Rivista Anarchica Online


storia

Il ritorno di Durruti
di Giovanni C. Cattini

A dieci anni di distanza dalla prima edizione in due tomi, ormai esaurita, e un anno dopo la scomparsa del suo autore, torna Durruti e la rivoluzione spagnola, la fondamentale biografia ad opera di Abel Paz, in una nuova edizione riveduta, con DVD allegato. Pubblichiamo una parte della nuova introduzione e il testo dell’ultima intervista con Buenaventura Durruti.

 

L’evocazione di un’epopea: il Durruti di Abel Paz

Durruti e la rivoluzione spagnola è frutto di un decennio di ricerche ad opera di Diego Camacho, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Abel Paz. Fu pubblicato in forma ridotta per la prima volta in Francia nel 1972. Incentrato sulla figura del leggendario leader anarchico Buenaventura Durruti, non è una semplice biografia, quanto piuttosto una storia corale del movimento libertario spagnolo, che proprio in quel periodo toccò il suo apogeo. Le doti narrative dell’autore hanno fatto del volume un classico. Lo dimostrano le varie ristampe in Spagna e le traduzioni: nel 1976 in inglese e in portoghese, nel 1978 in castigliano, in un’edizione aggiornata e ampliata grazie alle informazioni e precisazioni di molti militanti anarchici, ancora testimoni viventi degli avvenimenti. Dopodiché l’opera fu tradotta in tedesco, in italiano, in turco, in giapponese (in totale, sono quindici le traduzioni in altre lingue).

Foto segnaletica di Durruti, 1923

Diego Camacho, tra i militanti e intellettuali autodidatti del movimento anarchico spagnolo, è stato l’unico o quasi la cui opera si è imposta all’attenzione degli studiosi universitari. Ed è nota la sua aspra polemica con gli accademici, ritenuti lontani dalla realtà e incapaci di intendere le ragioni del mondo operaio e libertario.
Tale processo di autoformazione è molto significativo, perché rappresenta uno degli elementi più importanti del lavoro educativo degli anarchici spagnoli a cavallo tra l’Otto e il Novecento. In un libro conosciutissimo, La breve estate dell’anarchia (1), Hans Magnus Enzensberger ritrae con maestria gli anarchici spagnoli esiliati in Francia che, avendo lottato tutta la vita per migliorare le condizioni materiali e culturali del popolo, non potevano comprendere come parte delle generazioni del Sessantotto, pur rivendicando il pensiero antiautoritario, giungessero attraverso quella strada a rifiutare la scuola pubblica e tutti gli istituti educativi. I vecchi militanti anarchici spagnoli non potevano che guardare con diffidenza a quelle nuove generazioni perché, per molti di loro, il proprio livello di cultura era stato uno degli obiettivi più importanti e duri da conseguire.

Vals-les-Bains (Ardeche), 1 settembre 1918

Lo testimoniano decine di traiettorie biografiche di personaggi diversi come Diego Abad de Santillán (León 1897-Barcellona 1983), Juan García Oliver (Reus 1901-Guadalajara, Messico, 1980), José Peirats (Vall d’Uxó, 1908-1989), Joan Sans Siscart (Barcellona 1915-Tolosa 2007), Ramon Liarte (Huesca 1918-Tolosa 2004), Eduard Pons Prades (Barcellona 1920-2007) o Antoni Téllez Solà (Tarragona 1921-Perpignan 2005). Questi nomi, e naturalmente molti altri, hanno dato contributi più che significativi alla storiografia dell’anarchismo spagnolo. Benché i risultati siano eterogenei, è importante sottolineare la loro capacità di tessere una visione del mondo e delle loro vite coerente con la propria ideologia. Fra tutti, ed è un punto di riferimento per la storiografia anarchica militante, citiamo José Peirats.
Peirats ebbe un ruolo istituzionale importante nella direzione delle Joventudes libertarias e, durante la Guerra civile, fu critico con gli anarchici che parteciparono al governo della repubblica. Ciononostante, a lui fu dato l’incarico di scrivere l’opera ufficiale sulla storia dell’anarcosindicalismo spagnolo, che venne pubblicata a Tolosa fra il 1952 ed il 1953 con il titolo La CNT en la revolución española (2). La sua interpretazione ebbe un notevole successo: lo schema dialettico “potere/popolo” sarà utilizzato in seguito dalla maggior parte degli storici “militanti” libertari. Secondo tale modello, se lo Stato era il titolare del monopolio della violenza per assoggettare il popolo, questo aveva trovato nel movimento libertario lo strumento per ottenere la propria liberazione.
È in questo quadro che va situata la formazione umana e politica di Diego Camacho, paradigmatica in rapporto alla configurazione del settore degli “intellettuali” libertari spagnoli (3).

