Rivista Anarchica Online


strage di Stato.1

Pinelli “vittima due volte” ma Valpreda bombarolo
di Luciano Lanza

Scontro di poteri su piazza Fontana. Il presidente della repubblica rende omaggio all’anarchico «volato» dal quarto piano della questura. Però subito parte una campagna-stampa per santificare nuovamente Calabresi e rinnovare le accuse contro Pietro Valpreda. Si distingue Paolo Cucchiarelli, un giornalista di sinistra, collaboratore dell’Unità, che scrive un librone per spiegare che Valpreda aveva effettivamente messo una bomba, che Pinelli era tutt’altro che innocente e che insomma gli anarchici… Le stesse tesi sostenute in Commissione Stragi da Alleanza Nazionale. E non solo da loro.

«Rispetto ed omaggio dunque per la figura di un innocente, Giuseppe Pinelli, che fu vittima due volte, prima di pesantissimi infondati sospetti e poi di un’improvvisa, assurda fine. Qui non si riapre o si rimette in questione un processo, la cui conclusione porta il nome di un magistrato di indiscutibile scrupolo e indipendenza: qui si compie un gesto politico e istituzionale, si rompe il silenzio su una ferita, non separabile da quella dei 17 che persero la vita a Piazza Fontana, e su un nome, su un uomo, di cui va riaffermata e onorata la linearità, sottraendolo alla rimozione e all’oblio. Grazie signora Pinelli, grazie per aver accettato, lei e le sue figlie, di essere oggi con noi», così ha detto Giorgio Napoletano, presidente della repubblica il 9 maggio. Dopo quarant’anni colui che rappresenta la massima istituzione dice che fu vittima due volte (qui scatterebbe subito la domanda: vittima di chi? di cosa?) e poi che si vuole rompere il silenzio su Pinelli con un gesto politico e istituzionale.
Infine c’è stata la stretta di mano fra Licia Pinelli e Gemma Capra, la vedova di Luigi Calabresi. E in questo molti, anche tra gli anarchici, hanno visto un modo per chiudere la partita su Pinelli e la strage di stato. Per arrivare a quella «memoria condivisa» che da alcuni anni esponenti della destra e della sinistra propongono come chiusura di una «pagina dolorosa».
Come da tempo vado ripetendo (scusate se lo ripeto) qui non c’è nessuna memoria da condividere, ma ci sono condanne (sul piano storico e politico, quello giudiziario lo lascio ad altri) da fare: chi sono i responsabili delle bombe a Milano e a Roma del 12 dicembre, come è realmente morto Giuseppe Pinelli? Chi nelle istituzioni dello stato e nei servizi segreti, nella polizia e nei carabinieri ha aiutato e coperto gli attentatori?
L’iter giudiziario (lo sappiamo tutti) si è concluso con un nulla di fatto: le bombe non le ha messe nessuno e Pinelli è morto per un «malore attivo», caso unico nella storia della medicina mondiale. Un nulla di fatto che comunque ha visto i neonazisti Giovanni Ventura e Franco Freda condannati a 15 anni per le bombe del 25 aprile e del 9 agosto 1969 e per associazione sovversiva. Mentre la Corte d’appello di Milano nel 2004 riconosce che i due sono anche responsabili delle bombe del 12 dicembre, ma non possono essere condannati perché già definitivamente assolti per quel reato.
Scrive la Corte d’appello: «L’assoluzione di Freda e Ventura è un errore frutto di una conoscenza dei fatti superata dagli elementi raccolti in questo processo». Sentenza poi confermata dalla Cassazione nel 2005.

