Rivista Anarchica Online


dossier sul pacchetto sicurezza e dintorni

Pornografia securitaria e tolleranza zero
di Robertino

L’Italia tra militari e vigilantes.

 

L’Italia è uno dei paesi più sicuri del mondo. Secondo l’ultimo rapporto Eures-Ansa sull’andamento degli omicidi volontari (dati aggiornati al 31 dicembre 2006), con le sue 616 vittime il 2006 è stato l’anno della storia italiana col minor numero di omicidi, da quando nel 1862 venne compilato il primo rapporto del Ministero degli Interni e furono registrate 623 vittime di omicidio in tutto il Regno d’Italia (che allora non raggiungeva i venti milioni d’abitanti). In rapporto alla popolazione, solo in Norvegia vi è un indice di rischio inferiore (0,7 contro l’1,0 di Italia, Danimarca, Germania, Spagna; 1,3 di Gran Bretagna; 1,6 della Francia; 2,6 della Svezia; 5,6 degli Usa). In compenso, è molto minore il rischio di essere vittime di aggressioni fisiche o minacce: secondo quanto riferiva nell’agosto scorso il settimanale inglese The Economist in Italia si erano registrate nel 2007 in Italia solo 8 denunce per aggressioni o minacce ogni 1.000 abitanti contro le 29 della Norvegia, le 27 della Germania, le 22 della Francia e le 58 di Inghilterra e Galles.
L’Italia è anche uno dei paesi al mondo che hanno più poliziotti in rapporto alla popolazione. Per la precisione 559 ogni 100mila abitanti, una cifra superata a livello planetario solo da Cipro e Kuwait, che però non hanno quasi esercito, e molto più alta di quella degli altri paesi dell’Unione Europea, dove in media ci sono 329 poliziotti ogni 100mila abitanti (conteggiando peraltro anche vigili urbani e guardie municipali, che non sono invece calcolati nel dato italiano, visto che da noi non sono considerati “forze dell’ordine”). Questo enorme apparato poliziesco, tra l’altro, non è neanche molto utile, visto che era più o meno lo stesso negli anni in cui vi era un tasso di crimini violenti molto più elevato (che secondo gli esperti sarebbe diminuito piuttosto per altri fattori, a partire dall’aumento del tasso di occupazione).
Nonostante questo, negli ultimi mesi abbiamo assistito nel nostro paese all’arrivo dell’esercito nelle principali città, dove dal maggio scorso i soldati sono diventati ormai parte integrante del paesaggio urbano, e più recentemente all’istituzione delle “ronde”. Entrambi questi provvedimenti hanno suscitato pochissime proteste ed, anzi, sono stati approvati da una larga parte della popolazione. Sarebbe il caso forse di chiedersi da dove venga tutto questo consenso. Visto che non esiste evidentemente nessuna emergenza-sicurezza, come è possibile che gli italiani accettino di vivere in città che di giorno sono pattugliate dai militari (come in una vecchia dittatura latino-americana) e di notte sono percorse da bande di vigilantes (come in un vecchio film western)?

