Rivista Anarchica Online



a cura di Marco Pandin

 

 

“Tutto ebbe inizio...”

Lo scorso ottobre, all’incontro fiorentino dell’editoria anarchica e libertaria, dopo tanti anni ho rivisto Claudio Fusai. Difficile restare a guardarsi e non mettersi a ridere, entrambi sopra i cinquanta e nonostante tutto non rassegnati ai capelli grigi. Ci siamo messi a ridere di gusto, ricordando a valanga quei due ventenni fanzinari incazzati e instabili che eravamo, scoppiati il giusto ed appassionati dei suoni che trovavamo solo oltre il confine della musica cosiddetta normale. Certo siamo rimasti un bel po’ a parlare, a raccontarci le nostre storie, ma soprattutto abbiamo riso. Abbiamo riso ricordando l’espressione di tutti quelli che ritenevano indecente la musica e le letture che invece a noi piacevano. Abbiamo riso sguaiatamente dei nostri amici e compagni fanzinari iperalternativi di allora, soprattutto di quegli irriducibili che poi hanno dimostrato di sapersi adattare in fretta. Poi abbiamo brindato alla malora di quegli altri che si sono ingrassati ed arricchiti succhiando la creatività altrui e versato una lacrima breve al ricordo di quelli che non ci sono più.

Claudio Fusai e Franco Piri Focardi

Claudio, quando l’ho conosciuto era una delle due teste, l’altra quella di Franco Piri Focardi, di Crash, una fanzine strana, sghemba e delirante. Strana sghemba e delirante, del resto, come le musiche che esalavano dalle tremende cassette da loro stessi realizzate e prodotte. Dalla fanzine Crash all’attività di Musicartigiana agli incontri di Creativa, mi ci vorrebbero almeno la metà delle pagine di questo giornale per farvi una descrizione minima delle cose fatte da Claudio e Franco in questi anni: mail art, concerti, mostre, performance, libretti (specialmente di poesia), musiche... Per buon inizio vi rimando senz’altro alla lettura di “Tutto ebbe inizio...”, un racconto di sé che è una finestra spalancata senza paura sul temporale: un discorso lucido sul ritrovarsi prigionieri in un posto e un tempo sbagliato, sull’essere controcorrente (contro tutte le correnti) per forza, sulla creatività come unica arma oppure come unica via di fuga possibile, così da non essere costretti a pensare in bianco e nero, piedi inchiodati al pavimento, mentre muoiono i colori tutt’attorno. Se vi piacciono quelle canzoni un po’ così, quelle che fanno un po’ fatica a tenersi in piedi nelle gabbie del ritmo, quelle che sembrano barcollare e perdersi sotto il peso delle parole, procuratevi “La forza di un sogno” di Musicartigiana, appena prodotto. Di certo non ci trovate dentro i suoni che vanno di moda adesso, ma non è detto che sia un punto a sfavore. L’associazione “Oltre i limiti”, di cui Claudio e Franco sono i motori, ha un catalogo sterminato di produzioni rigorosamente non a scopo di lucro, disponibili contribuendo alle sole spese di realizzazione e spedizione.

Contatti: associazione “Oltre i limiti”, via XX Settembre 18 50067 Rignano sull’Arno FI; e-mail francopiri@virgilio.it e claudiofusai@hotmail.it.

Ergo

Questi americani, ecco, proprio non li conosco. Si chiamano Ergo, il loro cd “Multitude, solitude” uscito da qualche mese è un appuntamento al buio. Mai sentiti, sul serio. È una di quelle formazioni strane, un trio trombone tastiere e batteria, una di quelle che ti capitano a tiro proprio quando sei rimasto senza colla per appiccicarci sopra una qualche etichetta. La confezione è poco collaborativa: copertina grigioazzurra che non si fa notare, poca roba scritta sopra, giusto i nomi dei musicisti, i titoli dei pezzi e due righe due di note tecniche. L’unica cosa che aiuta un po’ ad orientarsi è l’etichetta Cuneiform di cui conosco per sommi tratti il catalogo (sono oltre 200 titoli): ci sguazzano amanti dell’avanguardia, nostalgici del progressive e patiti del suono obliquo.

Brett Sroka (Ergo)

