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Anarchia e voto / Botta...

Cari compagni di “A”,
siamo nuovamente alle soglie di un’altra tornata elettorale e, noto con piacere, come questa “oasi di anarchia in un mare di autoritarismo” non si sia esentata ( cosa che del resto non fa mai ) dal proporre riflessioni sull’istituzione delle elezioni e su tutto ciò che questo, a mio parere grande strumento democratico, certo, perfettibile, comporta. Non è la prima volta che ho il piacere di scrivere a questa rivista e non ho mai nascosto la mia, chiara, identità politica: sono un socialista senza aggettivi di sorta, consapevole di tutto ciò che questa denominazione comporta. Non è un’eresia dire che il socialismo italiano ormai è ridotto alla stregua del movimento anarchico; certo conserviamo ancora le nostre sezioni, i nostri amministratori locali, la nostra storia e la nostra precisa attitudine alla politica, ma non è affatto raro, quando si chiede a qualcuno che cosa ne pensi del socialismo, sentirsi rispondere: “Cosa? Esiste ancora? Ma i socialisti non sono tutti con Berlusconi?” No miei cari signori. I socialisti esistono ed hanno un partito ancora presente nel panorama della sinistra parlamentare italiana, alla quale, e questa è storia, hanno dato vita.
Scusate la tirata ma la sentivo doverosa. Detto ciò non nascondo che in passato ( poco tempo fa, data la mia giovane età ) ho avuto delle simpatie per l’anarchismo, per la grande spregiudicatezza e originalità del suo pensiero, per il suo essere antideologico ed antidogmatico, per il fatto che gli anarchici non hanno mai avuto paura di fare i conti con la storia e di opporsi sempre all’autoritarismo “clericale” sia ecclesiastico che comunista. Senza vergogna io mi definisco ancora libertario, per la voglia che conservo di conquistare libertà attraverso la libertà, anche in contesti che vi possono sembrare fuori luogo, come un partito. Grazie all’anarchismo ho cominciato a capire la politica, il confronto e la dialettica ed il significato di parole come democrazia. Intesa nel suo significato vero, vissuto e non posticcio come quello che certi partiti frutto di questa obbrobriosa seconda repubblica cercano di propinarci, una democrazia dell’esperienza e non della vuota teoria.
Ritornando alla tematica per cui ho sentito il bisogno di intervenire cercherò di esporre in breve le mie modeste opinioni. Il voto è un parametro sufficiente per misurare il grado di democraticità di un paese? La mia risposta è per metà identica a quella che potrebbe dare un anarchico: certamente no. Innanzitutto perché solo il concetto di democraticità, utilizzato poi, in un contesto così vasto come quello di uno stato nazionale, diverrebbe labile, sfumato. È mia convinzione, infatti, che non si possa stabilire un livello di democrazia in un paese, tale per cui sia possibile fare dei raffronti tra nazione e nazione o addirittura stilare delle classifiche. Libertà e democrazia sono e restano, concetti astratti, non misurabili, ma certamente applicabili, soprattutto in piccole dosi ed inseriti in una prassi che riguardi la vita di tutti i giorni. Se volessimo azzardare una conclusione si potrebbe dire che la democraticità di un paese dipende da quella dei suoi cittadini. Ma questa è purissima teoria. La democrazia è sostanziale e formale. Solitamente ci si sofferma prima sulla seconda per individuarne i limiti, per poi passare alla prima. Io proverò, invece, a fare il contrario. È ovvio cosa si intenda per democrazia sostanziale: pari diritti giuridici, diritto al lavoro, ad una giusta retribuzione e ad una copertura sindacale, la possibilità di associarsi, di manifestare liberamente, di avere una propria idea politica, religiosa, filosofica, in sintesi: il diritto ad errare.
La possibilità di sbagliare agendo all’interno della società liberamente, senza vincoli se non quelli imposti dalla legge. È facile vedere la violazione di questi diritti: la disoccupazione, la povertà, una certa delinquenza, scaturiscono tutte dall’incapacità di ottemperare ai principi della carta costituzionale. La mancanza di libertà di stampa, il sistema dei media gestito da pochi, il malaffare del meridione e del settentrione d’Italia sono tutti sputi in faccia alla nostra democrazia sostanziale.
Ma riflettiamo un attimo, la costituzione, che certamente non è da idolatrare come troppo spesso, ipocritamente si fa, ma nemmeno da gettare, ci dà uno strumento grandissimo per cambiare le cose: il voto. Il voto ha dei limiti, la delega in sé potrebbe costituire una grande insidia, questo non è da negare, ma perchè privarci di uno strumento così importante che certo, differenzia uno stato liberale da uno illiberale. L’occidente avrà dei grossi limiti, ma in esso l’anarchismo, cos’ come il socialismo, ha trovato terra fertile, ha dovuto lottare, scontrarsi con la reazione, ma senza le radici di libertà instillate dal liberalismo tutto ciò non sarebbe stato possibile, o avrebbe costituito solo esperienze autoritarie, come quelle comuniste in America Latina.
Il mio non è un appello, ma un invito alla riflessione. Se deve essere astensionismo, che sia, ma cosciente. Ricordiamo la lezione di quello che io considero il più grande anarchico di tutti i tempi: Camillo Berneri, egli si scagliava contro il “cretinismo astensionista” condannando l’immobilità, l’essere inermi di fronte ad una scelta che può significare molto. Questo non significa certo adottare il ragionamento del “meno peggio” e su questo vi comprendo. Dovreste essere voi anarchici con la vostra insopprimibile voglia di libertà a ribellarvi davanti questo insulso scenario elettorale: un bipartitismo coatto, che non è nelle corde di una democrazia variegata come la nostra, sbarramenti troppo alti che comportano l’annullamento sostanziale del 20% sei voti come nelle ultime politiche ed un sistema elettorale assurdo dove non si ha nemmeno la possibilità di esprimere una preferenza. Quelli che ( leggasi DS ) ad inizio anni novanta condannavano le preferenze come strumento di mercato e tratta, ora le santificano come ineguagliabile strumento di democrazia, il tutto davanti a cittadini inermi perchè anestetizzati da troppe dosi d’incoerenza. Chiedere maggiori margini di democrazia non significa rinunciare ai propri ideali, a mio parere, significa battersi strenuamente per un diritto che certamente non è lesivo della libertà altrui.
Scusate l’intromissione e la sintesi. Si potrebbe parlare a lungo di argomenti da me solo citati, spero che la cosa sia solo rimandata.
Cordialmente.

