Rivista Anarchica Online


ricordando Colin Ward

La lezione di Colin Ward
di Francesco Codello

La scomparsa del militante e pensatore anarchico inglese costituisce un momento di dolore per chi l’ha conosciuto, ma anche di riconoscimento e gratitudine per il contributo davvero eccezionale che Colin ha dato ad una visione moderna e realistica dell’anarchismo.

 

La sera dell’undici febbraio di quest’anno è morto, all’ospedale di Ipswich, Colin Ward. Una e-mail della sua insostituibile compagna, Harriet, ce lo comunicava subito con poche toccanti parole.
Colin è stato ed è, per me, tuttora un maestro, una persona che non ti rivela mai la verità, ma umilmente ti incita a cercarla dentro di te e nelle piccole quotidiane cose della vita. L’averlo conosciuto e l’averlo sentito amico mi appare ora più che mai un privilegio e il vuoto che egli lascia dentro di me, e in altri come me che l’hanno conosciuto e frequentato, è veramente grande.
Colin appartiene a una generazione ormai molto rara di anarchici che, dal dopoguerra ad oggi, hanno tenuto accesa la luce del nostro ideale e testimoniato, con la loro coerente vita, la loro scelta, nobilitando con una sensibilità e una umanità vera e profonda, l’idea anarchica stessa.
La notizia della sua scomparsa si è diffusa rapidamente nella rete (lui che usava ancora la sua vecchia macchina da scrivere!) e nella stampa di tutto il mondo e numerose e sincere sono state le testimonianze di dolore e dispiacere che sono arrivate ad Harriet e all’intera famiglia. Non solo nel milieu anarchico e libertario questa notizia ha turbato gli animi di molti di noi, ma soprattutto in una vasta area di uomini e donne che si sono incrociate, personalmente o attraverso i suoi numerosi scritti, con questa persona così umanamente sensibile e dotata di una cultura così poco ostentata ma così profonda e intelligente (solo nel 2001 riceverà un dottorato onorario in filosofia).

Debenham (Inghilterra) - Francesco Codello al centro
tra Colin Ward e la moglie Harriet, nella loro casa

