Rivista Anarchica Online


immigrazione

Gli esclusi di Rosarno
di Umberto Pellecchia

Il ministro Maroni ha avuto il coraggio di lamentare “troppa tolleranza”, mostrando non solo ancora una volta il razzismo strutturale degli organi di Stato ma anche la drammatica incapacità di questi ultimi di analizzare il presente, la realtà, la storia.

 

Tra le tante immagini che sono comparse su giornali e televisioni riguardo la spaventosa vicenda dei migranti a Rosarno, una in particolare ha colpito la mia attenzione, a causa del suo potere simbolico ed efficacia evocativa. Si tratta di una fotografia pubblicata sul sito di Repubblica. Le prime otto foto dello slideshow raffigurano momenti di guerriglia urbana, dove i migranti armati di bastoni manifestano la loro rabbia e frustrazione. Quella rabbia e frustrazione verso le quali il ministro Maroni ha avuto il coraggio di lamentare “troppa tolleranza”, mostrando non solo ancora una volta il razzismo strutturale degli organi di Stato ma anche la drammatica incapacità di questi ultimi di analizzare il presente, la realtà, la storia.
La nona foto è quella sulla quale invito a soffermarsi ed è quella che mi ha dato lo spunto per le riflessioni che seguono. Essa rappresenta un gruppo di cinque migranti, dalle manifeste intenzioni ostili, pronti a scagliarsi contro un obiettivo posto a loro di fronte. Uno di essi guarda dritto la macchina fotografica, con la mano alzata ed il dito teso. Un’altro, in primo piano, finge di tagliarsi la gola con un bastone. Gli altri mostrano volti tesi, stanchi, arrabbiati. Tutti hanno il volto dipinto di nero e vestono di indumenti rossi. Si notano bene, nel migrante con il braccio alzato, due segni neri paralleli sulla fronte e su ognuna delle guance. Se non fosse che i migranti indossano giacconi pesanti, si direbbe di essere in Africa.
Ecco, in quella foto, sintetizzata con tutta la sua efficacia la simbologia di lotta contro il Potere dei giovani africani. Nei loro contesti di origine, come a Rosarno, i “giovani” – categoria che definirò a breve – contestano il Potere con forme di lotta a volte estreme e violente. Al centro del loro messaggio, la marginalità e l’esclusione nelle quali vengono costretti da sistemi di potere gerontocratici e clientelisti. Una marginalità ed una esclusione che il sogno/progetto della migrazione tende a ridimensionare, con l‘idea che una volta raggiunto l’Occidente tutto cambi. Ma Rosarno, una volta, tristemente, di più, ci dimostra non solo che questo sogno/progetto sia un’illusione; ma anche che nei loro contesti di provenienza come nella “civile e democratica” Italia i giovani si trovano costretti a lottare per sopravvivere, per non essere esclusi, per non stare ai patti di un Potere che si impone ed assoggetta.
La nona foto dello slideshow di Repubblica evoca, da Rosarno, modalità di contestazione giovanili che è possibile trovare in varie aree africane. La proposta di questo articolo è di mostrare – in Africa come qui – delle forme di lotta transnazionali che accomunano i giovani africani in una contestazione contro il Potere che non si esaurisce nel percorso migratorio o nell’opulenza occidentale.