León, officina di Antonio Mijé, 1915.
Durruti in piedi al centro in una foto di
gruppo con i suoi compagni di lavoro

Una vita da militante e da scrittore libertario

Diego Camacho (Almeria 1921-Barcellona 2009) nacque nel Sud della Spagna in una famiglia di umili braccianti. A sei anni andò a vivere in casa di un zio, membro della Confederación nacional del trabajo (Cnt). La città di Barcellona era in pieno fermento e in rapida crescita economica in vista dell’Esposizione internazionale, che ebbe luogo nella capitale catalana nel 1929 e attirò migliaia di spagnoli indigenti alla ricerca di un lavoro o della possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita.
A Barcellona, Diego Camacho alloggiò nel quartiere periferico e popolare del Clot. Qui studiò alle scuole serali, formandosi specialmente alla Escuela Natura, che difendeva i principi pedagogici libertari diffusi sin dall’inizio del secolo da Francisco Ferrer y Guardia, condannato dalla polizia spagnola come capro espiatorio per i fatti della “Semana trágica” del luglio 1909. Sin dalla prima gioventù, Diego Camacho si avvicinò agli ideali anarchici e, a 14 anni, si iscrisse alla Federación ibérica de juventudes libertarias (Fijl).

Durruti nei dintorni di Parigi
durante il primo esilio
in Francia (1917-1920)

Il 19 luglio 1936 partecipò con i gruppi di difesa della Cnt alla lotta nelle strade contro i militari golpisti e, nei mesi seguenti, creò con altri compagni il gruppo Quijotes del Ideal (“Don Chisciotte dell’ideale”), gruppo d’affinità in seno alle Fijl, con un giornale omonimo. I “Quijotes” mantenevano una linea di aperta critica alla direzione della Cnt, accusata di imporre una linea moderata che avrebbe tradito i principi anarchici.
Visse i sanguinosi fatti del maggio 1937 lottando in prima fila e fu imprigionato per la prima volta nella sua vita in seguito a quella che è stata definita a sua volta la “settimana tragica” di quell’anno. Nell’ottobre successivo andò a lavorare in una collettività agricola dalla Cnt nella località di Cervià de les Garrigues (nella provincia catalana di Lleida), dove rimase fino alla primavera del 1938, quando si recò per alcuni mesi come volontario sul fronte d’Artesa, nella stessa provincia. Il giugno seguente, poiché era ancora minorenne, tornò a Barcellona riprendendo la sua attività nelle Joventudes libertarias e nel suo gruppo d’affinità dei “Quijotes”.
Il 21 gennaio del 1939, vista l’imminente caduta della capitale catalana a causa dell’avanzata franchista, Diego Camacho prese la via dell’esilio con la sua famiglia. L’esodo catalano verso la frontiera francese di migliaia di persone fu l’inizio di un’odissea il cui peggio doveva ancora arrivare: i campi d’accoglienza francesi, veri campi di concentramento, rappresentarono l’ultima umiliazione per gli esiliati spagnoli che fuggivano dalla dittatura militare. Diego Camacho rimase internato a Argelès-sur-Mer, a Bram, a Saint-Cyprien e a Le Barcarès.
Con l’inizio della Seconda guerra mondiale, fu mobilitato per aiutare lo sforzo militare francese e inviato a lavorare alla costruzione di un oleodotto sull’Atlantico. Nel giugno del 1940, con la caduta della Francia nelle mani dei nazisti, ritornò in clandestinità fino a quando, nell’ottobre del 1940, i tedeschi lo inviarono a costruire il “muro dell’Atlantico”. Alcuni mesi dopo riusciva a fuggire e si dirigeva a Marsiglia, dove assumeva l’identità di Juan González. Dopo varie vicissitudini in terra francese, decise di tornare in Spagna: il 1º giugno 1942 Diego Camacho, sotto il nome di Ricardo Santany, passava i Pirenei con il suo amico Liberto Sarrau diretto a Barcellona. Giunti nella capitale catalana, i due furono sorpresi dall’atmosfera di terrore che regnava nella città. Ivi trovò la sua compagna e si dedicò alla ricostituzione della Fijl.