Fabio Faini
(Sant’Arcangelo di Romagna-Rn)

... e risposta

I temi che affronti nella tua lettera: astensionismo, rappresentatività, delega, democrazia…, sono talmente centrali rispetto alla pratica e all’essenza del movimento anarchico, che richiederebbero ben più di questa breve risposta. Cercherò comunque, in questa occasione, se non di affrontarli come meritano, almeno di accennarli nelle loro linee essenziali.
Il rifiuto della delega e la sfiducia nelle capacità rappresentative delle istituzioni sono fra gli aspetti meno controversi del pensiero anarchico, tanto che la scelta di mantenersi estranei agli appuntamenti elettorali non viene messa in discussione. Questo non ci esime, però, dal continuare a ragionarci sopra, cercando di indagare il nesso tra partecipazione e rappresentatività. Tenendo saldi i principi, dobbiamo cioè evitare di equiparare i vari sistemi politici, come se fra questi non esistessero differenze. Se è chiaro, infatti, che non si possono mettere sullo stesso piano sistema democratico, dittatura e regime illiberale, è altrettanto chiaro che anche il nostro atteggiamento non può essere “ideologicamente” uniforme: in questo si cerca di approfittare degli spazi di manovra dati, in quell’altro si cerca di mantenere forme di sopravvivenza, nell’altro ancora ci si muove bilanciando le azioni con le circostanze. Quello che per noi non cambia, comunque, è che, pur nella molteplicità dei loro strumenti di controllo, tutti i sistemi politici cercano di esautorare il cittadino dalla possibilità di una partecipazione consapevole, e se occorre di contrasto, alle scelte politiche e sociali che tali sistemi propongono.
Ecco quindi che, pur tenendo conto delle differenze di cui anche tu parli, gli anarchici non possono che esprimere il medesimo rifiuto, e questa volta non ideologico ma “obbligato”, nei confronti della delega, perché in questo strumento, coercitivo e alienante, individuano il puntello più forte di ogni sistema di potere, sia questo democratico, dittatoriale, illiberale o che altro. E dato che obiettivo degli anarchici è la scomparsa di ogni forma di potere dell’uomo sull’uomo, la scelta astensionista diventa davvero obbligata.
Quello che però deve continuare a distinguere il nostro astensionismo dalla diserzione qualunquista e indifferente delle urne (la deleteria indifferenza rispetto al regime che ci governa), è che questo astensionismo, come dici anche tu, debba essere cosciente. E non solo cosciente, ma anche attivo in una costante pratica di impegno sociale e politico che vanifichi, nei fatti, l’istituto della delega. Rallegrarsi dell’astensionismo indifferenziato e invitare a disinteressarsi dei meccanismi con cui opera il potere, se non viene accompagnato dalla proposta di appropriarsi consapevolmente delle proprie capacità decisionali e operative, non solo non serve, ma addirittura tende a rafforzare quello stesso potere che si vorrebbe abbattere.
Va da sé che, in questa logica, si può anche discutere sulle modalità organizzative delle varie macchine elettorali e sul loro (spessissimo basso) grado di democraticità, ma tutto ciò viene ad assumere un’importanza relativa rispetto a quella che per noi resta, tuttora, la questione centrale.

