Rivista Anarchica Online


anarchismo

Le forme del dominio
di Andrea Papi

Dalla “vecchia” lotta contro lo stato alla costruzione di un’alternativa concreta basata sulla sperimentazione dell’autogestione e sulla diffusione della cultura libertaria. Riflessioni sull’anarchismo in un mondo che cambia.

 

Le vecchie formule interpretative del patrimonio genetico dell’impianto teorico anarchico classico non riescono a stare al passo coi tempi, perlomeno nei termini simbolici con cui sono state perpetuate da una generazione all’altra. I paradigmi di riferimento, coi quali sono state impostate sia la lettura della realtà sia le strategie di azione per intervenire a modificarla in senso emancipatorio-rivoluzionario, sono ormai inservibili. Almeno nelle forme ideologiche con cui è stato tramandato il nocciolo duro di senso che dovrebbe interpretare e dare forma compiuta all’anarchismo Non corrispondono più alle situazioni che stiamo vivendo e non sono più in grado di offrire una comprensione realistica, quindi rischiano di diventare addirittura dannose ai fini di elaborare in modo serio e proficuo ipotesi d’azione e d’intervento per riuscire ad emanciparsi dallo stato di cose presente.
Quando mi avvicinai all’anarchismo mi furono trasmessi alcuni valori, principi e punti fermi che, nella loro apparente semplicità, ne definivano in modo netto i confini e il senso profondo. Ne fui affascinato e scelsi di essere anarchico. Col trascorrere del tempo (ormai è un quarantennio), in seguito a riflessioni, esperienze e approfondimenti ho raggiunto la consapevolezza che i valori e i principi dell’anarchismo trasmessimi non solo sono rimasti intatti, ma sono diventati più saldi e hanno rafforzato la loro validità. Mentre i punti fermi, che quando li appresi mi apparvero talmente solidi da considerarli irremovibili, sono crollati a poco a poco fino ad apparirmi senza più consistenza, astratti.
Se dunque trovo sempre più valido e attuale il valore della libertà, sia come convivenza sociale sia come possibilità di manifestarsi e esprimersi individualmente, collegata alla proposta anarchica di definire forme di decisionalità collettiva senza strutture gerarchiche di comando e oligarchie, come pure la ricerca di un’economia solidale e di una distribuzione della ricchezza (non solo monetaria, ma di mezzi e possibilità di usufrutto) equanime e fondata sulla solidarietà e la giustizia, non posso dire altrettanto dei mezzi finora ipotizzati per raggiungere un tale stato sociale di libertà e delle centralità identificate su cui far puntello e contro cui agire.

