Rivista Anarchica Online


società

Sono cambiati i contesti, ma...
di Giovanna e Antonio Cardella

Berlusconi e Mussolini, il PNF e il PDL, le leggi razziali e i decreti Maroni. Differenze e simiglianze.


L’italiano è un popolo assai strano: esorcizza la realtà per scrollarsi di dosso preoccupazioni e responsabilità che non è in grado di sopportare. Edulcora persino le parole, forzando il linguaggio verso significati impropri.
Nascono così gli ossimori: le missioni militari sono missioni di pace; i luoghi di detenzione degli immigrati centri di accoglienza, e via dicendo. Avviene quindi la coniazione di espressioni quali “democrazia autoritaria”, “democrazia totalitaria”, “democrazia oligarchica” nelle quali il termine democrazia è usato per attenuare, edulcorare appunto, il significato crudo dell’aggettivo che qualifica il sostantivo.
Insomma si ricorre ad eufemismi per non pronunciare l’espressione che meglio caratterizza i nostri tempi, che sono i tempi di un nuovo fascismo.
Saremmo veramente dei mentecatti se sostenessimo che quello che registriamo adesso in Italia sia la riproposizione in fotocopia del ventennio mussoliniano. Sono cambiati i contesti, non esiste lo spettro del “biennio rosso” (1919– 20) e, purtroppo, di un movimento operaio attivo, consapevole ed organizzato. La società civile, tranne pochi sussulti, appare narcotizzata e incapace di distinguere tra l’immagine mistificata della realtà fornita dalla televisione (e da grande parte della carta stampata) e gli avvenimenti della vita quotidiana, con la loro carica di sofferenza diffusa. Ma non si può negare l’evidenza di certe analogie, che riguardano soprattutto le finalità perseguite, tra il tragico ventennio e l’attuale regime.
Tra il 1922 (anno della marcia su Roma) e il 1925 il processo di fascistizzazione dello Stato passò attraverso: il rafforzamento del potere esecutivo; la liquidazione delle prerogative del Parlamento; l’integrazione nell’apparato statale delle strutture politiche e militari fasciste; la riduzione e poi l’eliminazione delle libertà di stampa, di riunione e di sciopero garantite dallo Statuto Albertino. Seguirono poi i provvedimenti che caratterizzarono l’avvento della dittatura: lo scioglimento dei partiti politici, il conferimento di poteri straordinari al capo del governo, non più sottoposto a verifica parlamentare, il corporativismo come supremo regolatore della vita economica e sociale della nazione, lo stravolgimento dell’assetto giuridico con l’istituzione di tribunali speciali e l’adozione di norme e procedure penali tutte riconducibili alle esigenze del regime.
Analogamente, il processo di berlusconizzazione dell’Italia si snoda con provvedimenti (decreti governativi per presunte necessità ed urgenze) che, svuotando di fatto il dettato costituzionale e il principio della separazione dei poteri, investono tutti i campi dell’assetto civile del Paese.
Quotidianamente, l’esecutivo si avvale di un Parlamento, a stragrande maggioranza a sua immagine e somiglianza, per emanare leggi ad personam (vedi per esempio il lodo Alfano) o contra personam (emblematico il decreto sul caso Englaro, che sta per convertirsi nell’orrenda legge sul testamento biologico); per ridurre (se non per negare) lo spazio dei diritti civili (il divieto di manifestare in prossimità di luoghi di culto o di interesse artistico/monumentale, il che, di fatto, annulla l’agibilità di intere città italiane per manifestazioni pubbliche di carattere politico-sociale); per imbavagliare l’informazione (legge Gasparri), che si traduce nell’occupazione dei consigli di amministrazione della RAI, nella scalata agli assetti societari dei maggiori quotidiani italiani, nell’assoggettamento di tutti gli organi di sorveglianza e di controllo sulla correttezza dell’informazione e sulla distribuzione delle quote pubblicitarie.
A questo ruolo “usa e getta” del parlamento si aggiunge un disprezzo esplicito sulla funzione dei parlamentari, sui regolamenti delle Camere e sull’effetto frenante che l’organo legislativo avrebbe nel promuovere leggi necessarie al funzionamento dello Stato: naturalmente di uno Stato disegnato sul progetto del premier e del suo mentore Licio Gelli. Ma il disprezzo si allarga all’intero popolo che, secondo Berlusconi, è “una massa di dodicenni da relegare negli ultimi banchi (Mussolini del popolo diceva che era “quantità e inerzia”).
Liquidati così rappresentanti (deputati e senatori che “sono solo lì per fare numero e votare con due dita emendamenti che non conoscono”, come Berlusconi ha detto all’inaugurazione del termovalorizzatore di Acerra il 26 marzo u.s.) e rappresentati (il popolo italiano), non ci pare che rimangano margini di democrazia ed è significativamente opportuno sintetizzare lo spirito del dittatore di Predappio e dell‘aspirante tale di Arcore, citando un brano tratto dal manuale scolastico di V. Meletti Libro Fascista del Balilla, 1934:
“Lo Stato Democratico che governava l’Italia era, caro Balilla, lo Stato del disordine e dell’anarchia. (…) C’era il Parlamento, formato dalla Camera dei Deputati e dei Senatori, che era diverso da quello di oggi e rappresentava un’altra piaga della Nazione, perché, a forza di lunghi discorsi, di litigi e di chiacchiere, impediva al Governo di fare le leggi buone. Adesso invece le leggi le fa in maniera sbrigativa direttamente il Governo, cioè il Consiglio dei Ministri, senza bisogno del Parlamento, che ne viene informato in ultimo a cose fatte.” (il Parlamento, allora, era la Camera dei Fasci e delle Corporazioni).
Certo, è legittimo chiamare due cose distanti nel tempo con nomi diversi, ma ci sembra fuorviante ritenere che da questa viscosa e delirante congerie di conati autoritari possano in qualche modo emergere elementi sia pure evanescenti di democrazia.
Ultime due notazioni da aggiungere: il governo Berlusconi è nato subito con violente istanze razziste, ratificate da leggi immonde varate a tambur battente, mentre il fascismo le maturò e concretizzò su istanze naziste solo nel 1938, a sedici anni dalla sua costituzione; il richiamo ai fasti della Roma imperiale fu, per il fascismo, una sorta di legittimazione, di per sé inoffensiva, delle nobili origini dell’era che si apriva. Le croci celtiche dei padani e dei neonazisti dei nostri tempi, unite alle ronde legittimate a presidiare (velleitariamente) le nostre città, sono forme di squadrismo che dovrebbero scuotere il torpore degli ottimisti in vena di formule consolatorie.

Giovanna e Antonio Cardella