Rivista Anarchica Online


situazione internazionale

La tirannia dell’antropocentrismo
di Andrea Papi

Nel nuovo ordine mondiale anche governi, istituzioni, sindacati possono ben poco, costretti come sono dal sistema liberista delle oligarchie finanziarie, che riescono a costringere le istituzioni addette a governare secondo i loro interessi.

 

Un terrificante imperio incombe sul mondo e genera effetti devastanti. Un insieme di scelte e azioni disastrose ci sovrastano, conseguenze inevitabili della visione antropocentrica che da millenni la specie umana si trascina dietro con sconcertante imperturbabilità, da cui derivano modi di essere, convinzioni radicate e metodi che s’impongono incontrastati, producendo danni irreparabili contro cose, esseri viventi, esseri umani. Nonostante moltissimi pensatori delle più svariate estrazioni, un numero sempre crescente di persone sensibili e operatori impegnati in vari ambiti sociali da tempo dichiarino con fermezza l’assurdità dei presupposti dell’antropocentrismo, questa dittatura comportamentale e del modo di pensare domina incontrastata, tenuta ben stretta e coltivata da chi gestisce i destini del mondo. Modus vivendi interiorizzato che al momento appare incontrovertibile.
Il modo di essere e di vivere umanocentrico è a tal punto centrale e non eludibile che, nonostante i continui danni che provoca e che ci si riversano addosso, le oligarchie dominanti non si pongono nemmeno il problema d’invertire la rotta, mentre sostanzialmente ci costringono ad accettare con rassegnazione le catastrofi che ne derivano, quasi fossero opera del fato invece di essere, come effettivamente sono, opera di scellerate scelte di potere e di specie. La pratica abituale del dominio e del predominio è talmente connaturata che non si riesce nemmeno a provare lo schifo e gli ovvi sentimenti di aberrazione, che sarebbero invece i veri sentimenti naturali che dovrebbero scaturire se l’umanità nel suo insieme non tollerasse di essere profondamente antiumanista e deumanizzata. Siamo culturalmente impregnati di un ignobile “tutto ci è dovuto e a noi tutto è sacrificabile”. Per questo chi impone le sue regole non si pente di quello che pensa e fa e non sente il bisogno di rimediare, né, purtroppo, trova una concreta e seria opposizione.
Emblematici i due ultimi fatti di portata planetaria che sono esempi incontrovertibili di questa situazione aberrante, violenta nella sua essenza primigenia anche quando tenta di mostrarsi col volto della pacificazione o della comprensione, perché nasce ed esiste per violare brutalmente e asservire ai propri bisogni tutto ciò che è altro, essere vivente o cosa inanimata che sia.
Il primo è il disastro di portata epocale che si è consumato nel Golfo del Messico. Dal 20 aprile, a circa 1500 metri di profondità, da una falla sottomarina è fuoriuscita un’immane quantità di petrolio che si è riversata nel mare, inquinando, uccidendo, devastando, rendendo tabula rasa, dal punto di vista bio/ecologico, un ambiente che era sempre stato considerato una splendida oasi marina, unica nel suo genere. Intaccata e deturpata un’area vastissima, le coste della Louisiana, comprendente il Delta del Mississipi, uno degli ecosistemi più fragili complessi e delicati del mondo. A tuttora non è possibile calcolare fino in fondo la qualità e l’entità del danno irreparabile.
La BP, British Petroleum, proprietaria di 717 piattaforme marine che succhiano petrolio nel Golfo del Messico, tra cui quella responsabile del disastro, i primi giorni ha tentato di nascondere l’entità della rovina snocciolando una serie di bugie e minimizzandone la portata, oltre a far arrestare gli ecologisti e i ficcanaso che si aggiravano negli acquitrini costieri perché volevano capire bene cosa stava succedendo. Lo stesso Obama è stato colto in contropiede. Proprio pochi giorni prima aveva ceduto alle pressioni dei petrolieri riautorizzando la ricerca di giacimenti sulle coste. Costretto dagli eventi ha subito tolto il permesso appena concesso. Sono finora risultati vani tutti i tentativi messi in atto per bloccare la fuoriuscita, tra cui immense campane di cemento, detersivi oleodiluenti altrettanto inquinanti quanto il petrolio che dovevano scomporre chimicamente, massicce immissioni di fango. Al di fuori di ogni controllo, al momento ogni giorno continuano ad esser vomitati nelle acque marine centinaia di migliaia di litri di petrolio grezzo.

