Rivista Anarchica Online


urbanistica

La legge sulla casa
di Adriano Paolella

Analisi di una proposta di legge governativa. E delle sue drammatiche conseguenze.


La bozza decreto legge della Presidenza del Consiglio dei Ministri recante “Misure urgenti per il rilancio dell’economia attraverso la ripresa delle attività imprenditoriali edili” del 19.3.09 prevede che le abitazioni isolate possano aumentare la volumetria del 20% e i condomini fino al 35% se applicano misure di ottimizzazione ambientale. Tali misure si possono ridurre a materiali e tecniche a basso impatto ma anche solo alla risparmio delle risorse idriche e potabili.
Gli ampliamenti possono essere attuati su qualunque edificio anche storico a parte quelli vincolati con uno specifico vincolo. Esempio a Piazza Venezia in Roma il Palazzo Venezia (quello del “balcone”) è vincolato specificamente ma il palazzo di fronte non ha un vincolo specifico e quindi si potrebbe abbattere e ricostruire aumentando il volume del 35%.
Gli ampliamenti possono essere fatti in deroga a qualunque strumento pianificatorio ed urbanistico su tutto il territorio nazionale ad esclusione solo delle aree A dei parchi ed a tutte le specifiche formali e tecniche previste dagli strumenti di gestione del territorio e degli insediamenti a parte quelle strutturali (gli edifici si debbono tenere in piedi).
Gli ampliamenti non sono sottoposti ad approvazione di alcun ente, né comune, né soprintendenza, né altro.

La casa come “volano” economico

Il fine della legge non è il benessere delle persone, e quindi l’adeguamento e riqualificazione delle abitazioni, ma il sostegno all’economia del paese.
Più volte in passato il settore delle costruzioni è stato utilizzato a questo fine. Negli anni ’50 del secolo scorso, ad esempio, fu avviata una politica delle abitazione che aveva questo fine; il programma statale INA CASA costruì per una decina di anni il 4-5% delle abitazioni popolari, interessando tutto il territorio del paese. Attenzione era posta a tecniche, materiali ed operatori locali, la qualità era garantita dalla progettazione affidata a professionisti che progettavano secondo delle specifiche tecniche predefinite in cui qualità formale e sociale dell’insediamento erano alle base delle scelte architettoniche.
Il programma fu inventato e sostenuto da Amintore Fanfani, uomo di punta della destra democristiana e, come noto, successivamente sostenitore del referendum per l’abrogazione del divorzio.

Una piccola premessa

La città si evolve strutturata dalla cultura e dalle modalità produttive e residenziali del periodo. Gli insediamenti quindi sono l’attestazione degli interessi speculativi e di autorappresentazione dei singoli e della capacità di organizzarsi della comunità; con il passare del tempo gli abitanti si riappropriano delle strutture imposte, le ammorbidiscono le riempiono di quella vitalità che rende vivibile e qualifica spazi, conformandoli a modelli di vita direttamente gestiti.
Gli spazi progettati si modificheranno attraverso il cumularsi delle azioni individuali; un’azione di adattamento che è basata sul diritto di conformare gli spazi proprio dell’abitante ed altresì dell’attenzione ad una trasformazione che non sia lesiva nei confronti degli altri. Adattare ed adattarsi ad una presenza comporta il mantenimento della continuità nella trasformazione, la possibilità di non perdere la memoria, la possibilità di accrescere il patrimonio culturale di migliorare la qualità della vita dei singoli e delle comunità.
Questo è il comportamento attuato diffusamente in Italia ed è questo comportamento, con le palesi e dequalificate eccezioni, che ha costituito il patrimonio culturale più grande del mondo, quello che consente la conservazione non di monumenti isolati ma di un tessuto urbano e sociale unico.
Tutto questo con la sostituzione non avviene necessariamente. La sostituzione tout court può essere un atto violento nei confronti dei cittadini e di quella continuità che è patrimonio culturale comune.
La sostituzione di una parte di un tessuto insediativo può non rispondere agli interessi di un cittadino ma solo a quelli di un imprenditore che in quella azione ha il solo obiettivo di produrre denaro.