Quel dicembre 1973

Torniamo a Napolitano. Allora come valutare le parole del presidente? Mi torna alla mente quanto c’è scritto nell’editoriale apparso su questa rivista sul numero di gennaio del 1973. Si intitola «Una vittoria nostra». Ecco alcuni passaggi: «Valpreda, Gargamelli, Borghese sono liberi. (…) Il governo s’è mosso sotto la pressione di “autorevoli” settori di opinione pubblica “democratica”. Sarebbe stolido trionfalismo ritenere d’averlo smosso noi, gli anarchici, i rivoluzionari. Eppure siamo convinti, senza vanagloria, che si tratti di una vittoria nostra, non dei “democratici”. In primo luogo perché noi abbiamo smosso questa opinione pubblica democratica dal suo abituale torpore, noi l’abbiamo costretta a scandalizzarsi, a indignarsi. In secondo luogo perché, nonostante tutto, le strutture repressive dello stato “democratico” escono malconce dalla faccenda, nell’immagine pubblica, anziché ridipinte a nuovo.
Vittoria nostra, ripetiamo, e non accettiamo il disfattistico pessimismo di chi, nella scarcerazione, vede solo una manovra astuta del potere. C’è anche questa, certo (…) ma la scarcerazione di Valpreda, Gargamelli e Borghese resta sostanzialmente una sconfitta per lo stato e una vittoria per noi. Non vogliamo sopravvalutarne l’importanza né sottovalutare lo strapotere del sistema. (…) Però è un episodio che segna un risultato positivo per noi e negativo per il potere (e con i tempi che corrono non è cosa da poco). Se fossimo riusciti, cinquant’anni fa, a salvare la vita di Sacco e Vanzetti ci saremmo forse ipercriticamente lamentati che era tutta una manovra dello stato americano per riacquistare credibilità?».

Questo maggio 2009

Quell’editoriale vecchio di 36 anni è per molti versi attuale (anche se, è ovvio, la situazione è molto diversa) perché evidenzia molto bene come avvengono certe dinamiche sociali e politiche. E che tipo di lettura darne: senza ipercriticismi e senza entusiasmi. Ma mettendo gli avvenimenti in una prospettiva obbiettiva. E questa affermazione di Napolitano rappresenta un passo avanti che dovrebbe in parte spiazzare le montature create prima, subito dopo le bombe. E poi nel corso degli anni.
Ma va sottolineato anche che dopo il discorso del presidente della repubblica è partita una campagna televisiva e giornalista per far risaltare la «specchiata figura» del commissario Calabresi. E poiché le tre televisioni pubbliche e le tre maggiori tv private sono controllate dal presidente del consiglio e dalla maggioranza di centrodestra non sfugge a nessuno (se non a chi non vuole vedere) che su questo caso c’è un conflitto tra poteri dello stato. Senza dimenticare la carta stampata. C’è pure chi sostiene che sia tutto un gioco delle parti: il presidente fa un passo per dare il via a chi di passi ne farà almeno il doppio in direzione opposta. Ma francamente dopo quarant’anni mi sono persuaso, sulla base di tante storie venute a galla, che certe congetture stanno più nella testa degli ipercritici che non nelle intenzioni degli attori. Insomma, non fateli più furbi e strateghi di quanto effettivamente siano. Ne hanno combinate di orrende, ma erano sempre funzionari di questo stato… sempre un po’ borbonico…
Nonostante siano passati quarant’anni, quei fatti sono ancora elemento di contrasto e di scontro. Perché quelle bombe e quel volo dal quarto piano della questura di Milano hanno scritto un percorso della storia di questo paese. Quei morti, quei feriti, quel «malore attivo» sono, oltre che drammatici, un analizzatore sociale (come direbbe il mio indiretto maestro René Lourau). Vale a dire che la lettura disincantata, non faziosa, di quegli avvenimenti mette a nudo la criminalità di chi deteneva il potere. È una «verità scomoda», dà fastidio. Da qui la necessità di riscrivere quella «storia scomoda».