León, novembre 1935. Comizio di Durruti nella Plaza de Toros

Arrestato nel dicembre del 1942 e condannato nel marzo del 1943 a sette anni di carcere, verso la metà del 1946 fu trasferito nelle carceri della città catalana di Girona e, per un errore, lasciato in libertà nel marzo del 1947. Venne inviato dai suoi compagni a Madrid per occupare un posto nel Comité peninsular della Fijl, sotto le mentite spoglie di un presunto falangista granadino di nome Luis García Escámez. Tornato in missione a Barcellona, fu arrestato nell’agosto 1948 e condannato a cinque anni di detenzione.
Nel 1950 gli venne diagnosticata la tubercolosi e fu quindi inviato nel penitenziario medico di Cuéllar da dove uscì, infine, nel 1952. Dopo aver trovato lavoro a Barcellona in una fabbrica di birra, venne inviato come delegato della Cnt clandestina al congresso dell’Ait del giugno 1953. Nel dicembre successivo torna nuovamente in Spagna con la missione di rilanciare la pubblicazione di due testate storiche del sindacato, «Solidaridad Obrera» e «Cnt».
Diego Camacho riuscirà con altri compagni a pubblicare alcuni numeri dei giornali. Scoperto dalla polizia, riparò ancora in Francia, dove risiedette convivendo con la sua compagna, Antonia Fontanillas. Parallelamente, continuò la sua attività militante partecipando ai congressi del movimento libertario e, soprattutto, collaborando con numerose riviste anarchiche. Nei primi anni Sessanta, come abbiamo accennato, cominciò a scrivere la monumentale biografia di Buenaventura Durruti.
Con la morte del dittatore spagnolo e la transizione politica, Diego Camacho tornò a Barcellona per assistere alla riorganizzazione del movimento anarchico, che sembrava improvvisamente rinascere come l’araba fenice. Fu una breve illusione che, comunque, lo spinse a non lasciare più la capitale catalana, dove risiedette fino alla fine dei suoi giorni, continuando a dialogare e a polemizzare con le nuove generazioni libertarie.
Dal 1977 al 2009, Diego Camacho svolse la sua attività di pubblicista anarchico e di conferenziere in varie parti d’Europa, spesso presentando in prima persona le varie edizioni del suo Durruti, dalla prima (1978) con la casa editrice Bruguera di Barcellona, poi con la catalana Laia (1986), di orientamento comunista, ed infine con le due edizioni madrilene della Fundación Anselmo Lorenzo (1996) e della Esfera de los Libros (2004). Tra una riedizione e l’altra del suo lavoro, ha pubblicato studi su periodi e temi differenti: la cronaca del 19 luglio del 1936 e la resistenza anarchica al colpo di Stato dei militari nella capitale catalana, la storia della lotta antifranchista della cnt dal 1939 al 1951, l’epopea dei miliziani anarchici della “Columna de Hierro” nella Guerra civile, la diffusione della Prima Internazionale in Spagna o le relazioni tra gli anarchici e i nazionalisti marocchini agli inizi della Guerra civile. Parallelamente, e seguendo la migliore tradizione degli esponenti di spicco del movimento libertario spagnolo, Diego Camacho ha scritto quattro volumi autobiografici che comprendono l’apprendistato tra l’Andalusia rurale della sua infanzia e la Catalogna industriale della giovinezza, il suo operato nella Rivoluzione e nella Guerra civile, e gli ultimi due tomi dedicati al periodo franchista, tra 1939 e il 1954 (4).
Alla fine del secolo, Diego Camacho si impegnò anche nella critica del “revisionismo storico”, che in Spagna andava a ridisegnare il profilo dello scontro avvenuto durante la Guerra civile abbandonando il tema del conflitto di classe per leggere quegli eventi presentandoli come un conflitto tra fautori e avversari della democrazia, ridimensionando quindi il ruolo degli anarchici (5).

