Rivista Anarchica Online


lotte

La casa è un diritto!
di Andrea Staid

 

Milano, quartiere Ticinese. Tra bisogni urgenti e speculazioni edilizie, la questione abitativa è sempre stata all’ordine del giorno. Ripercorriamo gli ultimi decenni di problemi e di lotte. E leggiamoci la testimonianza di una compagna che in Ticinese vive, occupa e lotta.

 

Mal alloggiamento, mancanza di un tetto, situazioni di pericolo sanitario, violenze sociali e fisiche, sfratti,costi insopportabili … in tutta Europa milioni di persone subiscono gli stessi effetti drammatici di un mercato della casa e dei suoli sottomesso a un profitto che esplode. Le risposte politiche sono oggi insufficienti e contrarie alla promozione del diritto alla casa e alla città.
Per questi motivi e tanti altri ho deciso di scrivere questo articolo sul diritto alla casa e più specificatamente sulle occupazioni delle case a Milano.
Ho deciso di parlare della esperienza dell’occupazione del Ticinese, il quartiere dei navigli che da quartiere popolare si è trasformato negli ultimi 10 anni nel quartiere della Milano da bere.
Ho deciso di parlarne intervistando una compagna che vive e in una casa occupata e che lotta quotidianamente nel quartiere Ticinese.
Prima di parlare di quello che succede oggi nel quartiere vorrei fare un passo indietro e fare una micro storia della lotta per la casa nel quartiere.

Trent’anni fa

A metà degli anni settanta il quartiere Ticinese era tra i più degradati di Milano, lungo corso San Gottardo e i due navigli si addensavano case ormai vecchie e fatiscenti, edifici anche risalenti alla metà del 1700, ma soprattutto le tipiche case a ringhiera della fine ’800 inizi ’900, un quartiere ancora in grande misura proletario, ben diverso dal “parco divertimenti” notturno in cui si è trasformato progressivamente ormai negli ultimi dieci-quindici anni.
Dove possibile i proprietari preferivano lasciare vuoti gli stabili, per farli degradare completamente e poter costruire in un futuro al loro posto edifici di lusso; dove risultava difficile liberarsi dagli inquilini si preferiva ricorrere alle vendite frazionate, addossando così agli abitanti il costo di una ristrutturazione ormai indifferibile.
Un panorama simile a molti altri quartieri milanesi. In una situazione in cui risultava sempre più difficile trovare appartamenti in affitto a prezzi tollerabili dilagò in tutta la città un grande movimento di occupazione di stabili abbandonati.
Questa era l’aria che tirava nel quartiere Ticinese; in poche parole era un periodo di alto conflitto fra la gente e la città che vuole cambiare il suo volto in nome della modernizzazione, senza confrontarsi con chi la città e i quartieri li vive veramente.
Il bello è che chi viveva veramente i quartieri non ci sta, non lo vuole questo cambiamento imposto e si ribella. Uno di gruppi che viveva e lottava in quartiere era sicuramente il gruppo anarchico che nel settembre del 1976 occupò tutto lo stabile di via Torricelli 19. Lo stabile era semivuoto, negli appartamenti liberi si stabilirono alcune famiglie senza casa mentre i negozi al piano terra vennero utilizzati come centro sociale dagli ospedalieri anarchici, dalla donne anarchiche, per l’ambulatorio Pinelli e dagli studenti. Uno dei primi volantini che produsse il nuovo gruppo di occupanti si intitola “perché occupare le case”:

…Perché non ci sono case spaziose e quelle che ci sono costano troppo. Abbiamo occupato case vuote da anni che il padrone voleva abbattere per costruire palazzi nuovi con affitti esosi. Ci siamo prese queste case più grandi perché abitavamo in topaie (due famiglie in due locali). Abbiamo requisitole case vuote perché dove eravamo prima gli affitti erano troppo alti e la vita continua a crescere e non si può più pagare l’affitto almeno che si salta da mangiare noi e i nostri figli…(9 Ottobre 1976).

