Rivista Anarchica Online


Verona

Giulietta, Romeo e il sindaco-sceriffo
di Federico Premi

Una grande città del mitico Nord-Est. Ricchezza, benessere, tanta immagine. Ma dietro qualcosa scricchiola: nervosismo, paura e odio del diverso, incapacità di vivere con gioia. E poi picchiatori fascisti...

 

Se camminate per le vie del centro e vi sentite il cuore leggero, ristorati da una buona musica che sembra uscire dai muri e dai vicoli in ombra, potete stare certi: non siete a Verona.
Siete forse a Trento, dove l’intelligenza cittadina riserva degli spazi “sacri” ai suonatori di strada, con tanto di segnalazione: ..... Forse siete a Vienna o a Parigi, e in quel caso pretendereste la musica per strada. Ma di certo, come voleva una delle tante ordinanze (poi abrogata da un più “neutrale” regolamento comunale) del sindaco-sceriffo Tosi (forse più sceriffo che sindaco), non nella città di Romeo e Giulietta: chissà se anche Shakespeare se l’era immaginata muta questa città. Forse oggi potremmo trovare, aggirandoci per le vie del centro, i due protagonisti innamorati intenti a far schei vendendo bavaglini con inciso il nome del turista, piuttosto che a farsi una striscia di bianca felicità in un bar di qualche piazza “bene”. Drogati ma al sicuro dai malviventi: quindi dai negri (da noi «baluba» o, in competizione con le Grundworte del filosofo Martin Buber, «negri di merda») che vendono pericolosissime cinture e borse contraffatte, o dalla molestissima musica degli zingari che, come il canto di Banshee, potrebbero condurre qualche passante alla morte. Sarà per questo che un lieto sabato pomeriggio, scivolato poi nella tristezza più cupa, mi sono imbattuto nell’edificante scenetta: due ragazzi sui dieci anni suonano le loro fisarmoniche. Nel giro di qualche minuto due persone in abiti civili (vigili in borghese?) fermano la macchina, prendono loro l’elemosina, requisiscono le fisarmoniche e danno loro una multa. Dai passanti grida di compiaciuto giubilo: “Brài! Manco mal!” [Trad. “Bravi! Menomale!”].

Il ruolo della Chiesa

Quante meraviglie in questa città fatta per lo più – come vuole il primo cittadino – di quattro sassi. La storia infastidisce, come la cultura, come la memoria, come ogni cosa possa rappresentare un elemento di disturbo all’obiettivo catto-capitalista del consumo e del benessere. Dico “catto” perché l’altra gamba del gigante leghista, a Verona, è proprio la Chiesa che non solleva un dito contro le ordinanze che riguardano l’elemosina, gli immigrati o gli “sbandati”, tutte quelle persone insomma che nelle fumose prediche della domenica sono al centro della carità e compassione evangelica. E se la Chiesa prova a sollevare un dito, non alza certo il medio, ma l’indice, ad indicare altri finti problemi di circostanza, per evitare ogni responsabilità. D’altronde, come dice un vecchio detto, a Verona ci sono più chiese che abitanti, e a livello economico fanno sentire il loro peso. Così, in alleanza più o meno manifesta con i giornali locali, spesso araldi ossequiosi e di parte, si mascherano i problemi veri, urgenti, per quanto Verona si guadagni sempre la “maglia nera” per l’inquinamento. E in effetti come rinunciare alla macchina, vero e proprio speculum animae dei cittadini? Meglio iniziare i lavori: togliere le piste ciclabili costruite dall’amministrazione (rossa) precedente sembra l’unica soluzione per la salute cittadina. Altrimenti, con le biciclette in città, i parcheggi dove finiscono?
Il fatto che Verona sia una macchina della morte, un centro in cui i tumori pullulano per l’inquinamento non importa: si tratta di un problema da risolvere, ma pur sempre di un problema pubblico. E questa dimensione, si sa, al sindaco non piace. Non importa se anche le ricerche e le indagini statistiche da tutti consultabili danno Verona come una delle città più intossicate, totalmente priva di un sistema di mezzi pubblici adeguato. La risposta è sempre la stessa: non si possono danneggiare i commercianti. Verona – come dice l’assessore alla viabilità – è inequivocabilmente un «centro commerciale naturale», ed evidentemente, in quanto tale, deve essere raggiungibile in macchina. Tutti d’accordo. E infatti, secondo i dati di un’altra ricerca (L’Arena, 18 agosto 2008), i veronesi sono «campioni della spesa e ultimi a scuola».

