Rivista Anarchica Online


clericalismo

Anche la Chiesa nel suo piccolo...
di Antonio Cardella

 

Si fa per dire. Certo è che anche nel suo grande non le mancano difficoltà e problemi. Ma nell’insieme non rinuncia alla sua offensiva di stampo integralista, cercando di condizionare sempre più la società civile.

Quando entrai a far parte del movimento anarchico, fui colto da una certa sorpresa nel notare che la relativa pubblicistica riservasse ancora uno spazio consistente al problema dell’anticlericalismo.
Ero certo consapevole che la Chiesa costituisse un pericolo latente per una società, quella italiana, che usciva dall’esperienza drammatica della seconda guerra mondiale con apparati politico-culturali evanescenti ed un proletariato prevalentemente agricolo, aduso ancora ad invocare l’intervento dei suoi Santi Protettori per ottenere il beneficio della pioggia o il sereno per la maturazione delle messi. Sapevo bene che le parrocchie fossero un presidio delle vocazioni più retrive ed un punto di riferimento, specie nel Sud, del latifondo e dello sfruttamento del lavoro, ma pensavo che fosse possibile recuperare alla modernità i cittadini della nuova Italia, qualunque fosse il rispettivo ambito di lavoro, con un’opera di architettura costituzionale e normativa affidata alla generazione che aveva fatto la Resistenza, che aveva conosciuto l’esilio e aveva, quindi, un bagaglio di conoscenze che le consentivano una visione strategica dei problemi enormi che incombevano, di cui l’invadenza vaticana non pareva essere tra i principali. Del resto anche la Chiesa era costretta in difesa: il papato di Pio XII, con le sue collusioni più o meno esplicite con il Terzo Reich, aveva creato all’interno delle sue istituzioni e nell’ambito stesso del suo episcopato delle lacerazioni che andavano ricomposte.
Ero in torto e, a giudicare da quel che è oggi sotto gli occhi di tutti, avevo sottovalutato la portata del problema.

Verso un nuovo potere temporale

La mia tesi è che, compatibilmente con le mutate condizioni storiche, il papato di Benedetto XVI abbia iniziato un percorso che, nelle intenzioni, lo porti a recuperare, in forme nuove, il potere temporale della Chiesa, ovviamente con la mediazione di Stati non ostili e che abbiano al loro interno forze consistenti in attesa di rivincite e aspirino a regimi che, nel messaggio universalista del cattolicesimo (noi siamo la Verità e la Salvezza), riaffermato con arroganza ai nostri giorni, pensano di poter trovare sostegno alle loro vocazioni autoritarie.
L’Italia, quella di Berlusconi, ma anche quella di Prodi e Veltroni, di Mastella e Casini è il viatico ideale per le velleità del nuovo papa: è una nazione sonnolenta e sostanzialmente bigotta, almeno nel difendere assetti ed istituzioni nei quali non crede più, ma che assicurano margini di sicurezza rispetto ad un nuovo che possa turbare il suo sonno; è un Paese che ha la peggiore borghesia del mondo occidentale, parassitaria nel fare e nel pensare, arretrata culturalmente e repressa nel quotidiano confronto con le nuove realtà, scettica quel tanto che serva a giustificare la mancata assunzione di responsabilità; incapace di mettersi in gioco, di sorreggere un qualsiasi progetto imprenditoriale non sovvenzionato, adusa a delegare, salvo a delegittimare immediatamente dopo i suoi delegati. Una borghesia che non ha il senso della storia, probabilmente perché ritiene di non averne alcuna. Parlo, naturalmente, della piccola e media borghesia, che costituisce la base del consenso e non dell’altra, quella che eredita dal declino dell’aristocrazia prevalentemente agraria le risorse per avviare, soprattutto in Piemonte, il processo di industrializzazione.
Questa piccola e media borghesia, asfittica e priva di un qualsiasi retroterra culturale, è la grande assente nel processo che portò all’unità della nazione, come protagonista in negativo apparve nelle lotte della fine del secolo XIX e del primo ventennio del secolo successivo che opposero le forze progressiste del socialismo e dell’anarchismo italiani al capitalismo, un modello di produzione della ricchezza che, sin dal suo consolidarsi nel nord della Penisola, mostrava tutte le sue propensioni antipopolari.
Fu, invece, questa borghesia nostrana, protagonista acquiescente nella fase storica che portò il fascismo al potere, processo nel quale la monarchia savoiarda, il Vaticano e i poteri forti dell’alta borghesia imprenditoriale ebbero parte determinante.. E fu proprio il Vaticano che da lì a poco avrebbe ottenuto i maggiori vantaggi.