Un calcolo semplice (1)

Prendiamo ad esempio un edificio tipo con una superficie di 2.500 mq e con una altezza di 27 metri. Ipotizziamo che questo volume abbia tra i 140 e i 90 anni: è costruito muratura portante e ha un interpiano di 4,5 metri. Esso quindi sarà composto di 6 piani di superficie utile a piano, escluso le murature (2), di 2.400 mq per complessivi 14.400 mq. Nel nostro calcolo consideriamo alla stessa maniera le superfici private e quelle condominiali.
Quindi avremo:

Situazione attuale

Ingombro mq

Altezza m

Volume mc

Interpiano m

Piani n°

Mq/piano

Vendibile (3) mq

2.500

27

67.500

4,5

6

2.400

14.400

Se si volesse abbattere e ricostruire un edificio del genere senza aumentare il volume si otterrebbe

Soluzione A – Abbattimento e ricostruzione a parità di volumi

Ingombro mq

Altezza m

Volume mc

Interpiano m

Piani n°

Mq/piano

Vendibile Mq

2.500

27

67.500

3,5

7,7

2.500

19.250

Con la riduzione dell’interpiano e con l’uso di tecniche costruttive di minore ingombro rispetto alla muratura portante si potrebbe arrivare ad aumentare la superficie vendibile di 4850 mq. Questa quantità è tale da garantire il recupero dei costi dell’abbattimento e della ricostruzione ma senza produrre profitti consistenti. Questa è la ragione per cui in molti tessuti ottocenteschi delle nostre città non si è proceduto alla sostituzione di edifici se non puntualmente e comunque quando effettuati tali interventi hanno sempre ritoccato in crescita le superfici vendibili (e quindi interessando i volumi).
Immaginiamo ora di poter aumentare del 20% le volumetrie:

Soluzione B – Abbattimento e ricostruzione (+20% del volume)

Ingombro mq

Altezza m

Volume mc

Interpiano m

Piani n°

Mq/piano

Vendibile Mq

2.500

32,4

81.000

3,5

9,3

2.500

23.250

La superficie vendibile in più sarebbe di 8.850 mq. Immaginiamo ora di poter aumentare del 35% i volumi:

Soluzione B – Abbattimento e ricostruzione (+20% del volume)

Ingombro mq

Altezza m

Volume mc

Interpiano m

Piani n°

Mq/piano

Vendibile Mq

2.500

36,5

91.125

3,5

10,4

2.500

26.000

La superficie vendibile in più sarebbe di 11.600 mq
Supponiamo che questo edificio si collochi in una periferia urbana, in un tessuto di palazzi di scarso valore immobiliare, degradati, dove non vi è una qualità insediativa e dove forse l’azione di sostituzione avrebbe un maggiore valore sociale (data la tipologia dell’edificio risulta molto improbabile ma è solo per semplificare il ragionamento). Poniamo come costo dell’abbattimento 1.000 €/mq, di ricostruzione 2.000 €/mq, di valore iniziale 3.000 €/mq. Una zona insomma in cui il nuovo edificato si vende a 3.500 €/mq.

Soluzione A – Prezzo di vendita: 3.500 €/mq

Soluzione

Mq attuali

Valore iniziale

Costi abbattimento

Mq ricostruiti

Costi ricostruzione

Valore finale

Margini

Sol A

14.400

43.200.000

14.400.000

19.250

38.500.000

67.375.000

14.475.000

Questo vuol dire che a parità di cubatura, se tutti gli appartamenti sono di proprietà di un soggetto unico, l’investimento rende 14ml di euro che, tolti i costi di progettazione e gestione del progetto che possono essere molto onerosi (approvazioni, tangenti, ritardi, costi di anticipo, pubblicità), lasciano profitti molto ridotti e “non convenienti”.