Una tomba fittizia

Le statistiche dipingono Verona come una città ricca ma ignorante ed inquinata, dove si ha il più basso numero di iscritti agli istituti superiori e il minor numero di laureati del Veneto. Ma solo i maligni vedono un legame tra l’estremismo di destra, le continue e ripetute aggressioni da parte di nazisti (smettiamola di chiamarli “simpatizzanti di estrema destra”! Alcuni, per la loro simpatia, hanno ucciso Nicola!) e l’ignoranza dilagante. E ancora: solo i maligni vedono una connessione tra l’ossessione del benessere, l’ostentazione della ricchezza, e la violenza dilagante. “Dilagante” non è un’esagerazione: l’ultima aggressione è freschissima e compiuta ai danni del procuratore Giulio Schinaia, già collega di Guido Papalia, il procuratore sulla cui tomba fittizia – costruita con macabra ironia dai leghisti scaligeri nel 2005 – Tosi aveva posato con tono di scherno facendosi immortalare trionfante.
Non sono cose che contano, in fondo: la «capacità di spesa» dei Veronesi è confermata. E con essa la felicità. L’alcol (che include, nell’ora dell’aperitivo, la sfilata di porno-manichini imbellettati e che trasforma piazza Erbe in un parcheggio di Suv), la violenza (vanno per la maggiore le magliette con scritto goto and violence [trad. “bicchiere di vino e violenza]), la cocaina (e chi non si droga dalla felicità?) sono proprio indice di benessere.
Tutto questo, se invece siamo onesti, tenta di camuffare la profonda depressione che nasce dalla mancanza di qualsiasi senso o significato che non vada oltre la rincorsa dell’arricchimento e della svendita di sé stessi; i veronesi sorridono poco. Si picchiano tanto: basta un colpo di clacson per farti tornare a casa con il naso rotto.
La moda, il copiarsi l’uno con l’altro, l’agone egoista ed esteriorizzante, ha creato in città una sorta di psicosi di massa: l’ignoranza non è solo indice di analfabetismo, significa anche non saper distinguere il bene dal male; significa non riuscire a formularsi una scala di valori: pestare un negro diventa un passatempo; malmenare un vecchio diventa un atto di soddisfazione personale (a Ponte Crencano, quartiere “sano” di Verona, nel giugno 2007 un ragazzo ha pestato un anziano che gli aveva chiesto di tenere il cane di grossa taglia al guinzaglio: il giovane, oltre a picchiare l’anziano ha iniziato a comandare al cane «taca! taca!»…cioè di attaccare. L’orientamento politico del ragazzo è noto).