Libertà, uguaglianza e giustizia sociale

Ridotta all’osso, la favola bella introiettata all’inizio e a cui avevo aderito con tutto me stesso recita più o meno nel modo seguente. Gli esseri umani aspirano ad essere liberi e a vivere in libertà e ne hanno pieno diritto, per cui allo scopo di conquistarla hanno anche il diritto di lottare con tutti i mezzi coerenti a loro disposizione. Purtroppo, durante i millenni in cui le civiltà si sono sviluppate nelle modalità di convivenza per come si sono manifestate, ha avuto predominanza la spinta a dominare, in modo tale che una ristretta minoranza di individui si è imposta con la violenza e la prepotenza, costringendo la stragrande maggioranza ad essere schiavizzata e asservita, il più delle volte con massima brutalità e massimo sadismo. Varie nel tempo sono state le forme del dominio e della sottomissione, sia politiche sia economiche. Nella forma moderna e contemporanea il potere politico s’incarna nello stato e il potere economico nello sfruttamento capitalista, gestiti da oligarchie decise a mantenere il loro potere a qualsiasi costo. Lo stato, dal punto di vista politico, il capitalismo, dal punto di vista economico, sono dunque i nemici irriducibili contro cui combattere, per abbatterli con la violenza della rivolta di popolo fino a riuscire ad instaurare una società fondata su libertà, uguaglianza e giustizia sociale.
Semplice e lineare nel suo dispiegarsi, oltre che affascinante, questo racconto teorico privo di sbavature ha creato ad arte un immaginario politico mitizzato con cui abbiamo contornato i sogni della nostra bella utopia. Di fronte al divenire storico però è purtroppo entrato in una fase decadente e rischia di essere ormai puramente autoreferenziale. Se la prima parte è ineccepibile nel registrare l’egemonia storica della volontà di dominare, là dove si tenta di definire lo stato delle cose attuale e il momento del riscatto sono invece evidenti i segni del tempo e diverse increspature.
C’è prima di tutto un problema semantico, di significazione, che sarebbe sbagliato sottovalutare relegandolo a mera speculazione. Ogni visione teorica che non si muova in un ambito squisitamente metafisico inficia l’interpretazione del reale, quindi o inquina la comprensione di ciò che è o ci permette di capirlo. Nei concetti base dell’ermeneutica anarchica trasmessi alla mia generazione il nemico principale è il potere in quanto tale, vissuto come mero sinonimo di dominio e identificato tout court nella concretezza dello stato, elevato di conseguenza ad unica vera fonte del male, il nemico vero, abbattuto il quale quasi d’incanto risorgerà il bene, la nuova società anarchica, dalle nicchie in cui è appunto costretta dalla forza dello stato.
Una visione non corrispondente al vero. Il significato di potere è molto più ampio e complesso e una simile riduzione crea confusione e allontana dalla comprensione delle cose. In politica in particolare potere indica la possibilità di fare, di rendere operative le decisioni prese. Il fatto che oggi il potere s’identifichi con le oligarchie e le strutture che esercitano il dominio non significa che non possa essere altro che questo. Qualsiasi tipo di società per sussistere deve prendere decisioni e trovare le modalità più consone e coerenti per farlo. Deve cioè identificare quale tipo di potere le si addice per decidere cosa fare e come farlo, al fine di procedere e funzionare con efficienza. Compresa una società anarchica, in cui il potere del suo fare non sarà più demandato a strutture gerarchiche e di comando, ma a forme di autogestione e autocostruzione. Il fatto che in anarchia si applichino metodologie di democrazia diretta non significa affatto assenza di potere, ma esercizio di un potere dal basso che non si fonda sul dominio. È perciò profondamente errato essere e proporsi antipotere, perché la nostra tensione è contraria al potere del dominio non al potere in quanto tale.
Inoltre, con il contributo dato dalla riflessione poststrutturalista qualche decennio fa, da Foucault in particolare, il problema dell’esistenza e dell’azione del potere non è più collocabile solo nelle forme delle strutture di comando-obbedienza, mentre si annida insidiosamente all’interno delle stesse relazioni e interrelazioni sociali, al di là dello stato e delle gerarchie militari. Non si può non tenerne conto, perché altrimenti si analizzerebbe una non/realtà trovandosi impediti a comprendere la realtà. Allora il discorso non può che essere affrontato in una complessità molto più ampia e concreta dello scontro meramente teoretico tra l’anarchia e lo stato.

Abbattere lo Stato?