Visita dell’anarchico Sebastien Faure (nella foto, al centro)
alla Colonna Durruti. Alla sua destra: Durruti, Sol
Ferrer (figlia di Francisco); alla sua sinistra,
fra Ruano e Mora, la figlia di Sol Ferrer

Il Durruti di Diego Camacho

La sua opera più importante è senza dubbio il Durruti en la Revolución española, frutto, oltre che di un decennio di ricerche, del notevolissimo contributo di testimonianze orali di decine e decine di militanti. Il che costituisce un punto di riferimento imprescindibile per conoscere la storia e il punto di vista dell’anarchismo iberico. Conviene ricordare che Diego Camacho scrisse il suo lavoro e lo pubblicò per la prima volta durante l’esilio francese, aggiornandolo poi con la prima edizione in castigliano del 1978, ma, nonostante i suoi anni di vita, il testo rimane tuttora un’opera di riferimento sulla vita dello storico militante libertario. Non va dimenticato, inoltre, che di Buenaventura Durruti gli aspetti che più colpirono i suoi contemporanei furono l’onestà, la generosità, la disponibilità a sacrificare tutto in nome dell’ideale, come effettivamente fece. Il suo ideale anarchico era abbastanza semplice, e il carattere iperattivo lo portò più d’una volta a lanciarsi in insurrezioni che furono quasi sul punto di far scomparire la Cnt. Non c’è da stupirsi che, al fatidico congresso di Saragozza, il sindacato libertario fosse giunto decimato nelle sue file e profondamente diviso: le varie fazioni del movimento libertario, fino ad allora in guerra aperta fra di loro, si sarebbero riconciliate proprio in quel congresso.

Ascaso, Durruti e Jover nella redazione
di «Le Libertaire», pochi giorni
dopo la scarcerazione

Restano enigmatiche le critiche che il teorico della “ginnastica rivoluzionaria” (l’insurrezione continua contro lo Stato), l’anarchico Juan García Oliver, mosse a Durruti nella sua autobiografia (6) arrivando a scrivere parole non certo edificanti. Ma nel leggere la biografia di Durruti bisogna tenere presente che Diego Camacho ne spiega la figura da un punto di vista di condivisione dei suoi ideali, della sua concezione rivoluzionaria e di quella strategica. L’interpretazione della Guerra civile che ci offre Diego Camacho risente anche del dibattito in corso all’epoca dell’uscita del volume su questi avvenimenti e rimanda a un’interpretazione classista del conflitto: la Guerra civile fu scatenata dai militari con la volontà di fermare una rivoluzione in atto, e tale intervento favorì in realtà la più profonda rivoluzione sociale che l’Europa abbia mai conosciuto.

Panoramica del funerale di Durruti a Barcellona

Nel Durruti di Abel Paz si può leggere la narrazione della lotta di emancipazione del popolo spagnolo, si possono seguire gli argomenti e la strategia del settore più rivoluzionario ed appassionato dell’anarchismo iberico. Il suo supremo banco di prova fu precisamente la Guerra civile in cui, come ricordava il sociologo austriaco Franz Borkenau, l’anarcosindicalismo lottò per qualcosa di sconosciuto in Europa: «l’aspirazione a un mondo umano, senza sfruttati né sfruttatori, fondato sull’apoliticismo e sulla fraternità mutualista» (7).
Il libro permette quindi di riflettere su una delle pagine più frequentate della storia spagnola e mondiale del ventesimo secolo. Vicende che ancor oggi mantengono intatto il proprio fascino per la loro grande complessità.