Una vita intensa

Colin Ward

Figlio di un militante laburista, Arnold Ward, maestro elementare, e di una stenografa, Ruby West, Colin nasce il 14 agosto del 1924 a Wanstead, una cittadina dell’Essex. Frequenta la County High School for Boys di Ilford, non dimostrandosi uno studente particolarmente brillante, che abbandonerà all’età di quindici anni. Il suo primo lavoro si svolge presso una ditta che costruisce rifugi aerei e poi nell’ufficio tecnico del comune di Ilford dove entra in contatto con le ingiustizie burocratiche nell’assegnazione degli alloggi popolari, in una regione particolarmente sofferente la povertà e la miseria. La sua sensibilità è già affinata dall’influenza della cultura domestica e non a caso uno dei suoi più graditi ricordi è di aver partecipato col padre a un comizio per il primo maggio del 1938 di Emma Goldman ad Hyde Park a Londra.
Nel 1942, in piena guerra mondiale, viene chiamato alle armi ed entra in contatto con le idee anarchiche quando conosce, a Glasgow dove è di servizio, un ex minatore anarchico di nome Frank Leech, il quale lo invita da subito a scrivere in una pubblicazione antimilitarista di Londra dal titolo “War Commentary” nella quale fa il suo esordio come scrittore, con un articolo sul nuovo ordine che si vuol dare all’Europa liberata, dal titolo Allied Military Government (Il governo militare alleato). A Glasgow è attivo uno dei pochi gruppi anarchici autoctoni (a Londra infatti la maggior parte dei militanti è ebrea o esule, comunque immigrata) che egli frequenta assiduamente e compatibilmente con le ristrettezze imposte dal periodo e dal suo essere in servizio nell’esercito.
Qui inizia ad ampliare la sua istruzione e ad arricchire la sua cultura in modo aperto e plurale presso la locale biblioteca pubblica, Mitchell Library. La frequentazione delle biblioteche pubbliche sarà una costante di tutta la sua vita, coerentemente con il suo stile di vita sobrio, tanto che nella sua casa a Debenhan nel Suffolk, dove abiterà con Harriet dal 1979, ci sono pochi libri e molti ritagli di giornali e appunti, perché si avvale sempre del servizio bibliotecario pubblico.
Quando va a trovare in carcere Frank Leech (che sta facendo uno sciopero della fame) in divisa militare (non ha altri indumenti da indossare) viene spedito per punizione alle isole Orcadi e Shetland dove rimarrà fino alla fine della guerra.
Congedato finalmente nell’estate del 1947, nel frattempo trasferito nell’Inghilterra meridionale, già è autore di diversi articoli sul periodico “Freedom” col quale stringe rapporti sempre più stretti fino all’ingresso nella redazione nel medesimo anno. Attorno a questa gloriosa testata ruotano compagni e simpatizzanti, che ha già frequentato e conosciuto, che divengono suoi amici come John Hewetson, Vernon Richards, Philip Sansom e Maria Luisa Berneri e poi George Woodcock, Herbert Read, Alex Confort, Geoffrey Ostergaard, Gerald Brenan. La sua collaborazione è assidua e costante. Fin dall’inizio degli anni cinquanta emergono le sue tematiche più caratteristiche quali l’abitare, lo spazio urbano, il controllo operaio e l’auto-organizzazione in fabbrica, i metodi per rendere economicamente sostenibili le attività agricole, la decolonizzazione. Particolarmente attento, proprio perché molto empirico e aperto, a ogni manifestazione dell’universo intellettuale è sempre pronto a segnalare i contributi più interessanti per l’ottica libertaria che provengono dall’esterno del già numericamente scarso e povero ricostruendo movimento anarchico, seguendo particolarmente gli sviluppi della ricerca sociologica o storica come, ad esempio, nel caso degli studi di Isaiah Berlin.
Nel fare un bilancio degli anni cinquanta Ward identifica il suo successivo impegno scrivendo che lo scopo della sua ricerca sarà quello di far rientrare l’anarchismo nel flusso vitale dell’intellettualità, nel campo delle idee che sono prese sul serio.
Questo auspicio e questa sfida troveranno compimento nella fondazione di una nuova rivista, sicuramente la più prestigiosa e interessante pubblicazione anarchica del dopoguerra, “Anarchy” che dirigerà dal 1961 al 1970. Colin confeziona il mensile da casa sua inserendo all’inizio molti pezzi scritti da lui stesso con diversi pseudonimi (John Ellerby, John Schubert, Tristram Shandy) o senza nome. “Anarchy”, ha scritto il suo biografo e amico David Goodway, “trasuda vitalità, è in sintonia con le tendenze dell’epoca, si rivolge ai giovani. Le tematiche di cui si occupa sono soprattutto quelle relative alle abitazioni e all’occupazione di case, alla scuola, al controllo operaio, al sistema penale” e, grazie alla conoscenza con Murray Bookchin, a quelle ecologiche, tutto alla luce di una nuova cultura libertaria, aggiornata dalle più recenti innovazioni scientifiche, sociologiche e filosofiche e rinnovata dalle più obsolete speculazioni anarchiche. I collaboratori divengono sempre di più e sempre più qualificati e preparati, provenienti dai diversi settori della conoscenza e attivi all’interno di gruppi e associazioni non autoritarie.

