Rivista Anarchica Online


No-Tav

Stazione “La Trippa”. Vota Antonio
di Maria Matteo

Blocchi, presidi, cortei…e sfottò. Cronache di lotta e di sopravvienza dalla Val Susa.

 

Mercoledì 20 gennaio, Condove/Chiusa S.Michele/S. Antonino. Le truppe dello stato arrivano di notte. Siamo alla stazione di Condove, nel cuore della bassa Val Susa. C’è un piccolo esercito a difesa della trivella della ditta Geomont di Bussoleno. Ma il comitato di accoglienza si forma subito. La stazione di Condove, che serve anche il comune di Chiusa, è tra la statale 25 e la statale 24.
La polizia blocca il collegamento tra le due statali, impedendo il passaggio. I No Tav si piazzano dai due lati circondando la polizia. Si formano due presidi. Giovani e anziani parlano, discutono, decidono insieme senza deleghe. Ancora una volta la Valsusa diventa un gigantesco laboratorio di partecipazione popolare, di assemblee in cui gli attivisti di sempre sono affiancati da gente comune che assapora il gusto della partecipazione, dell’azione diretta, del blocco, della barricata.
Nel primo mattino la polizia mena qualche colpo verso alcuni No Tav che cercano di andare a “prendere il treno”. Nella tarda mattinata i No Tav si danno appuntamento alla stazione di S. Antonino. Le bandiere allungate verso i binari convincono il TGV a fermarsi. Il sindaco di S. Antonino, l’ex No Tav Antonio Ferrentino, ha finalmente la stazione internazionale che sogna per il paese. Un sms lo avvisa subito dell’evento. Quelli del presidio permanente che si è formato lì sin dalla settimana precedente preparano un cartello azzurro con la scritta “Stazione internazionale ‘La Trippa’. Vota Antonio”. Appena il tempo di tagliare il nastro per l’inaugurazione e subito si riparte. Tutti di corsa sul regionale che è stato fatto passare davanti al TGV. Il cavallo di Troia arriva alla stazione di Condove e i No Tav corrono verso la trivella. I carabinieri si affannano a chiudere il varco, vola qualche manganellata. Un anarchico di Collegno ne esce con braccio rotto.
Ma non è finita. In serata dal presidio parte un corteo che, passando per i viottoli, blocca la stazione, mentre barricate incendiate di tronchi chiudono la strada ai mezzi di polizia. Un’intera colonna è obbligata a fare dietrofront. Nella notte la trivella viene portata via: è durata meno di 18 ore.