Giovanni C. Cattini
Universitat de Barcelona

“Diego”, il video di Frédéric Goldbronn

Le storie migliori sono quelle che si possono ascoltare a tarda sera, dentro un bar con la serranda mezza abbassata, quando il rumore dell’ultimo motorino va scomparendo in lontananza. È l’ambientazione del film-documentario “Diego” (Francia 1999, 40’, sottotitoli in italiano), una videointervista di Frédéric Goldbronn a Diego Camacho contenuta nel DVD allegato al volume.
In un bar del quartiere di Gracia, a Barcellona, avvolto dal fumo delle sue Ducados, l’anziano militante libertario autore della biografia di Durruti racconta la sua esperienza di fronte a un tavolo pieno di vecchie fotografie. Non solo storie ma sensazioni, emozioni, riflessioni che colgono il senso profondo di quell’esperienza rivoluzionaria: «A volte bastano pochi secondi per dare senso a una vita, e in quel caso furono tre giornate quelle che mi segnarono per sempre, come segnarono centinaia di migliaia di persone».
Come una foto d’epoca in movimento, il DVD presenta inoltre un breve filmato originale dei funerali di Durruti a Barcellona, realizzato dalla CNT nel 1936 con audio in inglese.

Note

  1. H.M. Enzensberger, La breve estate dell’anarchia. Vita e morte di Buenaventura Durruti, Milano, Feltrinelli, 1977 (nuova ed. Feltrinelli, 2007).
  2. Trad. it.: La C.N.T. nella rivoluzione spagnola, Milano, Antistato, 1977-1978.
  3. Le informazioni sulla sua vita si possono desumere dai quattro volumi autobiografici, mentre una sua biografia si trova in M. Iñíguez, Enciclopedia histórica del anarquismo español¸ Vitoria, Asociación Isaac Puente, 2008. In italiano cfr. il necrologio redatto da C. Venza in «Umanità Nova», 26 aprile 2009.
  4. Della ricca bibliografia di Diego Camacho, in italiano si trovano: Spagna 1936. Un anarchico nella rivoluzione, Manduria, Lacaita, 1998; Le 30 ore di Barcellona (luglio 1936), Carrara, La coop. Tipolitografica, 2002; Cronaca appassionata della Columna de Hierro, Torino, Autoproduzioni Fenix, 2006.
  5. Si veda in proposito il manifesto Combate por la historia, in «Rivista storica dell’anarchismo», a. 6, n. 2, luglio-dicembre 1999.
  6. J. García Oliver, El eco de los pasos, Paris, Ruedo ibérico, 1978 (nuova ed. Barcelona, Planeta, 2008).
  7. F. Borkenau, The spanish cockpit..., London, Faber and Faber, 1937.

Abel Paz
Durruti e la rivoluzione spagnola

672 pp., illlustrato, con DVD allegato, coedizione 2010 BFS edizioni, Zero in Condotta, edizioni La Fiaccola, 36,00 euro.

Espropriatore e organizzatore sindacale, pistolero e finanziatore di collane editoriali, Durruti è stato un simbolo e un mito che ha sintetizzato le esperienze rivoluzionarie e le tensioni libertarie di migliaia uomini e donne che hanno fatto grande la lunga stagione dell’anarchismo spagnolo. Lotta, galera, fuga ed esilio hanno trasformato un giovane apprendista fabbro in un leggendario leader.
Dopo il golpe di Franco del luglio 1936, Durruti è l’anima e il braccio del movimento libertario in Catalogna dove, battuti armi alla mano i militari ribelli, si sviluppa una delle più profonde e importanti esperienze rivoluzionarie che la storia abbia registrato: industrie, terre, trasporti e servizi vengono espropriati, collettivizzati e autogestiti dai lavoratori. Durruti partecipa alla sollevazione di Barcellona, poi parte per Saragozza alla testa di una colonna che porta il suo nome, e infine accorre in difesa di Madrid, dove troverà la morte. La fondamentale biografia di Abel Paz ripercorre, sulle tracce della vita di un uomo, la storia dell’anarchismo spagnolo assieme alle speranze e alla tragedia di un intero popolo.

