Rivista Anarchica Online



a cura di Marco Pandin

 

Ecco due cd editi da stella*nera. Uno è appena stato pubblicato ma contiene registrazioni di qualche tempo fa. L’altro è uscito un anno fa, non c’è un motivo preciso per cui non ne ho scritto prima se non quel mio solito imbarazzo a occupare spazio qui dentro per progetti che ho contribuito personalmente a pubblicare. Non leggete questa rubrica come una pagina auto-pubblicitaria (non lo farete, lo so, neanche in maniera angolare), ma come una descrizione di due album dalla diffusione dei quali beneficia direttamente la rivista che state tenendo tra le mani e sotto gli occhi proprio adesso. Non li trovate nei negozi: richiedeteli direttamente in redazione.

Drama

Questa è una storia strana, una di quelle che in giro normalmente non si sentono. Una storia che bisogna cercare, una storia rara, tracce sottili appena accennate che si fa fatica a seguire e poi a mettere insieme, e che alla fine è una storia incredibile, che si accende di una vita sua, prende ali e direzioni inaspettate, e sorprende, e scompare. Una storia fatta di suoni di dita che incontrano legno pelle e metallo e si intrecciano in sequenze ritmiche spigolose e contorte per dissolversi velocemente in rumori appena sussurrati, sottili come fili d’erba che poi improvvisamente a volte s’inabissano nel profondo oppure diventano enormi come tuoni in montagna, voce di nuvole estive nere di pioggia che si sciolgono e lasciano l’aria appena più fresca e riverberi umidi attaccati alle cose. Una storia fatta soprattutto di silenzi lunghissimi: silenzio non come assenza di suono/rumore ma come spazio immaginato apposta per la meditazione, il ricordo, la solitudine (silenzio come un posto della mente). Una storia che è un accatastarsi di luci ed ombre, colori, e vastissime terre di nero.
La racconta Roberto Dani, sperimentatore ed improvvisatore, percussionista. Lui è uno che ha fatto già un bel pezzo di strada, sia parlando dei chilometri macinati per fare concerti in giro per il mondo che in viaggio tra modi di suonare, dal rock progressivo a studi americani di jazz a collaborazioni con nomi scritti piuttosto in grande nel libro della musica contemporanea, ne prendo tre a caso: la cantante inglese Norma Winstone, il clarinettista francese Louis Sclavis, la pianista americana Annette Peacock, che poi magari non saranno neanche tra i più rappresentativi (ma ne ho scelto tre a caso sul serio). Da qualche anno porta avanti un’intensa attività didattica sull’improvvisazione: in pratica mette in testa dubbi ed idee strane a giovani musicisti che raccoglie in ensemble strumentali che lui poi dirige, o magari disorienta.

Roberto Dani

“Drama” in breve è un’opera per sole percussioni, stellarmente lontana da quei monoliti costruiti su mastodontici assoli di batteria tamburi ed altra roba da percuotere dove trionfano il muscolo gonfio e sudato, i buchi sulla tessera della palestra e le dimensioni del diametro delle palle dell’autore. Ve lo dicevo qualche riga fa: grande parte del lavoro di Roberto è fatta di ricami sonori preziosissimi tutt’attorno al silenzio. Sono tele di ragno sottilissime, grovigli di pianta rampicante che a volte riescono a tener stretta persino la luce, così che “Drama” diventa oscuro, prende contorni incerti, anzi perde forma per rimanere sensazione, sospetto, odore sottile. Anche la copertina non aiuta a mettere ordine, così giocata tra quello che sembra e quello che invece è: spaccature bianche sul nero, e nero fuori e bianco dentro, carta pesante da toccare in punta di dita, fatta apposta per catturare tracce, ditate, pieghe, unghiate, ombre, macchie.
Roberto è stato descritto, più che come percussionista, come un danzatore che si muove tra le percussioni: l’ho visto suonare e questa frase mi piace, la sento intimamente brillante e vera e mi piacerebbe averla scritta io, quindi la rubo e ve la ripropongo. E non è solo una questione visiva: questo suono accende in testa l’idea della danza, del movimento leggero, del volo che sconfigge la gravità, di aria che prende colori, di indecisioni di contorni.
Per trarre enorme soddisfazione dall’ascolto serve armarsi di attenzione. Aiuta anche una certa propensione alla curiosità, e un minimo di pratica nel tenere ben arieggiata e sgombra la propria mentalità dai confini di genere musicale. Non voglio sembrare uno che esagera, ma questo è uno di quei cd magici dove ci si sorprende ad accorgersi di una novità, di un particolare rimasto nascosto, di un riflesso anche oltre l’ennesimo ascolto. Sapete, uno di quei cd che non diventano mai vecchi, uno di quelli che galleggiano nel tempo secondo una rotta propria e che si perdono e ritornano. Uno di quelli che sarà bello riascoltare ancora tra dieci anni.


