Rivista Anarchica Online


politica

Accanimento terapeutico di Stato
di Andrea Papi

 

La società è ammalata. Lo Stato può solo provare ad assisterla, somministrando calmanti e ansiolitici.

 

Al momento in cui scrivo non si sono ancora svolte le elezioni. Ma fin d’ora mi sento di affermare che non ha molta importanza sapere chi vincerà. Conoscerne gli esiti difficilmente riuscirebbe a inficiare il tipo di cose che ho in animo di scrivere, perché il loro senso non dipende in alcun modo da quale apparato o insieme di forze politiche ora in lizza riuscirà a conquistare gli scranni governativi. Per la ragione fondamentale che chiunque sarà si troverà costretto in molti modi a doversi muovere all’interno di un percorso in gran parte precostituito, cui dovrà più semplicemente riuscire a dar corpo e iter istituzionali, ovviamente nelle forme di realizzabilità tecnica che lo distinguono. L’abilità cui ogni volta vengono chiamati i futuri governanti in fondo risiede proprio nel dimostrare una tale capacità.
Questa pessimistica considerazione si può benissimo già evincere tentando di leggere in chiave critica i programmi presentati per la propaganda elettorale. Tutti, pur con accenti e sottolineature diversificate, concordano sulla diagnosi del malato. Elefantiasi e lentezze burocratiche. Spropositati e insopportabili costi della pesante gerontocrazia oligarchica della macchina politica. Inefficienze endemiche delle diverse strutture preposte ad erogare i servizi, che richiedono sempre più fondi di mantenimento, che costano sempre di più ai cittadini utenti e che sono sempre più disastrate e incompetenti nell’espletare i loro compiti. Mancanza strutturale della tanto agognata crescita economica e impoverimento progressivo del potere d’acquisto dei salari. Per ultimo l’ormai mitico spropositato ammontare del debito pubblico, divenuto un vero e proprio marchio di distinzione della sconquassata italianità.
Ad un occhio anticonformista, questa miscellanea, frutto antico e amaro di prolungati cronici arraffamenti dei nostri facitori amministrativi, può tranquillamente apparire come un’ammissione di fallimento. Di riffe o di raffe, dopo essere approdati in diversi luoghi d’azione ed aver cambiato nomi d’appartenenza con gran disinvoltura, in fondo sono sempre gli stessi politicanti alchimisti che in questi decenni hanno messo le mani sulla torta, conducendola ai livelli che oggi denunciano con grande enfasi ed essendo responsabili del disastro di cui ognuno di loro accusa gli altri della parte avversa. I decantati volti nuovi che si aggiungono di volta in volta, che tanto si spera facciano immagine accattivante, predestinati futuri alchimisti che dovranno acquisire la perizia del mestiere, altro non sono che allievi prediletti consigliati e benvoluti dai vecchi, i quali così, secondo un antichissimo rito del potere, possono assicurare la propria continuità.
Di fronte ad un ammalato il cui progressivo stato di aggravamento è universalmente riconosciuto cronico, cosa suggerisce la scienza medica? Normalmente appronterebbe un consulto di riconosciuti luminari i quali, scambiandosi reciprocamente le rispettive conoscenze preziose, concordemente proverebbero ad ipotizzare una strategia d’intervento efficace. Invece no! Sempre gli stessi, che in un modo o nell’altro hanno partecipato a dare avvio al cammino verso la catastrofe annunciata, scendono in campo come fossero in un’arena di gladiatori e, a differenza di questi sorretti da immunità, si mollano gran fendenti mediatici per tentare di apparire i “nuovi” salvatori, cercando i consensi di un pubblico sempre più scettico che li applaude sempre meno.
Così continuano a propinarci ricette, chiedendoci di poter ordinare farmaci la cui diversità ci sembra sempre più di marca che di sostanza. Salvaguardando le differenze operative, innegabili, tutte le proposte si trovano però accomunate dalla stessa caratteristica e dallo stesso timbro. La caratteristica è quella di proporsi di agire tutte dallo stesso versante, mentre il timbro è dato dalla qualità del tipo di interventi ipotizzati. Il versante su cui promettono di lavorare è quello di cercare di alleviare la sofferenza delle condizioni cui ci troviamo costretti, la qualità degli interventi che suggeriscono è data da erogazioni assistenziali che, ognuno secondo la propria ispirazione, cercano di distribuire alle categorie sociali cui pensano di far riferimento.

