Rivista Anarchica Online


infrastrutture al Sud

Grandi opere o infrastrutture di prossimità?
di Antonello Mangano

Il servizio di trasporto pubblico sullo Stretto è ormai inesistente: non resta che il monopolista privato, costretto a rifiutare i passeggeri in eccesso. La Salerno-Reggio Calabria è un cantiere senza fine che ingrassa da vent’anni mafiosi ed imprese parassitarie.
Con poco, il trasporto nello Stretto potrebbe essere efficiente e rapido. Con il Ponte non lo sarà mai.

 

Lo Stato italiano è letteralmente impazzito: ha deciso di fare male e lentamente le strade, di abbandonare i traghetti (le infrastrutture di prossimità) per puntare su un’opera costosissima, sicuramente inutile e probabilmente impossibile da realizzare. La manifestazione dell’8 agosto, che ha visto cittadini provenienti da ogni parte d’Italia concentrarsi a piazza Cairoli alle 18, è servita a ribadire la necessità di una scelta razionale contro un’autentica follia. A differenza che negli anni passati, al centro dell’attenzione non c’è stata solo la salvaguardia del paesaggio ma anche una scelta di politica economica: ri-orientare la spesa pubblica da “grandi opere” concepite per il profitto di pochi a tante piccole azioni a beneficio della collettività. Un approccio ideologico? Tutt’altro: iniziamo il viaggio.

Verso sud

Siamo in Campania. Gli autotrasportatori ed i turisti che devono raggiungere la Sicilia sono sempre tanti. Le autostrade del mare sono ormai una realtà. Alle tradizionali rotte Palermo - Genova e Palermo – Napoli si sono aggiunte diverse altre nate proprio per intercettare il traffico che inizia a metà dello stivale e punta verso lo Stretto.
“Il vero ponte tra la Sicilia ed il continente”, annuncia Grimaldi Lines con le offerte promozionali della nuova linea da Catania a Civitavecchia. Dalla Sicilia a Roma, si sale con l’auto o il camion sul traghetto, e ci si sveglia a destinazione. “Il servizio è nato per bypassare la Salerno-Reggio Calabria”, dice chiaramente il sito web della Cartour, che dal 2001 offre il traghettamento da Messina a Salerno. I cantieri eterni dell’A3 sono stati il “volano” per la creazione delle autostrade del mare, il cui successo è anche la prova più evidente di quanto il Ponte sia oggi poco utile.
Ma i cantieri infiniti non possono essere genericamente etichettati come “spreco”, come denaro dilapidato. Rappresentano piuttosto un trasferimento di denaro: ci guadagnano – in maniera onesta o meno – le compagnie di navigazione, le imprese di costruzione, le ditte dei mafiosi capaci di imporre la loro presenza inamovibile e di farsi presentare come “infiltrati”, corpi estranei in un organismo sostanzialmente sano. Ci perdono gli operatori economici, le ditte di trasporto locale, il turismo della zona, i lavoratori che operano in aree non sicure e sotto perenne minaccia di licenziamento, tutta la parte terminale dello stivale, ormai – appunto – “bypassata”. I voli low cost fanno il resto. L’autostrada è diventata un incubo da evitare. Persino le code estive sono state meno numerose del previsto, almeno all’inizio di agosto. Solo il primo giorno del mese alcuni chilometri tra Rogliano ed Altilia. Gli automobilisti incolonnati, significativamente, hanno scelto la telefonata ai giornali come forma di protesta. Ma basta un accenno di pioggia ed il paesaggio diventa impressionante. Il ricordo della strage di gennaio è ancora vivo: un blocco di terra smosso dalle piogge cade su un furgone Peugeot in transito, due morti, cinque feriti e tante polemiche. Le colline, potenziali blocchi di fango, incombono sulla carreggiata. Il tratto non è ancora “ammodernato”. Il magistrato lo ha dissequestrato da poche settimane. Secondo alcuni la colpa originale è di Giacomo Mancini, il politico socialista (e cosentino) che impose un tracciato lontano dal mare e disegnò una linea tra le montagne che raggiungesse la sua città. Da un lato un percorso più impegnativo, pericoloso e difficile da realizzare; dall’altro la prova inoppugnabile di un potere di rilievo nazionale. Oggi il potere è Anas, prima stazione appaltante del paese.

Oggi il potere è Pietro Ciucci, e la sua straordinaria incapacità di chiedere scusa, di mostrare un dubbio. I mafiosi sono infiltrati, le frane colpa della pioggia, i ritardi decennali frutto delle pendenze delle montagne, il Ponte così poco conveniente un calcolo troppo faticoso da aggiornare. Ed allora che dire dei tecnici Anas? Per loro i calcestruzzi forniti dalle imprese indagate sono ottimi, per i magistrati non adeguati.