Il volume è distribuito in libreria da BFS edizioni (www.bfs-edizioni.it) oppure può essere richiesto direttamente a:

Zero in Condotta, casella postale 17127 – MI 67, 20128 Milano
cell. 377 1455118

Edizioni La Fiaccola, Vico L. Imposa, 4, 97100 Ragusa
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“Quando la borghesia vede che il potere le sfugge di mano…”

1937. Il giornalista canadese Van Passen intervista Buenaventura Durruti. Che analizza la situazione spagnola e spiega perché non si aspetta aiuti da nessuno. “Ma noi portiamo un mondo nuovo nei nostri cuori”.

Poco prima che la Colonna partisse, Buenaventura Durruti, suo delegato, mentre stava discutendo al Sindicato Metalúrgico il problema della blindatura dei camion, ricevette il giornalista del «Toronto Star», Van Passen. Questi pubblicherà un articolo dal titolo Due milioni di anarchici combattono per la rivoluzione che si apriva subito presentando Durruti al lettore: «È un uomo alto, bruno, dai tratti moreschi. Figlio di umili contadini. Possiede una voce acuta, quasi gutturale». Van Passen gli chiese se egli considerasse ormai sconfitti i militari ammutinati: «No, ancora non li abbiamo sconfitti» rispose francamente. E aggiunse:

«Hanno Saragozza e Pamplona, dove ci sono gli arsenali e le fabbriche di munizioni. Dobbiamo prendere Saragozza e poi affronteremo le truppe composte dai soldati della Legione Straniera, che salgono da sud, comandati dal generale Franco. Entro due o tre settimane ci troveremo a combattere battaglie decisive».

«Due o tre settimane?» chiese incuriosito il giornalista.

«Due o tre settimane o forse un mese. La lotta si prolungherà come minimo per tutto il mese di agosto. Il popolo operaio è armato. In questa lotta l’esercito non conta. Ci sono solo due schieramenti: gli uomini che combattono per la libertà e quelli che combattono per soffocarla. Tutti i lavoratori di Spagna sanno che se vince il fascismo avranno fame e schiavitù. Ma anche i fascisti sanno che cosa li aspetta se perdono. Perciò questa lotta è implacabile. Noi dobbiamo schiacciare il fascismo, in modo che non possa mai più rialzare la testa in Spagna. Siamo decisi a farla finita una volta per sempre col fascismo, nonostante il governo...»

«Perché dite nonostante il governo? Forse che questo governo non sta combattendo contro la ribellione fascista?» chiese sorpreso l’intervistatore. «Nessun governo al mondo combatte contro il fascismo fino a sopprimerlo» rispose Durruti.

«Quando la borghesia vede che il potere le sfugge di mano, ricorre al fascismo per conservare i suoi privilegi. E questo sta accadendo in Spagna. Se il governo repubblicano avesse voluto farla finita coi fascisti, l’avrebbe fatto già da molto tempo. E invece ha temporeggiato, indeciso, perdendo il tempo a cercare compromessi e accordi con quelli. Anche in questo momento ci sono membri del governo che vogliono prendere delle misure molto moderate contro i fascisti. Chissà [disse Durruti, ridendo] se il governo spera ancora di utilizzare le forze ribelli per schiacciare il movimento rivoluzionario scatenato dai lavoratori!»

«Allora vedete delle difficoltà anche dopo che i ribelli saranno sconfitti?»

«Certo. Ci sarà resistenza da parte della borghesia, che non accetterà di sottomettersi alla rivoluzione che noi difenderemo con ogni forza».

Il giornalista sottolineò la contraddizione in cui si trovava la rivoluzione voluta dagli anarchici.

«Largo Caballero e Indalecio Prieto hanno affermato che compito del Fronte popolare è salvare la Repubblica e restaurare l’ordine borghese. E voi, Durruti, mi dite che il popolo vuole portare la rivoluzione più in là possibile. Come risolvere questa contraddizione?»