Alla scuola di Kropotkin

La caratteristica però fondamentale del pensiero di Colin Ward, mutuando da Kropotkin l’attenzione pragmatica verso un anarchismo inteso come teoria e pratica dell’organizzazione sociale, sarà fin da ora quella particolare interpretazione delle idee anarchiche come già esistenti (il “seme sotto la neve”) nelle soluzioni spontanee che gli esseri imani si danno di fronte ad un problema collettivo. Ciò avviene ogni qualvolta gli uomini e le donne scelgono liberamente la soluzione libertaria al posto di quella autoritaria di fronte alle più disparate questioni.
Grazie al successo di “Anarchy” egli riceve richieste di collaborazione da parte di altre riviste come “Peace Now” e “Liberation” di New York, ma anche di testate più tradizionali come “The Twentieth Century” e “New Society” che diverrà poi “New Statesman and Society”.
Nel 1970, nel 1972, nel 1974 escono per una collana della “Penguin Education” i suoi primi libri, Violence, Work, Utopia rivolti agli adolescenti. Il terzo libro, l’unico, fino all’ultimo Anarchism. A Very Short Introduction (2004) e tradotto come L’anarchia. Un approccio essenziale nel 2008, esplicitamente e direttamente sull’anarchismo, è stato Anarchy in action (La pratica della libertà. Anarchia come organizzazione, varie edizioni).
Questo è, per gli anarchici, il suo libro fondamentale perché capovolge la concezione tradizionale di anarchia non più vista come qualche cosa che deve ancora venire ma come una realtà che già c’è, con tutte le implicazioni metodologiche e ideologiche che ciò comporta. Scrive infatti: Questo libro vuole dimostrare che una società anarchica, una società che si organizza senza autorità, esiste da sempre, come un seme sotto la neve (come recitava il titolo di uno dei romanzi di Silone preferiti da Colin all’epoca, ndr), sepolta sotto il peso dello stato e della burocrazia, del capitalismo e dei suoi sprechi, del privilegio e delle sue ingiustizie, del nazionalismo e della sua lealtà suicida, delle religioni e delle loro superstizioni e separazioni.
Le implicazioni di questa stravolgente prospettiva sono non solo teoriche ma eminentemente pratiche perché tutti i mezzi per compiere quest’opera sono già a portata di mano, basta guardare con occhi diversi e più profondi la realtà spontanea che si muove e agita tra gli esseri umani senza il filtro del dominio e dell’oppressione. Così Ward si immerge nella sociologia e dimostra con esempi concreti, attingendo dalle varie scienze sociali tutti i dati possibili, per evidenziare appunto questa realtà. Egli riprende quella parte delle tesi di Kropotkin (curerà tra l’altro una splendida edizione aggiornata di Campi, fabbriche, officine) che giudica più attuali e, attraverso appunto questo nuovo metodo di indagine e di sperimentazione, scrive e descrive situazioni libertarie in ambito urbanistico, economico, educativo, ecc.
Con questa visione dell’anarchismo Colin non poteva non incrociare e fare sue alcune riflessioni di Alexander Herzen quando questo sosteneva che una meta che si situi infinitamente lontana da noi, non è una meta, è una mistificazione. Così come non poteva non condividere la geniale intuizione di Gustav Landauer a proposito dello Stato e dell’Autorità, quando scriveva che lo Stato non è una cosa che si può distruggere con una rivoluzione, ma è una condizione, un certo modo di mettersi in relazione tra esseri umani, una manifestazione del loro comportamento; lo distruggiamo stabilendo relazioni diverse, comportandoci in un altro modo. Infine il suo pensiero si è nutrito, non solo in ambito urbanistico, ma anche filosofico e sociologico di quello di Paul Goodman laddove sottolineava che il principio fondamentale dell’anarchismo non è la libertà bensì l’autonomia, vale a dire la capacità di intraprendere un compito e di farlo a modo proprio, oppure quando scriveva che una società libera non può essere l’imposizione di un ordine nuovo al posto di quello vecchio ma l’ampliamento degli ambiti di azione autonoma fino a che questi occupino gran parte della vita sociale.

Venezia, Incontro Internazionale Anarchico - 1984. Colin Ward

L’alternativa anarchica

Colin Ward ha saputo descrivere in modo esemplare l’uso non convenzionale che gli esseri umani (a partire dai bambini) fanno del loro ambiente, delle loro città, delle loro scuole, dei loro giochi e delle loro attività, quando si liberano dall’egemonia soffocante del dominio, e come questo uso libertario ci permetta di intravedere che rapporti egualitari, solidali e liberi, esistono già e, pertanto, debbano essere incoraggiati, stimolati, creati e sviluppati per costruire fin da subito società diverse. Si badi bene, tante società sperimentali, non un’unica soluzione necessariamente totalitaria. Infatti egli ribadisce con forza che “l’alternativa anarchica è quella che propone la frammentazione e la scissione al posto della fusione, la diversità al posto dell’unità, propone insomma una massa di società e non una società di massa”.
I libri scritti su questi argomenti sono molti, la maggior parte purtroppo non tradotti in italiano e lo hanno visto impegnato per tutti gli anni che ha vissuto, guadagnandosi da vivere attraverso lavori vari di architetto, insegnante, scrittore. Tra le sue opere tradotte in italiano oltre a quello dedicato al valore universale e allo sfruttamento perpetrato dagli stati e dal capitalismo nei confronti dell’acqua (Acqua e comunità, 2003), alle conferenze da lui tenute presso la London School of Economics di Londra, raccolte e tradotte in un bel volumetto (La città dei ricchi e la città dei poveri, 1998), la straordinaria pubblicazione di Il Bambino e la città (2000), gli articoli apparsi su Volontà, A Rivista Anarchica, Libertaria, mi preme ricordare Dopo l’automobile, 1992. Quest’ultimo libro mi riporta a un ricordo vivo e emozionante quando mi trovavo in transito nell’aeroporto di Londra Stansted e, senza peraltro chiedere a Colin l’impossibile, gli telefonai prima di partire per salutarlo. In un’età ormai avanzata questo pacato e umile uomo non esitò a raggiungermi per abbracciarmi e per scambiare qualche riflessione comune, naturalmente, coerentemente come faceva sempre, con i mezzi pubblici, nonostante la distanza e i tempi del viaggio fino a lì fossero di tutto rispetto.
Questo articolo non rende giustizia a questo uomo saggio e gentile, molto spero si scriverà di lui, per rendergli il dovuto e sincero ringraziamento per aver contribuito a far conoscer un anarchismo rispettabile perché per tutti e alla portata di tutti.
In me, in molti amici e compagni, un vuoto incolmabile ma anche, come avrebbe voluto lui stesso, una sfida a raccogliere il testimone secondo la direttrice da lui così profondamente tracciata.