Quattro anni dopo la rivolta

Questa la cronaca di una sola giornata di resistenza No Tav a gennaio. Una cronaca di fatti riportati in sordina da quotidiani e giornali, impegnati a dimostrare che la resistenza al supertreno è ormai residuale, incapace di mettere in difficoltà la lobby del cemento e del tondino, la lobby bipartisan, amici a destra come a sinistra, che, nel 2005 dovette battere in ritirata.
Sono trascorsi quattro anni dalla rivolta popolare che bloccò i lavori per la nuova linea. Quattro anni in cui il movimento, pur lontano dai riflettori, ha continuato nella sua azione di informazione e contrasto dell’opera. In questo periodo i giochi della politica hanno provato a liquidare una resistenza radicale e radicata, che – al di là dell’opposizione al supertreno – ha dato vita ad un vasto laboratorio politico dove la partecipazione diretta, la diffidenza per la delega, la capacità di cogliere la distanza tra legalità a legittimità ha messo in difficoltà i governi di destra come quelli di sinistra.
Mancano tre mesi alle elezioni regionali. In Piemonte, la campagna elettorale che oppone il leghista Cota alla democratica Bresso si gioca anche sulla Torino Lyon. Il presidente dell’Osservatorio tecnico, Mario Virano, già da ottobre aveva annunciato l’inizio dei sondaggi preliminari alla stesura del progetto. L’Europa ha stanziato 671 milioni di euro per la tratta internazionale della linea e vuole vedere i risultati. Entro il 31 gennaio. Pochi credono alla scadenza, ma tutti sanno che si tratta di sondaggi politici. Virano e la lobby “Sì Tav” dovevano dimostrare di aver sconfitto il movimento. Un movimento divenuto punto di riferimento per chi, in ogni dove d’Italia, si ribella all’imposizione di opere inutili e nocive.
In Val Susa la violenza dello Stato, la pretesa di imporre con la forza una scelta non condivisa è stata il detonatore potente della rivolta. La notte tra il 5 e il 6 dicembre 2005, quando la polizia assalì il presidio No Tav di Venaus, spezzando le barricate, distruggendo le tende e la baracca comune, mandando molti all’ospedale è una memoria difficile da cancellare. In quei giorni di resistenza e di rivolta un’intera vallata si sollevò contro l’occupazione militare. Poi la parola passò alla politica: il governo Berlusconi offrì un tavolo in cambio della tregua per le Olimpiadi.
In tantissimi avevano appreso il gusto di decidere in prima persona, di praticare la politica al basso, elidendo le mediazioni istituzionali. Tutto ciò faceva paura, perché incrinava la legittimità stessa delle istituzioni. Di tutte le istituzioni. Così la via d’uscita fornita dal governo Berlusconi venne accolta al volo dagli amministratori valsusini.
Il movimento, sin dall’assemblea popolare del 10 dicembre 2005, si oppose al tavolo politico e tecnico sulla Torino Lyon, consapevole che non fosse che un modo per prendere tempo, consentendo di lavorare ai fianchi il movimento, per spezzare il fronte di resistenza.
L’Osservatorio tecnico ha svolto il suo compito di cavallo di Troia del Tav. Il suo presidente, Mario Virano, che nel frattempo era stato nominato da Prodi anche Commissario straordinario per la realizzazione dell’opera, si è mosso con abilità e pazienza, riuscendo, ma non del tutto, a spezzare il fronte istituzionale. Alla fine del 2009 il nuovo presidente della Comunità Montana, il democratico Sandro Plano, eletto grazie all’appoggio determinante di liste civiche vicine al movimento, pare mettere in difficoltà l’Osservatorio. Ma è solo questione di poco. I lavori vanno avanti con o senza la Comunità Montana, con o senza l’assenso degli amministratori che non accettano l’abbandono dell’opzione zero.
La parola, ancora una volta, passa al movimento popolare. Per mesi media e politici hanno martellato un unico chiodo: i No Tav sono rimasti in pochi, uno zoccolo duro, dominato dai soliti estremisti anarchici e autonomi.

Le lunghe notti di un gennaio sempre sotto zero hanno provato che Virano, Mattioli, Chiamparino e l’intera banda del buco si sbagliavano. E di grosso. Presidi giorno e notte, blocchi di treni e autostrade, assedio dei mezzi, un corteo imponente, assemblee in strada, contrasto dei lavori sono il segno di un movimento vitale, capace di una resistenza senza se e senza ma ad un’opera inutile, dannosa, che sottrae risorse alla scuola, alla sanità, a trasporti decenti e sicuri per chi studia e lavora e le consegna alla lobby del cemento e del tondino.
D’altra parte è innegabile che il governo abbia, almeno in parte, imparato la lezione del 2005 e, in questa fase, abbia modificato la propria strategia. Quattro anni fa la scelta di costruire presidi permanenti nei posti dove era annunciata una trivella o dove si doveva impiantare un cantiere mise in seria difficoltà il ministero dell’Interno che reagì con la violenza e la militarizzazione. Questa volta si sono mossi con maggiore astuzia e cautela. Hanno annunciato 91 sondaggi, dichiarando in anticipo i posti dove li avrebbero fatti. Una sfida di trasparenza e una sfida alla capacità del movimento di essere contemporaneamente in più posti.
La scelta di costruire presidi in un paio di luoghi dove erano previsti sondaggi, ha sì impedito che lì arrivassero le trivelle, ed ha anche costruito dei punti di riferimento e coordinamento delle lotte, ha tuttavia impegnato grandi energie, sottraendole in parte alle iniziative di resistenza alle trivelle che venivano impiantate, a sorpresa, altrove.
Il prefetto di Torino, Padoin, in un’intervista rilasciata a Repubblica il 30 gennaio, dichiarava con orgoglio “nel 2005 eravamo noi ad inseguire i No Tav, oggi sono loro ad inseguire noi. Li lasciamo nei loro presidi e rendiamo possibili i carotaggi dalla parte opposta.” Quello che Padoin non dice è che per impiantare una dozzina di trivelle in tre settimane ha dovuto militarizzare interi quartieri, impiegando centinaia di mezzi e di uomini in armi. Se per fare qualche buchetto è stata necessaria una simile esibizione muscolare, cosa faranno quando dovranno impiantare i cantieri? Scorteranno ogni camion? Bloccheranno le strade per mesi? Faranno i check point?
I media hanno gridato vittoria ma mentono sapendo di mentire. I sondaggi che dovevano durare settimane sono andati avanti pochissimo: non più di tre giorni.
In valle come a Torino il movimento ha dimostrato che le uniche ragioni dei sì tav sono quelle della forza e, con la forza bruta, la militarizzazione di intere città e paesi, l’imposizione con blindati e manganelli, non faranno molta strada.