L’immagine della città

Allo stesso modo il 3 gennaio 2009 un gruppo di ragazzi di estrema destra spaccano la faccia ad una ragazza che chiede di abbassare la voce in un locale: un gesto di fratellanza tra commilitoni. E in fondo come biasimare questi atti? Si è intitolato un pezzo di Lungadige all’onorevole Pasetto, “picchiatore” neofascista (così definito in una nota di condanna partita allora dall’ufficio di presidenza del consiglio comunale di Verona) che nell’aprile del 1981 colpì con spranghe, tubi e crik dei ragazzi che stavano affiggendo manifesti contro la pena di morte. Fu arrestato (successivamente, il reato di violenza privata gli venne “amnistiato”). Poi, come capita a tutti quelli che vivono, è morto: e ora merita il suo posto d’onore.
In fondo è per questo che la cultura non serve a niente, e a Verona meno che mai: rischierebbe di mettere in discussione le prepotenze del potere. I soldi, invece, mettono d’accordo tutti. Si legge, con il solito riso amaro: «Cultura: stangata da 1,4 milioni di euro», e poi non manca la sorpresa: «il Comune spende 1,4 milioni di euro per rifare la vasca dell’Arsenale, installare le luminarie, i nebulizzatori d’acqua e i giochi di luce a ridosso dello storico ponte [Castel Vecchio]».
È proprio grazie all’ignoranza che pochissimi cittadini si chiedono perché sono senza un lavoro, magari perso perché mancavano i fondi al sociale, mentre il Comune si diverte con il rococò: ma non parliamo nemmeno di lavoro, visto che, a quanto sembra, a Verona lo si può trovare facilmente commettendo un crimine. Andrea Vesentini, già indagato per l’aggressione a Nicola Tommasoli (in appello è stato assolto dall’accusa di omicidio preterintenzionale) e condannato per violenza privata commessa verso un altro ragazzo la sera stessa, ha svolto per qualche tempo – come recitava il quotidiano L’Arena – il “bibliotecario”, nel suo paese d’origine, Illasi. E come non venire incontro a quel “povero ragazzo”? Ma ancora una volta, pochi sollevano perplessità e obiezioni: si direbbe che la città dorme. Il sindaco, a questa narcolessia mentale, non sente certo l’urgenza di porre rimedio: sente però l’urgenza di difendere l’immagine di Verona che l’omicidio Tommasoli ha “infangato”.
Addirittura c’è stata una raccolta di firme in favore del primo cittadino: non certo per salvare la dignità della città e dei suoi abitanti lesa dai nazisti, ma contro il «danno all’immagine» e contro la «gogna mediatica».
Questo è probabilmente anche, e solo, il motivo per cui Tosi si è costituito parte civile. Se l’immagine è danneggiata, i commercianti si lamentano: e se i commercianti si lamentano perché perdono i schei del turismo, il sindaco perde voti. Quando un omicidio fa perdere voti, come non reagire? In fondo, la dignità non fa business, l’immagine invece sì. Fa business tutto a Verona, e quello che non lo fa si può cancellare: come gli spazi verdi già inesistenti, come i palazzi antichi venduti, come i reperti storici ignorati, come la proposta di far diventare Castel S. Pietro un casinò, come le Torricelle bucate dall’autostrada che attraverserà la città per assecondare una promessa elettorale fatta agli industriali della Valpantena.

O risse o ...

Insomma, Verona sta cambiando. Anzi: è cambiata. In campagna elettorale si è parlato, in piazza Erbe insieme al sindaco di Treviso Gentilini, di fare «pulizia etnica», di trasformare la città scaligera «in una bomboniera come Treviso». Ora è così bella che sembra morta, abitata da fantasmi. Verrebbe quasi da pensare che, ironia della sorte, i cittadini che vivono tra le centinaia di negozi di mutande, scarpe e vestiti firmati dai prezzi stralunati, siano disabituati alla bellezza. Confondono la bellezza (e il pacifico ed estatico piacere che dona) con un’estetica di consumo, truce esercizio di mercato (“sono spendibile conciato così stasera?”), camuffamento imitativo in cui il singolo tenta di omologarsi e confondersi, tra colletti inamidati e scarpette di Prada, nell’anonimo gregge. Forse è proprio questo il problema: i veronesi non sanno più cosa sia il bello, non si permettono, non si lasciano andare al piacere libero e non violento del gusto estetico. Vivono sempre con il fiato corto, sospettosi, iracondi, scontenti e violenti, con i denti che digrignano di fronte a qualsiasi diversità. Diciamo pure che, per questo, i veronesi non sanno più amarsi. Finché non riscoprono, con la delicatezza della cultura, il piacere della storia, e la capacità di curarsi di sé stessi (più che dell’immagine ad effetto per sedurre l’Altro), cosa possiamo pretendere se non le risse?