La centralità del dominio

È una situazione emblematica del crollo definitivo del paradigma antropocentrico, che da millenni vorrebbe l’uomo al centro dell’universo, padrone e dominatore di tutto ciò che pretenderebbe sotto il suo esclusivo dominio. È la favola divenuta realtà dell’apprendista stregone, che sentendosi onnipotente scatena energie che poi non è in grado di controllare e ne viene travolto. Siamo al capolinea e non riusciamo ad accettarlo. Anzi ci intestardiamo a tentare di riparare i danni prodotti, senza riuscirci, cocciutamente rifiutandoci di scegliere di smettere di fare danni. Una umanità un minimo sana, di fronte a un disastro di tali proporzioni, non potrebbe che scegliere immantinente di bloccare ogni perforazione per l’emissione del petrolio e farebbe di tutto per cominciare a vivere senza, perché se è vero che statisticamente è molto improbabile un incidente di questo tipo, quando succede genera danni irreversibili e incalcolabili. Così è per l’atomo, per il carbone, per le produzioni nocive e più o meno per tutto ciò che manipoliamo. Un disastro dopo l’altro, sempre più frequente, sempre più devastante e la qualità di sopravvivenza, più che di vita, sta diventando sempre meno possibile. Eppure chi comanda sembra non saper far altro che tentare di rimborsare monetariamente i danni.
Il secondo fatto è la portata macroscopica della crisi finanziaria che stiamo vivendo. In realtà non crisi della finanza, che anzi gode di ottima salute, ma ripercussioni delle speculazioni gestite dalle oligarchie finanziarie su tutte le istituzioni sociali e sulla vita dei popoli. Vista dall’angolatura di cui ci stiamo occupando, questa situazione è un prelibato frutto avvelenato direttamente discendente dal modo d’intendere della cultura antropocentrica, perché può essere interpretato come uno dei punti più alti e potenti della propensione a dominare. Pur avendo l’uomo come riferimento centrale di tutto l’esistente, l’antropocentrismo non si è mai storicamente occupato della solidarietà di specie, cioè di far si che tutti gli uomini stessero bene, bensì si è impostato attorno ai privilegi delle elite dominanti di turno. La spinta a dominare è sempre stata la sua pulsione fondamentale.
Ed oggi che le elite di turno sono le oligarchie finanziarie la centralità del dominio non si colloca in un centro strutturale, ma è planetaria, sopranazionale, e ha luogo in ogni dove ci siano dei centri di speculazione. La loro capacità di dominare è immensa, ma non avviene più attraverso strutture rigide di comando/obbedienza, che rimangono prerogativa degli stati, degli eserciti e delle strutture centralizzate, mentre si manifesta attraverso l’enorme capacità di pressione e d’influenza che sono in grado di esercitare. Da decenni il sistema finanziario esercita un peso esorbitante e condizionante sull’economia mondiale. Le oligarchie finanziarie stanno restringendo la capacità di potere degli stati e li stanno obbligando a preservare e aumentare i propri interessi e privilegi.
I dati riportati da Luciano Gallino (La Repubblica, 25 maggio, Riformiamo la finanza per salvare l’economia) sono illuminanti per capire quello che sta succedendo.

«A fine 2007 il Pil del mondo era stimato in 54 trilioni di dollari; per contro gli attivi finanziari globali ammontavano a più di 240 trilioni, cioè più di quattro volte tanto. Ciò significa che il mondo arriva a produrre, in media, appena 150 miliardi di dollari al giorno, mentre il sistema finanziario può mobilitare ogni giorno parecchi trilioni di dollari per influire sui beni ed i servizi che esso produce, sul modo in cui sono distribuiti, sul loro prezzo. Nessuna economia – nemmeno quella Ue, la più grande del mondo – può reggere a lungo una situazione del genere, in cui l’economia reale, che dovrebbe poter usare la finanza come strumento necessario per un suo equilibrato sviluppo, è in realtà totalmente assoggettata ad essa.»
Manifestazione in Grecia