Intimidazioni e provocazioni

Le trivelle le hanno portate di notte, scortate da centinaia di uomini e decine di mezzi. Le hanno piazzate in luoghi inaccessibili o degradati – nella discarica di basse di Stura a Torino, nel piazzale della Sitaf sulla Torino Bardonecchia, all’autoporto di Orbassano. Quelle piazzate nella stazione di Collegno e in quelle di Condove e Venaria sono state contestate e contrastate da un movimento popolare sempre più forte e determinato.
A Collegno, per tre giorni, un presidio ha fatto informazione e intralciato i lavori, raccogliendo l’attenzione e la solidarietà di un numero crescente di persone.
A Susa, la trivella è andata via in fretta, dopo ben due cortei sull’autostrada nella stessa giornata. Alla stazione di Condove ha lavorato solo 12 ore, circondata dalla polizia assediata dai No Tav. A Torino, in via Fermi e in corso Allamano, presidi informativi hanno fronteggiato le trivelle, che in un giorno e mezzo sono andate via.
A Venaria un presidio andato avanti giorno e notte ha messo i bastoni tra le ruote dei lavori, impedendo al camion delle luci di passare, imponendo all’amministrazione di far fermare i lavori per lasciare riposare i bimbi del vicino asilo, costruendo assemblee popolari: la trivella ha lavorato meno di due giorni.
Non sono mancate le intimidazioni e le provocazioni. Due presidi “storici”, quello di Bruzolo e quello di Borgone, distrutti da incendi dolosi, le accuse di usare anziani e bambini come scudi umani, le menzogne interessate di Gianni Pibiri della Fillea Cgil che accusa i No Tav di lanci di pietre contro i lavoratori alla stazione di Collegno, i cippi partigiani imbrattati a S. Giorio. I Sì Tav hanno anche provato a fare una manifestazione a Torino, che si è rivelata un flop clamoroso, poche centinaia di imprenditori, sindacalisti di stato e politici nel chiuso del lingotto.