Soluzioni B e C – Prezzo di vendita: 3.500 €/mq

Soluzione

Mq attuali

Valore iniziale

Costi abbattimento

Mq ricostruiti

Costi ricostruzione

Valore finale

Margini

Sol A

14.400

43.200.000

14.400.000

23.250

46.500.000

81.375.000

20.475.000

Sol B

14.400

43.200.000

14.400.000

26.000

52.000.000

91.000.000

24.600.000

Se si possono aumentare i volumi evidentemente i margini cominciano a divenire più alti ma rimane sempre il costo dell’immobile iniziale che o risulta di proprietà del soggetto che attua la trasformazione o non rende possibile l’azione.
Solo a titolo esemplificativo, anche acquisendo l’immobile a un prezzo di 1.700 €/mq, anche nella soluzione C quella a più elevata redditività non si andrebbe in pareggio.
Ma tutto cambia se il prezzo di vendita del nuovo edificato può essere di 8.000 €/mq. Poniamo in questo caso che il valore iniziale sia più elevato di quello precedente (in relazione al maggiore pregio della zona) e cioè sia di 7.000 €/mq, che il costo dell’abbattimento resti costante a 1.000 €/mq e che il costo di ricostruzione sia pari a 1,5 volte quello precedente e, quindi, pari a 3.000 €/mq.

Soluzioni A, B e C – Prezzo di vendita: 8.000€/mq

Soluzione

Mq attuali

Valore iniziale

Costi abbattimento

Mq ricostruiti

Costi ricostruzione

Valore finale

Margini

Sol A

14.400

100.800.000

14.400.000

19.250

57.750.000

154.000.000

81.850.000

Sol B

14.400

100.800.000

14.400.000

23.250

69.750.000

186.000.000

101.850.000

Sol C

14.400

100.800.000

14.400.000

26.000

78.000.000

208.000.000

115.600.000

Già solo con la prima soluzione si arriva a margini paragonabili al valore iniziale dell’edificio. Assumendo un prezzo d’acquisto dell’edificio esistente pari a 4.000 €/mq, con la soluzione C si rendono possibili 58.000.000 € di margini, anche comprando l’edificio.
Immaginiamo un quartiere di prima periferia in prossimità di stazioni ferroviarie, di snodi metropolitani o in prossimità di zone di qualità commerciale o altro. Un edificio che, se ricostruito con una firma nota potrebbe portare un plus valore anche di 1.000 €/mq, aumenterebbe il valore finale sino a 234.000.000 euro, rendendo possibile la vendita dello stabile a 9.000 €/mq e l’operazione di abbattimento e ricostruzione con un margine di 84.000.000 euro.
È la città consolidata che è oggetto di questa legge e su di essa che si concentrano le attenzioni economiche, quelle grandi trasformazioni urbane che possono cambiare la forma e l’esistenza dei nostri centri storici e delle prime periferie.
Immaginiamo ora che l’edificio sia stato abbattuto e ricostruito; sono passati 10 anni ed è necessaria una prima manutenzione. La legge è ancora in vigore e si riparte con un ulteriore 20% e altri due piani: la genesi delle speculazioni delle city americane. Non essere più se stessi per essere altro, un rischio culturale e di identità spaventoso. Un incubo.

Perché questa norma non dovrebbe essere approvata

Questa norma non deve essere approvata perché:

  • è un norma populista, ovvero nasconde dietro la volontà di rispondere a piccoli e diffusi interessi dei cittadini quella di favorire le grandi speculazioni
  • è una norma costruita male in quanto tratta alla stessa maniera l’incremento del 20% di una casa isolata in campagna con l’incremento del 20% di un palazzo in un centro storico
  • destruttura senza un dibattito culturale (e non politico) l’impostazione insediativa del nostro paese che ha condotto a una qualità del paesaggio ed una identità culturale di grande valenza
  • destruttura i centri storici con effetti negativi sui cittadini, sulla cultura sulle attività produttive connesse al turismo sull’immagine, forse l’unica immagine qualificante del paese
  • rende la città oggetto di continua speculazione
  • riduce la durata degli edifici, dando la convenienza a ricostruire ed aumentare le cubature; trasporta l’edilizia da ambito di speculazione ma anche di risposte a specifiche necessità, ad un ambito in cui operare al solo fine del rialzo dei prezzi, come in borsa, senza alcune regole e ignorando le esigenze ed il piacere degli uomini che la abitano (la città diviene strumento del mercato)
  • sostituisce le attuali norme che, sebbene molto limitate, hanno comunque concesso una sedimentazione dell’azione speculativa e lasciato spazio alla possibilità dei cittadini di riprendersi lo spazio di gestirlo di appropriarsene con i propri microinteressi; questa norma favorisce le grandi speculazioni e marginalizza l’azione dei singoli cittadini singoli che, a parte chiudere qualche veranda – cosa che hanno già fatto – non potranno fare oltre
  • riduce le città italiane all’uniformità delle altre città del mondo, dove nuovi edifici destrutturano tessuti storici componendo immagini di città irriconoscibili e atopiche
  • annulla il mercato dei lavori di ristrutturazione, l’economia delle piccole imprese, gli artigiani che operano per la manutenzione dei centri storici, la cultura del restauro e del ripristino, della capacità tecnica
  • agevola il consolidamento nel settore della cultura della quantità, dei consumi, dei prodotti a tempo, e quindi della cultura della produttività industriale e del mercato ad essa connessa
  • favorisce l’interpretazione della casa come bene di consumo
  • favorisce la reiterazione degli ampliamenti avviando un percorso di peggioramento della qualità urbana

