il mondo con le canzoni di cui fa l’autore, l’interprete e lo storico.
Nato a Lecce nel 1972 è migrato a Milano all’inizio degli anni 90, iniziando un’intensa attività concertistica che, distante dai circuiti del mercato, privilegia le piazze, i centri sociali, i circoli culturali. Nel 2004, Alessio Lega vince la Targa Tenco per l’opera prima con l’album Resistenza e amore. Il suo secondo disco, Sotto il pavé la spiaggia (2006), contiene versioni italiane di canzoni francofone. Zollette (2007) è un album registrato dal vivo per il mercato equo-solidale, con un omaggio alla memoria del giornalista Enzo Baldoni, ucciso in Iraq. Del 2008 è l’EP E ti chiamaron matta di Gianni Nebbiosi reincisione integrale di un piccolo capolavoro degli anni ’70 sul disagio mentale. Per Stampa alternativa ha scritto anche un libro/CD che raccoglie i suoi interventi e altre versioni di cantautori francofoni, ispanici e slavi.
Arrivo a casa sua di giovedì mattina verso le 10, la prima cosa che facciamo dopo esserci salutati è mettere su un bel caffè.
Ci sediamo intorno ad un tavolo immersi da libri e dischi e cominciamo la nostra conversazione….

Quando e dove hai cominciato a cantare, scrivere... insomma a lottare con le parole?
A lottare con le parole e con la musica ho cominciato appena ho sentito che altri (de André, Ferré, Giovanna Marini, Violetta Parra, ecc. ecc.) lo facevano così bene che m’è venuta voglia di farlo anch’io. Da solo nella mia stanzetta ho cominciato verso i quindici anni, in pubblico verso i 18, ma la cosa è diventata continuativa quando ne avevo 26. Quanto a “scrivere” e “cantare” per davvero... ancora non sono capace... però studio, mi attrezzo... spero per il prossimo anno...

Sei di Lecce, cosa ti ha portato nella metropoli milanese?
Sono partito dalla scrittura mi piaceva disegnare, sono venuto a Milano per studiare da fumettaro, poi per casualità della vita e passione per la scrittura orale ho cominciato a cantare; tutto partiva dall’esigenza di raccontare le mie cose…

Ragusa, 1° maggio anarchico (foto Squeo)

Nella ricerca di un tuo stile hai “pescato” da qualche artista particolare, a chi ti ispiri e come nasce la tua musica?
Saper ascoltare è davvero un’arte e per di più assai sottovalutata. Chi segue ciò che scrivo sa che adoro la canzone d’autore francofona, quella italiana, quella ispanica, quella slava...
Ma ascolto con grande attenzione anche i cantautori della mia generazione e provo a misurarmi anche con quelli più giovani (cominciano ad essercene... ahimé!). Forse solo alimentando di continuo la propria curiosità verso tutti si può riuscire a non assomigliare a nessuno.
In Italia c’è poco scambio tra autori, pochi collegamenti mentre per esempio nella musica sud americana c’è sempre un’unione, un incontro tra artisti. Caetano Veloso ha fatto dei dischi dove interpreta canzoni che gli piacciono, il motto dietro tutta la musica brasiliana è “la vita è l’arte dell’incontro” (Vinícius de Moraes).
A metà anni novanta ero uno dei pochi che girava con questo stile di canzoni storiche,e di traduzione cantata. Negli anni si è arricchito il mio bagaglio, per svariati motivi, soprattutto la passione per i cantautori del mondo, per la traduzione cantata che oramai è diventata un’esigenza. Una sorta di cosmogonia portatile per rubare il termine alla patafisica di Raymond Queneau.
Per me diventa fondamentale far parte di una grande “famiglia” libertaria di musicisti, non essere più solo te stesso, ma essere in compagnia attraverso la tua voce e la voce degli altri.
I miei dischi sono sempre costruiti con altri artisti: nel mio primo disco collaboro con i Mariposa, nel secondo – di traduzioni – con i Mokacyclope, poi con Roberto Bartoli e con Rocco Marchi che è sempre presente in ogni mio lavoro. Cerco di non presentare mai un lavoro con un marchio unico in copertina…

“Scuola di Cantastorie” a Cologno Monzese

Quindi la tua opera ha una sorte di valore meticcio. Il meticciato inteso come una composizione le cui componenti mantengono la propria integrità, quindi non una fusione, coesione o un osmosi ma un confronto fra tanti; inteso come dialogo. Il meticcio non è un pensiero della sorgente, ma un pensiero della molteplicità nato dall’incontro. È un pensiero diretto verso un orizzonte imprevedibile che permette di restituire tutta la sua dignità al divenire.
Il meticcio è imperfetto, incompiuto, insoddisfatto, rimanda sempre all’avventura di una migrazione, alle trasformazioni di una attività di tessitura e di intreccio che non può arrestarsi. Il bello; è che non può mai essere usato come risposta, poiché esso stesso è la domanda che turba l’individuo e mi sembra che le tue canzoni invitino alla riflessione e al turbamento per l’ascoltatore.