Promesse sbandierate

Assistiamo così a una gara, dovuta all’incombenza della concorrenza propagandistica elettorale, per cui ogni forza politica presente sull’agone cerca di mettersi in mostra sparando proposte e promesse di erogazione con gran disinvoltura, nella speranza di conquistare la fiducia degli utenti aventi diritto al voto da cui dipende l’auspicato successo. Promesse sbandierate a più non posso di congrui aumenti e adeguamento delle pensioni. Abbassamento delle tasse da tutti considerate troppo alte (come se finora non fossero stati proprio loro ad aumentarle; ah! ma bisognava abbattere il gigantesco debito pubblico, sempre fatto da loro). Promessi stipendi sociali ai disoccupati e aiuti ai precari nei periodi in cui non lavorano, entrambi un minimo dignitosi. Buoni servizio e indennità d’accompagnamento per i non-autosufficienti. Incentivi alle piccole e medie imprese e facilitazioni finanziarie e burocratiche per chi vuol rischiare d’intraprendere una nuova attività d’impresa. Salario minimo garantito e defiscalizzazione dei redditi più bassi. Politica per la casa sociale abbinata a facilitazioni nella stipulazione dei mutui prima casa.
Questa è solo una sommatoria indifferenziata e incompleta per dare un’idea di massima della visione di un futuro assistito che ci propinano i nostri politici/amministratori. Peccato che accanto, non sbandierato, ci sia un aumento di dipendenza e di regolamentazione dall’alto sempre più invasiva, in modo che gli esseri umani si trovino sempre più vincolati e subalterni e sempre più impossibilitati a definire autonomamente la conduzione della propria vita. Peccato pure che, soprattutto a destra, riprendano fiato logiche di gigantismo istituzionale che si spende in immaginate faraoniche opere pubbliche, oppure paventate militarizzazioni dei territori, centrali nucleari o a carbone e inceneritori ultima generazione e rigassificatori. Veltroni, con qualche distinguo residuo della passata militanza a “sinistra”, non è da meno col suo slogan “non più ecologisti del no, ma del fare”. Sganciata da Prodi e incoraggiata dalla certezza che non può vincere, la sinistra cerca invece di distinguersi con una maggior attenzione all’ambientalismo e alle classi più deboli, sempre però in chiave del tutto assistenzialistica.
Ecco sul piatto un’idea di stato il cui compito primario diventa quello di assistere e rendere un po’ più accettabili le situazioni esistenziali condizionate dal sistema vigente. Ma, per come sono date le cose, c’è qualcosa che non la fa funzionare come a lor signori piacerebbe. Prima di tutto perché propongono d’intervenire sempre dopo che ci sono peggioramenti, mai prima. Non riescono cioè ad essere preventivi, bensì sistematicamente maldestri manutentori di riparazioni, capaci solo di far rattoppamenti con poca tenuta. Poi perché l’incombenza generale e globale che ci sovrasta, oggi più che mai, ha la capacità strutturale di condizionare e scombinare a tal punto ogni tentativo di intervento programmatico sul sociale che, appena il vento di una crisi soffia con più virulenza, ogni cambiamento, supposto o messo in atto, si trova umiliato e con gran facilità annullato, deprivato dei benefici per cui era stato progettato.
In altre parole, lo stato non è per nulla in grado di curare il malato mentre lo sottopone ad uno spietato accanimento terapeutico. Può solo provare ad assisterlo somministrando calmanti e ansiolitici per regalare l’illusione di un sollievo, effimero quanto la capacità d’intervento che gli è rimasta. La politica, quella regalataci dall’alto delle istituzioni, ha perso verve e potere progettuale e programmatico, perché ha progressivamente accettato di ridursi a tecnica amministrativa, in una società il cui ambito d’intervento, sottoposto com’è agli influssi sempre più invasivi della globalizzazione, è sempre meno territorializzabile, per cui le istituzioni statali stanno perdendo potere vero d’amministrare e sono sempre meno incisive.