Le prime lotte come sempre avviene in questi casi oltre a manifestazioni e presidi, come iniziative immediate di una casa occupata, vi era la costituzione del comitato di occupazione che comprendeva un esponente per ogni famiglia e un rappresentante per gruppo. Chiaramente era molto importante una buona organizzazione basti pensare che il numero degli occupanti era tra 140-150, 60 nuclei familiari da coordinare attraverso l’assemblea generale dell’occupazione. Questa assemblea si teneva massimo due volte al mese, le decisioni da prendere erano le più svariate: da decidere il salario per la portinaia, a decisioni più complesse che potevano riguardare espulsioni dalla occupazione o al contrario chi fare entrare. Su questo tema è importante ricordare che fu istituita subito una lista di attesa per gli occupanti e una vera e propria graduatoria popolare.
All’interno della occupazione c’era una unità politica anarchica-libertaria sia tra il centro che per le diverse case all’interno dello stabile.
Le prime iniziative di lotta furono naturalmente quelle per cercare di avere un contratto di affitto basso per tutti gli occupanti, più o meno doveva corrispondere al 10% del salario di ogni inquilino.
Nell’ottobre 1980 il centro sociale anarchico di via Torricelli scrive un documento rivolto agli inquilini dello stabile iniziando una discussione sul diritto alla casa, iniziava così:

“Anche la vostra casa, come molte altre del nostro quartiere, è stata dalla proprietà messa in vendita frazionata.
L’attacco al diritto alla casa non passa più ora solo attraverso la sparizione delle case in affitto, gli sfratti e l’aumento dei fitti: gli inquilini proletari vengono brutalmente posti di fronte all’alternativa tra comprare la casa e rischiare di essere sbattuti sulla strada…”.

Occupazioni perché

Ma cosa significa comprare la casa? Se la casa è vecchia significa regalare i propri risparmi a proprietari che non hanno mai fatto nulla per risistemarla e si sono arricchiti passivamente sulle nostre spalle, una volta comperata la casa ci si troverà con spese altissime da affrontare per rimettere a posto la struttura degli stabili più le tasse per la proprietà e per l’immobile.
Se invece la casa è nuova i prezzi sono proibitivi costringono a indebitarsi con mutui infami per tutta la vita. Comperare una casa per i proletari e i pensionati rappresenta una pesante ipoteca sul proprio futuro.
Tutti questi problemi si pongono perché nella società capitalista la casa, come tutto, è una merce e non un servizio sociale: eppure dovrebbe essere garantita a tutti perché avere un tetto sulla testa non è un lusso ma un diritto.
Oltretutto i soldi con cui i padroni costruiscono le case sono ricavati dai profitti che essi ci estorcono: Il lavoro non pagato agli operai diventa denaro che essi investono in case che poi vendono a prezzo altissimo. Si tratta di un vero e proprio furto a cui si aggiungono i soldi delle trattenute sul salario per le costruzione di case popolari.
Per tutti questi motivi iniziò un forte movimento di occupazione in quartiere Ticinese e più in generale in tutta la città.
In un altro volantino fatto dalla assemblea anarchica di via Torricelli si chiede al palazzo:

“Dobbiamo allora subire questa rapina sul salario o c’è una alternativa? Noi riteniamo che un alternativa ci sia: L’organizzazione degli inquilini. Occorre formare un comitato di inquilini che si preoccupi della gestione della lotta. Bisogna impedire a chiunque di entrare nelle case per vedere gli appartamenti. Attaccando manifesti e striscioni fuori dal portone e sui balconi in modo che si scoraggino ulteriormente i compratori delle nostre case. Si tratta poi di far sentire la propria voce al proprietario per far rientrare la vendita ed eventualmente sostenere questa rivendicazione con forme di lotta incisive…”

Passa il tempo e si arriva agli anni ’90 e il movimento di occupazione nel quartiere non si arresta, aumentano gli sgomberi delle case, ma la questione del diritto alla casa continua ad essere portata avanti con forza in questo quartiere che con il passare del tempo diventa sempre meno popolare per lasciare lo spazio a bar, pub e universitari che affittano un monolocale per 700 euro al mese.