Esatto, un trovarsi assieme e marciare assieme con i vivi e con i morti è l’elemento di propagazione di se oltre i limiti impostaci dal tempo. Sono uscito dal dovere essere un cantautore che parla di sé, mi faccio permeare da tante visioni del mondo.
L’ascolto il turbamento è il privilegio della canzone cantautoriale, corri dei rischi, per esempio sei costretto ad ascoltarla non puoi tenerla in sotto fondo.
Subiamo la musica in ogni luogo; sul tram nel super mercato, nelle stazioni…. ci invade nel nostro quotidiano una sorta di musica imposta. Quando torniamo a casa, o siamo abituati alla musica come sotto fondo o per rigetto contro la musica imposta si sceglie la canzone, che va ascoltata profondamente. È come andare a teatro una vera e propria pièce teatrale in 3 o 4 minuti.
Pensa come tutti i generi sono diventati musica da sotto fondo; un esempio su tutti il jazz, musica ribelle e libertaria senza barriere che ti permette di volare al contrario degli schemi della canzone. E invece anche il jazz è diventata una musica di sottofondo. L’espressione di un popolo reso schiavo che si prende la sua riscossa con la musica ora viene usata come sottofondo, si ricrea una forma di nuova schiavitù.
La duttilità della canzone ti permette di essere adeguato in vari luoghi, per fare un discorso poetico, politico, esistenziale dandogli vari valori, invece c’è chi cerca di confinarla nei teatri, nelle sale da concerto. L’importanza del mio tentativo è di evadere dai confini e cantare in diversi luoghi le stesse canzoni, dai circoli ai centri sociali al teatro.

Alessio e Roberto Bartoli

Raccontami qualcosa dell’esperienza che ti ha portato a vincere il premio Tenco nel 2004.
Suonare alla rassegna del Tenco, col privilegio di arrivarci da “targato”, ha rappresentato per me la realizzazione di un sogno sognato quindici anni prima... Credo di avergli anche creato qualche problema quando ho salutato il pubblico a pugno chiuso e questo pugno scioccò letteralmente un giornalista che mi ha trattato da “residuato bellico” sessantottino – io sono nato nel ’72!
Al di là del fatto che ognuno ha diritto alle proprie opinioni sul mio lavoro, penso che il Tenco sia rimasto colpito proprio da un modo assolutamente diverso di scrivere canzoni rivoluzionarie... per merito non certo solo mio, ma anche dei Mariposa che hanno condiviso quel momento, vestendo di suoni azzardati la mia scrittura “classica”.

La tua ricerca dello sconosciuto, la tua estrema attualità politico-sociale nei testi delle tue canzoni; come coniughi queste due cose.
Ho fatto un disco di canzoni mie per parlare di autori ancora più sconosciuti di me, le mie traduzioni sono infedeli, ma non posso tradurre una serie di riferimenti come se fossero delle note in un libro, quindi devo dare una lettura immediata del testo originale, la mia intenzione è cantare queste canzoni di 30-50 anni fa come se fossero materiale vivo…

Alessio e Rocco in concerto (foto Giussani)

Infatti poi le abbini ai fatti attuali che avvengono nelle nostre città, attualizzazione di qualcosa che esce dall’archivio della musica…
È una mia vecchia passione. Vedo con orgoglio la capacità di immediatezza che ha la canzone. Paolo Ciarchi mi raccontava che nel 70 quando è stato ammazzato Saltarelli in via Larga, ucciso da un candelotto da uno sbirro, la stessa sera lui e Dario Fo hanno improvvisato e scritto una canzone…

La passione per un’idea, l’artista che rischia la libertà strada per strada per dirla come Fabrizio De Andrè…
Per questo per me oggi è fondamentale riprendere il mestiere del cantastorie, cantare singole vicende a singole persone. In questi dieci ma anche venti anni che giro a suonare ho assistito al processo dello sfaldamento di ogni movimento politico coerente. Oggi dire “noi” è impossibile siamo in tanti a volere un mondo migliore ma non si può trovare una soluzione unica, un “noi”. È difficile raccogliere un punto di vista comune, viviamo un oblio immediato.

Alessio e Rocco nell’ex ospedale
psichiatrico di Udine (foto Di Giusto)

Questo è proprio il problema del mondo post- moderno che viviamo quotidianamente, una condizione caratterizzata da una compressione spazio-temporale che frammenta le esistenze proiettandole su un eterno ed effimero presente. Assistiamo alla perdita di una profondità temporale, di ogni senso di continuità storica, unita all’impossibilità di costruire strategie per un futuro diverso.
Per questo oggi sento il bisogno di raccontare in maniera più esplicita di come ho fatto in passato, critico per esempio la mia canzone su i fatti di Genova 2001 che era comprensibile solo per chi c’era, per chi sapeva…

Ma come, io l’adoro… Forse hai ragione perché c’ero e mi colma di emozioni e ricordi….
Voglio scrivere canzoni di carattere narrativo, un vero e proprio cantastorie.