La “ricostruzione” di Cucchiarelli

L’ultimo autore di questa riscrittura? Sicuramente Paolo Cucchiarelli con il suo libro Il segreto di Piazza Fontana. Un libro che affianca indagini condotte con un discreto rigore a illazioni, invenzioni più consone a un romanzo noir che a una ricerca storica. In sintesi: la strage di piazza Fontana l’hanno orchestrata i neonazisti Franco Freda e Giovanni Ventura più altri, con il supporto dei servizi segreti deviati manovrando anarchici come Pietro Valpreda. Perché Valpreda è andato veramente, sostiene senza prove Cucchiarelli, alla Banca nazionale dell’agricoltura, per deporre una bomba munita di timer. Ha effettivamente preso il taxi di Cornelio Rolandi per risparmiarsi un tragitto di un centinaio di metri e doverne fare il doppio per andare da dove avrebbe fatto fermare il taxi per andare alla banca e ritornare al taxi. Ma c’è di più: dove lo mettiamo il sosia di Valpreda, Claudio Orsi? Lui ha l’altra bomba, ma con innesco a miccia, anche lui prende un taxi per andare alla banca e la depone vicino a quella di Valpreda. Da qui il doppio botto. Ma Cucchiarelli non è George Simenon e scrive cose che non stanno in piedi.
E Giuseppe Pinelli? Il suo alibi era falso perché quel pomeriggio aveva un grandissimo problema: evitare che scoppiassero altre due bombe a Milano. Qui siamo al paranormale: Cucchiarelli sa anche che cosa pensa Pinelli. E poi sa anche che quel pomeriggio non è andato al Circolo Ponte della Ghisolfa dove ha incontrato due compagni anarchici, Ivan Guarnieri e Paolo Erda, anche perché quest’ultimo, per Cucchiarelli, non esiste. È un’invenzione sciocca del povero Pinelli che si arrabatta cercando di costruire un alibi inconsistente. Ma Cucchiarelli scrive di cose che non conosce, quindi scrive sciocchezze.

Valpreda e Pinelli colpevoli? Già sentita

Non basta. Sotto sotto, ma poi neanche tanto, si sente riecheggiare nelle tesi di Cucchiarelli quanto hanno già scritto due ex deputati di Alleanza nazionale, membri della Commissione stragi, Alfredo Mantica e Vincenzo Fragalà, estensore delle loro tesi è Pier Angelo Maurizio oggi giornalista de Il Giornale e anche autore di Piazza Fontana. Tutto quello che non ci hanno detto.
La relazione si intitola La storia di Piazza Fontana, storia dei depistaggi: così si è nascosta la verità. E cosa c’è scritto in quella relazione del settembre 2000? «L’ombra del dubbio è rimasta sull’innocenza di Valpreda non per una decisione politica, per una sorta di difesa corporativa della magistratura, data la lunga carcerazione preventiva inflittagli, come si potrebbe insinuare. L’ombra del dubbio è rimasta sulla base di una valutazione squisitamente tecnica». E poi, dando per verità le dichiarazione di un pentito delle Brigate rosse, Michele Galati, scrivono: «Pinelli si era realmente suicidato perché si rese conto di essere rimasto involontariamente coinvolto nel traffico di esplosivo utilizzato per la strage e che lui riteneva fosse destinato a un’azione in Grecia. La bomba alla Banca nazionale dell’agricoltura era stata messa materialmente da Valpreda. L’esplosione avrebbe dovuto aver luogo quando gli sportelli fossero stati chiusi e la banca deserta. Negli attentati del 12 dicembre ’69 erano coinvolti buona parte degli anarchici del circolo Ponte della Ghisolfa. Gli attentati rientravano in un progetto di destabilizzazione in cui aveva un ruolo di primo piano Stefano Delle Chiaie che si serviva di Mario Merlino per orientare l’attività degli anarchici».
Bene, con la ricorrenza dei quarant’anni da quella strage si dovrebbe ripartire da capo? No, però c’è nuovamente un lavoro di controinformazione da fare. Perché dopo tanti anni parte una nuova riscrittura della storia. Ma non bisogna permetterlo.

Luciano Lanza