La parola a Rosmunda

Per arrivare ai giorni nostri ho deciso di raccontare come continua l’esperienza delle occupazioni nel quartiere ticinese attraverso una “intervista” che parla dell’esperienza personale di una compagna.

Arrivo a Milano

Ho sempre vissuto a Matera, un posto meraviglioso: la città dei Sassi e del buon cibo lucano dove non passano i treni ma c’è sempre il sole. Arrivo a Milano nel settembre 2000, quando c’era ancora la lira, con uno zainetto e un pacco di viveri, senza ponderare in nessun modo la mia decisione: sull’onda emotiva(positiva) della selezione al test, superata con successo per il corso di laurea in Economia per le arti, la cultura e la comunicazione e con il laissez-faire dei miei genitori.
I miei compagni di viaggio erano semplici conoscenti, con i quali avrei poi stabilito rapporti di vicinanza durante tutto il percorso universitario e condiviso parte della mia esperienza di ‘emigrante’(in quanto persona che è spinta, da fattori di vario tipo, a cercare un luogo diverso da quello di origine). Devo ammettere che mi entusiasmava molto il fatto di andare in un’altra città, soprattutto per la possibilità in un certo senso (non quello economico) di respirare finalmente libertà, di diventare più autonoma rispetto alla famiglia e di mettere alla prova il mio istinto di sopravvivenza.
Così è stato effettivamente. Ho trovato casa e un lavoretto saltuario come cameriera. Abitavo in viale Bligny: una splendida casa di ringhiera, 38 mq a 1.200.000 lire da dividere con una coinquilina non scelta, arrogante e insopportabile. Con il lavoro non pagavo nemmeno l’affitto, figuriamoci le tasse universitarie…e così ero un bel peso per i miei familiari, se pur molto disponibili.
Gli anni sono trascorsi in fretta, scanditi dal ritmo frenetico ‘alla milanese’. Sveglia presto, mezzi e tempi morti, università, lavoro e qualche aperitivo.
Ho abitato e girovagato in diversi appartamenti: da viale Molise sino a Cormano, fuori Milano, per circa un annetto. Lì pagavo un affitto irrisorio, ma ero ‘affidata’ ad alcuni amici di famiglia. Era come essere a casa dei miei: non potevo ospitare nessuno e dovevo rientrare entro le dieci, prendendo l’ultimo treno da Cadorna. A volte mi fermavo a Milano. Era un periodo intenso di lezioni, studio e pendolarismo. Avanti e indietro, tutto il giorno fuori e senza una lira in tasca: solo il pranzo ‘a sacco’ e qualche caffè alla macchinetta. Senza contare tutte le sistemazioni di fortuna, in attesa di coinquilini o di una singola a prezzi ‘decenti’, diciamo che ho cambiato in media una casa all’anno, senza mai conquistare dei luoghi che riuscissi a sentire spaziosi, accoglienti, miei.
Affitti alle stelle (non meno di 450 euro per un bilocale) ed appartamenti fatiscenti, problemi con l’anziana vicina di turno e convivenze difficili. Tutti i traslochi fai-da-te e gli effetti personali dispersi qua e là, tra una soffitta e una cantina in prestito.

Aiuto quanto costano gli affitti!