Contea Mancuso

Abbandoniamo le montagne verdissime del cosentino per scendere verso la zona di Mileto, formalmente provincia di Vibo Valentia, più esattamente contea dei Mancuso. Magicamente compaiono le BMW e le Audi, quasi tutte nere, vetri oscurati, sono tante, alla guida spesso ragazzi sui vent’anni. Sono loro il nuovo modello vincente della zona: sono arroganti, si sentono onnipotenti, lo vedi anche solo da come sorpassano, una manovra secca e via, “the world is yours” diceva Tony Montana in Scarface. Peccato che per questi autentici modelli sociali, principi incontrastati di queste zone, ventenni dall’io ipertrofico ci sia un futuro fragile scandito da agguati per motivi inspiegabili o futili, lunghi periodi in carcere intervallati da altrettanti di latitanza vissuti nascosti come topi, continui sequestri di beni. Proprio qui, appena qualche giorno fa, è arrivata l’ultima inchiesta giudiziaria sull’A3: beni per un valore di 60 milioni di euro sequestrati a sette imprese edili riconducibili secondo la DIA al clan Mancuso. Le imprese erano impegnate nei lavori dell’autostrada, ovviamente, e sono solo le ultime in ordine di tempo.
Fin dall’inizio le ditte di mafia hanno operato con tale continuità da far apparire semplicemente grottesca la teoria delle infiltrazioni. Andando a ritroso, si inizia con l’operazione Tamburo (novembre 2002), che riguarda il tratto da Castrovillari a Rogliano; si prosegue con l’operazione della DIA contro la camorra (aprile 2005) per la realizzazione degli svincoli di Castellammare di Stabia e Scafati e dei caselli di Nocera Inferiore e Cava dei Tirreni; ancora l’operazione Arca (luglio 2007), chiusa esattamente due anni dopo con otto condanne per i lavori agli svincoli di Mileto e Rosarno-Gioia Tauro. Nel febbraio 2009, l’operazione “Autostrada” riguardava ancora i Mancuso ed ancora lo svincolo di Mileto. All’inizio di luglio 2009, la DIA colpiva una ditta subappaltatrice della Pizzarotti impegnata nello svincolo di Sicignano. Cantieri fermi, in attesa della decisione del TAR, ma l’accusa è quella di lavori finiti in mano ai Casalesi. Sei inchieste, finora.
Quando iniziarono i lavori fu proposta una strategia antimafia a base di controlli satellitari, cui seguì la stagione inutile dei protocolli di legalità, impegni solenni firmati nelle prefetture tra i rappresentanti dello Stato e quelli delle imprese.

Protezione 2009

Alla vigilia dell’estate, Anas predisponeva un piano articolato per fronteggiare l’emergenza A3, centrato sulla campagna di marketing pubblicitario chiamata “protezione 2009”. Brochure, un numero verde, banner su internet. Studi grafici e personale impegnato a rispondere: un esempio innovativo di “auto-shock economy”, per cui un soggetto lucra sul disastro che esso stesso ha creato.

Il risultato è quello che è. Il viaggio su corsia unica a doppio senso di circolazione è snervante, così come non è gradevole il pensiero che un attimo di distrazione potrebbe essere fatale: camper, tir, mezzi pesanti di ogni tipo ti vengono contro, si cammina fianco a fianco nelle due direzioni. Se trovi veicoli lenti, si cammina a passo d’uomo, accodati.

Arriviamo infine allo svincolo di Rosarno, un pezzo di Colombia trapiantato in Italia: sequestri lampo, rapine da Far West, è l’incubo dei camionisti. Poi Gioia Tauro, lo svincolo modificato per ordine dei Piromalli. Una variazione di progetto che diventa una esibizione di potere. Eccoci infine a Scilla, qualche giorno fa qui nei pressi un minore ed un suo amico furono ammazzati per un motivo ancora misterioso. Erano di Rosarno, erano di origine rom. Due di quei morti che occupano poche righe di cronaca locale, e che porteranno fin dentro la tomba lo stigma della colpevolezza.

Adesso i colori dello Stretto disegnano un paesaggio di una bellezza struggente. In basso, il castello di Scilla, il borgo marinaro di Chianalea; dall’altro versante i laghi di Ganzirri e la punta della Sicilia; più in là capo Milazzo e la silhouette delle Eolie impressa nei colori del tramonto.

Siamo arrivati finalmente, snervati dal delirio della corsia unica. Ma a Villa San Giovanni l’imbarco è rapidissimo. Controlliamo la data: è il 6 agosto, ma le auto sono davvero poche. In poco meno di quaranta minuti siamo dall’altra parte. Naturalmente non sarà così tutti i giorni, ma qualche minuto di attesa non giustifica il rischio di crack finanziario da parte dello Stato italiano. Con poca spesa, subito, si potrebbe ripristinare un servizio di trasporto degno di questo nome.