I 40.000 No Tav sfilati a Susa il 23 gennaio hanno dimostrato la forza di un movimento le cui ragioni sono ben al di là della difesa del proprio cortile. I No Tav hanno rivendicato la salvaguardia dei beni comuni, della terra, dell’acqua, dell’aria e si sono ripresi la facoltà di decidere, espropriata dalla politica dei potenti.
Quattro anni di Osservatorio Virano sono stati sufficienti ad incrinare il fronte istituzionale, dove le sirene del potere, del denaro e del prestigio suonano più forti, ma non hanno intaccato un movimento che vive della consapevolezza che velocità, crescita, progresso sono miti utili solo ad aumentare i profitti di chi, ogni giorno, lucra sulle nostre vite, portandosi via, la vita e la salute di chi, per campare, deve lavorare. I signori del cemento e del tondino e i politici, di destra e di sinistra che li sostengono.
A fine gennaio Mario Virano annuncia in pompa magna che i progetti preliminari per la nuova linea possono partire. Ma è chiaro che la sua euforia è solo di facciata. Nelle linee di indirizzo diffuse alla stampa non è ancora ben chiaro dove passerebbe la nuova linea: rimangono “scoperti” ancora numerosi nodi. Inoltre ai lavori dell’Osservatorio non hanno preso parte 23 sindaci cui non era stato garantito che l’opzione zero fosse ancora sul tappeto. In quanto ai sondaggi, dei 91 annunciati, ne sono stati fatti solo una dozzina.
Forse tutto questo basterà per convincere l’UE a mollare i soldi. Nel 2005 le barricate hanno fermato il Tav: i politici gli hanno riaperto la strada.
Ma in questo gennaio sempre sotto zero, ancora una volta – fuori dai giochi della politica che delega ai palazzi – il movimento popolare è stato protagonista di una resistenza che cresce, giorno dopo giorno, notte dopo notte, nella pratica della relazione e del confronto, nella scelta del blocco e della comunicazione diretta con tutti.

Maria Matteo

Cronologia No Tav (gennaio 2010)