Massimo Ortalli


I puntini sulle “i”

Caro Paolo,
leggo nell’ottima rassegna di Massimo Ortalli, “Leggere l’anarchismo.2”, sullo scorso numero di “A”, due qualifiche che mi riguardano ma che non sono esatte.
La prima recita che ho “frequentato nella mia lunga esperienza d’impegno politico anche l’ambiente dell’anarchismo” [il corsivo è mio]. Sembra che sia passato da un movimento politico all’altro mentre nella mia militanza, di oltre un sessantennio, sono stati solo due i movimenti ai quali ho aderito. Nel 1946 fui tra i fondatori della sezione egiziana della Quarta Internazionale e poi, nel 1954, di quella italiana, ma verso la fine degli anni Cinquanta mi sono reso conto che l’unica alternativa valida, per me, era quella che mi offriva il pensiero anarchico. Così, da oltre 40 anni (suppongo, quindi, prima ancora che Ortalli fosse nato) ho partecipato all’attività del nostro movimento. Lo testimoniano i miei contributi a Umanità Nova (il primo è del 1967), a Volontà, al Libertario, alla Tua stessa testata della quale sono stato un fedele abbonato sostenitore sin dal primo numero del febbraio 1971.
In quanto alla mia presunta “figura eclettica”, l’affermazione è altrettanto fuorviante. Dopo la parentesi ventennale della galleria d’arte (dal 1954 al 1975) mi sono occupato – oltre che della poesia, ma questo sin dalla gioventù – prevalentemente di Antropologia culturale (che ho insegnato per 30 anni in alcuni dei più qualificati atenei: University of California, Berkeley, Harvard, Toronto, Gerusalemme, ecc.). L’antropologia culturale riguarda anche, ovviamente, i due soli argomenti che mi hanno occupato – sia come autore sia come docente – e cioè, da un lato, la storia dell’arte, preistorica, etnica e contemporanea (e numerosi sono stati i miei libri sul questo tema pubblicati principalmente da Einaudi, Garzanti e Laterza), e dall’altro la storia delle religioni (altrettanto frequenti i miei contributi con gli stessi editori).
Un fraterno saluto anarchico.

Arturo Schwarz
(Milano)

All’amico e compagno Arturo, una sola piccola precisazione. Massimo Ortalli, nonostante appaia (almeno per i suoi scritti) molto più giovane di quanto riporta la sua carta d’identità, è nato nello stesso anno in cui Schwarz partecipava in Egitto alla fondazione della locale sezione della Quarta Internazionale. (p.f.).

 

 

 

 

I nostri fondi neri

Sottoscrizioni.
Antonio Pedone (Perugia) 10,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Umberto Marzocchi nel 23° anniversario della scomparsa, 500,00; Roberto Colombo (Boffalora Ticino – Mi) in ricordo di Matilde Finzi Bassani, 20,00; Cristiana Bruni (Castel Bolognese – Ra) 40,00; Paolo Facen (Feltre – Bl) 20,00; Medardo Accomando (Manocalzati – Av) 20,00; Antonino Pennisi (Acireale – Ct) 20,00; Luigi Vivan (San Bonifacio – Vr) 20,00; Fabio Rosana (Bra – Cn) ricordando Matilde Finzi, 20,00; Maurizio Guastini (Carrara) 100,00; Enzo Boeri (Vignate – Mi) 100,00; Giovanni D’Ippolito (Casole Bruzio – Cs) 20,00; Claudio Bianchi (Milano), 20,00; Giuseppe Ceola (Malo – Vi), 20,00; Andrea Babini (Forlì) 25,00. Totale euro 930,00.

Abbonamenti sostenitori.
(quando non altrimenti specificato, trattasi di euro 100,00) Gudo Bozak (Treviso); Alessandro Marutti (Cologno Monzese – Mi); Maurizio Guastini (Carrara); Enzo Boeri (Vignate – Mi); Luigi Caporiccio (Porto Ercole – Gr); Tommaso Bressan (Forlì) 130,00; Luigi Lurrati (Genova). Totale euro 730,00.