Solo concert

Questo disco ha dietro una storia lunga e accidentata, ha percorso una strada lenta che lo ha portato ad avere adesso una forma complessiva diversa da quella che solo fino a qualche tempo fa era stata immaginata. Il musicista già lo conoscete, su queste pagine è stato di passaggio anche di recente: è quel Luciano Margorani strano e sperimentatore. Ve l’ho raccontato come un chitarrista e compositore “spontaneo” attivo nel campo della musica rock sperimentale dai primissimi anni Ottanta. Lui suona la chitarra ma proprio non è un chitarrista “normale”: il suono è storto, angolare, bislacco, contorto, che sembra venire da chissà dove invece che da una chitarra. L’ispirazione che lo muove ha due facce: a volte nasce per innamoramento, e quindi per caso, fortuna, illuminazione improvvisa, altre per accumulo di esperienze, per stratificazione di ascolti, scambi e scoperte, incontri.

Luciano Margorani

Nel 1984 ha formato insieme a Piero Chianura il gruppo La1919, un laboratorio di ricerca sonora dove succedono rimescolamenti, contaminazioni, incidenti e disastri: in Italia, dove si è attenti a ben altro, non suonano praticamente mai, ma li invitano al Festival Internationale de Musique Actuelle di Victoriaville (Québec) nel 1994, dove si ritrovano a condividere il palco ed il pubblico con Diamanda Galás, David Moss, Otomo Yoshihide, Keith Tippett, Oliver Lake tanto per fare giusto qualche nome e darvi un’indicazione.
La sua biografia è lunga solo poche righe, in cui c’è scritto della sua partecipazione all’evento “La notte delle 100 chitarre” diretto dal compositore americano Rhys Chatham al teatro Smeraldo di Milano nel 1995, e poco altro: Luciano è lontano, anzi fuori dai “giri” e, ritagliando da una vecchia frase che gli avevo scritto addosso, non perché preferisca rintanarsi nel suo monolocale in cima alla torre, quanto per quel suo sentirsi a disagio nei salotti con la bella gente che tutto conosce e tutto ha già sentito.
Questo suo cd “Solo concert” è documento di un concerto sulle rive del lago di Garda, il 9 luglio 2001. Una chitarra classica, una chitarra elettrica, un’attrezzatura tecnica minima, qualche pedale giusto per far prendere una piega storta alle vibrazioni delle corde. Diretta digitale, senza manipolazioni né sovraincisioni. Faccio una certa fatica a descriverlo, non perché mi manchino parole e fantasia ma perché ad un certo punto ogni traccia, ogni definizione, ogni invenzione si trasformerebbe in zavorra inutile. Questa è musica libera, preferisco lasciarla libera. Libera anche da me. Voglio restare da parte, e guardarla prendere il volo.

Marco Pandin
stella_nera@tin.it


“Duemila papaveri rossi”
2 cd con libretto

I due cd contengono 37 canzoni di Fabrizio de André
interpretate da musicisti e gruppi indipendenti.
Una iniziativa a sostegno di "A" delle Edizioni stella*nera.

Una copia 15 euro

Per saperne di più e per acquistarlo online clicca qui

Paola Sabbatani e Roberto Bartoli
“Non posso riposare”
cd+dvd

Un cd e un dvd, dodici canzoni da ascoltare e un documentario realizzato da
Mario Bartoli e Giangiacomo De Stefano (Va.C.A. Vari Cervelli Associati).
Una co-produzione Editrice Bruno Alpini, Aparte e stella*nera.

Una copia cd+dvd 15 euro

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