I primi anni ero spaesata e confusa, non riuscivo ad avere un buon equilibrio e a gestirmi gli spazi e i tempi della metropoli. Continuavo a dipendere, almeno economicamente, dalla famiglia e non riuscivo a trovare una soluzione per uscirne. Oggi sono sicuramente una persona diversa non solo per il tempo trascorso ma anche per le scelte di vita che ho fatto, nonostante quotidianamente paghi il prezzo della lontananza dalla mia terra, dalla mia cultura, dalla mia gente, da ciò che più amo: le mie radici.
Intanto avevo iniziato a frequentare vari spazi occupati tra cui Cox 18 e la casa di via dei Transiti, 28 e mi stavo interessando di politica in modo più serio, per la prima volta nella mia vita.
Quando arrivai in via dei Transiti mi accolse una scritta cubitale “chi compra questa casa compra anche gli occupanti…”. Certo se subito fui d’accordo con questa affermazione, molto presto entrai in contraddizione con quello che stavo facendo. Entravo in una casa occupata … per pagare un affitto … irrisorio sì, ma pur sempre un affitto! Allora mi fu spiegato il motivo ed io capii. La lotta aveva pagato ma era anche passata…Avevo immaginato un luogo fervido di scambio, di creazione di progetti altri e di alternative. Molto spesso invece m’imbattevo in persone e compagn* umanamente molto validi, cui mancava, però, la prospettiva unitaria e la voglia di mettersi in discussione. Nessuno aveva più l’entusiasmo di raccontare il suo passato o di costruire un futuro solido, negli ideali e nelle pratiche. Prevaleva invece l’esperienza di un presente privo di emozioni forti o di lotte vere … tutto si svolgeva su di un piano che io chiamo del “noi per noi stessi”: il piano di un io allargato ad un noi ancora troppo stretto e aggrovigliato su se stesso.
Logicamente, in tutta la mia permanenza nella casa, o meglio in uno degli appartamenti della storica casa, non mi ero mai permessa di fare domande dirette sulle motivazioni e i fatti che avevano determinato quella situazione: le case erano state acquistate all’asta e pochi erano gli appartamenti ancora occupati. La mia vita in Transiti era una continua scoperta, una continua ricerca. A disposizione avevo uno scaffale colmo di libri mai visti eppure così interessanti… sull’underground, il femminismo, le auto-produzioni e la lotta per i diritti. Fu proprio in quella casa che entrai in contatto con l’universo dei centri sociali, con la gente che li aveva popolati e riempiti di contenuti e progetti di vita, con ‘le strane storie fuori strada’, con i percorsi incrociati di realtà e singoli, che in qualche modo avevano tracciato un solco nella storia di tutti (noi). Me inclusa.
Un anno in quella casa mi è bastato per venire in contatto con i compagni che si ritrovavano al centro occupato T28 e che abitavano nel quartiere Ticinese, in occupazione.
In via Torricelli c’è ancora oggi un comitato di lotta per la casa (Comitato Casa e Territorio), di denuncia del vuoto abitativo e delle speculazioni in atto su tutto il patrimonio di edilizia popolare e sul territorio del Ticinese.

Case senza gente, gente senza case

L’idea di occupare una casa m’era venuta in mente più e più volte, ma la determinazione a farlo s’è concretizzata solo nel momento in cui, estenuata dal costo degli affitti e provata da una vita precaria sotto tutti i punti di vista, ho potuto fare esperienza della situazione di molti appartamenti ERP, gestiti in gran parte dall’Aler (circa 40 mila) e da Ge.fi., Pirelli e Romeo per conto del Comune, come accade in tutta Italia, del resto. Case vuote, lamierate, blindate, murate o rese inagibili, per un semplice motivo… lasciarle marcire, in attesa che lievitino all’inverosimile i prezzi e possano, finalmente, essere vendute ai privati.
Si può dire che il quartiere Ticinese non è attualmente un quartiere popolare a tutti gli effetti, non come Corvetto o San Siro.
È cambiato e cambia forma ogni giorno.
Tutt’attorno, imponenti, si ergono svariati cantieri che pian piano, ma non troppo, stravolgeranno i connotati storici del Ticinese: il progetto Darsena è solo un esempio. Lo scenario futuro è un nuovo quartiere del centro, ripulito, residenziale (progetto Magolfa 2000, sieroterapico, Cascina Segantini), con i navigli, come un tempo, navigabili(?), nuovi parcheggi (Darsena), locali, vetrine e costo della vita insostenibile; il prezzo da pagare è l’espulsione di tutti i poveri dalle case popolari, con l’aumento dei canoni e degli sfratti, la mancata assegnazione degli appartamenti e la gestione speculativa dell’ edilizia pubblica (graduatorie bloccate e pseudo-riqualificazione). I rimanenti abitanti del quartiere, affittuari o proprietari, avranno problemi di costo (es. mutui e affitti, e non solo) e qualità della vita: meno servizi (smantellamento di scuole, Asl e mercati), meno spazi verdi e sociali, più traffico, più inquinamento acustico e atmosferico, più controllo, sorveglianza e frenesia allo stesso tempo.
Attualmente nelle case Aler tra le vie Gola-Pichi-Borsi vi sono in gran parte anziani/e soli/e, famiglie a basso reddito, anche di migranti e un buon numero di occupanti, tra compagn*, famiglie e alcune giovani coppie C’è una situazione mista, nel senso che per ogni civico risiedono nello stesso stabile e convivono nella stessa scala, ma in appartamenti diversi, nuclei di occupanti, assegnatari, (sub)affittuari e parenti/affini di persone decedute con le dinamiche proprie e peculiari di un condominio. Alcuni sono simpatici, come dire, altri meno. Le occupazioni si pongono in contrasto con il contesto speculativo del Ticinese e milanese.
Ogni casa occupata è una casa liberata!