Schizofrenia

“Coi soldi del Ponte compriamo le navi”, dice l’Orsa Navigazione, il sindacato che più di tutti si è battuto per la difesa del traghettamento pubblico a Messina. Sono arrivati persino a denunciare lo Stato italiano a Bruxelles, per la violazione della continuità territoriale. Hanno sopportato i rapporti quasi irridenti degli “advisor” della “Stretto di Messina spa”, che hanno dovuto fare i salti mortali per dimostrare fantasiosi aumenti di traffico proprio mentre le corse delle navi diventavano sempre più rade.

La smobilitazione del traghettamento pubblico è un’opera condotta con metodo e costanza. Le navi traghetto che imbarcano i treni, “spezzati” e ricomposti nelle stazioni marittime; le zattere per il passaggio dei mezzi pesanti; il servizio monocarena che collega i pendolari delle due sponde: tutti hanno subito il progressivo smantellamento, incurante delle proteste dei sindacati, della rabbia dei viaggiatori, delle lacrime dei familiari dei marinai morti nell’incidente del “Segesta Jet”, lo scafo colpito nell’incidente a causa dell’incuria e dell’approssimazione di quanti gestiscono la navigazione in questo braccio di mare. Alla stazione marittima, un monumento silenzioso ricorda le vittime di quella tragedia dimenticata: quattro lapidi con citazioni sullo Stretto tratte da Omero, Vittorini, D’Arrigo, Virgilio.

Usare il servizio dello Stato, noto come “Bluvia”, è diventato impossibile, anche per un semplice passaggio a piedi. Gli orari non esistono. Le attese sono interminabili. I moli, in alcune ore, desolatemene vuoti. Ormai quasi tutti si rivolgono al monopolista privato, ovvero la ferrea alleanza Franza-Matacena nota come Caronte – Tourist Ferry Boat.
Paradossalmente, oggi il monopolista privato si ritrova ad avere troppi clienti. Sommando i conducenti di automezzi ai pedoni, le navi sono intasate, c’è un rischio sicurezza. Si ipotizza la necessità di un mezzo veloce destinato solo a questi ultimi. Chi lo pagherebbe? Lo Stato, tramite un “voucher” con cui il viaggiatore potrebbe scegliere il “vettore preferito”. Ancora una volta il denaro pubblico è una “mucca da mungere” che arricchisce il privato.

Numeri

In mano a dei dilettanti. Annunciano date improbabili, proclamano la “posa della prima pietra”, promettono la data di fine dei lavori. Hanno una credibilità, nazionale ed internazionale, ormai prossima allo zero. Che siano date o cifre, i numeri che snocciolano appaiono sempre discutibili.

“La cifra di 1,3 miliardi in conto impianti sono dichiarate ma non esistenti”, dice Guido Signorino, docente di Economia applicata ed uno dei massimi esperti dei conti del Ponte. Lo abbiamo intervistato alla vigilia della manifestazione dell’8 agosto. “Sono soldi per le spese di investimento, ma saranno concessi in più anni secondo le disponibilità di bilancio: questa formula è inquietante. Ci sono o non ci sono? E comunque si arriva ad un massimo di 1,3, contro i 2,5 miliardi annunciati prima. Parlerei di un definanziamento”.

Gli stessi enti locali non appaiono adeguati al ruolo storico che per caso si trovano ad assumere. In Consiglio comunale è “guerra politica” per l’elezione della “Commissione per il Ponte”. Il presidente spetta al centro sinistra? Deve essere un uomo del PDL? Mentre i politici locali si appassionano a questa miserabile guerra di poltrone, non è stata ancora approvata la questione delle opere compensative. “Si parlava di una delibera con importo senza ordine di priorità”, dice Signorino. “È come non dire niente, rinunciare al proprio ruolo. In questo modo il ministro gestisce in proprio la questione”.

Collaterali e compensative

Le opere collaterali (strade di collegamento, ferrovia, logistica) non hanno senso in mancanza del progetto definitivo. Eppure hanno annunciato che a fine anno si apriranno i loro cantieri. Le “opere compensative” sono un vecchio trucco per comprare i “territori”: sappiamo di arrecarvi danno, ma siamo disposti a ripagarvelo. L’elenco delle opere prevede il recupero del disastro ambientale (ad esempio il “ripascimento dei litorali”) ed una serie di interventi accessori, il più importante dei quali è il finanziamento della metropolitana del mare. “Se fosse così” prosegue Signorino, “avremmo un’ammissione esplicita: il Ponte non ha nessuna funzionalità rispetto alla conurbazione”. Il Ponte sarebbe dunque complementare e non sostitutivo del traghetto. Coi soldi del Ponte si finanzia un suo possibile concorrente.