Infilo il cd nel lettore e inizia ad uscire dagli altoparlanti un ibrido stilistico imprendibile, rock che non è rock e jazz che non è jazz (sempre che questo significhi qualcosa), composizioni che si vaporizzano in improvvisazioni per poi ritornare a una qualche forma e improvvisamente terminare in silenzio. Esperimenti, chiamiamoli così: esperimenti che mi pare d’aver già sentito da qualche parte e mi fanno vagare fra i ricordi in cerca di un gancio che non c’è, di un po’ di luce che però non trovo, di conferme che non arrivano. Potrei scatenarmi in una comoda lista di paragoni, ma al di là di un’altalenante somiglianza timbrica (mi sono lasciato andare ad una congettura tanto affascinante quanto gratuita, cioè che il Fender Rhodes di Carl Maguire sia lo stesso usato da Mike Ratledge nel quarto quinto sesto e settimo lp dei Soft Machine) mi ritrovo a galleggiare in acque sconosciute. Senti senti come suonano. Senti come sono strani: riescono a catturare l’attenzione senza lanciarsi in assoli stratosferici, giocando su piccoli incastri sonori, schegge, silenzi, basso volume. Una ricerca veloce in rete mi informa che un paio d’anni fa hanno suonato a qualche chilometro da casa mia, e io che non ne sapevo niente. Vengo anche a sapere che questo cd (come dicevo all’inizio edito da Cuneiform, www.cuneiformrecords.com) è il loro secondo lavoro, prima c’è un debutto autoprodotto. Ammetto che dopo 50 anni “sprecati” in grande parte ad ascoltare musica, mi fa piacere ritrovarmi in un posto nuovo. Aggiungo questa frase in coda, rivedendo il testo: ho ascoltato il cd per intero almeno altre tre volte tra ieri e oggi senza mai stancarmi e, anzi, facendomi sorprendere ogni volta da un qualche piccolo particolare. Che bella sorpresa, davvero. Se andate sul web dalle parti di Cuneiform e vi incuriosite al punto di spendere qualche dollaro, suggerisco due cd di un paio d’anni fa ma poco propensi ad invecchiare: sono “The blind spot” a nome Alec K. Redfearn and the Eyesores e “Dreamland” dei Beat Circus. Sembrano dischi nuovi dei Plasticost diventati buoni (ma solo per finta) alle prese con outtakes di Tom Waits, Moni Ovadia e Vinicio Capossela. Voi fidatevi (sarà difficile riuscire a togliere i cd dal lettore, li consumerete a forza di passarci sopra il laser), anche se detto così suona strano anche per me che l’ho appena scritto.

I fiori di Faber

Mi riesce difficile, anzi impossibile, frenare i superlativi per raccontare dei vari cd pubblicati da Giorgio Cordini. Non ce la faccio a trovare parole che non sembrino scontate, un po’ mi ripeto, tendo ad esagerare con l’entusiasmo, cedo alla banalità. Un po’ è anche colpa sua: neanche se mi ci metto di cattiveria riesco a trovare non dico un difetto anche piccolino, ma un pretesto d’irritazione, un mezzo passo falso, una pecca. Insomma, i cd di Giorgio mi piacciono tutti, e mi piacciono tanto, anzi tantissimo. Dalla raccolta di canzoni dei Beatles in tandem con Andrea Braido, altro gigante fuoriclasse della sei corde, a questi “Fiori di Faber”, ho sempre ascoltato lavori ben bilanciati tra tecnica strumentistica invidiabile e semplicità esecutiva. Mai un cedimento al virtuosismo fine a sé stesso, mai una scivolata di gusto, mai un minuto di prevedibilità. Anzi, mi stupisco ogni volta del gioco di specchi: ogni volta la semplicità nasconde una ricerca sonora certosina, ogni volta la voce della chitarra cattura l’attenzione al primo ascolto e ti prende per mano, ti accarezza, ti fa innamorare. Della sobrietà e dell’immediatezza Cordini ha fatto il suo stile, e scusate se è poco.

Giorgio Cordini

Io sono uno di quelli che ama i “rifacimenti”: trovo sia la maniera migliore per mantenere in vita le canzoni. Mi piace l’idea che ci sia una specie di passaggio di ragionamenti e di esperienze, una tracimazione generazionale che vince il tempo che scorre, il segno più semplice e naturale che la strada è stata segnata. Questo di Giorgio Cordini è un ulteriore passo in avanti: Fabrizio, per molti un autore “intoccabile”, acquista ora un colore inedito. Le sue canzoni sono spogliate del testo per spostare il fuoco dell’attenzione sulla musica, e il risultato è stupefacente. Il cd è astutamente disseminato di trappole (che suoni, che emozioni, che giochi, che invenzioni, che sovrapposizioni...) nelle quali è meraviglioso lasciarsi cadere. Dai primi momenti succede infatti una cosa bizzarra: la voce di Fabrizio, scolpita nel marmo dei ricordi dentro la testa, ricompare forte e chiara a ricostruire le vecchie canzoni. Una specie di processo mentale di ricomposizione: le canzoni accadono tutt’attorno a un nuovo arrangiamento. Giorgio Cordini ci mette le corde (e l’abilità, e lo spirito), Faber compie il miracolo. Dieci meravigliosi brani strumentali che poi del tutto strumentali non sono, ed una breve coda… Ecco, sono riuscito a trovare un difetto: il cd dura poco!

Contatti: www.giorgiocordini.it.

Marco Pandin
stella_nera@tin.it


“Duemila papaveri rossi”
2 cd con libretto

I due cd contengono 37 canzoni di Fabrizio de André
interpretate da musicisti e gruppi indipendenti.
Una iniziativa a sostegno di "A" delle Edizioni stella*nera.

Una copia 15 euro

Per saperne di più e per acquistarlo online clicca qui

Paola Sabbatani e Roberto Bartoli
“Non posso riposare”
cd+dvd

Un cd e un dvd, dodici canzoni da ascoltare e un documentario realizzato da
Mario Bartoli e Giangiacomo De Stefano (Va.C.A. Vari Cervelli Associati).
Una co-produzione Editrice Bruno Alpini, Aparte e stella*nera.

Una copia cd+dvd 15 euro

Per saperne di più e per acquistarlo online clicca qui