Occupante che son io!

Vivo in occupazione da ormai tre anni: Scala* x di via x. Prima c’era un’altra compagna che ha preso casa con il Comitato.
Io sono arrivata solo in un secondo momento… Da subito ho stabilito ottime relazioni con il vicinato prima, con il quartiere poi. C’è un clima familiare, sembra di stare ‘al paese’ al Sud: al bar, al mercato, verso Conchetta e Torricelli…Se cammini ed abiti in zona saluti una persona ogni 20 passi e con buone probabilità ti ritrovi a parlare del più, del meno e del per:casa, lavoro, famiglia, per chi ce l’ha, e politica o vita, per chi la considera tale. Ci conosciamo tutti, almeno di vista.
Anche se permane un’unità di resistenza, di riappropriazione e di rivendicazione del diritto all’abitare, la situazione oggi è abbastanza critica: se da una parte c’è il Comitato che porta avanti anche a livello legale la lotta per la casa (lista di lotta, richiesta di assegnazione e sanatoria), dall’altra anche il movimento, in crisi nei ‘suoi’ spazi, non si occupa più direttamente della questione da anni e la delega a soggetti istituzionali e di sindacalismo.
Ogni appartamento è simile ad un alveolo: si sta chiusi in casa, magari guardando dalla finestra e certo non mancano situazioni di disagio e difficoltà. La solidarietà si sente molto tra i vari occupanti e meno con gli altri inquilini. Si sa che ci sono dei pregiudizi, a volte dovuti ai problemi quotidiani, economici e sociali, altre alla mancanza di comprensione della pratica stessa dell’ occupazione, attribuita ai fannulloni/furbacchioni. Nonostante tutto i rapporti in quartiere sono buoni per tutte/i, quasi con tutti…!
Io preferisco anziane e bambine: hanno sempre qualcosa da chiedere e rispondono con un gran sorriso. Non posso non citare l’episodio in cui ho soccorso una vecchietta nell’appartamento di fianco al mio, sola, annichilita, nuda e riversa sul pavimento… proprio dove oggi c’è una famiglia in occupazione. In seguito al fatto, tutte le ‘sciure’ del mio portone hanno iniziato a salutarmi e a trattarmi con molto rispetto. Più tardi ho avuto modo di parlare con loro della mia esperienza di occupante, della condizione di emergenza e ‘fame di case’ e del modo in cui trattano la gente dalle poltrone, illudendola per anni con promesse di alloggi, senza però occuparsi realmente dei loro bisogni. Devo dire che ho rapporti di fiducia e reciproca disponibilità anche con le mamme del quartiere e questo mi fa vivere serenamente. È normale: ci si dà una mano a vicenda e spesso ci si scambia generi di prima necessità. Durante le feste per i bimbi che organizziamo nei cortili c’è un livello di scambio e di condivisione tra tutti/e rara per la città di Milano, grigia come il fumo, rigida come i cristalli e fredda come un corpo senza vita. […]
L’Aler ultimamente si fa viva spesso, chiude le case in tempo zero ed è abbastanza presente nelle portinerie ‘sociali’, a cui chiede informazioni precise su tutti gli alloggi. Molte case sono lamierate ed è in atto una vera campagna contro i c.d. ‘abusivi’ da parte di Aler, Moratti, DeCorato (e Co.), con il solo intento di criminalizzare gli occupanti e spostare l’attenzione dall’emergenza abitativa ad una questione di mero ordine pubblico, innescando la guerra tra poveri. [“la casa prima ai milanesi” o “non possono partecipare al bando di assegnazione …gli occupanti senza titolo o gli sfrattati per 5 anni” recita il regolamento Aler del febbraio 2004]