“L’uomo della Provvidenza”

Nella storiografia più consolidata, trasferita acriticamente sui testi scolastici giunti sino ai nostri giorni, i Patti Lateranensi sono commentati come la soluzione del contenzioso tra Stato e Chiesa e come il definitivo rimarginarsi del vulnus di Porta Pia. Si tratta, nella più benevola ipotesi, di letture di comodo che non approfondiscono (non vogliono approfondire) il significato e gli esiti autentici di quanto quel trattato sancisce.
In realtà, con quel concordato si liquidò la laicità dello Stato stabilendo che la religione cattolica era l’unica religione ad avere diritto di cittadinanza in Italia e l’unica ad essere obbligatoriamente insegnata nelle scuole di ogni ordine e grado. Si sancivano anche gli effetti civili dei matrimoni religiosi e il recupero da parte dell’Azione Cattolica di tutte le organizzazioni giovanili che il regime fascista aveva sciolto per farle confluire nell’Opera Nazionale Balilla. Gli effetti di quest’ultima norma si vedranno chiaramente a conclusione del secondo conflitto mondiale, quando la Democrazia Cristiana poté attingere ad un bacino di “quadri” già pronti per essere impiegati nelle competizioni elettorali, quadri che contribuirono in misura determinante al permanere di un dominio di quel partito nel panorama politico italiano per oltre quarant’anni.
Mussolini otterrà un effimero successo propagandistico, riuscendo a portare dalla propria parte una quota dell’elettorato cattolico, quella parte che, pur essendo favorevole all’“uomo della Provvidenza”, come Pio XI aveva chiamato Mussolini, non riusciva a digerire le relative limitazioni alle attività vaticane. Il risvolto della medaglia era assai pesante: con quel trattato si ipotecava la vita pubblica di un’intera nazione per un tempo che ancora oggi non riusciamo a valutare quanto lungo. Si facilitavano in ogni modo le attività cattoliche di proselitismo e si concedeva mano libera alla finanza vaticana di operare sul territorio nazionale godendo di indebiti privilegi.
Ad oggi – tralasciando le molte speculazioni truffaldine, quali quelle messe in atto dallo IOR di monsignor Marcincus – la Santa Sede possiede qualcosa come il 20% dell’intero patrimonio immobiliare italiano, un patrimonio che tutti i governi che si sono succeduti in Italia sino ad oggi hanno sempre esentato da tasse e imposte; percepisce indebitamente l’87% del gettito ricavato dall’8 per mille, in virtù di un meccanismo che redistribuisce in proporzione alle preferenze espresse quelle non espresse dai contribuenti.
Ma non sono qui per fare i conti in tasca al Vaticano: sarebbe un esercizio lungo e difficile individuare le risorse dirette e indirette che finiscono nelle sue tasche. Desidero soltanto segnalare l’urgenza che l’Italia ha di scrollarsi finalmente di dosso una sanguisuga di simili proporzioni, ribadendo, ovviamente, che non intendo minimamente discutere della libertà religiosa individuale e collettiva legittimamente esercitata da ogni individuo che ne avverta il bisogno; anche se alcune manifestazioni di integralismo dottrinario e di spettacolarità smaccata dovrebbero apparire indigeste al vero credente, al quale, ritengo, non debba far piacere vedere quotidianamente – ad esempio – il proprio massimo rappresentante addobbarsi come un santo sulla vara il giorno della festa patronale, carico d’oro e di gemme a dispetto della povertà in cui versano nel pianeta miliardi di uomini.