Ci vorrebbe un’inversione

La politica non si sta rinnovando. Sta implodendo. La spada di Damocle dell’annichilimento che ci sovrasta sta riuscendo a vanificare la distinzione originaria della politica moderna, ora in fase di estinzione, tra la destra e la sinistra. Non è neppure vero che stanno andando entrambe verso il centro, come un’intellettualità asservita sta cercando di sostenere. Il centro ha senso come forza di controllo mediatrice tra le due. Se le due scompaiono scompare anche il centro. In sostituzione prende sempre più piede un marasma indifferenziato, in cui acquista terreno l’individualizzazione delle esistenze, che si vive separata dal contesto sociale ed è sempre più impermeabile ai bisogni e alle esigenze di una gestione collettiva. Conseguenze dello spettacolo della mercificazione di ogni cosa, compresi gli esseri umani e le loro coscienze. Così la politica si riduce a null’altro poter fare che tentare di assistere per alleviare l’infelicità generalizzata indotta dalla mercificazione trionfante.


Geneticamente la destra tende a rafforzare il sistema di dominio, mentre la sinistra lo vorrebbe modificare. La destra in qualche modo ha continuato a riconoscersi un senso perché il sistema di dominio ha continuato a trionfare, anche se arranca ad inseguirne le mutazioni in atto che travalicano la potestà patria di cui ha bisogno. La sinistra invece non riesce a ritrovare il senso del suo esserci, perché ha accettato di trovarsi costretta a rinunciare alle strategie di cambiamento radicale per cui era sorta. Perdita di senso strettamente molto legata al fatto che storicamente ha prevalso l’ala autoritaria della sinistra, quella che riteneva che per imporre i propri principi si debba agire attraverso l’autorità dello stato. L’ala antiautoritaria, che ha sempre ritenuto indispensabile annichilire e superare l’opera dello stato per riuscire ad emanciparsi, è rimasta ai margini del dibattito e dell’azione. Oggi possiamo constatare che la vincente parte autoritaria è stata portata a cambiare modalità di esecuzione dei suoi assunti ideologici, a concentrarsi principalmente verso la gestione statale senza più poterla né volerla modificare, riducendosi a far da infermiera che tenta di assistere le categorie più deboli. Come sta succedendo alla destra per altre ragioni, anch’essa sta pagando il prezzo di annullarsi in un assistenzialismo indifferenziato e poco efficace.
Purtroppo in origine non si capì subito con la dovuta accortezza che da dopo la rivoluzione francese avevano preso importanza, fino a diventare determinanti per il mercato, le moltitudini sottomesse, che con i diversi totalirismi del secolo scorso (bolscevismo, fascismo, nazismo) sono diventate masse anonime da dirigere e impostare. Con la loro emergenza prevaricante ogni piano è destinato a fallire, o a non essere applicabile, perché sugli stati oggi incombe il dominio della finanziarizzazione capitalista che condiziona i mercati, le scelte politiche sociali e i rapporti produttivi, oltre a incidere e determinare fortemente il valore delle varie monete sottoposte alla speculazione. Il dominio globale del liberismo capitalista finanziario determina e impone crisi che condizionano pesantemente le scelte politiche di ogni stato in ogni singolo territorio, fino ad addomesticare ai propri interessi oligarchici e lobbistici ogni possibilità d’intervento. Masse di manovra finanziaria che condizionano pesantemente masse umane costrette in loro balia.
Ci vorrebbe un’inversione di paradigma, abbandonando e annullando quello vigente che sorregge questo impero anonimo di finanziarizzazione globalizzata, che non ha bisogno di imperare sui territori, come i classici vecchi imperi, mentre domina incontrastato le condizioni planetarie di vita di noi esseri umani. Bisognerebbe trovare la maniera di ripartire veramente dal basso, sottraendoci alle tenaglie assistenziali e regolative in cui ci hanno intrappolato, riappropriandoci delle nostre esistenze, in una logica di valorizzazione degli individui e delle relazioni che tra loro riescono a impostare autonomamente, accordandosi, creando forme associative, canali e reti di produzione e distribuzione autogestiti, gettando insomma le basi per togliere progressivamente terreno alle costanti manovre, impositive e schiavizzanti, dell’attuale dominio finanziario globale.

Andrea Papi