Dopo la realizzazione dei sottotetti, in convenzione con l’Università Bocconi, destinati in affitto agli studenti, a prezzi più o meno calmierati, ma comunque alti, l’Aler ha iniziato a monitorare gli alloggi vuoti e non, per riappropriarsi definitivamente del patrimonio pubblico come prevede l’ultimo accordo-convenzione con Prefettura, Comune, Questura, Provincia e Regione.
(Patto per la Sicurezza “priorità, nel proseguimento dell’attività di sgombero, per gli alloggi occupati da single o senza presenza di minori e per quelli che ostacolano l’attuazione dei contratti di quartiere. Al fine di limitare la permanenza di alloggi vuoti – aggiunge De Corato – il Patto impegna inoltre ad adottare tutte le procedure di ripristino e assegnazione degli alloggi secondo le modalità definite dalla normativa regionale”) Non bisogna fare alcuna distinzione tra gli occupanti, né cercare il capro espiatorio della situazione.
Chi occupa ha bisogno della casa ed è così che lo rivendica. È necessario più che altro riflettere su come difendere le occupazioni attuali e riprendere a parlare dell’emergenza abitativa in termini di diritto e bisogno primario, non di mutui e indebitamenti a vita.
Questa esperienza mi piace e mi da ogni giorno possibilità per tastare con mano la realtà di un quartiere sempre affascinante e storicamente noto in quanto popolare.
Non mi aspetto nulla né dai partiti né dalle istituzioni.
Mi piace pensare che ci sia qualcosa dal basso che smuova questo pesante clima, come la scossa di un vulcano ancora attivo… che per il momento sedimenta.
In via Darwin c’è una scritta sul manifesto di una poetessa di strada, Eveline. Mi viene in mente di notte quando attraverso nel silenzio le vie del il quartiere, pensando a com’era e a come sarà “se questi muri potessero parlare…”. Dietro l’angolo il presente intenso ed irruente, proprio come me.
Che il problema dell’emergenza casa non sia tutto qui, è sicuramente sotto gli occhi di tutti.
La pratica dell’occupazione è cambiata profondamente in questi ultimi decenni e sarebbe il caso di comprenderne il motivo, anche per guardare meglio la realtà che ci circonda ed i soggetti che oggi costituiscono lo schieramento di questa lotta.

Questo articolo chiaramente non ha la pretesa di dare una soluzione al problema della casa, ma sicuramente attraverso un caso specifico come quello del quartiere Ticinese vuole rivendicare con forza il diritto alla casa, all’azione diretta e alla pratica dell’occupazione come metodo di lotta efficace ed incisivo.

Andrea Staid

Perché?

– Perché intervenire in un quartiere occupando una casa con appartamenti vuoti da anni?
– Perché opporsi alla speculazione edilizia?
– Perché creare un centro sociale dove tutti si possano incontrare e discutere di vari problemi liberamente?
– Perché rifiutare una società che di fatto elimina i rapporti fra gli individui e gli crea delle città che sono alveari?

Perché siamo anarchici, cioè vogliamo la libertà e l’uguaglianza degli uomini, e come tali vogliamo creare una società di liberi ed uguali, vogliamo modificare questa città iniziando, anche in questo quartiere popolare, un lavoro sociale fra gli abitanti, con tutti coloro che, come uomini, vogliono creare una società nuova, una società senza servi e senza padroni.
Ecco perché ci opponiamo alla distruzione di questo quartiere.

(volantino, “Perché lottiamo” – 1976)