Ma poi è lo stesso stato a non poter più rappresentare il nemico fondamentale che c’impedirebbe di realizzare l’anarchia, addirittura unico come alcuni anarchici pretenderebbero, contro il quale scagliare tutti gli strali della nostra faretra d’attacco. È inutile che ce lo nascondiamo, nell’immaginario di lotta anarchico consolidatosi è lo stato l’avversario antagonista da abbattere, eliminato il quale si ritiene ingenuamente che come per magia, quasi atto taumaturgico, l’anarchia riuscirà a risorgere dando inizio a una nuova era di pace libertà e solidarietà.
Purtroppo per questa favola affascinante lo stato è solo uno dei problemi di fondo. Non è affatto vero che se si trovassero la forza e le opportunità per abbatterlo avremmo il terreno spianato per dare avvio all’agognata anarchia. Lo stato non è l’unico concentrato di tutti i mali, la struttura portante attorno a cui ruota ogni possibilità di esercitare la volontà di dominare. Lo definisce in modo appropriato Poggi: … teniamo presente che lo stato, a sua volta, costituisce soltanto una modalità di un fenomeno più vasto, l’istituzionalizzazione del potere politico… il consolidamento e la razionalizzazione del dominio politico. (Gianfranco Poggi, Lo Stato, Edizioni Il Mulino, Bologna 1992, pagg. 31 e 146).
Lo stato è solo una delle forme del dominio e la sua assenza non significa automaticamente assenza di dominio, quindi possibilità di realizzazione anarchica. Le forme del dominio sono molteplici ed è un imperdonabile errore ridurle unicamente alle manifestazioni statuali e gerarchiche.
Il problema vero per gli anarchici non può che essere la lotta al dominio in tutte le sue espressioni, sia quelle codificate e istituzionalizzate, sia quelle non formalizzate che s’insinuano riproponendone il senso le logiche e l’esercizio sopraffattore. Oltre lo stato, che è la forma politica istituzionalizzata, oggi per esempio si annida nelle strutture di lavoro, nelle multinazionali, nella fluidità delle operazioni finanziarie, nell’uso dei mass-media, nella malavita organizzata, nei sistemi organizzativi, nelle associazioni, nei partiti, nei sindacati, nelle chiese, in ogni ambito in cui la società si esprime. Ed è pronto ad insinuarsi in ogni situazione nuova perché è motivato da una cultura e da un modo di essere che segna e dà significato al fare collettivo. Se non si supera l’incrostazione ideologica che vorrebbe una società senza potere nell’illusione di aver eliminato il dominio, ce lo ritroveremo sempre in forme rinnovate e ci annullerà ogni conquista, ogni momento di emancipazione alternativa.
Guardiamo per esempio la Somalia, dove lo stato è praticamente inesistente dal 1991. Non vi vige certamente l’anarchia, mentre vi regna incontrastata una situazione caotica in cui la fanno da padrona logiche di dominio e predominio devastanti, al punto da far rimpiangere la presenza di uno stato regolatore in grado di limitare le costanti sopraffazioni. Ciò su cui dovremmo concentrarci è il superamento del dominio in tutte le sue forme, non limitandoci ad identificarle con colpevole semplificazione nella forma stato. La nostra prospettiva dovrebbe tendere a diffondere e creare situazioni alternative fondate sulla sperimentazione di un tipo di società che riesca ad autoregolarsi, ad autogestirsi, praticando forme e modalità atte a rendere effettuali relazioni solidali tra gli individui che convivono collettivamente in società aperte.

Una rete plurale

Dovrebbe essere ormai giunto il momento di dire basta alla “guerra allo stato” come momento fondante della nostra strategia e di dichiararlo. Il che non vorrebbe dire, ovviamente, che faremmo pace con lo stato. Anzi! Lo scontro continuerebbe senza esaurirsi perché è endemico, imprescindibile nell’ordine naturale delle cose. Ma avrebbe un altro sapore e un altro senso, quindi altre conseguenze. L’obbiettivo principale, il fine fondamentale cui tendere non sarebbe più la sconfitta dello stato in un’estenuante guerra senza fine e, purtroppo, quasi senza soluzione, ma la costruzione di una socialità alternativa che, dilatandosi all’insieme del corpo sociale, tenderebbe a superare il presente per sostituirsi ad esso.
Bisogna ridefinire il nostro immaginario e le nostre strategie. Il senso che deve dare impronta alle nostre scelte operative si deve trasferire dalla logica dello scontro con lo stato, considerato momento fondante di una strategia di attacco per una chimerica liberazione che pretenderebbe di avere il suo cardine nell’abbattimento della presunta struttura che impedisce lo status sociale di libertà, alla costruzione e diffusione della cultura libertaria e della visione anarchica della convivenza sociale. Non bisogna più spendere le proprie energie soprattutto nell’antagonismo di contrasto al potere, sospinti dalla speranza illusoria di riuscire ad indebolirlo fino ad annientarlo. Bisognerebbe invece concentrarsi sulla messa in opera di momenti diversi che sperimentano l’alternativa che proponiamo, con l’intento di creare una rete plurale, un enorme diffuso esperimento sociale, composto di una molteplicità di situazioni in grado di espandere una cultura e un insieme di pratiche capaci di diffondersi per costruire la società alternativa della libertà anarchica, fino a scalzare la società del dominio.

Andrea Papi