«La contraddizione è evidente. Come democratici borghesi, questi signori non possono avere altre idee che quelle che professano. Ma il popolo, la classe operaia, è stanco di essere ingannato. I lavoratori sanno quel che vogliono. Noi combattiamo non per il popolo ma con il popolo, ossia per la rivoluzione dentro la rivoluzione. Noi siamo consapevoli che in questa lotta siamo soli e che non possiamo contare che su noi stessi. Per noi non vuole dire niente che esista un’Unione Sovietica in qualche parte del mondo, perché sapevamo già da prima quale fosse la sua posizione nei riguardi della nostra rivoluzione. Per l’Unione Sovietica, l’unica cosa che conta è la tranquillità. Per godersi questa tranquillità, Stalin sacrificò i lavoratori tedeschi alla barbarie fascista. Prima ancora furono gli operai cinesi a rimanere vittime di questo abbandono. Noi lo sappiamo e vogliamo portare avanti la nostra rivoluzione, perché la vogliamo per oggi e non, chissà, dopo la prossima guerra europea. Il nostro atteggiamento testimonia che stiamo dando a Hitler e a Mussolini più fastidi che l’Armata Rossa, perché essi temono che i loro paesi, prendendo noi a modello, si contagino e spazzino via il fascismo dalla Germania e dall’Italia. Ma lo stesso timore lo ha Stalin, perché la vittoria della nostra rivoluzione necessariamente si ripercuoterà sul popolo russo».

Van Passen ricapitolò:

Questo è l’uomo che rappresenta un’organizzazione sindacale che conta all’incirca due milioni di aderenti e senza la cui collaborazione la Repubblica non può fare nulla, neppure nell’ipotesi di una vittoria sugli ammutinati. Ho voluto conoscere il suo pensiero perché per capire che cosa sta succedendo in Spagna occorre sapere come la pensano i lavoratori. Per questa ragione ho intervistato Durruti, perché per la sua popolarità è un autentico rappresentante di questi lavoratori in armi. Dalle sue risposte risulta chiaramente che Mosca non ha alcuna influenza né autorità per parlare a nome dei lavoratori spagnoli. Secondo Durruti, nessuno degli Stati europei prova simpatia per l’orientamento libertario della rivoluzione spagnola, ma vogliono invece soffocarla.

«Vi aspettate un aiuto dalla Francia o dall’Inghilterra, ora che Hitler e Mussolini hanno cominciato ad aiutare i militari ribelli?» domandò il giornalista.

«Io non aspetto alcun aiuto per una rivoluzione libertaria da nessun governo del mondo» rispose Durruti seccamente. E aggiunse:

«Può darsi che gli interessi in conflitto di imperialismi differenti abbiano qualche influenza nella nostra lotta. Questo è possibile. Il generale Franco sta facendo tutto il possibile per trascinare l’Europa in una guerra e non indugerà un istante a lanciare la Germania contro di noi. Ma, in fin dei conti, non aspetto aiuto da nessuno e neppure, in ultima istanza, dal nostro governo».

«Potete vincere da soli?» chiese direttamente Van Passen. Durruti non rispose. Si toccò la barbetta, meditabondo. Gli occhi gli brillavano. E Van Passen insistette:

«E se vincerete, erediterete una montagna di macerie» mi arrischiai a interrompere il suo silenzio». Durruti parve uscire da una profonda riflessione e mi rispose dolcemente, ma con fermezza.

«Abbiamo sempre vissuto nella miseria e ci adatteremo ad essa per qualche tempo. Ma non dimentichi che gli operai sono gli unici produttori di ricchezza. Siamo noi lavoratori che facciamo funzionare le macchine nelle industrie, che estraiamo il carbone e i minerali dalle miniere, che costruiamo le città... Perché non possiamo, quindi, costruire e in migliori condizioni per sostituire quanto distrutto? Le macerie non ci fanno paura. Sappiamo che non erediteremo che rovine, perché la borghesia cercherà di buttare giù il mondo nell’ultima fase della sua storia. Ma, le ripeto, a noi non fanno paura le macerie, perché portiamo un mondo nuovo nei nostri cuori» egli disse, in un mormorio aspro. E poi aggiunse: «Questo mondo sta crescendo in questo istante».