Quasi una funzione pedagogica?
Mi esercito su uno stile di mescolamento di generi diversi per esempio con il rap. Ora sto lavorando sui fatti che hanno portato alla morte di Francesco Mastrogiovanni, voglio costruire una ballata di controinformazione. Storie da non dimenticare.

Di questi tempi cantare di rivoluzione, del mondo che verrà forse ha perso senso, non dobbiamo più aspettare questo evento magico “la rivoluzione”, ma costruire tutti i giorni nella nostra vita rapporti senza dominio, impegnarci a creare spazi liberati, praticare l’autogestione, vivere da rivoluzionari ma senza la rivoluzione, perché l’anarchia non è cosa del futuro ma del presente come diceva Landauer…..
Abbiamo perduto la fede nella rivoluzione, che aveva Malatesta, Bakunin o Pietro Gori , loro la pensavano immediata, una vera fede che passava dall’intellettuale all’ operaio o al contadino e si cantava la sconfitta nelle canzoni politiche come se fosse un elemento progredito…..oggi voglio cantare qualcosa di concreto, spezzare il mio canto un attimo prima della catarsi, la mia canzone non ti vuole dare una risposta, non risolve la questione ma al contrario apre dei problemi, non abbiamo vendicato il martire con la canzone, hai creato la curiosità. L’intenzione è di farti rimanere male e iniziare a riflettere..

La collaborazione più simpatica e quella più seria e fondante per la tua vita artistica.
Domanda rischiosa… parlare di Rocco come collaboratore sarebbe riduttivo è un elemento fondante della mia esperienza anche se non c’è è come se ci fosse, siamo una coppia talmente di fatto che il nostro è diventato un linguaggio comune; idee, modi, linguaggi suoi sono entrati in me.
Nei migliaia di chilometri che facciamo insieme hai il tempo di raccontarti tutto, si può cogliere qualsiasi frammento, non è una collaborazione ma una connessione fondamentale, anzi è la collaborazione più stretta e strutturata che ho intrapreso. Si basa su una visione ideologica molto coerente al nostro interno sappiamo perché suoniamo perché lo facciamo anche gratis… ci sono volte che i parenti si lamentano perché diamo l’adesione a tutto, deprezzare il nostro lavoro artistico lo vedono come un errore e poi il meccanismo di mercato è reale mi ci scontro quotidianamente, il mio panettiere non si colloca fuori dal mercato.
Anche su questa cosa io Rocco abbiamo la stessa posizione il nostro è un progetto che non si basa tra uno scambio di merci è un progetto politico e artistico, anche le volte che le nostre esibizioni sono ben pagate arrivano proprio perché suoniamo tanto è come se fosse il nostro modo di farci pubblicità.
Riteniamo sia meglio suonare che non suonare….come dice il grande Enzo del re “adoro il lavoro ma odio la fatica”, il lavoro non è quella cosa che ti da i soldi ma quella cosa che ti rende felice di farlo, a me lavorare piace, mi piacerebbe non essere pagato per quello che faccio ma esserlo solo perché sono vivo; infatti detestavo fare l’impiegato.
Invece la collaborazione che mi ha formato sul piano della costruzione della canzone del testo è stata la collaborazione con i Mariposa. Ogni mio disco è un diario di uno scontro, odio la parola arrangiamento, arte di arrangiarsi invece secondo me il trattamento musicale è composizione e si deve scontrare con le parole in modo che lo stesso cantante unito ai musicisti si stupiscano mentre lo fanno… se no il pubblico non si diverte.

(foto Radano)

Progetti futuri…
Innanzi tutto un mio disco nuovo (nel senso del primo dopo Resistenza e amore di canzoni tutte mie) che raccolga le “storie” che ho scritto recentemente (Dino Frisullo, Isabella di Morra, La Rosa bianca, Mastrogiovanni, Matteotti) che si chiamerà Mala Testa

  • poi ancora un disco col cantautore carrarino Davide Giromini (vi consiglio di sentire su You Tube la sua splendida canzone sulle cave “Sottosopra” e quella dedicata a Makno).
  • poi sta prendendo piede un’iniziativa (spettacolo e disco) che amplifichi e completi il lavoro fatto sulle canzoni di Gianni Nebbiosi, incidendo alcune sue canzoni (anche inedite) con la grande interprete popolare romana Sara Modigliani.
  • un paio d’anni fa è partito un lavoro sul collettivo musicale di fine anni ’50 “Cantacronache” che dovrebbe dar vita a un mio libro e a un disco fatto in collaborazione col gruppo Yo Yo Mundi...

e qui direi che mi posso fermare.

Per concludere, quale importanza ha la musica nella tua vita, e quale intreccio con la lotta libertaria quotidiana di Alessio.
Se sono diventato anarchico è innanzi tutto per aver ascoltato certe canzoni. “A canzoni non si fan rivoluzioni” dicono alcuni autorevoli colleghi. Io mi limito a constatare che non esistono rivoluzioni prive di canzoni.

Alessio Lega
alessio.lega@fastwebnet.it