Francesco Codello

Anche lui tra i classici

Bakunin, Kropotkin, Malatesta, Proudhon. Ciascuno di questi quattro anarchici “ha” una sua Lettura di…, un volantone (così li chiamavamo una volta) di 12 pagine curato da Giampietro “Nico” Berti nei primi anni ’70 e via via ristampato dentro la rivista e in migliaia di copie a sé stanti. Sono i cosiddetti “classici dell’anarchismo”.
Ai magnifici quattro se ne aggiungerà presto un quinto, curato da Francesco Codello, nostro collaboratore, redattore della rivista cugina Libertaria, dirigente scolastico, probabilmente il massimo esperto in Italia della storia, delle teorie e delle esperienze pratiche della pedagogia libertaria, autore – tra l’altro – del ricordo di Colin Ward sopra pubblicato.
Sì, perché nell’ideale bandierone con i volti dei magnifici quattro sopra citati, si aggiunerà presto il faccione simpatico del nostro caro Colin Ward. Un omaggio al compagno scomparso, certo, ma soprattutto il riconoscimento dell’importanza del suo contributo allo sviluppo dell’anarchismo, o forse più correttamente degli anarchismi.
Entro l’anno contiamo di “buttar fuori” la Lettura di Colin Ward. Vero Francesco?

Leggere Colin Ward (in italiano)

Anarchia come organizzazione, Eleuthera, Milano, varie edizioni.
(a cura di Colin Ward) P. Kropotkin, Campi, fabbriche, officine, Antistato, Milano, 1975.
Dopo l’automobile, Eleuthera, Milano, 1992.
La città dei ricchi e la città dei poveri, e/o, Roma, 1998.
Il bambino e la città, Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2000.
Acqua e comunità, Eleuthera, Milano, 2003.
Conversazioni con Colin Ward, Eleuthera, Milano, 2003.
L’anarchia. Un approccio essenziale, Eleuthera, Milano, 2008.

Per una efficace introduzione al suo pensiero consiglio di leggere di Stuart White, L’anarchismo pragmatico di Colin Ward, Bollettino dell’Archivio Pinelli, n. 30, Milano.



ricordando Colin Ward

Mio padre e Colin

Una piccola premessa. Nella coppia dei miei genitori, è sempre stata mia madre l’anima politica, la partigiana, la socialista, l’attivista dell’UDI (le donne di sinistra) e del CEMP (educazione sessuale e diffusione della pillola anticoncezionale). Mio padre, morto 21 anni fa, era una brava persona, un imprenditore legato al fare, al lavoro, una persona sicuramente antifascista, politicamente direi un liberal, con la mente curiosa e aperta, troppo pratico per sentir proprie le ideologie. Era persona interessata a conoscere; parlava con lo stesso interesse del suo incontro con mio suocero, l’anarchico Alfonso Failla, e di quello avvenuto in ben altro contesto con il generale dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Era come spiazzato dalla mia militanza anarchica. Venne a sentire alcune mie conferenze, una volta si spinse addirittura a Rimini per sentirmi parlare di Errico Malatesta. Apprezzava, cercava di comprendere, ma c’era troppa ideologia, troppi programmi futuri da realizzare. E la sua concezione antropologica, espressa al meglio dalle poesie di Trilussa (tante ne recitava a memoria), non lasciava spazio a utopie, sogni, anarchie.
All’inizio degli anni ’70, una mattina, entrò in camera mia insolitamente agitato. Gli avevo dato da leggere un libro di Colin Ward, in inglese: Anarchy in action, che dopo sarebbe stato tradotto per i tipi dell’Antistato con il titolo Anarchia come organizzazione. In sostanza mi disse: è inutile che stampiate una rivista e tanti libri pieni di teorie, che servono a voi che siete già convinti, ma non convincono nessuno. È questo il libro che dovete tradurre. L’anarchia spiegata da questo Ward è una cosa seria, comprensibile, che si fa rispettare. Se voi anarchici volete un consiglio, stampate e distribuite questo libro.
Era un imprenditore, mio padre, seppure di quelli “all’antica”. Di fronte del mio antimilitarismo mi ripeteva spesso “Se sei qui, ringrazia per tutta la tua vita i resistenti di Stalingrado e i piloti inglesi della Raf”. Ebreo, poliglotta, aveva vissuto la stagione dell’Olocausto. La vita era per lui una cosa terribilmente concreta. Conobbe e apprezzò tanti compagni nostri, suoi coetanei. Ma solo Colin Ward riuscì nel miracolo di fargli apparire “concreta” l’utopia anarchica. Scusate se è poco.

Paolo Finzi