Intanto una prima decisione è stata presa. Ciucci, già presidente dell’Anas e della Stretto di Messina, sarà anche “Commissario Straordinario per riavvio delle attività”: dovrà “approvare gli atti necessari per consentire la ripresa delle attività e l’inizio dei lavori”. In termini giuridici, è corretto assegnare un ruolo con compiti così generici? Non bastano gli organismi ordinari?

Chi l’avrebbe pronosticato qualche anno fa la destra che favoriva il ritorno dello statalismo? Fino a poco tempo addietro anche gli ex comunisti si ritraevano di fronte all’accusa di statalismo peggio di Pietro quando gli chiesero se conoscesse Cristo. Oggi gli uomini della “libertà”, che è in primis libertà economica, assegnano agli organismi dello Stato poteri e ruoli da anni ’50. Contro gli oppositori si agita la minaccia dell’esercito. Si invertono i linguaggi: comitati di cittadini e movimenti di protesta producono analisi sofisticati, le istituzioni se la cavano con battute esili durante le conferenze stampa.

Arriviamo a Messina. C’è solo il tempo per l’ultima riflessione. Il terzo svincolo della città, quello di Tremestieri, è chiuso per il rifacimento dell’asfalto. Non una grande idea in pieno agosto, ma la chiusura ha riportato per qualche giorno la città al periodo infernale, lungo molti decenni, in cui i Tir invadevano il centro per andare ad imbarcarsi. È stata una buona occasione per rinfrescarsi la memoria: solo pochi anni fa il movimento “No Tir”, da cui sarebbe nato quello contro il Ponte, arrivò ad occupare gli imbarcaderi per chiedere un secondo approdo, appunto a Tremestieri. La liberazione della città dai mezzi pesanti iniziò così e fu uno di quegli episodi straordinari, che poi per molti diventano fatti scontati, in cui i sudditi diventano cittadini.

Antonello Mangano

Messina, 8 agosto
“La Sicilia è più bella senza Ponte e Sigonella”

All’appello della Federazione Anarchica Siciliana per uno spezzone rosso-nero alla manifestazione contro la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina hanno risposto in una cinquantina: compagni della FAS e non federati, compagni della FAI e della FdCA riuniti nel Coordinamento anarchico palermitano, provenienti da tutte le province dell’isola, e con loro un gruppetto di compagni calabresi.
Certo, una cinquantina dentro un corteo di oltre 5000 persone può sembrare poca cosa; invece da queste parti non lo è, considerati i numeri del nostro movimento. In più, lo spezzone rosso-nero aveva ottimi motivi per essere comunque attenzionato e visto con simpatia: era allegro, ironico, compatto e aveva due mascottes, Erika e Blanca, 10 e 9 anni rispettivamente, che lo precedevano con due cartelli in cui stava scritto: “No al ponte - più futuro” e “No al ponte - voglio più treni”.
Preceduto dallo striscione della FAS inaugurato in occasione del G8 sull’ambiente di Siracusa dello scorso aprile (Contro lo Stato e la sua devastazione - Anarchia e Autogestione), oltre a questo slogan, ne ha gridati tanti: “Senza treni e senza strade - voi del ponte che ve ne fate”, “La Sicilia è ancor più bella senza il ponte e Sigonella” (cui seguiva il coro di “Sciuri sciuri” in versione No Ponte): oppure: “No al Ponte sullo Stretto più arancini sul traghetto”, seguito dal grido “arancini arancini” che man mano si trasformava in “Anarchia Anarchia”. O ancora: “Né Ponte né Stato né servi né padroni”...
Quando passava il nostro spezzone, combattivo e colorato, si vedeva la gente che numerosa assisteva ai lati dei viali, esprimere meraviglia e curiosità: dopotutto gli anarchici non eravamo meno numerosi dei tanti partiti e partitini che ci precedevano o seguivano, in un corteo composto da una miriade di associazioni e comitati, con significative rappresentanze continentali. Prova ne è anche il successo del volantino e la diffusione di Sicilia libertaria. Occorre dire che una lettera aperta della FAS al movimento No Ponte dell’inizio dell’anno ha contribuito a sbloccare una situazione precipitata nell’impasse e nella depressione, dopo la sospensiva del governo Prodi, che non ha avuto il coraggio di cancellare il Ponte, ma ha comunque cloroformizzato la cosiddetta sinistra radicale. Nei giorni precedenti l’8 agosto, inoltre, è stata incendiata la sede del circolo anarchico Malastrada di Messina, una cui delegazione era presente al corteo per denunciare il vile attentato.
L’8 agosto ha rappresentato una ripartenza del movimento contro il Ponte e ha mostrato le grandi potenzialità del movimento anarchico in questo territorio.

Pippo Gurrieri
(foto di Angelo Barberi)