Rivista Anarchica Online


Dossier Piero Ciampi

Le interviste
ai curatori

a cura di Patrizia Chiesa e Alessio Lega

Un bel volume illustrato uscito per Coniglio editore: Piero Ciampi – discografia illustrata,
a cura di Enrico de Angelis (il responsabile artistico del Club Tenco) e Ugo Marcheselli (presidente del circolo culturale Piero Ciampi di Senigallia) ripropone l’occasione di addentrarsi nel corpo vivo dell’opera incisa di Piero.
Ne abbiamo parlato con i due curatori.

La voce del poeta

Intervista a Enrico de Angelis

La collana è una bella collana di discografie illustrate e commentate, dei libri che si giustificano per autori molto celebri e dalla sicura presa commerciale... Come mai allora affianco al nome dei Nirvana, dei Pink Floyd, di Neil Young, appare inaspettato quello di Ciampi? Dopo trent’anni di lavoro sei riuscito a farlo diventare un autore di massa?

Ciampi non è e non sarà mai un autore di massa! Per dirtela tutta non vorrei neanche che lo diventasse! Finché la società è questa Ciampi non deve avere un posto al sole. Meglio per lui cento ascoltatori motivati che un milione che si fermi all’aneddotica del poeta maledetto e ubriaco.

Aneddotica? Leggende dunque?

La cosa curiosa è che, nel suo caso, tutte le leggende corrispondono al vero. Alla rassegna del Premio Tenco, per esempio, arrivò alle tre di notte, io lo intercettai per caso. Mi disse che voleva mangiare qualcosa e girammo tutta Sanremo per trovare un bar. Poi s’è incazzato col barista, l’hanno cacciato fuori e d’altronde non voleva affatto mangiare, ma solo bere.
Anche le uniche due registrazioni dal vivo che ci sono rimaste – quella al Tenco, pubblicata in un’edizione amatoriale, e quella al Ciucheba di Castiglioncello, inedita – ci confermano che lui mandava tranquillamente affanculo il pubblico. Io, che l’avevo già visto al Derby di Milano, ti confermo che non l’ho mai visto sobrio. Ma non è questo il punto: il punto è che tutto questo, che pure è una parte della verità, ha finito per oscurare la sua opera. Io dunque sono trent’anni che cerco di portare alla luce quella.

E questo nuovo libro che si aggiunge a quell’altro monumento che è il volume Tutta l’opera (edito nel ’92 da Arcana), dove raccoglievi l’intero corpus dei testi ciampiani, come lo si potrebbe considerare?

Come la prima vera biografia di Ciampi, reale perché documentatissima. I tempi si evolvono: quando feci Tutta l’opera faticai non poco a convincere l’editore di allora dell’importanza di quel volume. Ora è stato l’editore Coniglio a chiedermi espressamente questo nuovo libro, dal ché ho capito che anche lui è un ciampiano, una razza particolare che si annusa e si cerca. A me è piaciuta l’idea di farlo perché era un modo di fare un libro partendo dai suoi dischi, dunque dalla sua voce, che per me è fondamentale. Io ho amato Ciampi inizialmente per la voce, nel ‘61 ero un ragazzino, iniziavo appena ad amare Tenco, Paoli, quand’ho sentito Lungo treno del sud cantato da un tale Piero Litalianò (è così che si faceva chiamare nei primi tempi). Anni dopo, al programma La fiera dei sogni di Mike Bongiorno, risento quella voce... viene annunciato un tal Ciampi e io, che non lo avevo mai sentito nominare, capisco al volo che era quello stesso, che uno così, con quell’aspetto, quell’eleganza che non gli è mai venuta meno – neanche da ubriaco – non poteva che essere lui.

D’altronde l’eleganza è una delle poche cose che si riconosce, quando dice “sono bello, sono bellissimo”. È curiosa invece questa tua passione per la voce un po’ stonata di Ciampi... certo, la sua stonatura comunica un malessere, è talmente forte ciò che esprime da passare accanto all’intonazione.

Ma Ciampi non è affatto stonato, non sono daccordo! C’è nel libro un passo di Lenzi, proprio sulla sua voce. È la sua voce a dirci che non è solo un poeta: è fondamentale, per trasmettere la sua poesia, il modo particolare che ha di cantare, non regolare, non squadrato, dove il musicista deve stare dietro a lui e non viceversa.


Analizzando Ciampi

Intervista a Ugo Marcheselli

Per sua virtù Ciampi intrattiene un rapporto squisitamente personale con i suoi appassionati. I lavori editoriali sulla sua opera debordano del suo carisma, fino ad arrivare a una raccolta di testimonianze come il libro della Scerman (edito sempre da Coniglio), o addirittura a un romanzo biografico – con tutti gli arbitrii del caso – come quello di Pino de Grassi (edito dalla Nuova Eri). Questo vostro nuovo libro è un nuovo canone: un catalogo scientifico?

Anch’io mi vivo la mia bella identificazione con Piero, ma tale identificazione non sfocia mai nella sovrapposizione, è piuttosto una sorta di rapporto sentimentale. Anche questo libro è stato fatto per amore. L’approccio sentimentale istintivo è quello che ci anima a perdere giorni e giorni per seguire i nostri artisti preferiti. La mia analisi è letteraria perché la mia formazione è letteraria e Ciampi secondo me è un letterato.

Un letterato bocciato a scuola...

Il critico Massimo Raffaeli usa per lui la definizione di barbone celeste.
Io avevo un sogno nel cassetto: fare l’analisi di tutte le canzoni di Ciampi. Ci sono riuscito, ma vorrei anche lanciare una sfida. L’opera di alcuni dei nostri maggiori cantautori manca ancora di uno strumento come questo. Mi piacerebbe che un lavoro del genere fosse fatto anche per alcuni nostri grandi artisti scomparsi, quali Bindi, Endrigo, Gaber, ecc.

Parli di analisi letteraria, ma una canzone non è solo fatta di parole.

Sul piano musicale io non sono molto ferrato, dunque ha lavorato con noi Marco Lenzi: credo che le sue analisi di Tu no, Cara, Cristo tra i chitarristi, siano fra le migliori mai fatte. Da lì emerge chiarissimo il dato che la canzone è un ibrido di musica e poesia, le belle canzoni hanno bisogno entrambi gli aspetti, sennò zoppicano.

Ma tu continueresti comunque a definirle un genere letterario?

Anche il romanzo nasce come ibrido: non esisteva come genere letterario autonomo.

Hai memoria del tuo primo approccio con l’opera di Ciampi?

Fu negli anni ’70. Avevo sentito il 45 giri di Te lo faccio vedere chi sono io e Io te e Maria. Inizialmente pensavo fosse un autore cabarettistico, alla Benito Urgu o addirittura alla Squallor... aveva questo modo sperticato e per anni mi è rimasta questa convinzione. Avevo un amico prepotente e lo chiamavo “ciampi”.

Il fatto che uno dei suoi futuri profeti l’avesse frainteso quand’era in vita la dice lunga sull’incomprensione che ha circondato Ciampi.

Sì! Una volta ho chiesto a Ivan della Mea un’intervista in merito. Lui mi ha detto forte: No! Poi, andando via si è voltato e ha urlato: “Perché Piero Ciampi ha sbagliato tutto nella vita, è arrivato con trent’anni in anticipo!”