È proprio la cultura sottesa alla norma che è alla base dell’attuale modello economico che ha comportato sofferenze per gli uomini ed alterazioni per l’ambiente; la cultura del mercato che pretende di definire i luoghi della nostra vita, quella che ci uniforma e ci toglie una dei pochi elementi di riconoscibilità che accomuna gli abitanti di questo paese.
Per tentare di evitare tale destrutturazione di identità, per ridurre gli effetti stravolgenti contenuti nella proposta, come posizione minima è opportuno stralciare la città consolidata ed i territori non urbani limitando l’ambito di pratica di questa norma solo alle periferie post belliche.

Adriano Paolella


P.S.: Queste note sono state elaborate in data 23.3.09 sul testo della prima stesura della “legge casa”. Il 25.3 il Presidente del Consiglio ha dichiarato che la stesura non rispondeva alle sue intenzioni ed ha concentrato l’oggetto della legge solo su le abitazioni isolate. Al momento della chiusura delle note, il 29.3, non è chiaro quali siano le intenzioni e quali gli ambiti di intervento. Per la portata della stesura originaria della proposta di legge e per il rischio che si è corso, o si sta ancora correndo, si è ritenuto opportuno comunque pubblicare queste note in cui sinteticamente vengono evidenziati gli effetti che potrebbe comportare l’entrata in vigore di una normativa di questo tipo.
È opportuno mantenere elevata l’attenzione nei confronti di queste azioni normative anche in relazione al comportamento dell’“opposizione” parlamentare. Il 26.3 giorno successivo alle dichiarazioni del governo di limitazione del campo di attuazione della legge, Il Manifesto dedicava una pagina alla legge, La repubblica due pagine, L’Unità nessuna pagina. Nei giorni precedenti lo spazio dedicato a questo tema dai giornali dell’opposizione non era centrale e non forniva informazioni tecniche adeguate a comprendere la portata della trasformazione proposta.
Non portare il tema a riflessione comune, non fare emergere la gravità della legge, tentare di ridurre gli effetti negativi nell’ambito del confronto tra governo e rappresentanti delle regioni e dei comuni appare una forte limitazione alla partecipazione su di un oggetto che è fondamentale per la vita della popolazione del paese in termini sia di conservazione e qualificazione del paesaggio e dell’ambiente, sia di qualità della vita, sia di rafforzamento di quelle forme di speculazione che hanno già destrutturato territorio e società negli anni passati.

Note

  1. I calcoli presentati sono evidentemente una semplificazione dei reali processi di mercato, con l’obiettivo di focalizzare l’attenzione sul meccanismo che i margini in discussione potrebbero avviare all’interno della città consolidata.
    Una prima semplificazione riguarda l’assunzione che i costi di costruzione, ricostruzione, valore iniziale dell’immobile e di vendita prescindano dall’effettivo contesto. Nel calcolo di tali costi non si è tenuto conto del costo reale dei terreni, degli oneri di urbanizzazione, etc. l’unico elemento di cui si è tenuto conto è la differenza di valore e di costo tra le zone periferiche e centrali delle città, assumendo tra queste uno scarto di circa 1,5 volte.
  2. Nel calcolo si è assunto che l’ingombro delle strutture sia pari al 4% della superficie nel caso di muratura portante e dello 0% nel caso di strutture a telaio (cls, acciao-vetro, etc.).
  3. Nel calcolo si assume che il costo di acquisto ed il prezzo di vendita siano estesi a tutta la superficie dell’edificio, tralasciando la presenza delle superfici di servizio.