Una nuova prospettiva

Proprio la crisi che stiamo vivendo sta dimostrando che, attraverso la schiacciante pressione delle lobbies finanziarie, gli stati e qualsiasi altra struttura di comando tradizionale vengono messi in ginocchio, costretti a scelte politiche e legislative cui non riescono a sottrarsi. Da quando nell’autunno del 2008 ha preso avvio la crisi, quella in atto ne è la continuazione, gli stati hanno sborsato alle banche e ai vari istituti finanziari migliaia di miliardi di dollari e di euro, indebitandosi coi soldi pubblici e scaricando sulle popolazioni il fardello di questa criminale speculazione.
La Grecia è il primo stato europeo a rischiare la bancarotta, anche perché si era affidata alla finanza allegra con un progetto della statunitense Goldman Sachs, aprendo una falla che rischia di mettere in crisi totale l’euro, l’unione europea e gli stati che ne fanno parte. Per salvare la Grecia e se stessi, gli stati dell’unione, superate le iniziali resistenze tenaci della Merkel, hanno deciso d’intervenire. La Grecia riceverà un massiccio prestito di 110 miliardi in tre anni congiuntamente dalla UE e dal FMI, per evitare la bancarotta e il tracollo delle banche europee, con conseguente riduzione della spesa per 30 miliardi grazie al congelamento dell’impiego e a tagli su salari e pensioni per i dipendenti pubblici, riforma fiscale con aumento dell’Iva e delle imposte sui beni di largo consumo, nonché riduzione delle indennità di licenziamento e degli straordinari, oltre alla possibilità di licenziare tranquillamente nel settore privato.
Dopo aver salvato la Grecia, essendo a rischio di bancarotta anche Portogallo, Irlanda, Spagna e, non nell’immediato ma non esclusa, l’Italia, Commissione europea, Banca Centrale, Fondo Monetario e governi UE hanno deciso una manovra di 750 miliardi per difendere se stessi e sorreggere la propria traballante capacità finanziaria, comprando i titoli di stato ridotti a spazzatura dalle bordate dei mercati finanziari. Ovviamente questa voragine, ottenuta coi soldi dei contribuenti esclusi dai giochi della finanza, si riverserà sulle rispettive popolazioni impoverendo ulteriormente la gran massa di chi già non stava troppo bene. In casa nostra, Tremonti ci ha regalato una manovra da 24 miliardi in due anni: congelamento degli stipendi dipendenti pubblici e dei salari operai, rinvio dei pensionamenti, ridimensionamento della spesa per regioni ed enti locali, più dell’11%, con gravi ripercussioni sull’assistenza sociale, l’istruzione, l’ambiente. La storia si ripete all’inverosimile. Le oligarchie dominanti, finanziarie politiche ed economiche, determinano una crisi senza precedenti che coinvolge tutti e si riversa soprattutto su quelli che non usufruiscono dei lautissimi profitti delle speculazioni, facendo pagare all’intera società i costi del baratro che hanno scavato con le loro stesse mani.
Di fronte a questa situazione finora soltanto in Grecia c’è stata una risposta decisa, che ha toccato punte insurrezionali com’è da anni tradizione in quel paese. Reazione giustissima da parte della società che si vorrebbe sottomessa, che sembra però rientrata da quando è stato concesso il prestito. Del resto è una situazione senza speranza, chiusi come sono e siamo in una morsa tra la bancarotta e l’accettazione delle misure draconiane contro i più deboli e indifesi. Realisticamente, anche se un’insurrezione riuscisse a travolgere il potere vigente, la società continuerebbe a trovarsi stretta nella stessa morsa e sarebbe ugualmente travolta, accerchiata da stati e poteri ostili.
Una situazione che c’insegna che non è più sufficiente lottare per i propri diritti e rivendicare migliori condizioni. I meccanismi internazionali non lo permettono più. Anche governi, istituzioni, sindacati possono ben poco, costretti come sono dal sistema liberista delle oligarchie finanziarie, che riescono a costringere le istituzioni addette a governare secondo i loro interessi. Bisogna reinventare e ridefinire una nuova prospettiva e una nuova progettualità che abbiano come fine l’emancipazione dal dominio, da tutte le forme di dominio. La ribellione non è più solo contro padroni e stati, ma oggi è soprattutto contro chi li sovrasta. Bisogna attivare l’immaginario per ipotizzare e sperimentare metodi, modalità e forme di sganciamento da questo sistema di relazioni incentrate sull’egoismo economico. Bisogna ridefinire un nuovo paradigma di solidarietà sociale, per impostare un nuovo umanesimo ecologico, non più antiumanista, non più umanocentrico.

Andrea Papi