La corazza di Ratzinger

Malgrado tutto ciò, la chiesa cattolica naviga in acque tutt’altro che tranquille, sia sul piano interno che su quello internazionale.
Sul piano interno, è evidente (e lamentosamente denunciato) il crollo delle vocazioni, e sono sempre di più le parrocchie prive di parroci; le società civili si laicizzano esponenzialmente e, per esempio, sono ormai in netta minoranza le coppie che intendono sancire la loro unione col rito religioso. Poi vi è la presenza ingombrante di papa Ratzinger, i cui proclami possono ringalluzzire le istanze bellicose dei “soldati di Cristo” (Comunione e Liberazione, Opus Dei e via dicendo), ma che appaiono incomprensibili al basso clero, alle prese quotidianamente con i problemi spesso drammatici della povera gente e che non si sente affatto sollecitato dai vaneggiamenti teologici del papa tedesco.
Più pesanti e pericolose le minacce che vengono dall’esterno del mondo cattolico.
Intanto la diaspora sempre più accentuata delle altre chiese cristiane, che vivono in contesti, prevalentemente anglosassoni, le quali, in prevalenza, stanno ancora leccandosi le ferite di lacerazioni provocate dai loro stessi rappresentanti (pedofilia e spretizzazioni) e poi mostrano di trovare ingombrante la presenza di un Vaticano sempre più ideologizzato.
Vi è la pressione di una Chiesa ortodossa, che ha aumentato in questi ultimi anni il suo peso specifico in proporzione diretta alla dimensione di potenza egemone riacquistata dalla sua maggiore nazione di riferimento (la Russia). Vi è, infine, il conflitto col mondo islamico, che travalica i confini di un conflitto religioso e che si configura sempre di più come uno scontro di civiltà, un confronto che, dissennatamente, papa Ratzinger mostra di volere affrontare indossando la corazza che fu dei papi condottieri.
In questa situazione molto poco tranquillizzante, la Chiesa romana pare cedere alla tentazione di colonizzare i Paesi più disponibili alle sue istanze e che soffrono di un tessuto istituzionale e sociale più permeabile. Non si tratta più di godere dei favori e dei privilegi di Paesi amici, ma di un vero e proprio esproprio di identità nazionali per trasformarne i territori relativi in avamposti militarizzati da opporre al nemico.
Probabilmente il panorama qui esposto vi apparirà esagerato: non siamo ancora ai labari benedetti nelle piazze e neppure ai preti che sfilano allineati e coperti per le vie consolari. Ma non si può negare la gravosità delle pressioni esplicite della CEI perché l’Italia sovverta le proprie istituzioni, rendendole disponibili alle strategie vaticane. Non si può negare che l’assalto delle istituzioni cattoliche a quel poco che resta della laicità dello stato italiano sia finalizzato a bonificare il campo per la conquista, tutt’altro che metaforica, dell’esercito degli alabardieri a strisce rosse e gialle. E state pur certi che la destra italiana, sempre più becera e incolta, se mai dovesse tornare a governare, coprirà, con la complicità di componenti apparentemente a lei estranee, il disegno vaticano con i suoi riti di orrida palingenesi e di morte, perfino utilizzando a questo fine le missioni “di pace” dei nostri contingenti in armi in giro per il mondo.
Se un errore oggi si può commettere da parte di tutti coloro che non sono disponibili a questo arrembaggio delle gerarchie ecclesiastiche, questo errore è di sottovalutare il ruolo delle vecchie cariatidi dei Berlusconi, dei Casini e dei Buttiglioni, i quali, carenti di istanze politiche credibili, moralmente delegittimati, per rimanere in corsa confidano soltanto sulla interessata benedizione papale.

Antonio Cardella