I “giovani” africani

L’antropologia contemporanea, soprattutto quella africanista, si sta concentrando negli ultimi anni nell’analisi della mobilità sociale e politica dei giovani. L’idea è quella di analizzare attraverso quali simbologie, valori culturali, strategie e pratiche socializzate i “giovani” si inseriscono nel tessuto sociale, nella “vita adulta” e nel mondo della politica. Mobilità sociale è un concetto utile nell’individuare tutti quei percorsi che i “giovani” mettono in pratica per segnare il passaggio da una condizione di dipendenza familiare o gerarchica ad una autonoma. Questo passaggio è generalmente caratterizzato da una contestazione del Potere, delle gerarchie, della dipendenza. È necessario tuttavia soffermarsi un momento sulla categoria di “giovani”. Le discipline antropologiche sono concordi nel definire i “giovani” non tanto da un punto di vista biologico, ovvero secondo l’età anagrafica. Piuttosto per “giovani” si deve intendere una condizione sociale che vede questa categoria di soggetti come coloro esclusi per motivi storici e politici dai benefici dello Stato e delle forme strutturate di potere. Marginalità ed esclusione – sia politica che economica – sono i caratteri principali dell’essere giovani in Africa. Le reti clientelari dello Stato, così come i principi valoriali su cui si basano le gerarchie definite “tradizionali” tendono ad accentrare l’autorità nelle mani degli anziani, dei big men.
Ai giovani è tendenzialmente negata la possibilità di crearsi dei percorsi autonomi, liberi, trovandosi costretti a riprodurre schemi e valori culturali imposti per poter esistere. A questo i giovani rispondono con forme e strategie variegate – che spesso tuttavia non sono così indipendenti da legami di dipendenza. La contestazione, la ribellione sono possibili forme di emancipazione. La lotta violenta, le forme rituali di contestazione della memoria collettiva, l’associazionismo diventano possibili percorsi di socializzazione che tentano di scardinare i paradigmi imposti dal Potere. La migrazione, tra queste forme, è una possibilità spesso più percepita che reale di allontanamento dai poteri locali e dalla subordinazione.
Paul Richards, antropologo inglese autore di un saggio sulla guerra in Sierra Leone (1), mostra come i nuclei di guerriglieri protagonisti di uno dei più aspri conflitti africani degli ultimi tempi, attraverso forme di lotta armata estremamente violenta affermavano la loro incapacità di inserimento in uno Stato fortemente patrimonializzato, dove le risorse ed i benefici economici circolavano solo ed esclusivamente all’interno dei circuiti clientelari delle élite.
Qualcosa di paragonabile al dramma quotidiano che vivono le popolazioni del Delta del Niger oggi. In Nigeria, lo Stato da un lato e le Multinazionali del petrolio dall’altro costituiscono di fatto le coordinate dello sfruttamento e del Potere che oltre ad aver cancellato per sempre un ecosistema unico al mondo e un’agricoltura locale sostenibile, hanno escluso di fatto le popolazioni – e i giovani in particolare – da una ricchezza che è appannaggio esclusivo degli occidentali. Il Movimento di Emancipazione del Delta del Niger (MEND) ha sviluppano negli ultimi anni tecniche di guerriglia sempre più raffinate con l’obiettivo di scardinare quel Potere ingombrante e di restituire ambiente e terra ai legittimi abitanti (2).
Un terzo esempio di contestazione giovanile che propongo ci viene dal Cameroon, dove l’antropologo Nicolas Argenti in un volume del 2007 (3) mostra come i giovani dei Grassfields attraverso forme rituali e performance rievocano il passato, mettendo l’accento sul connubio tra Capi locali e colonialisti nello sfruttamento della schiavitù.
Dalle pratiche e dai contenuti delle lotte “giovanili” ritorno alla simbologia. I volti dipinti di nero, i drappi rossi alle braccia, le spranghe ed i bastoni sono elementi trasversali delle contestazioni giovanili in Africa sub-sahariana. Recentemente, in Ghana, nel corso di una mia ricerca di campo ho analizzato la ribellione dei giovani verso i leader locali: la modalità messa in atto riproduceva quella dei guerrieri “tradizionali” che si scagliavano contro antagonisti locali o colonialisti (4). Il motivo della contestazione è stata l’appropriazione individualista di risorse pubbliche da parte delle autorità e l’impossibilità strutturale di una rappresentanza politica. “Assassino” era il codice attraverso cui veniva definito il Potere. Un assassinio che, a Rosarno, si è ricreato in un ambiente geografico diverso, ma con forme di potere simile.

I “giovani” di Rosarno

Ritorno all’immagine fotografica iniziale. I migranti di Rosarno sfruttati fino alla morte dalla mafia e dal caporalato si sono trovati “assassinati” anche da uno Stato – quello italiano – incapace a gestire non solo la situazione di emergenza (se non con una deportazione, di fatto, dei migranti in centri di detenzione) ma anche e soprattutto intollerante nei loro confronti fino al razzismo. In più, uno Stato non in grado di garantire i diritti del lavoratore a non essere sfruttato dal “nero”; lavoratori di qualsivoglia origine, africana o europea. Ciò che non hanno mai fatto gli italiani, a Rosarno lo hanno fatto i cosiddetti “stranieri”.
La contestazione dei “giovani” – o, se si vuole, degli esclusi – di Rosarno è un grido di rabbia violento nei confronti di quelle reti di dipendenza che non sono solo quelle dell’illegalità dei circuiti mafiosi ma anche quelle di uno Stato che non vuole e non permette, strutturalmente, la possibilità di inserimento sociale dei migranti. La proibizione dei diritti al lavoro, alla salute, alla casa. I quotidiani ostacoli alla circolazione attraverso degradanti controlli di polizia. L’indifferenza mediatica e la burocratizzazione legislativa per le pratiche di cittadinanza. Le nuove leggi razziali di Stato. Sono questi, in Italia, gli obiettivi evocati dalla lotta dei migranti di Rosarno. Esiste dunque un parallelismo evidente, a mio parere, tra le lotte dei “giovani” schiacciati nei loro contesti d’origine dal potere degli “anziani” (Stato, Capi locali, Multinazionali e così via) e quelle qui, in Italia, che vede ancora una volta in atto un regime di subordinazione. “Giovane” e “anziano” diventa quindi una metafora di una relazione di disuguaglianza, al di là delle accezioni anagrafiche che i termini hanno, dove gli “anziani” di volta in volta incarnano figure del potere diversificate. I volti dipinti di nero e le armi in pugno dei migranti africani di Rosarno rappresentano la ribellione degli emarginati verso un Potere dal quale credevano di essere fuggiti ma che ritrovano anche in quel paradiso occidentale che si proclama culla dei diritti e della democrazia.

Umberto Pellecchia

Note

  1. Paul Richards, Fighting for the Rain Forest: War, Youth and Resources in Sierra Leone, Heinemann, 1996.
  2. Sul Delta del Niger si sta sviluppando una discreta letteratura. Tra gli altri, si veda Rowell A., Mariott J., Stockman L., Il prossimo Golfo. Il conflitto per il petrolio in Nigeria, Cart’Armanta Altreconomia, 2007, oppure il recente Daniele Pepino (a cura di), Delta in rivolta, Porfido Edizioni, 2009.
  3. Nicolas Argenti, The Intestines of the State. Youth, violence and Belated Histories in the Cameroon Grassfields, Chicago University Press, 2007.
  4. Si veda Umberto Pellecchia, ‘Il Re è un assassino. Viva il Re!’, in “Afriche e Orienti”, in corso di stampa, 2010.