Federico Premi

Proposta (non solo ai veronesi):
distendetevi su di un panchina e leggetevi le ordinanze del sindaco Tosi

Presentiamo in versione scaricabile una piccola guida illustrata per avventurarsi nei meandri della città di Verona.
È un simpatico omaggio della quinta edizione di Brutti Caratteri rassegna di editoria e culture indipendenti.
Se, per puro caso, vi venisse in mente di fare cose contro natura, come mangiare un kebab vicino ad un monumento o suonare un qualsiasi strumento musicale in centro dopo le dieci di sera, questa piccola guida potrà tornarvi utile per evitare di fare una figuraccia con la municipale o con i simpatici assistenti civici meglio definiti come ronde.
Quindi, scaricatela, tenetela sempre con voi e leggetela distesi su una panchina.
Leggere una dopo l’altra le ordinanze e i divieti dell’amministrazione Tosi fa paura. Le parole hanno il ritmo incalzante di un’ossessione.
L’ossessione del decoro, del fare pulizia che ha una lunga tradizione a Verona. È la pulizia di Abel e Furlan o di chi ammazzò a bastonate il Crea che dormiva nel cortile del Tribunale, fino ad arrivare alle squadracce di ragazzi annoiati del sabato sera e all’omicidio di Nicola Tommasoli. Le ordinanze perseguono quello stesso obiettivo su un piano più rassicurante e quotidiano: non ammazzano ma rendono la vita impossibile. Molte sono talmente assurde da essere inapplicabili, ma non importa. L’importante è che veicolino un messaggio, che agiscano nella testa delle persone indicando i “nemici”, sostanziando nei piccoli divieti quotidiani quella percezione allucinatoria del pericolo che va continuamente alimentata. Abituandoci a considerare come disprezzabili e condannabili comportamenti del tutto normali.
Non a caso in questi ultimi anni le politiche di repressione e discriminazione si sono servite sempre più spesso dei regolamenti e delle ordinanze che – affermando di rispondere solo a esigenze pratiche, a piccoli problemi di convivenza – si sottraggono al rispetto dei diritti delle persone. Sono lo strumento ideale per mettere in atto quel capillare e pervasivo sistema di controllo della nuda vita che ha sostituito le tradizionali pratiche repressive.
E le vite più esposte al controllo sono quelle dei migranti o dei poveri o dei meno disponibili a farsi assorbire dalla logica totalizzante del consumo e dal prosciugamento della dimensione sociale dell’esistenza; sono le vite di tutti quelli che, per necessità o per scelta, ancora abitano gli spazi delle città, le strade e i parchi, si siedono su una panchina, girano a piedi, mangiano un panino.
Si vive meglio nelle città strette dai lacci dei divieti? No, perché sono altre le cose che fanno la differenza: il verde, l’aria pulita, le case per chi ne ha bisogno, i servizi, gli spazi sociali. A queste esigenze non si dà risposta. Ma le ordinanze ricoprono il ruolo proprio di un grande illusionista: ti fanno vedere quello che non c’è e nascondono la realtà, con tutti i suoi problemi.
Chiusi in un recinto sempre più piccolo, impauriti e tristi, siamo pronti a sparare oggi ai piccioni, domani, chissà, a chiunque ci terrorizzi, cioè l’altro differente da noi.

Scarica hardecoro. piccola guida all’osceno locale. le migliori ordinanze del comune di Verona da:
http://veronainforme.noblogs.org/post/2009/06/16/hardecoro-le-migliori-ordinanze-del-comune-di-verona

(grazie ad Andrea Dilemmi)