Sabato 9 gennaio, Susa.
Nasce all’autoporto il presidio permanente Maiero/Mayer.
Martedì 12 gennaio, Susa.
In 300 aspettano l’arrivo della trivella: si presenta solo la polizia che annuncia denunce per occupazione.
Martedì 12 / venerdì 15 gennaio, Collegno.
Piazzano una trivella alla stazione di Collegno. Nasce il primo presidio permanente nell’area metropolitana di Torino. Ogni giorno volantinaggi in piazze, mercati e scuole. Ogni sera il cibo condiviso e le discussioni in lunghe assemblee e in piccoli gruppi sono state un’esperienza di socialità e di autogestione preziosa per un movimento che cresce nella lotta e nella resistenza.
In almeno un’occasione i rubinetti dell’acqua per la trivella sono diventati no tav e si sono chiusi rallentando i lavori. Giovedì 14 la polizia ha bloccato un tentativo di incatenarsi alla trivella.
Sabato 16 gennaio, Torino.
2000 No Tav in corteo da piazza Massaua per le strade di un quartiere densamente popolato destinato ad essere sventrato dai lavori Tav.
Sabato 16 gennaio, Bruzolo.
Il presidio No Tav, piazzato lungo la statale sin dalla primavera del 2005, va a fuoco. L’incendio è doloso. Il rapido intervento dei pompieri limita i danni che sono comunque ingenti.
Domenica 17 gennaio, tra Rivoli e Villarbasse.
Un’assemblea di 200 persone inaugura il nuovo presidio No Tav, piazzato nei terreni di un vivaista, che lo ha concesso per impedire ogni sondaggio.
Domenica 17 gennaio, Bruzolo.
Oltre cinquemila persone partecipano alla fiaccolata No Tav, indetta dopo l’attentato al presidio.
Lunedì 18 gennaio, S. Antonino di Susa.
Nel paese di cui è sindaco Antonio Ferrentino, ieri a capo dei sindaci ribelli, oggi tra i tre che, in bassa valle, partecipa all’Osservatorio per definire i nuovi tracciati, si è aperto un presidio No Tav. Il presidio è alla stazione, dove è previsto uno dei sondaggi.
Martedì 19 gennaio, Susa.
Nella notte centinaia di carabinieri, poliziotti e finanzieri accompagnano una trivella in Val Susa. Siamo nel piazzale della Sitaf, sull’autostrada Torino Bardonecchia, la A32. Un fortilizio inaccessibile.
In mattinata il traffico autostradale viene bloccato per oltre due ore da un corteo di 250 persone.
Nel pomeriggio oltre mille No Tav, dopo una breve assemblea, bloccano nuovamente l’autostrada: si marcia sino alla trivella, sorvegliata da un imponente apparato di uomini in armi.
Dopo due giorni e due buchi, la trivella se ne va. I lavori che dovevano durare settimane finiscono nel giro 48 ore. Siamo nella valle dei miracoli.
Martedì 19 gennaio, Torino.
Un centinaio di No Tav torinsesi fanno un presidio davanti alla RAI, che nel suo telegiornale regionale, da sempre sponsorizza i sì tav.
Un intraprendente No Tav riesce a issare al pennone della RAI una bandiera con il treno crociato.
In serata un gruppo di No Tav appende uno striscione davanti al cancello della CGIL in via Pedrotti. Sullo striscione è scritto “Pibiri calunniatore. Amico dei padroni. No tav No trivelle”. È la risposta alle menzogne su sassate agli operai alla stazione di Collegno.
Mercoledì 20 gennaio, Condove/Chiusa S.Michele.
Arrivano di notte anche alla stazione di Condove. Qui la trivella contrastata da due presidi, un blocco ferroviario, un’irruzione in stazione e con corteo con barricate dura meno di 18 ore. La cronaca completa dell’episodio è nell’articolo.
Mercoledì 20 gennaio, Torino.
Folla delle grandi occasioni per l’assemblea organizzata da No Tav Autogestione, Osservatorio Ecologico e (ex) presidio di Collegno. Si decide di continuare la resistenza alle trivelle moltiplicando iniziative e presidi.
Giovedì 21 / venerdì 22 gennaio, Torino.
In via Fermi la trivella la mettono a mezzanotte e mezza. I No Tav arrivano lo stesso e presidiano sotto la neve. Il giorno dopo bis con blocco di mezzi diretti al sondaggio obbligati a deviare dal percorso.
Sabato 23 gennaio, Susa.
Il corteo è un serpente infinito. Ci sono i comitati, la gente comune, gli attivisti di sempre e i giovani che nel 2005 erano ancora bambini. Una risposta anticipata al sindaco di Torino che, il giorno successivo, si troverà al Lingotto per l’incontro Sì Tav da lui promosso con 800 persone. Chiamparino voleva fare la marcia dei 40.000 ma ha fatto un buco nell’acqua. I 40.000 c’erano, ma a Susa.
Domenica 24 gennaio, Borgone.
Di fronte alle macerie fumanti del presidio incendiato nella notte i No Tav non si perdono d’animo e cominciano subito a ricostruire. In serata a Borgone si mangia e si beve alla faccia di chi lavora di notte con la benzina, sperando inutilmente di fare paura.
Domenica 24 gennaio, Torino.
Le trivelle le piazzano anche la domenica, ma i No Tav arrivano lo stesso. Presidio in corso Allamano. Fuochi, cibo, volantini e striscioni segnalano che anche a Torino e cintura “Sarà dura”.
Martedì 26 e mercoledì 27 gennaio, Venaria.
Due giorni e due notti di presidio in via Amati. La trivella arriva nel tardo pomeriggio. No Tav armati di bandiere e striscioni fronteggia nel prato la polizia. Un camion della ditta Icardi con a bordo i fari per illuminare la trivella viene bloccato in strada dai manifestanti.
Il giorno successivo all’assemblea che si svolge nel tardo pomeriggio partecipano oltre 200 persone, in buona parte cittadini di Venaria.
Giovedì 28 gennaio, S. Giorio.
Scritte sì tav sono comparse sui cippi di alcuni partigiani della zona. Un segnale chiaro: in Val Susa la memoria partigiana è elemento catalizzatore della resistenza al Tav, alla militarizzazione del territorio, all’imposizione di scelte non condivise.
29 gennaio, Bussoleno.
Sulla montagna alle spalle di Bussoleno compare gigantesca la scritta “Geomont vergogna!”. La Geo.mont di Giuseppe Benente si è aggiudicata l’appalto per alcuni sondaggi, tra cui quello – di un solo giorno – alla stazione di Condove.
Domenica 31 gennaio, Bruzolo.
Il terzo attentato in tre settimane distrugge completamente il presidio No Tav di Bruzolo.
Sabato 30 e domenica 31 gennaio, Susa e S. Antonino.
I presidi No Tav sorti nell’autoporto di Susa e alla stazione di S. Antonino si sono rafforzati con strutture più stabili. Tra sabato e domenica ci passano centinaia di No Tav, tra cibo e musica popolare.