Una decina di anni fa il sociologo francese Alain Ehrenberg (del CNR d’Oltralpe), ha pubblicato un libro, La fatica di essere se stessi sul rapporto “tra depressione e società”. Ehrenberg mostra come quella che viene chiamata “depressione” è strettamente collegata alla dinamiche sociali della nostra epoca. “Negli anni quaranta la depressione non era che una sindrome associata a molte malattie mentali. Negli anni settanta la psichiatria dimostrò che si trattava del disturbo mentale più diffuso nel mondo. In anni più recenti essa ha raggiunto una diffusione tale che la si ritiene responsabile della maggior parte delle difficoltà che incontriamo nella vita quotidiana: stanchezza, inibizione, insonnia, ansia, sarebbero tutte causate da questa ‘malattia’“. Secondo Ehrenberg la diffusione della depressione è strettamente legata al fatto che nella società contemporanea le norme della convivenza civile non sono più fondate sui concetti di appartenenza alla comunità, ma sulla responsabilità e sullo spirito d’iniziativa che sono richieste dai nuovi mutamenti economici, in particolare a quelli legati al mercato del lavoro (in cui, mentre si spezzano le forme tradizionali di organizzazione e resistenza dei lavoratori, a questi viene richiesto non solo di eseguire i propri compiti, ma di farlo anche con convinzione e con “creatività”).
In un contesto in cui l’individuo è schiacciato dalla necessità di mostrarsi sempre all’altezza, la depressione non è che la contropartita delle grandi riserve di energia che ciascuno di noi deve spendere per soddisfare le aspettative della “competizione sociale”: “la fatica di essere se stessi” è quella che vive l’individuo che deve adeguare la propria vita al sistema produttivo. Non ci sono più i conflitti sociali che permettono alle persone di riconoscersi come membri di comunità fondate sui desideri e sui bisogni comuni e a chi non riesce ad avere successo secondo i modelli imposti dai “paradigmi della pubblicità” (che descrivono un mondo illusorio popolato da ricchi e brillanti) rimangono solo i frutti della “ricerca farmacologica” e, soprattutto, “la democratizzazione delle nevrosi legate al risentimento”. Per Ehrenberg viviamo in “una vera e propria cultura del risentimento, in cui i singoli individui dissipano grandi energie nel rincorrere mete irraggiungibili, con la conseguenza di accumulare frustrazioni e rancore”. “Il rancore” si diffonde a livello sociale e neanche “il consumo compulsivo” riesce a fare da palliativo. È un rancore che sostituisce la rabbia che un tempo veniva indirizzata contro i padroni e i governanti e che viene sapientemente indirizzata dall’apparato mediatico contro altri “popoli” (basta pensare alla lista degli “stati canaglia” che viene periodicamente compilata dalla Casa Bianca), ma anche contro tutta una serie di figure sociali marginali (di volta in volta l’immigrato, il drogato, il malato di mente, l’ultrà del calcio, il graffitista etc) che diventano bersaglio di odio e di paura.

Politica del rancore

Quella che viene chiamata “tolleranza zero” non è altro che la traduzione nella realtà sociale di questa politica del rancore, che in qualche modo è diventata uno dei pilastri della pace sociale. Per usare le parole di un altro sociologo francese, Loïc Wacquant, negli ultimi abbiamo assistito al trionfo su scala planetaria di “un nuovo senso comune” che pone al primo posto la necessità di garantire la sicurezza del cittadino e che afferma che si possono facilmente risolvere in termini di repressione e ordine pubblico le problematiche sociali. Questo “nuovo senso comune” ha permesso il moltiplicarsi di una serie di politiche repressive (la “tolleranza zero”) che hanno portato a quella che Wacquant chiama “l’ipertrofia carceraria”, cioè l’aumento smisurato dei detenuti (nei soli Stati Uniti si è passati dai 425mila detenuti di venticinque anni fa ai 2 milioni e 228mila del 2008). Questa ipertrofia carceraria non deriva affatto da un’impennata nel tasso di criminalità. Al contrario, negli stessi decenni che hanno visto il fiorire della carcerazione di massa, la criminalità è diminuita o è rimasta stagnante. A determinare la moltiplicazione delle detenzioni è stato l’ampliamento dei crimini puniti con l’imprigionamento. La grande maggioranza dei detenuti americani è oggi condannata per reati che non comportano violenza contro le persone, in particolare detenzione e trasporto di droghe.
Lo stesso è accaduto anche in Italia e in Europa. Per quanto riguarda la penisola, in particolare, la popolazione carceraria si è moltiplicata negli ultimi anni a fronte non di una crescita ma di una diminuzione del tasso di criminalità, e in particolare dei delitti contro la persona. Per spiegare la fondazione di quella che definisce “la società carceraria”, Wacquant ricorre a due ordini di spiegazioni. Innanzitutto,”una serie di cambiamenti interni al sistema giudiziario, legati al declino dell’ideale della riabilitazione” che spingono i giudici a ricorrere più spesso al carcere che non a sospendere la pena o sostituirla con misure “alternative”. Soprattutto, però, vi è “il mutamento degli indirizzi politico-mediatici della criminalità”, il circolo vizioso formato dai media e dalle forze politiche che produce continue campagne emergenziali. È quella che Wacquant chiama “la pornografia securitaria”, l’osceno spettacolo della cronaca nera che viene scodellato tutte le sere in tutte le case dai tg e dai media all’unisono per riempire i cittadini di “rancore democratizzato” e per farli sentire felici di vivere in città che di giorno sono pattugliate dai militari (come in una vecchia dittatura latino-americana) e di notte sono percorse da bande di vigilantes (come in un vecchio film western).

Robertino